11 Aprile 2024
Punte di Freccia

Ciao, Mimmo… (indecenti e servili V) – Mario Michele Merlino

Per viltà o ipocrisia. Chi si rassegna. A volte per entrambi i motivi. Gli indecenti e servili sono accontentati. Facile assunto scagliarsi contro coloro che, appunto per viltà o ipocrisia, discettano sulle differenze i distinguo i buoni e i cattivi di un Fascismo, in fondo ‘pacioccone’ come è nella natura degli italiani (Claretta stuprata, da viva o, più probabilmente, da morta, ad esempio), rispetto a ottusi e feroci (ex) alleati germanici, eredi delle tetre foreste di Teutoburgo. Non c’è del buono; non c’è del cattivo; c’è solo del marcio là dove alligna la mala pianta del ‘male assoluto’. Basta il gesto di un anonimo fotografo e i distinguo diventano tutt’uno nella deplorazione. Sacro con la sua copertina e rossa e bianca e nera, capace di evocare visioni apocalittiche, divise feldgrau ed elmetti fregiati dal doppio simbolo della saetta; dell’altro dignitoso tagli e cuci di una storia che fu, nonostante tutto, nobile in intenti e sangue versato, a cui guardiamo con rispetto e partecipazione. E, dietro ogni libro, uomini e idee emozioni e illusioni i sogni che ci rendono giovani e gli ideali a preservarci liberi… E’ per questo che ormai scrivo solo di uomini e di stile. Là dove cuori stitici e menti grette non hanno accesso.

Quindici anni fa, a pagare il debito all’amicizia, scrissi un breve ricordo di Domenico (Mimmo) Pilolli che, una mattina, scavalcò il davanzale della finestra sfidando il principio di gravità e tentò volare, precipitando dal sesto settimo piano di un palazzone del quartiere Africano, lungo l’Aniene. Forse convinto anch’egli, come lo sono io, che le nostre scapole altro non sono che ali rattrappite, dimentichi ormai d’avere origine in falchi e aquila o, più modesti, pettirossi e in quel passero solitario, che ci tediò sui banchi di scuola e cantato dal poeta di Recanati. E mi è tornato a mente, quel ricordo, l’altra sera, al concerto in memoria di Pia che, ormai sono due anni, che se n’è andata per uno di quei mali infami (nel medesimo modo e negli stessi mesi di Mirella). Lasciando Roberto più solo e prosciugato, nonostante abbia voluto, prendendo brevemente la parola per ringraziarci, presenti e coinvolti e commossi, citare come ‘anche la morte è una conquista, se la vita s’è data come offerta’…

Così Mimmo se n’è andato poca cosa, ammucchiata con raccapriccio e disgusto sull’asfalto, presto sottratta alla vista ed al ricordo perché la morte va esorcizzata nel mondo delle false luminarie e dei caleidoscopi ingannevoli. Non più il tempo eroico dello ‘schianto’ – la stagione ove si osava guardare la morte in faccia, in camicia nera e a braccio teso –, ma della ‘lamentazione’ (si pensi a Ezra Pound e a come si aprono i versi del primo dei Pisan Cantos). Così Mimmo se n’è andato come poca cosa, ammucchiata con fastidio e insofferenza, presto gettata in qualche ambulanza con la sirena innestata, solitaria e sconfitta contro le canzonette della radio a tutto volume e i clacson – vanità ed isteria di una mattina qualsiasi. Dimentichi del richiamo arcaico del silenzio quale momento evocativo dell’Altro… Così Mimmo se n’è andato, forse anzitempo – chi di noi, in verità, possiede esito e confine del proprio tempo? E ai suoi giudici, carnefici della restaurazione democratica in Atene, Socrate si rivolgeva con sapiente ironia ‘… è giunta, ormai, l’ora di andare, io a morire, voi a vivere. Chi di noi vada a miglior sorte, nessuno lo sa, tranne il dio’.

Mi rimane di Mimmo, che mi fu amico e camerata, copia di Gilles, romanzo di Drieu La Rochelle – lo scrittore francese, tentato dalla morte e dall’Assoluto, che si suicidò il 16 marzo del ’45 aprendo il rubinetto del gas e ingerendo un tubetto di Gardenal. Sullo scrittoio, aperta, una copia del testo sacro induista delle Upanishad. (Ne possiedo anch’io copia e, per anni, vi tenevo celata una delle rare fotografie di E., il volto affilato i capelli lunghi lo sguardo assorto). Mimmo e il Gilles di Drieu, un testo sacro sull’identità tra il Brahma e l’Atman, solo coincidenze? Fra le ultime riflessioni leggo ‘diventare sempre più mistico…’. Entrambi avvinti dalla smania di accedere alle supreme ed estreme cose le uniche che, alfine, contarono loro e che contano.

A Regina Coeli riesco ad accedere alla biblioteca centrale, un torrione fornitissimo di libri antichi e rari. Trovo di Otto Weininger (morto suicida con un colpo di pistola al cuore nella notte tra il 3 e 4 ottobre del 1903, a Vienna, nella stessa casa ove era morto Ludwig van Beethoven. A soli 23 anni) Ueber die letzen Dinge, uscito postumo e tradotto una prima volta in Italia con il titolo Intorno alle cose supreme (ed. Bocca, 1923). Aveva annotato: ‘Il suicidio non è segno di coraggio, ma di viltà, sebbene esso sia di tutte le viltà la più piccola’. Mezzo secolo dopo il filosofo Albert Camus si spingerà oltre affermando essere l’ultima libertà concessa… Correre incontro alla morte e, con le parole dell’imperatore Adriano, entrarvi ad occhi aperti. Mimmo provò a volare per accedere più in alto, più velocemente.

Oggi che mi sono fatto barba e capelli bianchi il passo incerto e l’occhio stanco, volto reticolo di trincee di guerra perduta, penso che Mimmo è precipitato al suolo, è venuto giù non in quanto corpo e dalla terra preteso (la Grande Madre sa rendersi divoratrice dei propri figli!), no, perché, colto da indicibile e stupore e tremore, ha scoperto che il cielo è vuoto e fredde le stelle. Un clandestino del nulla, un peregrinare inane per spazi senza meta e senso. Gli dei si sono ritirati alla vista e non coabitano più con gli uomini, nascondendosi in anfratti inaccessibili nel fitto oscuro di foreste impenetrabili. Lasciando a un dio esangue dichiararsi morto (Nietzsche docet). Simile ai Titani che, spavaldi e arroganti, vollero scalare l’Olimpo e non furono scaraventati al suolo da dei irosi e gelosi ma, appunto, dall’angoscia di trovarsi di fronte al Nulla…

Trascrivo altra citazione – mi dilettavo un tempo a riempirne un quadernetto liso e ingiallito – dal medesimo libro di Otto Weininger: ‘Se l’uomo non si fosse perduto nascendo non dovrebbe cercarsi e ritrovarsi’. Dove il luogo, però, del re-incontro? Io non possiedo risposta. In noi, in quell’anima prigioniera della carne o, senza la quale, ossa e sangue, siamo solo sottile soffio presto disperso? Plotino: ‘Fuggiamo, dunque, verso la cara patria…’. Si chiede: ‘Ma qual è, dunque, questa fuga? Per quale sentiero risaliremo?’ – anche qui il silenzio. E Mimmo… la memoria sola ci preserva, tu ed io. Altro non so. Ed altro, in fondo, non m’interessa.

Mimmo ed io, amici e camerati. Fin dai primi anni ’60, quando si salivano insieme i larghi gradoni di Palazzo del Drago, in via Quattro Fontane, ove era la direzione del MSI e la sede – due o tre stanze – della Giovane Italia. E, al liceo, quando arrivava in automobile e autista, prima che, aprendo una mattina Il Messaggero, scoprimmo che il padre, noto avvocato, s’era buttato sotto un treno, nei pressi di Montecarlo, dopo aver dilapidato ogni bene al Casinò. Così, all’improvviso, si ritrovò, madre e sorella, in quel modesto appartamentino sopra l’Aniene da dove avrebbe scelto di andarsene volando. Non ne fece mai parola. Quanto incise in lui, quanto rimase ferita aperta e inguaribile, quanto ne tracciò il percorso non è dato sapere. Ed oggi poco o nulla conta perché la memoria, le immagini che evoca, dona libertà e purezza al suo animo inquieto in un volto aquilino ed esile corpo.

Poche immagini, in verità, ma tali da renderlo ancora vivo e presente. Le serate al Piper Club, da poco inaugurato dall’avvocato Alberigo Crocetta, già giovanissimo marò della Decima MAS, e trascorse in chiacchiere musica una gazzosa nazional-popolare, magari con Nicoletta – diverrà famosa in breve tempo con il nome di Patty Pravo – e delle visite, accompagnando la nonna, a Venezia dal poeta Ezra Pound. Pomeriggio a Villa Borghese, ci si scazza con dei capelloni (paradossi del Mago!), Mimmo azzanna la guancia di uno, grande e grosso, sangue a zampilli, piagnucola a terra, noi ci si dà alla fuga e si fa loro il verso. E la scalinata della facoltà di Lettere, che salimmo di corsa stringendo i pugni, pronti a menare le mani, il giorno in cui – ore dopo il breve scontro – lo studente di Architettura, Paolo Rossi, venne giù e i compagni, razza di sciacalli, ci urlarono contro, in giorni di caccia e notti d’agguato, ‘Assassini!’.

Si possono, però, trascrivere idee sogni illusioni e le parole gettate con forza in piazza o sussurrate in stanze piene di fumo biascicate nel tentativo di dare loro senso e forma compiuti? ‘Tu chiamale se vuoi emozioni…’, cantava Lucio Battisti. Gli occhi sgranati sul mondo le mani da costruttori il passo della conquista – castelli di carta, imperi di fumo, eterna e amara giovinezza, a cui in vita e in morte abbiamo cercato di restare fedeli…

Ciao, Mimmo!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *