10 Aprile 2024
Mishima

Yukio Mishima, uomo postumo: l’ultimo saggio di Gennaro Malgieri – Giovanni Sessa

Sono trascorsi più di cinquant’anni dalla mattina del 25 novembre 1970. Quel giorno, lo scrittore giapponese Yukio Mishima: «si alzò di buon umore. Con molta calma attese alla cura del proprio corpo» (p. 47). Chiuso in una busta il manoscritto de, Il mare della fertilità, suo testamento spirituale, concluso la sera precedente, indossò la divisa de L’Associazione degli Scudi, milizia personale da lui stesso creata e, con quattro sodali del gruppo, si recò in una caserma dello Jieitai, poco fuori Tokyo. Dopo aver fatto prigioniero un generale e arringato un’incredula folla di soldati, mise in atto il seppuku, il suicidio rituale della tradizione samurai. Con tale gesto pubblico, avrebbe voluto stimolare il popolo del Sol Levante a ritrovare la retta via della Tradizione, ad abbandonare le lusinghe del progresso e del mercatismo, che i vincitori avevano imposto con le bombe atomiche e attraverso procedure mirate a realizzare il «lavaggio del carattere». A ricordarci, in modo persuasivo, organico e appassionato la vicenda esistenziale, politica e letteraria di Mishima, è Gennaro Malgieri nella sua ultima fatica, Yukio Mishima. Esteta del patriottismo, edita da fergen (per ordini: info@fergen.it, pp.199, euro 15,00). Si tratta di una biografia intellettuale e spirituale, oltre che di un saggio critico, articolato in una puntuale ricostruzione dell’iter mishimiano, supportato da un suggestivo apparto fotografico. Il testo è chiuso da quattro Appendici, che oltre ad una sintetica ricostruzione biografica, raccolgono     un’interessante silloge di articoli apparsi sulla stampa italiana a commento del suicido. Dalla sua lettura si evince come l’«intellettualmente corretto», in quel frangente storico, impedisse a molti, e non solo in Italia, di avvicinarsi alla comprensione effettiva dell’universo ideale dello scrittore. Egli fu, chiosa Malgieri, financo per i suoi connazionali, un «uomo postumo», un apostata della modernità. La gran parte dei giapponesi si erano arresi alla modernizzazione,  interiore ed esteriore, della patria. Mishima, no! La sua esistenza fu una consapevole Rivolta contro il mondo moderno, culminata nel seppuku. Il suo fu gesto eroico, laddove l’aggettivo va inteso, a giudizio di chi scrive, secondo l’accezione dumeziliana.

L’eroe, per lo studioso francese, è uomo che: «sacrifica e si sacrifica, cioè rende sacro e si rende sacro, per la predisposizione a lasciare le forme fisiche per un Ideale, che comporta la fedeltà estrema alla propria comunità e a chi la regge». Mishima, proprio come Dumezil, aveva contezza che: «Un paese che abbia perduto le sue leggende […] è condannato a morire di freddo». Un uomo siffatto era destinato a non essere compreso.

  Nella società post-moderna, al contrario, il bisogno di Tradizione è divenuto imprescindibile, per questo, suggerisce Malgieri, le opere dello scrittore-samurai sono lette con interesse. Il suo percorso risulta incomprensibile, se non si tiene in debito conto l’incendio spirituale provocato in lui dalle bombe atomiche americane. Infatti: «Fu intorno ai vent’anni, contemplando le devastazioni belliche, che lo scrittore incominciò a pensare seriamente alla morte […] per suscitare una reazione civile e politica» (p. 39). Bisognava fare qualcosa affinché i giapponesi recuperassero l’identità culturale che, naturaliter, coincide con la Tradizione. Questa, come comprese Henry Miller, non ha bisogno di imbalsamatori, non si nutre di rimpianto ma: «può realmente esprimersi solo attraverso lo spirito dell’ardimento e della sfida» (p. 39). Mishima si pose, pertanto, alla ricerca dell’«etica di un guerriero “postumo”» (p. 43), che mise in scena nei libri e testimoniò con il supremo sacrificio. Nel 1966, spinto dal clima politico nazionale, di fatto asservito al volere degli americani, dette alle stampe un testo esemplare, Patriottismo che poi, in qualità di regista, traspose in pellicola.

 Il testo si ispirava all’incidente di Ni Ri Roku. L’apice della narrazione è data dal seppuku della coppia dei protagonisti, l’ufficiale Takeyama, incaricato di guidare il reggimento che avrebbe dovuto sterminare dei commilitoni condannati a morte per un tentativo fallito di colpo di Stato, e sua moglie Reiko. Ecco, l’altro motivo centrale dell’estetica dello scrittore è da individuarsi  nell’accostamento del tema dell’amore a quello della morte. In Patriottismo, erotismo e morte sono: «consustanziali l’uno all’altra: i pilastri della Bellezza» (p. 79). La bellezza è, in Mishima,  legata alla dissoluzione, come si evince dalle pagine de, Le Confessioni di una maschera, in cui è presente l’esaltazione del corpo trafitto dalle frecce di San Sebastiano, pittoricamente raffigurato da Guido Reni, o in quelle del Padiglione d’oro, dove il monaco protagonista, appicca l’incendio al tempio simbolo della Tradizione. Solo con il divampare delle fiamme e con la dissoluzione dell’edificio, egli riesce a percepirne appieno la bellezza. L’esegesi di Malgieri, a nostro parere, si mostra accorta nel rilevare la centralità di un’opera ingiustamente considerata minore, La coppa di Apollo del 1967, diario di Mishima, da cui emerge la folgorazione che egli visse nel suo viaggio in Grecia. Qui, egli: «fu conquistato dal mirabile equilibrio tra spirito e corpo promanante dall’antichità classica» (p. 89), lesse l’Ellade in termini dionisiaci, in forza delle potenti suggestioni tratte da, La nascita della tragedia, di Nietzsche. Scoprì, al di là di ogni intellettualismo, il valore della corporeità. La scoperta trovò consacrazione letteraria nelle pagine di Sole e acciaio: «E’il libro del corpo e dello spirito […] un libro giapponese nell’essenza, scritto con i materiali dello spirito europeo e mediterraneo» (p. 93). Nelle sue pagine è possibile intravedere la chiarità solare del Partenone e ascoltare, La voce delle onde, connotata dalla medesima sonorità musicale al Pireo, come sulle spiagge dell’arcipelago nipponico. Il segreto di Mishima è tutto qui.

Egli tentò di conciliare il crisantemo e la spada, contemplazione ed azione, guardando alla Tradizione del proprio paese, ma servendosi di materiali spirituali che provenivano anche dal tragismo greco. Ciò emerge da, Il mare della fertilità. Questa tetralogia è costruita sull’idea del ritorno che, per quanto attiene ai personaggi, si traduce nel concetto di reincarnazione. Essi, al termine della narrazione, paiono subire una sconfitta inevitabile. Lo stesso Imperatore, pietra angolare di quel cosmo spirituale, rinunciò, dopo la sconfitta, alla sua natura sacrale. Eppure, proprio come Honda, l’unico tra i protagonisti ad attraversare interamente la tetralogia, che anziano si reca in visita alla badessa di un monastero, questi nobili sconfitti vivono eternamente nei giardini Zen, rappresentazioni tangibili nello spazio del Principio, del vuoto nirvanico. Qui sono stati certamente raggiunti da Mishima, dopo il seppuku. Siamo in attesa del loro ritorno.

   In un mondo che nega il senso del sacrificio dello scrittore, è necessario tornare a dire, come nelle antiche saghe: felice l’uomo che onora i Padri e gli Eroi! Felice sia chi onora Mishima!

Giovanni Sessa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *