10 Aprile 2024
Appunti di Storia

ASPETTANDO LA RIVOLUZIONE: d’Annunzio fa pace con i fascisti (Milano, 3 agosto 1922) – 1^ parte – Giacinto Reale

 

 

Se, a 48 ore dalla proclamazione dello sciopero, il Governo non sarà riuscito a stroncarlo, i fascisti provvederanno essi direttamente alla bisogna.

(circolare datata 31 luglio della Direzione Nazionale del PNF)

 

Alla fine del 1921, ormai sconfitti sul campo, le forze di sinistra cercano disperatamente di uscire dall’angolo nel quale sono state costrette dai fascisti. Nasce così l’idea – forse ad opera del Sindacato Ferrovieri – di una “Alleanza del Lavoro” che unisca tutti, per contrastare efficacemente, e in ogni modo, il nemico vincitore. Però “nasce male”, come scrive De Felice, per tutta una serie di motivi.

Aldià delle possibili intese sindacali, le cose non vanno a livello più squisitamente politico: i popolari sostanzialmente si sfilano, Giolitti è scettico (“Che cosa può venire di buono per il Paese da un don Sturzo, Treves, Turati?”), i socialisti rischiano la scissione sull’ipotesi di appoggio ad un Governo comunque antifascista, i comunisti pensano a coltivare il proprio orticello.

È così che, dopo una serie di “prove” a livello locale, i promotori della “Alleanza” cercano di forzare la mano, con una dimostrazione di forza che scompagini il movimento mussoliniano.

Mussolini, in verità, grazie al suo fiuto politico ed alla conoscenza delle persone, se lo aspetta, e il suo commento al propedeutico sciopero milanese, su “Il Popolo d’Italia” del 21 luglio è lapidario e ha una valenza che si estende a tutta l’Italia:

 

Lo sciopero non è riuscito nemmeno parzialmente – è stato un fiasco di proporzioni colossali. Fallito nella sua esecuzione. Fallitissimo resta per ciò che concerne i suoi obiettivi, nessuno dei quali è stato raggiunto.

…quanto al fascismo, esso rimane intatto e formidabile, nella piena indistrutta e indistruttibile efficienza di tutte le sue forze. Il colpo è mancato. Definendo quello di Milano “sciopero idiota”, diciamo la verità, quale deve essere sentita anche da molti dirigenti della Camera del Lavoro e del PUS.

…Siccome noi non amiamo il tumulto per il tumulto, e respingiamo la violenza per la violenza, riteniamo che i nostri stessi avversari si arrenderanno alla evidente necessità di finirla entro la giornata di oggi. Caso contrario, affermiamo tranquillamente che fra stanotte e domani 30.000 camicie nere occuperanno la città.

Novara insegni. (1)

 

L’avvertimento cade evidentemente nel vuoto, e il 30 luglio, “Il Lavoro” di Genova annuncia la proclamazione dello sciopero generale a partire dal 1° agosto, con il contemporaneo passaggio dei poteri dei vertici della Alleanza ad un Comitato Segreto d’Azione.

Iniziativa attesa, alla quale i fascisti reagiscono con prontezza. Già lo stesso giorno 21 Miche Bianchi invia una circolare alle Federazioni, nella quale, dando notizia della possibilità di un prossimo sciopero generale, invita a “non farci cogliere alla sprovvista”, raccomandando, in particolare, di provvedere da subito ad assicurare la completa mobilità (autocarri, automobili, motociclette, etc) delle squadre.

Il 31 poi, la direzione del Partito spedisce a tutte le Federazioni provinciali, “con preghiera di immediata trasmissione ai Fasci dipendenti”, una “Prima circolare, da leggere e distruggere”, fin troppo dettagliata:

 

  1. Provvedere all’immediata mobilitazione di tutte le forze fasciste.
  2. Se, a 48 ore dalla proclamazione dello sciopero, il Governo non sarà riuscito a stroncarlo, i fascisti provvederanno essi direttamente alla bisogna.
  3. I fascisti debbono, trascorso il suaccennato periodo,delle 48 ore, e sempre che lo sciopero generale perduri, puntare sui capoluoghi delle rispettive province ed occuparli.
  4. I fascisti delle zone del Carrarese, della Lomellina e della provincia di Alessandria, tengano una parte delle loro forze a disposizione dei fascisti del Genovesato. I fascisti del Bolognese e del ferrarese tengano una parte delle loro forze a disposizione dei fascisti della Romagna e dell’Anconetano.
  5. Sorvegliare i nodi stradali.
  6. I fascisti debbono obbedire solo ed esclusivamente agli organi fascisti responsabili: Direzione del Partito e Direttori provinciali, i quali si serviranno per l’esecuzione tassativa dei loro ordini degli Ispettori Generali e dei Consoli.
  7. Sono assolutamente proibite le azioni non comandate dai responsabili
  8. Se la rappresaglia si imporrà, dovrà essere fulminea.

Saluti

Firmato: il Segretario generale Miche Bianchi (2)

 

Contemporaneamente, un avviso ultimativo viene indirizzato anche all’altro contendente della battaglia in corso, lo Stato e le sue Istituzioni:

 

Diamo 48 ore di tempo allo Stato perché dia prova della sua autorità in confronto di tutti i suoi dipendenti e di coloro che attentano all’esistenza della Nazione. Trascorso questo termine, il fascismo rivendicherà piena libertà di azione e si sostituirà allo Stato, che avrà ancora una volta dimostrato la sua impotenza.

Fascisti di tutta Italia, a noi! Viva il Fascismo! (3)

 

A Milano, in verità, la situazione non desta soverchie preoccupazioni. Sembra passato un secolo da quel 15 aprile di tre anni prima, quando un centinaio di Arditi, futuristi e stridenti hanno affrontato e fugato, in piazza Duomo, decine di migliaia di manifestanti in sciopero.

Le squadre fasciste ora controllano tutta la città, e si possono permettere anche incursioni fuori città, come quando, pochi giorni prima, nuclei scelti si sono recati a Novara, a dare manforte ai camerati piemontesi, perché lì è in corso una grossa mobilitazione, che, sotto un profilo militare, intende eliminare ogni ostacolo nel triangolo Torino-Genova-Milano,

L’organizzazione fascista cittadina, è principalmente a base territoriale. Infatti dalle 28 squadre nasceranno poi i “Gruppi Rionali Fascisti”, che, in qualche caso, ne mutueranno anche il nome. Essi avranno competenza in genere divisa per quartieri, e saranno così destinati ad assicurare ovunque la presenza mussoliniana. Per ora, nell’ambito e al fianco delle squadre, il movimento, che alla fine dell’anno precedente è diventato Partito, può contare, oltre al nucleo politico “storico” gravitante intorno a “Il Popolo d’Italia”, anche su elementi, che la definizione corrente dice “d’azione”, di sicuro prestigio e carisma.

È il caso di Aldo Resega, diciannovenne volontario in guerra, Ufficiale degli Arditi, due medaglie d’argento e due di bronzo, oltre a svariate altre decorazioni, che comanda la Squadra “Corridoni”. In guerra si è distinto per essere stato il primo Ufficiale ad attraversare, con i “Caimani del Piave” il fiume sacro, salvo poi riprendere, in pace, la sua attività di dirigente di fabbrica. Gli resta, però, una spiccata propensione all’azione, che lo vedrà prima sul fronte somalo nella guerra d’Africa e poi su quello greco-albanese, col Battaglione Squadristi “Milano” in quella mondiale. Al 25 luglio sarà il primo ad occupare la Federazione fascista milanese e a “tenerla”, contro i tentativi di occupazione e vandalizzazione, fino all’arrivo di un Reparto di Bersaglieri. Anche in segno di apprezzamento per il suo comportamento, Mussolini lo nominerà Commissario Federale del PFR il 30 settembre del ’43, e tale carica continuerà a ricoprire fino alla morte, in un agguato gappista, il 18 dicembre dello stesso anno.

Non ha un paragonabile curriculum militare Franco Colombo che, però, si mostra squadrista ardito, con sicuro ascendente sui suoi camerati della squadra “Randaccio”, che lui stesso ha contribuito a fondare:

 

Più in là, stretti intorno a Gastone Tanzi e Franco Colombo, che sono arrivati in quel momento, Baratteri ed alcuni altri insistono perché venga senz’altro iniziata la discussione sull’argomento che ha motivato quella nostra riunione improvvisata.

“Bisogna decidersi a fondare questa squadra! – tuona la voce di Adriano Baratteri – Bisogna farlo prima che ci incorporino d’autorità nelle formazioni rionali che sono allo studio, e che tu stesso, Tanzi, hai proposto di istituire.

“Già! Bisogna metterli di fronte al fatto compiuto – mugola Colombo, tormentando i lunghi baffi che, d’un biondo acceso, gli mettono sul volto un’impronta spiccatamente gallica.

… “E sia” dice una voce.

“E sia” – aggiungiamo tutti – Sia dunque la squadra “Randaccio” la nostra. (4)

 

Una decisione nata sul tamburo, potremmo dire. Nessuno può prevedere che proprio la “Randaccio” e Colombo in particolare, avranno un ruolo fondamentale nella storia che stiamo raccontando.

Finita la “primavera di bellezza” squadrista, Colombo vivrà – come molti esponenti di quell’avventura – un percorso anche tormentato all’interno del fascismo, fino a quel luglio del 1943 che lo vedrà prima cospiratore per liberare Ettore Muti, e poi Comandante della Legione Autonoma Mobile che dall’eroe assassinato a Fregene prenderà il nome.

Fino al 29 aprile del 1945, quando con atteggiamento prettamente “squadrista” si accomiaterà dalla vita, a Ganzo di Mezzegra, salutando i suoi fucilatori con uno sprezzante: “Non ho niente di cui pentirmi…Andate a cagare, siete solo dei vigliacchi…Viva il Duce!”

Su un piano diverso si muove, in città, Mario Giampaoli “gerarca proletario, e, a suo modo, romantico”, popolarissimo tra operai delle fabbriche, gli umili e anche gli emarginati, di ogni tipo, della metropoli.

Alcune discutibili abitudini (leggi “amore per il gioco”) e frequentazioni (la moglie pare fosse una ex prostituta) gli costeranno la pettegola antipatia del fascismo “perbenista e borghese”, ma non gli toglieranno l’affetto di Mussolini e il timoroso apprezzamento degli avversari.

Perfino Togliatti, nelle sue “Lezioni sul fascismo” tenute a Mosca nel 1935, quando Giampaoli sarà caduto in disgrazia, anche per le sue aperture “sociali”, dovrà ammettere, dopo un incipit sprezzante e falso, che il vecchio sindacalista corridoniano aveva più di altri il polso della situazione:

 

Il dissidentismo di Giampaoli si basava su dei semidelinquenti, dei proletari straccioni, dei vecchi squadristi che erano nella Milizia e volevano un ritorno alle vecchie squadre d’azione per i propri interessi personali. Ma a Milano esisteva anche un grande proletariato industriale. Giampaoli poneva anche dei problemi che interessavano anche gli operai. Per esempio, la rappresentanza operaia di fabbrica”. (5)

 

Si può ben ipotizzare quindi che, se lo sciopero fallirà, come fallirà, a Milano, lo si deve anche questa opera di proselitismo e penetrazione tra le masse operaie del vecchio sindacalista corridoniano, protagonista di primo piano, anche oltre il lusinghiero giudizio di un biografo benevolo:

 

Sindacalista dell’anteguerra, ha tratto le sue dottrine dal tumulto delle piazze, ma con una chiarezza quasi precorritrice, che gli ha permesso di anti vedere l’Italiano d’Italia fra il popolano demostenico di Mazzini e il proletario utopistico di Carlo Marx. Più che un sindacalista 1914, egli è stato – allora – un aristocratico delle folle, un paternalista che non escludeva la collaborazione, un oligarchico che non ripudiava il controllo. (6)

 

Per buona misura, a Milano c’è anche, dall’inizio dell’anno, Amerigo Dumini, latitante dopo i fatti di Sarzana, e delle cui capacità di tenere la piazza e comandare gli uomini, nessuno può dubitare. Con lui si accompagna Albino Volpi, altro personaggio da non sottovalutare in questo discorso che riguarda la preparazione fascista alla vigilia dello sciopero, “tozzo, quadrato, massiccio, semplice e rude, parco nel gesto, ferrigno nell’azione…v’è chi dice che prima del matrimonio fossero sue compagne di talamo le bombe SIPE

Dumini è, comunque, di un’altra pasta, e lo sa anche Mussolini, che la sera della Marcia, nell’incaricare Cesare Rossi di fare, in delegazione, un giro fra le redazioni dei quotidiani, per evitare, almeno titoli “insurrezionali” sui giornali del giorno dopo, raccomanderà la presenza proprio dello squadrista fiorentino:

 

Vai con Dumini, che è uno che sa come presentarsi; tu e lui mostratevi amici. Sai che domani è la giornata decisiva, e bisogna che anche gli altri giornali si adeguino. Certo, potremmo bruciarli, ma io non voglio davvero pasticci grossi, almeno per domani. (7)

 

La prontezza dell’azione fascista farà parlare ad alcuni di un tentativo insurrezionale, ma non vi è traccia documentale di questo, anche perché, nella specifica contingenza mancava una vera guida. Mussolini, infatti, non è a Milano, città che rappresenta l’epicentro dell’azione, ma a Roma. “insatirito in una non difficile conquista” secondo Cesare Rossi, e tornerà nel capoluogo lombardo solo a cose fatte.

È così che la guida politica viene assunta dallo stesso Rossi e da Aldo Finzi, pluridecorato in guerra, componente della “Serenissima” che con d’Annunzio compì il volo sul Vienna (e questa scelta si rivelerà particolarmente felice, per quel che diremo), mentre quella militare si ripartisce tra Attilio Teruzzi, Cesare Forni e Roberto Farinacci

Le forze in campo sono, comunque, più che sufficienti per contrastare attivisticamente l’iniziativa avversaria. E comunque, se le cose dovessero mettere al peggio, c’è, a un tiro di schioppo da Milano, nella vicina Monza, al comando di agguerrite squadre, Enzo Emilio Galbiati. Squadrista indomito egli stesso, “partecipa a tutte le spedizioni nella “rossa Brianza” come squadrista, e successivamente, unitamente a Luigi Gatti, Aldo Tarabella, Giuseppe Maria D’Alicandro, Michele Apparisio e Fabio Pastorini, come Comandante di squadre d’azione”.

Sconterà undici mesi di detenzione per la sua attività, ma guadagnerà in prestigio e autorevolezza, così che, nelle giornate della Marcia, ai monzesi sotto il suo comando sarà affidata la sorveglianza de “Il Popolo d’Italia”, dall’interno del quale Mussolini dirige le azioni.

Ancora più consistente il sostegno che può essere fornito da Cesare Forni a Mortara, con le forze della Lomellina, e da Roberto Farinacci a Cremona, con i suoi squadristi.

E infatti, in città ci saranno tutt’e due, non perché ce ne sia effettivamente bisogno, ma per riaffermare, in una gara di emulazione, il proprio ruolo nell’ambito del fascismo che si avvia ad assumere la guida della Nazione.

Sul piano dell’immagine, la gara è vinta decisamente da Forni. Chi vede sfilare, per le strade di Milano, alla testa dei suoi uomini quel gigante biondo, non può non essere impressionato dalla novità che egli anche fisicamente rappresenta rispetto agli ingobbiti e rachitici dirigenti degli altri Partiti.

Tra i tanti visitatori del Quartier Generale fascista c’è anche un anonimo cronista del parigino “Le Matin”, che, nel descrivere il Comandante della truppa mussoliniana “Grand great blond, dont la chemise noire est striee de tout l’arc-en-ciel des croix internsationales de la bravoure” accredita anche all’estero l’immagine della nuova Italia.

Ma Forni non è solo un uomo bello e forte, e lo dimostra anche in questa occasione. Sotto il suo comando vengono poste, oltre alle proprie squadre, quelle mantovane e cremonesi, con buona pace di Farinacci.

Egli, che pure poche settimane dopo, farà sfilare nella sua città 30.000 uomini inquadrati dietro a 500 gagliardetti, accetta il ruolo assegnatogli dalla Direzione Nazionale del Partito e sta al suo posto. Forse anche per questo nel suo “Squadrismo” delle giornate milanesi non parlerà per niente, e, nella “Storia della Rivoluzione fascista” se la caverà in due paginette, non accennando nemmeno alla sua presenza nel capoluogo lombardo.

Se può valere come prova c’è una nota foto che lo mostra, alle spalle di Forni, ai funerali dei caduti di quelle giornate, vistosamente corrucciato, che cerca di mettere a tacere qualche fascista intemperante.

Se queste sono le forze in campo da parte fascista, tocca ora esporre l’andamento dei fatti.

 – Fine prima parte –

 

 

FOTO NR. 1: piazza Duomo anni venti

FOTO NR. 2: squadre in giro in città

 

 

 

NOTE

  1. (a cura di) Edmondo e Duilio Susmel, Opera Omnia di Benito Mussolini, Firenze 1956, vol. XVIII, pag. 302
  2. Giorgio Alberto Chiurco, Storia della rivoluzione fascista, Firenze 1929, vol. IV, pag. 193
  3. Ibidem
  4. Emilio Santi, Bagliori, Milano 1930, pag. 71
  5. Palmiro Togliatti, Sul fascismo, Bari 2001, pag. 163
  6. Anton Remo Fusilli, Mario Giampaoli, Roma 1928, pag. 130
  7. Gian Franco Venè, Cronaca e storia della Marcia su Roma, Venezia 1987, pag. 329

 

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