10 Aprile 2024
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Essere Terra: Lorenzo Merlo e la vissutezza della Madre – Luca Valentini

Qualche anno fa su EreticaMente recensimmo “ESSERE TERRA, viaggio verso l’Afghanistan”, pubblicato Prospero Editore, di Lorenzo Merlo (1958) un giornalista milanese, nostro storico collaboratore, appassionato di viaggi, di alpinismo, di fotografia. In questa circostanza è davvero un piacere presentare ai nostri lettori il suo “ESSERE TERRA, un viaggio di ricerca”, pubblicato sempre per Prospero Editore, in perfetta continuità ideale con il testo precedente, rispetto al quale la direzione seguita non è un singolo paese, ma la conoscenza di una precisa visione della vita tramite l’attraverso attento del mondo e di tante località diverse, quasi a voler esprimere le tante facce di un unico organismo pulsante e vivente. La visione in questione è ben precisa ed ottimamente è stata inquadrata dallo stesso autore nella sua introduzione:

ESSERE TERRA allude anche a una velata o esplicita critica ai valori del consumismo, dell’opulenza, dell’edonismo, dell’individualismo” (1).

Può solo apparentemente apparire uno strano ossimoro, ma la narrazione di Merlo conduce il lettore a conclusioni, a deduzioni per nulla scontate ed in linea con il pensiero dominante: una di queste potrebbe condurci al superamento attivo del globalismo culturale ed economico proprio tramite lo strumento del viaggio e della conoscenza diretta del pianeta. Ciò che si vede coi propri occhi, di persona è l’identità, la peculiarità di ogni popolo, di ogni tradizione, che si determina come unica proprio perché scaturigine di una terra spiritualizzata, che accomuna tutti i suoi figli, ma come tutti i figli li abbraccia nella loro diversità. Significativo, pertanto, la testimonianza di Gastone Breccia nella sua prefazione:

Vita e destino o morte e destino, ovunque. Il viaggio di Lorenzo sembra a tratti un pellegrinaggio tra memorie di guerra…ma forse ogni viaggio, nello spazio e nel tempo, è un pellegrinaggio tra campi di battaglia accompagnati da una musica dolce e triste…”(2).

Come nella precedente opera, il racconto sembra quasi un assemblaggio perfetto di scatti fotografici, per la veridicità, quasi la crudezza del racconto, per la vissutezza profonda della narrazione, che coinvolge come se fosse un reportage audio – visivo e non impresso su carta. E la trama segreta è l’autore stesso a rivelarcela nella sua “Fenomenologia sottile del partire” (3), in cui il moto presuppone il suo perfetto contrario, cioè la fissità di un animo, di un moto centripeto che ricerca certezze e solidità nel mutevole, nell’incontrollata foga del divenire:

E’ nell’invisibile la terra della ricerca, ed è nella ricerca la terra del cuore delle cose”.

Se “la contemplazione contiene sempre un intero” (4), il tema del viaggio presuppone non una semplice catalogazione dei vari luoghi attraversati e visitati, ma un’effettiva partecipazione emotiva al moto, che sembra essere più interno che partecipato col corpo, in una prospettiva, però, di adesione unitaria e non frammentaria, come se le diverse nazioni fossero stanze diverse, ma di un unico e più grande appartamento. quindi l’Uzbekistan e l’Ucrania non rappresentano due meri paesi del continente euroasiatico, ma due finestre diverse rivolte verso un belvedere che è quello del rapporto simbiotico e particolareggiato dell’uomo e del mondo. Tutto ciò, se ci si riflettesse, è la coraggiosa alternativa al fluido indistinto della società anonima e virtualizzata, tramite cui si conosce il pianeta solo attraverso un’unica e grigia lente, senza sfumature cromatiche, senza un senso profondo di appartenenza. Significativo è anche il titolo stesso del opera. “Essere Terra”, non guardare o viaggiare per la terra: si realizza un’immedesimazione organica e completa con l’oggetto del conoscere, non rimanendo passivi ed estranei ad esso. Chi non ricorda la nietzschiana “fedeltà alla terra”? Il grembo di madre Giunone viene assunto quale utero necessitante affinchè l’essere umano possa esplicitare tutto il suo portato prenatale, dalla potenza ad atto:

Vi scongiuro, fratelli, restate fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze! Essi sono degli avvelenatori, che lo sappiano o no. Sono spregiatori della vita, moribondi ed essi stessi avvelenati, dei quali la terra è stanca: se ne vadano pure!» (5)

Abbiamo, infatti, inteso l’intera narrazione di Lorenzo Merlo, in tutti i suoi scritti, non solo in quello in analisi, come un necessario regressus ad uterum, compatibile con una rinnovata coscienza di sé e della società morente in cui dispiega le proprie aspirazioni. Alla fine, cosa rappresenta il viaggio, se non un eterno ritorno verso l’origine? E come è possibile ritrovarla nella contemporaneità mercantilistica in cui stabilità, ogni pietra d’appoggio vien divelta per l’indistinto? Ci risponde nell’opera Vittoria Schweizer:

Il viaggio era la sua dimensione esistenziale, oltre che una scappatoia dalla realtà borghese” (6).

In poche parole tutta la diversità del libro di Merlo: la vita che fugge l’inanimata globalità del mondo per ritrovare Gea, quale corpo vivente, gli uomini e le donne, quali personalità di anima e di spirito, non meri numeri contabili, l’esperienza come immanenza e non come mediata rappresentazione, la lettura non come un passatempo, ma come un’ascesi del pensiero.

Note:

1 – Lorenzo Merlo, ESSERE TERRA, un viaggio di ricerca, Prospero Editore, Milano 2020, p. 21;

2 – Ivi, XIV – XV;

3 – Ivi, p. 584ss;

4 – Ibidem;

5 – F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Prefazione di Zarathustra, 3;

6 – – Lorenzo Merlo, op. cit., p. 606.

Luca Valentini

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