11 Aprile 2024
Cultura & Società

Destra, Politica, Cultura – Gianfranco De Turris

Si disse – e tutto fa credere che sia vero – che alla caduta del Fascismo dopo il 1945 il potere venne diviso tra DC e PCI: alla prima quello economico, i soldi, al secondo quello culturale, quello metapolitico, secondo la strategia gramsciana. Sono trascorsi 75 anni, DC e PCI sono scomparsi ma la situazione è sostanzialmente la stessa e se ne vedono i risultati. Una nazione sostanzialmente moderata e tendenzialmente non di sinistra, come dimostrano le consultazioni generali e locali succedutesi specie negli ultimi tempi, ha, però, una classe intellettuale quasi totalmente progressista che condiziona le scelte culturali del Paese facendo credere che anche la cosiddetta “gente comune” la pensi così, dando una immagine falsata dell’Italia nel suo complesso.

Le élites di sinistra hanno in mano da un lato scuole, università, accademie, istituzioni culturali, dall’altra case editrici, giornali e riviste, le televisioni più importanti, e si salva soltanto la Rete data la sua vastità e l’impossibilità di controllarla efficacemente e capillarmente, nonostante alcuni tentativi (di solito falliti) di censura diretta e indiretta delle opinioni scorrette. Il risultato è che sotto questo aspetto la situazione è del tutto sbilanciata, come dimostra uno studio di fine 2019 del Worlds of Journalism della Columbia University Press, secondo il quale i giornalisti italiani sono i più schierati a sinistra di tutta Europa. Dal 1993, dopo Tangentopoli, l’ingresso in campo di Berlusconi con la nascita di Forza Italia, lo sdoganamento del MSI e la nascita del centrodestra con l’ingresso della Lega, avrebbe dovuto cambiare qualcosa, anzi doveva cambiare qualcosa, ma purtroppo così non è stato. Non tanto per il successivo alternarsi al governo di centrodestra e centrosinistra, ma semplicemente perché nei periodi in cui il centrodestra è stato al potere (circa dieci anni non consecutivi, e lo stesso vale per il centrosinistra) non ha fatto sostanzialmente nulla sul piano della cultura e le cose sono rimaste quasi esattamente uguali. Anzi, sono peggiorate dal 2011, quasi dieci anni fa, con il susseguirsi dei governi non eletti Monti, Letta, Renzi, e dopo le elezioni 2018 con i due governi Conte, e il centrodestra messo nell’angolo. Sembra inutile negarlo, che fra Destra e Cultura ci sia non tanto incompatibilità, ma disinteresse, quasi a dare ragione alla intellighenzia progressista che afferma essere la Destra congenitamente incolta e ignorante e così da potersi pavoneggiare per la propria superiorità antropologica. Il dramma, anzi la tragedia, nel 2020 continua ad essere questa. La Destra, novella DC, della cultura se ne frega (il “culturame” di Scelba) e guarda al concreto, snobba ministeri della cultura e della istruzione, e relativi assessorati in città, paesi, regioni,, e se per caso gli capitano di malavoglia non sa proprio che farsene. Laddove negli enti locali chi li governa non avvia iniziative culturali degne di questo nome: non gliene importa o addirittura ha timore di farlo per paura delle critiche dei giornali locali, ha un senso d’inferiorità nei confronti della Sinistra per cui deve ricorrere ad esperti, collaboratori e consiglieri progressisti, o affidare a costoro iniziative ed eventi, alienandosi amicizia e disponibilità di chi è a destra. Purtroppo è così, i fatti lo dimostrano e se non fosse così aspetto di venirne a conoscenza.

Dal 1993 sono trascorsi 27 anni (più della durata del fascismo), il tempo medio di una generazione. Si fosse cominciato sin da allora a seminare, come venne esplicitamente detto e scritto, ad avere lungimiranza, oggi sarebbe ben diverso, e i ragazzi nati nel 2000 avrebbero ben altro panorama culturale di fronte, mentre i giovani di allora oggi adulti una formazione alternativa, e invece nulla o quasi. Del resto, si cominciò malissimo: ricordo bene, perché lo criticai, che il primo governo Berlusconi durato appena sei mesi per il tradimento della Lega di Bossi, preferì non nominare in posti di responsabilità culturali nomi prestigiosi come Piero Buscatoli, Giano Accame, Paolo Isotta, perché considerati “troppo di destra”…

E se tanto mi dà tanto… Sembra incredibile, ma i politici di Destra, anche i più navigati, non capiscono che la cultura è una pratica pre-politica: serve a preparare scelte future sul piano politico formando una base ideale e ideologica, a consolidare razionalmente un voto che magari viene dato per puro istinto, pura ribellione, pura rabbia contro una parte avversa considerata insulsa e inefficiente (vedi il 33 per cento di italiani che ha votato i Cinque Stelle nel 2018 e oggi se ne pentono dopo averli visti all’opera, ma se li devono tenere nonostante siano crollati di venti punti e non li rappresentino idealmente più). Niente altro che la teoria di Gramsci della conquista della società civile… Se alla caduta del governo Renzi, ci fosse stata una fondata preparazione culturale di Destra alle elezioni quella indignazione si sarebbe rivolta altrove, avrebbe prevalso la razionalità e non l’illogicità, io credo, ma forse mi illudo. Però non si può avere la prova contraria, dato che su questo piano nulla si è fatto di “ufficiale” da parte di Forza Italia, la Destra che ora si chiama Fratelli d’Italia e soprattutto la Lega di Salvini, oggi il maggior partito di centrodestra.

Non parlo di “scuole di partito”, come le mitiche Frattocchie del PCI togliattiano, anche se l’argomento non dovrebbe essere considerato tabù, ma di presenze “esterne”: organi fiancheggiatori di stampa diffusi (siamo oggi a quattro quotidiani, un settimanale e un paio di mensili, all’incirca), efficaci, ripeto efficaci, trasmissioni culturali in TV, non confinate dalle parti di mezzanotte, dedicate ai libri e alle rievocazioni storiche affidate e curate da conduttori bravi e preparati (solo su Rai 3 si vedono belle cose, e sembra paradossale). Quello cui pensano i partiti, da sempre, sono solo le nomine di direttori nelle reti e nei telegiornali della RAI (snobbando malamente la radio), cioè dei soli vertici come se fossero la soluzione di tutto, e non preoccuparsi invece di introdurre regolare informazione culturale efficace e accattivante a tutti i livelli, di chiaro indirizzo controcorrente per renderla meno sbilanciata, ciò che è ora a senso unico. Questo ovviamente sul piano generale e popolare, perché ci sono, come detto, i piani più elevati da non dimenticare. Ma a quanto pare non interessa, e se ne pagano le conseguenze.

La situazione è tale che negli anni Novanta, uno dei fondatori de Il Mulino, il liberale professor Nicola Matteucci, poteva parlare di “egemonia culturale della sinistra”. Nulla è stato fatto per poter riequilibrare democraticamente il settore e dare voce a tutte le componenti della cultura e della ideologia italiane, non certo per imporre una “egemonia culturale della destra “, come i soliti pifferi dei mass-media sono sempre pronti a denunciare ad ogni modifica dello status quo e così far fare marcia indietro e impedire ogni possibile cambiamento… Così amplificando l’arroganza della intellighenzia dominante e la protervia della bassa forza quando ci sono manifestazioni pubbliche della cultura anticonformista. Nel Sessantotto andava di moda il bello slogan “uccidere un fascista non è reato”; oggi va di moda “un fascista non deve parlare, non ha diritto di parola”, senza che nessuno si indigni. E’ quasi la stessa cosa, con tanti saluti alla democrazia e alla Costituzione, sempre in bocca a tutti quando fa comodo. Oggi ci si accontenta per passare da pluralisti di chiamare, nell’intervistare, nel far partecipare, nel chiedere l’opinione di quei due o tre noni di giornalisti, scrittori, autori di Destra diventati (giustamente) importanti e famosi per le loro qualità e capacità. Così, con questa pezza ipocrita, tutti sono contenti. Ma la situazione resta sempre la stessa e resterà tale sino a quando non cambieranno idee, programmi e soprattutto tattica e strategia.

Ci sarà pure un motivo di fondo per cui all’improvviso, approfittando delle dimissioni del ministro Fioramonti (insomma quello delle classi senza crocifisso, della guerra alle merendine, delle assenze giustificate se si manifesta per il clima, dell’insegnamento della storia senza guerre…) il cinico ma lungimirante presidente Conte abbia sdoppiato di punto in bianco il MIUR in MIS e MUR, Ministero della Istruzione e Ministero della Università e Ricerca: duplici compiti, stipendi e fondi. O no? Meditate gente, meditate.

Gianfranco de Turris

5 Comments

  • Giulio 11 Febbraio 2020

    Concordo su quasi tutto. Però parlare di ciltura e lasciare una marea di refusi, sembra pardossale. Parole di dislessico

    • Ereticamente 11 Febbraio 2020

      Abbiamo provveduto a correggere i refusi. Grazie

  • lorenzo merlo 15 Febbraio 2020

    Una cultura alternativa all’egemonica attuale tende a non poter scaturire dalla destra.
    Questa ha abbracciato il materialismo e l’economia liberalista.
    Entrambi già condivisi dalla sinistra.
    È in essi il flusso del mondo, del pensiero.

    Forse, senza una presa di distanza dalla concezione materialista della realtà, senza quacuno capace di modulare il recupero delle dimensioni metafisiche dell’uomo, non si possono trovare le forze per risalire il gorgo del positivismo.

  • Rosa Rita La Marca 15 Febbraio 2020

    “La cultura non porta voti”. Citazione di militanti della destra giovanile palermitana in sede. Quando l’odio persino per l’amico è segno di un profondo senso di inadeguatezza e tendenza alla mercificazione della propria furente stupidità.
    Ottimo averne l’onestà intellettuale di dibatterne.

  • claudio 22 Dicembre 2023

    Di tutto il discorso mi concentrerei sul “un fascista non deve parlare”.A parte il fatto che il fascismo è un reato, in realtà i fascisti parlano, accidenti se parlano. sarebbe interessante verificare se la guerra fosse finita in altro modo, per vedere chi avrebbe potuto parlare oggi. Se c’è un’egemonia culturale della sinistra è perché questa è tendenzialmente progressiva, la destra no.

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