11 Aprile 2024
Cinema

2001, Odissea nello spazio. Attualità di un’opera archetipica – Federica Francesconi (1^ parte)

Nel cinquantennale dell’uscita del capolavoro di Kubrick, per i cultori di scienze esoteriche non è peregrino porsi le seguenti domande: che cosa il film ha voluto trasmettere sul piano simbolico ai contemporanei e ai posteri? Esiste un significato simbolico perenne dell’opera che travalica lo spazio e il tempo andando a lambire l’oggi, pregno di contraddizioni e criticità? E come una pellicola di quarant’anni fa può parlare archetipicamente a un’umanità alle prese con problemi per certi aspetti molto diversi da quelli degli anni ’60 ma tutto sommato per altri aspetti identici? A tali domande questo scritto cercherà di rispondere, certamente non in maniera esauriente, poiché i più avvertiti lettori sanno bene che il simbolo per sua natura è sfuggente, essendo una fonte inesauribile di significati mai colti una volta per tutte.

Cominciamo dall’incipit. Siamo all’alba di una nuova era per la Terra. Dei branchi di scimmie che vivono allo stato brado in continua competizione tra loro, incuriosite dall’improvvisa comparsa di un monolite nero, si raggruppa attorno all’oggetto in atteggiamento quasi idolatrico. Nel film non è esplicitamente espresso, ma il contatto degli ominidi con l’oggetto misterioso fa scattare un balzo evolutivo di notevole portata. Infatti nella scena successiva un ominide scopre un uso “altro” di un osso di animale; esso diventa nella mente di chi lo utilizza uno strumento di aggressione. La scena, inimitabile nella sua bellezza evocativa, rappresenta la nascita del pensiero simbolico, che tuttavia porta con sé la nascita della violenza vera e propria, poiché nella mente dell’ominide scatta una visione onirica: l’osso trasformato in arma contundente colpisce a morte un animale per poi, in un secondo momento uccidere realmente una scimmia del gruppo antagonista. Dunque, la nascita del simbolismo produce la nascita di forme embrionali di tecnologia, usate però per offendere ed aggredire, tema questo, che sarà uno dei fili rossi del film. L’evoluzione tecnologica non corrisponde all’evoluzione spirituale tout court, e ciò segnerà ineluttabilmente l’evoluzione stessa del genere umano.

Veniamo ai giorni a noi contemporanei. L’osso nel corso di milioni di anni si trasforma in una navicella spaziale, pronta a compiere un viaggio impensabile prima verso la Luna, e poi verso Giove. Al centro della trama narrativa c’è sempre il monolite, che guida l’evoluzione stessa dell’umanità verso conquiste sempre più strabilianti. Ma, come già rappresentato nell’incipit del film, il potere dell’uomo sulla materia viene orientato come mai prima d’ora verso la costruzione di una tecnologia autarchica e disumana: nasce così il computer HAL9000, una vera e propria intelligenza artificiale destinata a sostituire in tutto l’intelligenza umana. HAL9000, infatti, non risponde che a ste stesso, andando persino contro la sopravvivenza stessa della missione spaziale e dei suoi membri. Sarà il comandante David Bowman ad opporglisi con tutte le sue forze. Non a caso Bowman, a cui è rimasto un barlume di umanità, sarà il prescelto per varcare le porte dello spazio-tempo oltre il sistema solare, la Via lattea e l’universo. Bowman non si è fatto stregare dal potere mostruoso della tecnologia, come a suo tempo fecero gli ominidi e come hanno fatto i progettatori di HAL9000. Ecco perché lui è il predestinato, colui al quale una civiltà con un livello scientifico e tecnologico inimmaginabile per l’umanità terrestre, affida il compito di “vedere”, da intendersi nel senso etimologico del verbo greco horào, di sapere, conoscere. Bowman ora sa. Sa che il fine ultimo dell’umanità non è la tecnologia fine a se stessa che può ribellarsi contro chi l’ha costruita, ma l’andare oltre ciò che è umanamente concepibile, spalancare le porte della consapevolezza, in cui passato, presente e futuro coincidono. Grandiosa ed inimitabile dal punto di vista cinematografico la scena in cui Bowman, sceso dalla navicella, in sequenza ravvicinata se vede stesso allo specchio invecchiato, e poi, moribondo sul letto, vede apparire il monolite nero e subito dopo vede se stesso rinascere sotto forma di feto per compiere il viaggio di ritorno verso la Terra. Il bambino interdimensionale, pieno della nuova consapevolezza, torna a casa per rinascere. Come disse un grande filosofo dell’antichità, il tempo non esiste. E’ l’anima che crea passato presente e futuro per dare senso alle sue esperienze, altrimenti incomprensibili. Ma c’è un punto, il punto Omega, come lo chiamava il teologo eretico Teilhard de Chardin, in cui confluiscono tutte le dimensioni temporali. Ebbene, io credo che Bowman abbia avuto la grazia di fare esperienza del punto Omega. Perché lui e non altri? Perché è lui che disinnestando HAL9000, ridotto ormai a macchina di morte, ha recuperato la sua piena umanità. Non casualmente subito dopo è ricomparso al di sopra di Giove il monolite nero, che come un orologio cosmico ha scandito le fasi evolutive dell’umanità: il pensiero simbolico, depurato della sua componente violenta, ora può librarsi senza freni verso l’Infinito. Da strumento di aggressività il simbolo è ora diventato strumento di consapevolezza. Il monolite nero, grazie al balzo in avanti compiuto da Bowman oltre la tecnologia, non più al servizio dell’uomo ma asservitrice dell’uomo, è diventato il simbolo stesso dell’evoluzione della coscienza umana. Non ci sono più ossa usate come clave, navicella spaziali e intelligenze artificiali, ma solo l’essere umano che per la prima volta vede rispecchiata la sua coscienza: Io sono. Io sono oltre il tempo, lo spazio, la tecnologia, la scienza senza coscienza e persino oltre il simbolo stesso, che è un modo di tradurre in termini umani un qualcosa che ci sovrasta e che non riusciamo mai ad afferrare pienamente.

Così sentenzia un passo memorabile dell’Asclepio: “Per questo motivo, o Asclepio, l’uomo è un grande miracolo, un essere vivente che deve essere oggetto di reverenza e di onore. Egli, infatti, passa nella natura di dio, come se lui stesso fosse dio; conosce il genere dei demoni, in quanto riconosce che ha avuto origine insieme con loro; disprezza la parte di sé che è di natura umana, in quanto ha posto la sua fiducia nell’altra, che è di natura divina. Quanto più felice è la natura composita dell’uomo! Congiunto agli dèi da una natura divina, ad essi affine, egli disprezza nel suo intimo quella parte di sé nella quale è terreno. Tutte le altre sostanze le trae a sé con un legame di affetto, perché riconosce la sua parentela con esse, che è conseguenza di un ordine divino”.

Io credo che Kubrick abbia travasato nella sua opera – non è dato sapere se in modo consapevole o meno, ma data la natura archetipica di determinate verità il problema non si pone – gli insegnamenti dell’Asclepio. Lo ha fatto per immagini, in una maniera così sublime che difficilmente verrà replicata in futuro da altre opere cinematografiche. Perché l’uomo è sì un grande miracolo, ma deve essere cosciente di esserlo. E per diventare cosciente occorre sempre andare oltre i limiti della propria epoca. Solo così potrà aspirare all’immortalità sua e delle opere da lui prodotte.

1 Comment

  • Stefano Stringini 14 Ottobre 2018

    Complimenti, articolo coinvolgente e ben documentato, che ci ricorda come,dall’ osso allo smartphone l’ uomo abbia bisogno di creare ordigni per superarli ciclicamente. Il problema non è però questo, ma nello staccare la testa al serpente che ci blocca il respiro. Previo consenso di Darwin e Nietzsche, previa e ben più difficile autodeterminazione della stessa umanità.

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