9 Aprile 2024
Sapienza Greca

Sulle tracce della Sapienza – a lezione da Angelo Tonelli – Sedicesima Parte – Introduzione a Parmenide

Sarzana (SP) 30 Ottobre 2015

a cura di Luca Valentini

Venerdì 30 Ottobre 2015 alle ore 18.30 presso l’Atelier Nuova Eleusis, in via dei Giardini 14 a Sarzana (SP), si è svolto il sedicesimo degli incontri settimanali denominati “I venerdì di Eleusis: sulle tracce della sapienza greca”, seminari di Angelo Tonelli dedicati alla Sapienza Greca, che in questa occasione ha iniziato la disamina del pensiero di Parmenide.

Per iniziare un’analisi attenta della dottrina parmenidea, è d’uopo, per il filologo ligure, dimenticare tutta l’ermeneutica dotta, accademica e filosofica, prima degli studi di Giorgi Colli, il quale ha chiarito diversi e gravi fraintendimenti circa la figura del sapiente di Elea. Egli, pertanto, al contrario di quanto affermato dalla vulgata imperante della storia della filosofia, non è stato né il fondatore dell’Ontologia, comunemente intesa, né della Logica, quale espressione del principio d’identità. Ciò deriva, principalmente, dall’errata interpretazione noetica del “tò eòn”, traducibile con “ciò che è”, espressione unitaria dell’Ente e assolutamente non assimilabile né al razionalismo né al logismo moderno di origine cartesiano. Infatti, spesso si confonde il verbo einai con il tò eòn, l’Essere razionale frainteso e confuso con l’Uno, con il Grande Cosmo delle Upanishad: tutto ciò ha impedito di comprendere la vera valenza della scuola di Elea, quale autentico riferimento misterico.

Originario di Elea, l’odierna Velia, vicino Napoli, colonia magnogreca del V sec. A. C., non si sa con precisione se fosse stato discepolo di Senofane o di Anassimandro, Parmenide, di certo, secondo la narrazione di Diogene Laerzio (IX, 21-23),  ebbe un contatto col pitagorico Aminia e fu sacerdote di Apollo Oùlios e interpretò la propria esistenza in maniera organica e totalizzante, essendo stato anche un guaritore – veggente, ma anche un politico: Platone lo paragonava a Pericle e Plutarco ne elogiava la grande legislazione.

La sua opera, Perì Physeos (Dell’Origine o della Natura), fu la prima rappresentazione iniziatica in prosa. La scrittura di Parmenide, in tale prospettiva, risulta essere enigmatica, un metodo, secondo l’interpretazione di Pierre Hadot (Esercizi spirituali e filosofia antica), per ricondursi alla stato di coscienza quale esperienza dell’Unità. Il passaggio dall’era della comunicazione orale a quella delle comunicazione scritta rappresenta il passaggio dalla Sapienza silente di un Pitagora alla Sapienza semi- manifesta di un Eraclito e di un Parmenide. Pertanto, risulta come la scrittura risulti essere necessariamente indispensabile per la filosofia, ma non risulti altrettanto tale all’insegnamento sapienziale: ciò si evince anche da quanto riportato dalla Lettera Settima di Platone, in cui la Verità, si afferma, non può essere razionalmente comunicata e trasmessa.

Per Tonelli, la distanza di Parmenide dall’ontologia post-arcaica è sancita dal proemio della sua opera, in quanto narrazione di natura iniziatica e sciamanica, che si rivolge sacralmente alla Dea per riceverne in dono la sua illuminazione, quale chiara ed evidente traccia del proprio percorso sacrale ed intuitivo:

“Le cavalle che mi portano fin dove giunge il mio desiderio

mi scortano, dopo avermi guidato sulla via

della Dea, che dice molte cose

e porta in ogni contrada l’uomo che sa.

Là fui condotto, perché fu là che mi portarono

le cavalle molto accorte, traendo il carro.

Fanciulle indicavano la via.

L’asse strideva nei mozzi, incandescente,

incalzato alle due estremità dai due cerchi rotanti,

ogni volta che le Figlie del Sole,

dopo avere lasciato la casa della Notte,

si affrettavano a scortarmi verso la luce,

distogliendo i veli dal capo con le mani.

Là è la porta delle vie della Notte e del Giorno,

incastonata tra un architrave e una soglia di pietra:

in alto nell’etere, la chiudono grandi battenti.

Dike che molto punisce ne tiene le chiavi che si alternano.

Le fanciulle rivolgendosi a Lei con dolci parole

la persuasero con accortezza a togliere subito la sbarra dalla porta.

Ed essa si spalancò, dischiudendo il varco enorme dei battenti,

facendo girare in senso inverso nei cardini

i perni di bronzo, fissati con chiodi e fermagli.

Da lì attraverso la porta le fanciulle

guidarono subito carro e cavalle lungo la strada maestra.

E la Dea mi accolse benevola e la mia destra

strinse nella sua destra, e così parlò e mi disse:

“O giovane, compagno di aurighi immortali,

che giungi alla nostra dimora portato dalle cavalle,

salve a te! Perché non fu una Moira funesta

a spingerti per questa via (essa infatti è lontana

dal tragitto degli umani), ma Thémis e Dike.

E tu devi apprendere ogni cosa,

sia il cuore che non trema della ben rotonda Verità

che le opinioni dei mortali in cui non è vera certezza.

Ma tuttavia anche questo imparerai,

come le cose apparenti si deve ammettere che sono

quando si indaghino in ogni senso tutte le cose”*.

Riportando sinteticamente la parafrasi del Tonelli, è possibile l’associazione del simbolo delle cavalle con l’espressione del desiderio, Thumos, quale relazione diretta con l’intima sublimazione dell’ambito passionale: esplicitazione istintuale ma anche consapevole dell’energia interiore. In tale quadro di riferimento femmineo, la Dea è la rappresentazione dell’intera spiritualità mediterranea, che si contrappone alla sfera maschile ed olimpica del Divino, quale ambito di divinità prettamente maschile: essendo, come scritto, Parmenide un sacerdote di Apollo, forse si potrebbe accennare ad una complementarietà originaria, più che ad una netta dicotomia.Tonelli 2

Inoltre, la presenza della superata polarità Giorno – Notte, ma anche dello Spazio – Tempo e della Luce – Tenebre, testimonia la ricerca della Luce magica e sottile, al di là della sua riflessa manifestazione sensibile, togliendo il velo dal capo, quindi dalla cerebralità, quale disvelamento verso una soglia della dimensione dell’invisibile, il cui viatico è accompagnato dal consenso sacrale della Terra Madre, Thèmis e, della Giustizia, Dike. Nel testo si ritrova il mitico platonico dell’auriga, il quale governa gli aspetti inferi dell’anima, equilibrando le diverse componenti sottili: anche per tale motivo, il tragitto verso la verità, verso l’illuminazione è in accordo con la Giustizia Cosmica.

Tale percorso sciamanico deve condurre il myste all’acquisizione di tre alte verità sapienziali:

  • la irriducibile scissione del mondo della Sapienza dalle trame del mondo delle opinioni, frutto ed espressione delle sensazioni corporee e dei pensieri personali;
  • Il fondamento ontologico anche della sfera del fenomenico, in cui si dispiega la trama occulta del “ciò che è”, del Principio primordiale, potendo l’essenzialità del mondo sensibile essere colta da uno sguardo che riesca a trascendere la sfera materiale, in un percorso di natura non dualista, paragonabile a quello presente nell’insegnamento shivaita;
  • la realizzazione di un cuore che non trema, non vincolato alle influenze emozionali dell’esistenza, dell’ambiente e dell’istinto, in cui codesta dimensione non presenta alcun decadimento sentimentale, filantropico o vagamente romantico, per ascendere a quella sfera calorica, di fuoco filosofale interno, in cui si esplicita il Cuore ermetico ed ardente della tradizione ieratica egizia, della sapienza arcaica, dei mitologhemi cavallereschi del Graal, quale effusione nel microcosmo del Lògos Divino.

In conclusione, si può evincere quanto nel processo palingenetico che si realizzava tramite l’applicazione della dottrina del Sapiente di Elea si ponesse in essere una profonda identità tra il Sé individuale ed lo Spirito Universale, così da consentire all’iniziato di ascendere a livelli di spiritualizzazione anche superiori rispetto a quelli delle stesse Divinità, così come indicato, parimenti, dalla tradizione indù:

Ciò che si chiama Brahman è lo spazio esterno all’uomo, ma questo spazio che è esterno all’uomo, questo spazio è lo stesso che è all’interno dell’uomo, e questo spazio che è all’interno dell’uomo è quello stesso che è dentro il cuore. Esso è il pieno, l’immutabile

(Chandogya Upanishad III, 12, 7-9).

Nel prossimo incontro, che si svolgerà Venerdì 6 Novembre e che sarà sempre relazionato da Ereticamente, Angelo Tonelli continuerà la sua disamina circa la figura ed il pensiero di Parmenide.

* Il proemio citato non segue la consueta traduzione Diehl Kranz, ma è estratto dal testo “Le parole dei Sapienti”, curato da Angelo Tonelli, per le Edizioni Feltrinelli.

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