18 Luglio 2024
Alchimia

Hyparxis – Mirco A. Mannucci

La Metafisica Occidentale ha mantenuto, a dispetto di tutte le sue innumerevoli variazioni sul tema, la barra puntata su una sola parola: Eternità. Da Parmenide sino a Severino, passando per Platone, per i neoplatonici pagani e cristiani, per Spinoza, per Bradley e moltissimi altri, il grido di guerra della Metafisica e’ il medesimo: il Tempo e’ il grande nemico, abbattiamolo (o magari riduciamolo a finzione, a delegato di sua maesta` il Creatore, oppure almeno ingabbiamolo, mettiamogli le manette).

L’ Eternità è il sicuro porto dove la nave della Vita trova pace durevole e protezione sicura, mentre il Tempo, con la sua ben nota inclemenza, si dissolve in una immagine mobile, nel volteggiare pazzo delle apparenze. Ci sono state, è ben vero, alcune voci contrarie: a cominciare dagli inizi, da quell’ Oscuro di Efeso che celebrò il divenire. Dopo di lui, voce ripetuta a piu` riprese ma poco ascoltata, va citato Anassimandro: per il sapiente il Tempo, Khronos, non è affatto una pallida copia dell’ Eternità, ma al contrario il sommo Giudice: kata khronou taxin, ci racconta. Secondo il Decreto del Tempo.

Molto piu’ vicino a noi, si arriva a quel gran campione di Khronos, Henry Bergson, che non solo riabilita il gran vecchio, ma anzi  lo fa giovane e gagliardo, vero motore della Creazione. In terra teutonica Heidegger e i suoi dicepoli inneggiano alla Temporalità (zeitlichkeit) come alla chiave di volta per un ripensamento e un oltrepassamento del pensiero metafisico. Insomma, qualcuno torna a Parmenide, ma nell’ evo moderno ci sono altri che riscoprono Eraclito. Per quanto mi riguarda, a parte le solite domande sulla natura di Saturno, c’e’ un dettaglio che mi ha sempre lasciato basito: lo Spazio ha tre dimensioni, mentre il Tempo ne ha solo una. Quale mancanza di gusto da parte del Creatore (o del Caso, fate voi)! Ma come e’ mai possibile che, nel l’ ordito medesimo della creazione, vi sia una tale asimmetria?

Apparentemente non sono il solo ad avere un moto di revulsione di fronte a tale inaccortezza. Ad esempio, John Godolphin Bennet, un pensatore inglese che fu discepolo di Ouspensky, ha pensato bene di aggiungere altre due dimensioni al Gran Vecchio: la prima, guarda caso, la chiama semplicemente Eternità. Perche’ Eternità? Il Lettore o la Lettrice ricorda certamente un ritornello che i mistici hanno ripetuto sino alla nausea: l’ Istante e’ eterno. Lungi dall’ essere solo un punto fugace tra il passato e il futuro, ogni istante ha, diciamo cosi`, una profondità infinita. Ha uno spessore. Ma, ci si interroga, e` possibile conciliare questa intuizione abisssale con la classica immagine del Tempo come una retta composta da punti-instanti? Se le dimensioni sono (almeno) due, l’ Istante è  una biforcazione: si va avanti, per cosi dire, ma ci si puo’ anche spostare in modo ortogonale rispetto al tempo usuale. Come in un quadro prospettico, l’ istante, prima schiacciato in una miserabile cerniera tra il prima e il poi, diventa il centro focale di un’altra direzione. Ma vi è di più : se il tempo ha due dimensioni, e` possibile muoversi in un cerchio, in un cammino chiuso che va dall’ ora sino a ritornarvi. Bennett si mostra qui discepolo di Nietszche e dei Greci: Ewige Wieder Kehr.

Ma il mistico albionico non si ferma qui. Se il Tempo fosse solo bi-dimensionale, il quadro prospettico sarebbe statico, come in un quadro rinascimentale del Botticelli. Se sono su una singola linea temporale, vi rimarrò in aeternum. E’ necessario, per l’esistenza della Volontà e della Liberta`, che esista una direzione ulteriore, ortogonale alle prime due, che sia per così dire l’asse di rotazione, il perno invisibile che permette ad alcuni uomini di cambiare il loro destino. Di passare da una linea-destino ad un’altra. Bennett chiama questa seconda dimensione segreta (e dunque la terza dimensione del Tempo, che finalmente si trova sullo stesso piano dello Spazio) Hyparxis. Il termine è di per sè affascinante e di antico lignaggio: si trova sovente in Aristotele (devo all’ amico Prof. Riccardo Di Giuseppe questa segnalazione. Riccardo mi ha fatto osservare che hyparxis viene da ὑπό – ἄρχομαι , iniziare sotto, ma anche fare un inizio, venir fuori, etc.), dove significa esistenza (ek-sistenza, da non confondersi con einai, essere sic et simpliciter), ma viene mutuato dai neoplatonici, in primis da Proclo, e in secundis da Porfirio. Si trova anche nel Nuovo Testamento greco, dove indica proprietà, ricchezze ( in fondo, si dice di qualcuno -ha delle sostanze-, per indicarne l’ opulenza) . E’ probabile che Bennett l’abbia presa da Porfirio, proprio perchè nel mistico e teurgo greco hyparxis è uno dei vertici della traide suprema, Essere, Vita, Intelletto. Devo confessare che Hyparxis mi ha affascinato a lungo. Tanto a lungo che, alcuni anni or sono, scrissi una prosa poetica in proposito. Una storia languida, di una coppia anonima in una citta` altrettanto anonima, tra gente senza volto. Una coppia che si è ritrovata, attraverso i secoli, per una chance finale. Per un nuovo inizio. Ecco lo stralcio finale: “Non è per dire qualcosa di nuovo che si parla, ma per confermare, per sigillare… Per sigillare… Mi ci è voluto così tanto tempo per imparare, ma so che sono di nuovo qui, per il nostro ultimo tentativo. Perché è l’ultimo: anche le anime diventano vecchie, anche le anime possono morire… «È la nostra ultima volta, prima che l’antico orologio si fermi. Qual era quella parola greca che amavi così tanto, di quel tempo oltre il tempo, oltre la ripetizione, oltre l’eternità?» Hyparxis. Un nuovo inizio. «Hyparxis… Creeremo un nuovo inizio. Insieme. Adesso». Una coppia scivola abilmente tra i tavoli stipati. Dopo, solo una lenta danza e il sax baritono scuro“. Per chi fosse interessato, Hyparxis appartiene ora a un libello che ho pubblicato nella Collana Orfeo della casa libraria Edit@ di Taranto, curato e introdotto dal dottissimo Luca Valentini. Il libro si chiama Oxymora, Diario Poetico di un Alchimista, e può essere acquistato tramite l’editore di pubblicazione o sui bookstore online.

Mirco A. Mannucci

(PhD, CUNY), è, usando un neologismo da lui stesso coniato, un olomatico, ovverossia una sottospecie di polimatico che si sforza incessantemente di collegare i fili intricati dei suoi molteplici interessi in un tutto organico. Matematico, scrittore, poeta, traduttore, viaggiatore incallito, praticante di alchimia interna ed esterna, Waldgänger, studioso di discipline ermetiche da oltre trent’anni, imprenditore high-tech, edonista ascetico, Mannucci ha rifiutato i confini artificiali della cosiddetta cultura per raggiungere quella zona crepuscolare dove comincia la Grande Opera. Mannucci ha scritto articoli e presentazioni su numerosi argomenti di ricerca, è il coautore di un libro pubblicato da Cambridge University sulla informazione quantistica, ha curato una traduzione/commentario di uno dei classici della tradizione alchemica presso Rubedo Press, e attualmente sta lavorando ad un romanzo di fantascienza filosofica, Luce Grigia. Oxymora e’ la sua prima prova poetica, ma sta gia’ lavorando alla successiva, Sub Sola Nocte Per Umbram.

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