13 Aprile 2024
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‘viva la nazione!’…seconda parte

di Mario M. Merlino


Annoto qui alcuni appunti per il mio intervento – come accennato già nel precedente articolo su Ereticamente – alla scuola di fanteria di Cesano, nei pressi di Roma. Nello specifico il tema che mi è stato richiesto porta come titolo ‘ideologie caratterizzanti della Seconda Guerra Mondiale’. Bene, non mi atterrò a questo titolo se, almeno, non si faccia prima una premessa e, credo, questa premessa occuperà tutto il tempo e lo spazio concessomi. Come mia abitudine, prendo le mosse da un esempio concreto. Proprio per evitare che, aggirandomi per gli oscuri sentieri delle grandi idee dei concetti complessi delle parole da scriversi con la maiuscola non ci si disperda, anzi, con un garbato sottile senso dell’ironia, non si finisca per dire tutto ed il suo contrario, in pratica per non dire nulla…
Diversi anni fa, da professore in un liceo scientifico, presi spunto da un libro di interviste per organizzare un corso di storia sulla guerra civile in Italia 1943-’45 con gli alunni che dovevano sostenere l’esame di maturità. In quel libro si intervistavano alcuni esponenti del mondo politico accademico dello spettacolo ecc. che avevano partecipato a quegli avvenimenti ‘l’un contro l’altro armati’, che era del resto il titolo della pubblicazione. Alcuni di loro furono così garbati di venire a scuola, altri ci recammo noi a trovarli e porre domande. Fra costoro ricorderò l’incontro con Mario Castellacci, che si presentò a scuola con il suo barbone brizzolato e una camicia a scacchi bianchi e rossi da ricordare le tovaglie da cucina, e l’on. Armando Cossutta dell’ex Partito Comunista, che ci accolse in una saletta di Montecitorio.
Il primo era stato alla scuola allievi ufficiali di Orvieto e, poi, assegnato alla compagnia di propaganda della G.N.R. (Guardia Nazionale Repubblicana). Autore di quella canzone ‘strafottente’, più nota come ‘le donne non ci vogliono più bene’, che il giornalista Giorgio Bocca ebbe a definire ‘la più bella canzone della guerra civile’. A domanda di un mio alunno egli rispose che la guerra aveva come cause ragioni economiche (il concetto di usura, ad esempio, espresso dal poeta americano Ezra Pound). La medesima domanda venne rivolta a Cossutta, che nell’intervista aveva ricordato come, trovandosi a Milano il 25 aprile, avesse visto carrette di fascisti assassinati, ammucchiati e gettati in fosse comuni. Aggiungo con espresso compiacimento che indusse diversi miei alunni a rifiutarsi di dargli la mano. Egli affermò categorico che il conflitto era stato una guerra per la libertà. Insomma due posizioni interpretative contrarie e, soprattutto, rispetto alle premesse, direi, stupefacenti. Un fascista, figlio dell’idealismo gentiliano, che parla di ragioni economiche; un comunista, inossidabile erede delle teorie marxiste, che propone il tema della libertà…
Allora bisognerà chiedersi se ci troviamo di fronte al connubio inscindibile ormai tra propaganda e menzogna, nato quale conseguenza di quell’idea di stampo illuminista che ragione e bene sono la medesima cosa e, va da sé, il male è l’incarnazione di quanto non ricade nei parametri (tutti nostri) di essere comunque e nonostante tutto ‘illuminati’. (Rimando i lettori di Ereticamente all’articolo precedente). Ne consegue che dobbiamo muoverci in altra direzione e, per dar senso e valore a quanto mi sembra essenziale rilevare, al concetto di scelta e di eroismo. Perché o ci riconosciamo nell’abusata affermazione del drammaturgo Bertold Brecht ‘ fortunato quel paese che non ha bisogno di eroi’ – e con ciò chiudiamo il proseguo del ragionamento – oppure crediamo che gli eroi siano necessari in funzione d’esempio coinvolgimento educazione confronto. E un eroe è tale nel momento che sceglie (ad esempio il soldato romano che, durante l’eruzione del Vulcano, a Pompei rimane al suo posto perché nessuno viene a scioglierlo dalla consegna e non decide di buttare scudo e lancia e tentare con la fuga di salvarsi).
Vorrei sottoporvi un esempio. Nella notte del 5 dicembre 1944, sulla strada dal passo del Bracco a Levanto cade in scontro con i partigiani il caporale degli alpini, divisione Monterosa, Giampietro Civati. Aveva annotato su un foglio lo stesso giorno e ritrovatogli in tasca: ‘Testamento militare 5. 12. ’44: pochissime parole mi spiego le mie idee e il mio sentimento: sono figlio d’Italia di anni 21, non sono di Graziani e neanche Badogliano: ma sono italiano e segguo la via che salverà l’onore di Italia’. Certo la grammatica è zoppicante e ‘segguo’ è scritto con due ‘g’. Credo, però, che gli si possa perdonare e, al contrario, avvertire un moto di affetto e rispetto. L’ho citato perché, sono certo, aiuterà tutti noi a liberarci non delle idee che amiamo difendiamo e per cui lottiamo, ma di quell’idea manichea dei buoni (i nostri) e dei cattivi (gli altri) che, se si può comprendere nelle passioni del singolo, no, diviene inaccettabile se viene proposta dallo Stato. Lo Stato è tale se è di tutti e per tutti, se, come predicava Platone nella Repubblica, protegge esalta educa alla giustizia all’armonia al bene supremo. Sovente, al contrario, si fa accompagnare dall’ottenebramento la mistificazione l’ingiuria…

Del poeta greco Agatone ci rimane il nome, reso celebre perché nella sua casa si svolge uno dei dialoghi più affascinanti e ‘misteriosi’ di Platone, il Simposio, e poco altro. Ad esempio questo frammento: ‘Se c’è una sola cosa negata persino agli dei, questa è il potere di cancellare il passato’. Nel momento in cui gli dei si sono ritirati fra i monti e nei boschi e il nuovo dio, secondo la formula di Nietzsche, è morto… beh, allora lo Stato e l’uomo possono seppellire la storia sotto la cappa mefitica dell’opportunismo della vana gloria del disprezzo, possono ridicolizzare demonizzare annichilire i vinti nella memoria dopo averne fatto scempio dei corpi…

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