12 Aprile 2024
Crisi greca

Il gatto, la volpe e il topolino

Se dovessi raffigurare i protagonisti della politica internazionale nelle vesti dei personaggi delle vecchie fiabe, non avrei dubbi: Obama lo identificherei con il Gatto della favola di Pinocchio, Angela Merkel con la Volpe (sempre di collodiana memoria), e Tsipras – indovinate un po’? – con il Topolino che compare qua e là in tante storielle, senza tuttavia ottenere mai un ruolo di un qualche prestigio.

Eppure il buon Alexis era riuscito ad apparire per un momento come un personaggio di primo piano, aveva ruggito come il Leone di una favola di Esopo, e aveva fatto sognare il Paese delle Meraviglie (l’Unione Europea) con il suo referendum-sfida. Poi, però – probabilmente in sèguito ad una telefonata gattesca – aveva licenziato Alice-Varuffakis e aveva ingoiato il Rospo: un Rospo assai brutto, neanche travestito da Principe Azzurro come nella fiaba dei Fratelli Grimm. Contrordine, compagni – avrebbe celiato Guareschi – abbiamo scherzato.

Non che ci fosse da attendersi chissà quali epocali cambiamenti da quel referendum. Sarebbe finito a tarallucci e vino, come avevo scritto in chiusura dell’articolo della settimana scorsa. Ma un po’ di dignità si, quella me la sarei aspettata dal Topolino greco. E invece no. La controproposta ellenica è l’accettazione pressoché totale della proposta dei cosiddetti creditori, e non si capisce – a questo punto – perché il leader di Syriza abbia perso tanto tempo per dire un semplice “si”. Così come – rovescio della medaglia – non si capisce perché la Volpe germanica insista per un patriottico “no”, considerato che il Topolino ha ceduto su tutta la linea. O, meglio, lo si potrebbe capire soltanto se, per un attimo, si ponesse mente a ciò che Germania e Grecia realmente rappresentano – in questo momento – sulla scena europea: il più solido e potente Paese della ricca Europa settentrionale e, rispettivamente, il più spiantato e squattrinato Paese dell’Europa meridionale; ovvero, i campioni di due entità “regionali” diversissime tra loro, incompatibili, inconciliabili, con interessi economici apertamente confliggenti.

La colpa di quanto sta avvenendo, dunque, non è del “sistema” tedesco né di quello ellenico, bensì di quell’allegra brigata di “geni della finanza” che nel 1992, varando questa incredibile Unione Europea, pensò bene di ficcarvi dentro, alla rinfusa, l’opulenta Europa teutonico-scandinava e la più modesta Europa latino-mediterranea, per tacere di un ipotizzato “allargamento ad est” rivelatosi poi – e non avrebbe potuto essere diversamente – un clamoroso fallimento. Che Berlino ed Atene non avessero nulla in comune lo capiva anche un bambino; che i banchieri di Lussemburgo non avessero interessi coincidenti con quelli dei pastori dei Balcani, idem. Eppure, ci hanno costretti (anche truccando i conti di qualche Paese) a stare insieme in 28, a rispettare le stesse regole, ad adeguarci agli stessi “parametri”, ad obbedire alle stesse “direttive”. Roba da manicomio. E gli effetti non hanno tardato a manifestarsi, come ben sappiamo noi Italiani.

Perché tutto ciò? Semplice: per lo stesso motivo per cui, fra qualche giorno, Grecia e “debitori” saranno costretti a trovare un’intesa. Perché questo è l’interesse degli Stati Uniti d’America: oggi, a tenere la Grecia dentro l’UE; ieri a favorire la creazione dell’€uro. Lo ribadisce, ancora in questi giorni, uno fra i più brillanti blogger italiani, Marcello Foa: «Obama non può permettere il “grexit” perché il progetto dell’euro è fondamentale per la Casa Bianca, che lo ha sempre sostenuto dietro le quinte. Anzi, come è emerso dalla pubblicazione di alcuni documenti desecretati della CIA e del Dipartimento di Stato, lo ha ispirato e guidato sin dall’inizio per il tramite dei padri fondatori del progetto europeo.»

La Volpe tedesca, invece, benché attenta a non irritare il Gatto nero, ha altri interessi. Vuole affermare il modello di una “sua” Unione Europea e di un “suo” euro, soprattutto nel momento in cui si avvicina l’altro referendum – quello britannico – che potrebbe segnare l’uscita di Londra (che già non fa parte dell’area euro) anche dalla struttura politica dell’Unione Europea. La Germania, inoltre, è fra i Paesi europei quello i cui interessi maggiormente contrastano con l’escalation militare che gli USA vogliono imprimere alla crisi con Mosca. La Volpe lo ha ben presente, e il Gatto sa perfettamente che la Volpe non sarebbe l’alleato più fidato nel caso di una guerra anti-russa.

In tutto ciò, il Topolino sembra rientrato disciplinatamente nei ranghi. Ma ha reso comunque un apprezzato servigio ai campioni veri delle battaglie anti-euro ed anti-UE, che già scaldano i muscoli in vista delle prossime scadenze. Ha dimostrato, con il suo pur inutile referendum, che il ricatto della paura può comunque essere battuto – e largamente – nelle urne. Il 61 per cento di “no” greci avranno un peso anche sulle scelte future di altri Paesi europei, sul referendum inglese non meno che sulle presidenziali francesi del 2017.

ULTIMA ORA: Apprendo dai telegiornali i termini del diktat (arrogante, umiliante, cattivo) imposto dalla Merkel e accettato supinamente da Tsipras. Dire vergognoso è dire poco. È una rappresaglia da guerra di conquista, sullo stile di quelle che, in epoca medioevale, s’imponevano ai Paesi vinti per impedire che potessero mai più risollevarsi. Ed è, al tempo stesso, un avvertimento mafioso alle altre Nazioni: non provate a ribellarvi, perché fareste la fine della Grecia. Nonostante tutto, però, sono convinto che il meccanismo dell’usura internazionale abbia i giorni contati. E a fare giustizia, democraticamente, con il voto, saranno proprio i popoli ricattati. Appuntamento al 1917, con il popolo inglese e con il popolo francese.

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