10 Aprile 2024
Spiritualità

Dall’Età del Piacere a quella del Soggetto Prestante: quando l’uomo ha tradito la Natura – Romina Barbarino

Fu Esiodo in “Le opere e i giorni” il primo a parlare di un’età dorata, mitica, ove gli uomini vivevano come dei e la cui esistenza era votata alla più perfetta armonia tra terra e cielo. Gli onori resi da quegli uomini alle divinità dell’Olimpo, gli Immortali da loro stessi creati, venivano proficuamente ricompensati con una benevolenza che permeava le esistenze della stirpe dei mortali in tutte le loro sfaccettature. La vita umana si trastullava sullo sfondo di un contesto bucolico tra banchetti e convitti, ove i frutti della terra fertile si offrivano agli uomini nella più straordinaria abbondanza, ignoravano malattie e pene, vecchiaia e dolore. Gli uomini dell’Età dell’Oro dunque non conoscono la fatica dei campi, l’aratro e la vanga, e l’avvicendarsi delle stagioni non è altro che il variegato spettacolo di colori, luci e forme, offerto dalla natura alla percezione degli uomini, come un caleidoscopio nelle mani di un fanciullo. Anche la morte calava dolcemente con l’abbandono del giusto ad un lungo sonno, esente da sofferenza alcuna. Uomini, fondatori del Divino e al tempo stesso a questo, devoti. Uomini e dei, un’origine comune. Una comunanza di godimenti. Quale più grandiosa immagine di utopico Umanesimo è mai stata questa! Il sogno di un visionario vissuto tra il VIII e il VII a.C., agli albori della civiltà. Era il tempo di Crono. Un’epoca la cui distanza dai nostri giorni è data, più che dalla dimensione temporale, dall’indicibile divario qualitativo che separa la condizione vitale odierna rispetto al modello utopico, al quale assai spesso l’esistenza si ispira nel suo esplicitarsi.

Quale sia il fattore determinante a segnare il gap è cosa difficoltosa da rintracciare in una società quale è la nostra odierna, caratterizzata da una struttura sì notevolmente complessa e dispiegata su più livelli, stratificati uno sull’altro e che al contempo si intrecciano tra di essi in un gioco apparentemente caotico, che, tuttavia, un’analitica più specificatamente sociologica li definisce inequivocabilmente come singolarmente stabiliti da un rapporto di causa ed effetto, che ne evidenzia una sottesa logica di fondo, per quanto sfuggente ad uno sguardo superficiale d’insieme. Certamente l’aspetto più affascinante e al contempo più sorprendente della visione mitologica è l’assenza del lavoro, condizione inutile in quello scenario per assicurarsi la fruizione dei beni di natura, immagine che riconduce inevitabilmente a quella di un paradiso terrestre antecedente il peccato originale. Molteplici esempi similari ci ha offerto la rassegna filosofica – letteraria di genere utopico, rifuggendo in modelli dell’impossibile, ove è disegnabile quanto non è concretamente realizzabile nel possibile.

Quei mondi Altri sottendono frequentemente una perfetta consonanza tra Natura e Uomo, un armonioso accordo di dono e gratitudine, al quale nessuno viene meno. E forse, sarebbe finanche oltraggioso darne una definizione ricorrendo ad un termine proprio del linguaggio dell’evidente, quale “società”, che svilirebbe il sogno, avvicinandolo pericolosamente al Reale. La società è la discriminante tra l’Ideale e il Reale, tra l’Impossibile e il Possibile. La definizione di essa la vuole quale organizzazione di individui che si associano per le più svariate finalità, sottendendo il patto sociale, tacito o esplicito, contratto tra uomo e uomo. La Natura è estromessa, esclusa, Madre ripudiata, pur nel suo darsi senza nulla chiedere. E’ l’epoca dell’uomo che vuole Altro rispetto al frutto di natura, che non gli è più sufficiente a soddisfarlo. Nasce il Desiderio associato al sovrappiù rispetto all’esistenza-sopravvivenza. Nasce l’Effimero e, con esso e per esso, l’uomo deve chiedere-all’uomo e l’uomo deve-dare-all’uomo-per-ri-avere.

Si estingue la Comunità Spontanea. Nasce la società umana, figlia dell’atto alienante.

E’ l’evento che segna l’incipit di una serie di trasferimenti e rinunce che si succederanno lungo tutto il corso della storia umana con i più svariati effetti collaterali che ciò comporterà: avvilimento e frustrazioni. Il potere sovrano sarà ceduto ai governanti, la sfera privata a quella pubblica, le qualità umane più alte all’immagine divina che si fa perfetta rispetto al delegante, la sicurezza personale ai sistemi di controllo sociale digitale, etc. Freud, il grande padre della psicanalisi, affermava che la civiltà nasce quando l’uomo decide di rinunciare al principio del piacere in favore di un principio di realtà, più pragmatico e funzionale al mantenimento di una associazione di individui, dove ai piaceri si preferiscono le ricchezze, scelta che determina una gestione della sopravvivenza votata all’arricchimento, ben più complessa e macchinosa. Il principio di realtà comporta una repressione aggiuntiva, l’effetto collaterale, che rende ciascun uomo in obbligo di rendere un’eccedenza, rispetto al bastante proprio della comunità spontanea, affinché egli possa a buon titolo essere considerato un partecipante degno del nuovo regime. Il nuovo soggetto di prestazione è votato al lavoro, che ne determina, non solo la mera sopravvivenza, ma la possibilità di rimanere un membro partecipe della grandiosa macchina produttrice, sistema oggi consolidato e tale nella sua funzionalità da rendersi in grado di autogestirsi, come nella migliore tradizione dell’era dell’automazione, ove l’impronta umana è ridotta ai minimi termini. Il soggetto prestante imita la macchina perfetta e si impegna ininterrottamente a porre in essere processi esecutivi ed operazioni ripetitive, che alimentano il sistema e assicurano la certezza dell’azione. Egli è elemento diligente, zelante, premuroso di dare in eccesso piuttosto che di risultare manchevole.

L’errore, la scarsezza, l’omissione non sono previsti nell’algoritmo che lo governa. Forse neanche la punizione, ma questo poco importa. L’autodisciplina del soggetto prestante non consente frenate né pause per cedere al peccato. Il tempo del piacere è un anelito lontano e straniero. Forse, nemmeno un ricordo, ma solo un odore soave, un dolce suono di flauto, una carezza di vento, che appartiene ad un poeta visionario agli albori della storia.

 

“Benevoli e pacifici, abitavano nelle loro terre ricchi di greggi e amati dagli dei beati” (Esiodo da Le opere e i giorni, 109 ss.)

 

Romina Barbarino

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