11 Maggio 2024
Storia delle Religioni

Critica dell’orientalismo contemporaneo (5^ parte) – Stefano Manza

Nel proseguire la lettura de Le opere e i giorni, ci imbattiamo nel mito delle età del mondo. Sembra non essere nemmeno questa volta un mito isolato dal resto delle culture indoeuropee.  La tradizione indiana del Kali Yuga, l’età oscura che rassomiglia in tutto e per tutto all’età del ferro citata da Esiodo, è stata sufficientemente curata e compendiata nei secoli dagli astronomi indiani e dai compositori della Srimad Bhagavatam, poema religioso composto nell’alto medioevo. Ma le tracce del cataclisma recidivo degli yuga si trovano già chiaramente nell’ingente poema del Mahabharata, l’epopea storica degli Indo-Arii, la cui composizione a partire da racconti orali sembra essere già stata iniziata dai bardi del periodo tardo-vedico, tra il IX e l’VIII secolo. Di constrasto al Kali Yuga, il nostro tempo, si spandeva un tempo la gioia del Krita Yuga, “l’età della verità”, che si conforma appieno all’Età aurea descritta da Esiodo, quando gli uomini vivevano senza affanni, e i campi non avevano necessità di aratura e mietitura, “né miserevole vecchiaia incombeva (v. 114 Op. e G.).

     Le similitudini con i testi più tardi, come la Srimad, e alcuni versi di Esiodo sono così approssimanti da non necessitare ulteriori chiarimenti:

“Legge e giustizia saranno applicate solo sulla base della forza” (S. Bh. 12.2-2.)

“Giustizia sarà nella forza” ( Op. e G. v. 192).

Questa è la progressione delle età esiodee:

  1. Età dell’oro; ai tempi di Crono. Gli uomini muoiono con serenità nel sonno; assenza di lavoro e fatica. Dopo la morte, gli uomini di questa età, per volere di Zeus, diventano “demoni superi” (δαίμονες ἐπιχθόνιοι, v.123), guide per le generazioni future.
  2. Età dell’argento: è un tempo in cui spicca la prepotenza umana, nonché la negligenza nei riti e nei sacrifici agli Dei. Dopo la morte, gli uomini dell’età dell’argento divengono “i beati inferi” (ὑποχθόνιοι μάκαρες, v. 141).
  3. Età del bronzo: gli uomini di quest’epoca sono nati “dal frassino”. Sono violenti e forzuti. Dopo la morte vengono spediti nelle aule spettrali dell’Ade.
  4. Età degli eroi: è l’età delle grandi guerre narrate dai cantori antichi; quella tebana e quella troiana. Dopo la morte abitano nelle Isole Beate ai confini del mondo (ἐς πείρατα γαίης, v. 168).
  5. Età del ferro: è l’età cui Esiodo, amareggiato, sa di appartenere. È l’epoca del sospetto nei confronti dei parenti, dei nuovi nati che non assomigliano fenotipicamente ai genitori, della giustizia mutilata e affidata alla forza bruta, del tradimento dei figli a discapito dei genitori anziani, degli spergiuri, della venalità.

    Crono, re dell’età aurea

     Per i fautori dell’“olismo” orientalista, il paragone medio-orientale più significativo con il mito delle età esiodee è il passo biblico di Daniele 2, 31-45. Daniele 2 è tuttavia il capitolo più recente del libro pseudoepigraficamente attribuito al profeta ebreo; è stato infatti composto, probabilmente, al principio dell’età seleucide (inizi del III secolo a.C.), benchè riecheggi avvenimenti storici rintracciabili, com’è ben noto, al periodo della conquista di Babilonia da parte dei Persiani e della liberazione degli schiavi ebrei da parte di Ciro, proclamato mašīaḥ (fine del VI secolo). Se conveniamo nel dire che quantomeno la singolare figura dei giganti-frassini sia giunta nel repertorio di Esiodo da un passato animistico proprio della religione greca, viene allora naturale considerare il mito come genuinamente ellenico.

 

 

     Ma la chiave di volta contro l’obiezione orientalista è rintracciabile in un’altra fonte indoeuropea, quella zoroastriana della Bahman Yasht (I, 1-5), testo religioso in lingua pahlavi, che sembra aver ispirato l’autore tardo apocalittico del libro di Daniele. La rivelazione del dio supremo Ormazd al profeta Zaratustra, in forma di visione di un albero con quattro rami, uno d’oro, uno d’argento, uno d’acciaio e uno di ferro, a simboleggiare i quattro yuga discendenti che verranno dopo la morte di Zaratustra, sembra soddisfare il criterio filogenetico della nostra indagine. Tuttavia, il capitolo 3 della Bahman Yasht sembra ripetere la narrazione della rivelazione introducendo una logica degressione valoriale dei metalli: oro, argento, rame, bronzo, stagno e ferro. Ciò non toglie che il capitolo 1 rappresenti, a detta degli iranisti, la versione più antica dell’apologo. Come ci informa l’Encyclopaedia Iranica, Boyce, in “On the Antiquity of Zoroastrian Apocalyptic” (1984), ha avanzato il sospetto di una fonte greca (nello specifico ellenistica) alla base dell’episodio della Bahman; fonte probabilmente diffusa in Iran e in Battriana ai tempi dell’avventura macedone in Oriente.  Se questa supposizione si rivelasse esatta, aggiungerei che per permettere, per così dire, al libro di Daniele il tempo di metabolizzare una mutuazione culturale profonda al punto da diventare il cardine dell’apocalittismo ebraico del Secondo Tempio, si dovrebbe obbligatoriamente posdatare il testo giudaico al periodo del tramonto dell’età seleucide. Ciò, d’altro canto, permetterebbe a sua volta di retrodatare di molto l’influenza greca sulla letteratura dei popoli indo-iranici, che penetrò robustamente in India e in Iran soltanto dal I secolo a.C., per via dell’influenza dei commerci con il mondo mediterraneo grecofono (l’esito di queste influenze fu la celebre scuola degli artieri di Gandhara). Ad ogni modo, sembra chiaro che Mary Boyce, una delle più grandi conoscitrici della religione iranica prisca, fosse dapprincipio convinta dell’indipendenza della tradizione greca da quella persiana, in quanto Esiodo sembra non presentare alcun messaggio apocalittico, ma solo una considerazione sulle miserie del tempo presente e su quelle che attendono le razze del futuro che nasceranno nel cuore dell’età del ferro. Molto più vicino al concetto vedico degli yuga, Esiodo dice di vivere nell’età oscura, quella del ferro, e non di scorgerla nel futuro prossimo, come converrebbe alla theologia prophetica di Daniele e Zoroastro; né di poterne predire la venuta, ma sa soltanto che anch’essa è destinata a essere sopravanzata da un’età di rinnovamento. E questa è una visione del mondo tipicamente ascrivibile alla forma mentis antico-europea

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *