12 Aprile 2024
Punte di Freccia

Fascismo o plutocrazia – Mario Michele Merlino

Sono stati pubblicati di recente, sempre per Ciclostile – Ecclettica Edizioni, Giuseppe Solaro Fascismo e plutocrazia, gli scritti economici di un fascista di sinistra. A cura di Fabrizio Vincenti, giornalista di Lucca e già autore del bel saggio su Solaro, intrigante nel sottotitolo ‘il fascista che sfidò la Fiat e Wall Street’. Me ne aveva fatto menzione a Lucca durante la conferenza sugli ‘Intellettuali e la RSI’ un paio di mesi fa. Tramite l’editore mi ha fatto pervenire copia omaggio. Grazie. E dico grazie non soltanto per il dono del libro, che ho letto con cura attenta e partecipe, ma soprattutto perché ritengo vi sia necessità di voci, eco forti e ineludibili, di quel Fascismo che antepose la giustizia sociale ad ogni altro pur doveroso richiamo. Pur non condividendo affatto la definizione ‘di sinistra’ (uno dei molteplici guasti della scuola defeliciana) – mi basta tenermi stretto a quel ‘fascismo immenso e rosso’ di cui ci fece scuola Robert Brasillach – , trovo in questi articoli il più autentico senso della mia scelta e ‘nostra’ appartenenza.solaro

Fra la selezione effettuata Fabrizio ha voluto – e ne condivido appieno la scelta – riportare l’articolo del 12 ottobre 1944, uscito sul n.41 de La Riscossa, periodico della Federazione fascista repubblicana di Torino. (Intervento in origine svolto per radio). Forse il suo scritto più palpitante, testamento spirituale e monito per tutti coloro che, dopo di lui, non hanno ammainato il vessillo nero e rosso dell’essere contro di quel non cedere alle lusinghe borghesi del benessere e del profitto. Titolo: ‘I ribelli siamo noi’. ‘…Ribelli contro un mondo vecchio di egoisti, di privilegiati, di conservatori, di capitalisti oppressori, di falliti sistemi, di superate ideologie, di dottrine ingannatrici, dei falsi e dei bugiardi’. E certo varrebbe la pena riproporlo nella sua interezza, sentirne le parole scorrere simili a linfa vitale, lavacro di sangue ossa carne, purificatore…

(Duole solo constatare come modesti personaggi, tromboni ex cathedra, invidiosi e biliosi, se ne approprino si identifichino pontifichino assolvendo l’animo misero e le segrete aspirazioni da usuraio… ma, tant’è, prede quali sono di questo malo tempo e delle circostanze che hanno tarpato loro le ali e li hanno relegati all’ombra di chi si pavoneggiava dell’avere contro l’insignificanza dell’essere).

Ecco, dunque, un primo punto – quell’essere ribelli equivale a porsi fuori e contro la logica del perbenismo, tutto ‘legge e ordine’, che del mondo borghese è specchio fedele e che, spesso e (mal)volentieri, ha soffocato le istanze libertarie e squadriste e irriverenti del Fascismo primigenio. Soprattutto ha preteso trascinarlo nella difesa d’istanze legate alla logica liberista del ‘lavora-produci-consuma’. Perché essere ribelli, dunque, consente esprimere la spinta ad andare oltre e contro, avvertire ogni confine premessa di universi concentrazionari, per dirla con Nietzsche veder nascere in noi ‘le stelle danzanti’. Non in astratto funambolismo di romantiche parole, ma nell’azione operante nella realtà e dare a tutti fierezza nell’esistenza e speranza nel lavoro… Noi stessi, giovani inquieti, abbiamo faticato nella prima metà degli anni ’60 a liberarci dai lacci di un partito la cui sopravvivenza e unica logica consisteva nel proporsi ‘cane da guardia’ dei timori e pavidità borghesi nell’anticomunismo il più becero e acritico e cercare protezione all’ombra dell’atlantismo. Noi no. Appunto ‘immenso e rosso’.

Nella vita di Giuseppe Solaro, in questi suoi scritti, nella morte stessa, resa da tutta una sequenza fotografica visione immortale – superba la sua immagine di colui che ha vinto sul tempo e le circostanze, infame quella dei suoi assassini, canea ghignante –, vi è una lezione (me lo faceva notare Fabrizio) di come si può spendere bene e con senso la propria esistenza – egli ha appena trentuno anni quando viene ucciso – in pensiero e azione. Quale confronto con la gioventù di questo nostro malo presente, i ‘bamboccioni’ e noi stessi, ombre di un tempo eroico, come se nel 1945 si fosse spenta, nel ferro e nel fuoco, una razza e ne fosse scaturita altra di ‘bipedi inferiori’? Anche questo regalo imposto dai ‘liberatori’… Mi spiegava l’amico Ugo Franzolin, già corrispondente di guerra della XMAS, giornalista e scrittore, come avessero scelto di combattere per ‘la parte perdente’ (non certo per quella ‘sbagliata’) perché si erano resi conto, magari ancora in modo confuso, che dietro la potenza d’acciaio della V e VIII Armata alleate avanzava un modo di concepire l’esistenza tale da distruggere ciò che per secoli era stata la civiltà e cultura europee…

Sfogliamo qua e là, soffermiamoci su qualche citazione. Da Intransigenza del 10 maggio 1941, articolo pubblicato sul n. 13 de Il Lambello: ‘Diciamo cultura, perché essa può prosperare ed estendersi alla luce di un’autentica civiltà quando i popoli non siano costretti a lottare continuamente con il ‘salario naturale’ e con il sopruso di una minoranza di privilegiati solo dediti al lucro colossale, al potenziamento del brutale dominio del denaro. Noi non ammettiamo la cultura come diritto di casta (…) Noi vogliamo che trionfi la vera libertà che si realizza soltanto nel dare a tutti coloro che lo meritano la possibilità anche economica di affermarsi. La cultura e la civiltà si accompagnano soltanto alla giustizia sociale …’. Si legga, ad esempio, quanto Berto Ricci scriveva e si scoprirà la ricchezza e sintonia di contenuti all’interno di vivi sani fermenti della Rivoluzione fascista. Si ponga accento sul concetto di merito per non cadere in facili identificazioni – solo, semmai, pallida e stonata eco – con quel ‘diritto allo studio’ del ’68 che pure ci attrasse e ci fece alzare bastoni e barricate.

E ancora, su Libro e Moschetto in data 29 settembre del ’42: ‘Sappiamo che la vita è dura e lo sarà sempre, sappiamo che i problemi della società sono complessi e di difficile risoluzione. Però siamo convinti, anche per via di ragionamento logico ed artistico, che le gravi contraddizioni del capitalismo debbono e possono essere prontamente eliminate, con l’avvento di un nuovo sistema nel quale si tenga maggior conto della distribuzione e si consideri l’uomo, non il soggetto passivo di pretese leggi naturali, meccaniche, considerate per di più ‘sub specie aeternitatis’, bensì il soggetto attivo di tutte le cose’. Siamo ancora in pieno conflitto, incerte le sorti, poi il 25 luglio l’8 settembre la nascita della Repubblica Sociale i 18 punti di Verona la socializzazione. Nella tragedia, dissolte le contraddizioni e i compromessi, la fragile illusoria speranza di una lotta autentica contro l’idra dalle due teste, quelle dl capitalismo e del bolscevismo.

Con estrema sintesi e lucidità profetica Giuseppe Solaro scrive: ‘Nella guerra che è oggi universale dipende l’esito della rivoluzione sociale, la sconfitta o il trionfo del lavoro sul soffocamento plutocratico’. Chi ha vinto lo sappiamo bene e quali le sue conseguenze ci sono macigni nel cammino d’ogni giorno. Eppure sappiamo che per i cuori impavidi le rovine non sono ostacoli insormontabili. Sfida altezzosa ed inane? Nella limitatezza delle nostre forze può sembrare che l’inutile sia la cifra del nostro ardire, la misura della prigione in cui siamo ristretti.

E’ che abbiamo imparato a pensare come, anche nel secondo conflitto mondiale, la guerra sia stata un atto una battaglia uno scontro tra il sangue e l’oro – di questo eterno dualismo tra il lavoro, ove l’uomo si esprime e si realizza, e l’usura ove conta solo il profitto e l’uomo suo strumento subordinato. Ora, senza sposare il profetismo di Marx – la storia l’ha ampiamente sconfessato – e i surrogati che, a vario titolo, gli si conformano, dove entrano in gioco invidia rancore sensi di colpa, non esitiamo nel ritenere che all’uomo debba spettare alfine il primato… Così Filippo Corridoni Berto Ricci Nicola Bombacci Giuseppe Solaro possono ben essere a noi prossimi, fratelli maggiori d’un medesimo cammino per un medesimo fine.

Una mattina, all’università – metà anni ’60. S’è in rissa rossi e neri, non ricordo più il motivo (ogni pretesto era buono, a dire il vero). Tarda mattinata. Colloquio tra due compagni. ‘Speriamo che si finisca presto chè ho appuntamento con una ragazza per l’aperitivo’. Merlino porta i jeans camicia a scacchi da tagliaboschi canadese fuma le Philips Morris senza filtro. Peccati veniali. Mi assolvo. Mi tornano a mente a chiusura di questo mio intervento. Indice, però, di un sottile veleno borghese, di un adattarsi alle mode made USA. Perché non le grandi idee cambiano il mondo ma i piccoli gesti i comportamenti della vita quotidiana. Le grandi idee divengono sovente rifugio, una sorta di parafulmini mentre nell’oggi il metro del nostro servaggio, della schiavitù a cui abbiamo sottinteso lo spirito di rivolta. Ecco perché Giuseppe Solaro, anche per questo vale la pena ritornare sui suoi scritti oltre che sulla sua vita e morte.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *