9 Aprile 2024
Tradizione Primordiale

STRADE DEL NORD. Il tema delle Origini Boreali in Herman Wirth e negli altri – Parte 13 – Michele Ruzzai

(alla fine dell’articolo, prima delle Note, è presente il link dell’articolo precedente)

 

7.3 – La cultura gravettiana

 

Il quadro storico di Herman Wirth può essere letto in chiave critica anche in merito ad altri elementi.

Il Nostro infatti segnala come dall’occidente atlantico le genti cromagnoidi avrebbero fatto il loro ingresso in Europa lasciando come tracce più evidenti le pitture rupestri di Altamira in Spagna – che, ricordiamo, sono databili a circa 19.000 anni fa (520) – con rappresentazioni di canoe e marinai in barche di pelle, raffigurazioni connesse all’espansione della cultura magdaleniana; come detto, però, bisogna ricordare che l’arrivo del Cro-Magnon nel nostro continente, pur successivo a quello della linea capelloide, dovrebbe comunque essersi verificato in tempi ben precedenti, se ad esempio accettiamo la data di 25-27.000 anni fa ipotizzata da Lewis Spence (521) di una prima migrazione atlantica verso l’Europa, e appena di una seconda 18.000 anni fa legata appunto al Magdadeniano.

Ma vi sono anche risultanze della ricerca preistorica “ufficiale” che conducono in questa stessa direzione ed in generale spingono la stima dell’antichità cromagnoide, ad essere prudenti, almeno fino a 28-30.000 anni fa (522) come ad esempio i resti rinvenuti nella grotta di Paviland nel Galles meridionale, o anche i reperti già menzionati di Kostenki (per la precisione, quelli appartenenti al secondo livello del sito), entrambi attribuibili a questo particolare ceppo umano (523); senza peraltro dimenticare altri ritrovamenti russi, come quelli di Sungir che, anche se meno antichi dei precedenti, da varie stime vengono comunque collocati tra 22.000 e 25.000 anni fa (524), quindi certamente non pertinenti il periodo magdaleniano ma piuttosto il precedente Gravettiano.

Dei reperti più orientali, inoltre, è di particolare interesse la posizione geografica occupata, perché ci porta sensibilmente più a nord-est del quadrante franco-cantabrico ed occidentale, nel cui contesto invece ricordiamo le importanti sepolture liguri dei Balzi Rossi – note anche con il nome della vicina località di Grimaldi – che potrebbero arrivare fino a 25.000 anni fa e quindi anche queste collocabili al livello gravettiano (525); attribuite pure esse al tipo cromagnoide, a suo tempo erano state invece considerate “negroidi”, interpretazione che in seguito è stata completamente smentita da ulteriori e più accurate analisi (526).

In ogni caso, la grande diffusione, anche in aree euro-orientali, del Cro-Magnon e la sua datazione sicuramente pre-magdaleniana, pone l’intrigante tema della genesi e dell’espansione di questa notevole stirpe, attorno al quale proveremo a fare qualche riflessione, anche se chiaramente di carattere fortemente congetturale.

A nostro avviso, è ipotizzabile che un nucleo proto-cromagnoide primario, forse non ancora del tutto stabilizzato nelle sue caratteristiche morfologiche “classiche”, possa essere sorto già 35-40.000 anni fa a latitudini medio-atlantiche da un primo contatto fra i prenordici nordoccidentali (autosomicamente parlando, forse in prevalenza ANS) e i dene-caucasici europei (forse in prevalenza BE). Dall’incontro tra questi due stock genetici certamente simili (ci troviamo sempre nel contesto caucasoide) ma comunque non del tutto sovrapponibili, si sarebbe enucleata una popolazione oggi riconoscibile in un’ulteriore componente autosomica, quella definita “WHG” (cacciatori raccoglitori occidentali), caratterizzata anch’essa da una non eccessiva depigmentazione a causa delle caratteristiche delle popolazioni dalle quali sorse, e che fin nel genoma recavano ancora il ricordo climatico dell’antica “Eterna Primavera” circum-artica (527).

Per quanto possa essere problematico tentare un’analogia tra le Razze tradizionali, strutturate su diversi colori (Bianca, Rossa, Gialla, Nera), e le leggendarie generazioni di Esiodo, divise invece in metalli (tranne gli Eroi, come vedremo più avanti), in questa direzione riteniamo possa rivestire un certo interesse l’aspetto “bronzeo” della terza stirpe esiodea: stirpe che oltretutto è stata avvicinata al mitico ceppo dei Giganti (528) i quali, come abbiamo visto, a loro volta sono stati accostati proprio all’imponente fenotipo dei Cro-Magnon nati per “mistovariazione” (e in quest’ottica si potrebbe anche osservare che significativamente, tra i metalli esiodei, il bronzo è l’unica lega, mentre gli altri – oro, argento e ferro – sono metalli puri).

Va evidenziato che il Cro-Magnon così sorto, comunque, non rappresenta un Homo Sapiens “generalizzato”, ma appartiene chiaramente al contesto caucasoide (529), cioè non evidenzia né le specializzate caratterische mongoloidi, né quelle negroidi (530), anche se a questo punto è opportuno sottolineare come il concetto di “caucasoide” sia meglio definito in negativo (ovvero, né di Razza Gialla, né di Razza Nera) piuttosto che in positivo, in quanto non è perfettamente sovrapponibile alla sola Razza Bianca della quale, in effetti, supera in confini: in termini tradizionali, sarebbe forse più corretto considerarlo come la somma della Razza Bianca con la Razza Rossa. Ciò dipende essenzialmente dal fatto che, come vedremo in seguito, la Razza Bianca stricto sensu in tempi post glaciali ha praticamente incorporato la Rossa, tanto da assumere un significato diverso da quello iniziale e, attualmente, da non far nemmeno percepire la seconda come tipo a sé stante (531), tipo che in origine sarebbe stato connotato da un integrale rutilismo: ed è interessante rilevare come tale tratto, che oggi appare in modo residuale e disperso, da alcuni antropologi sia invece stato considerato un vero e proprio carattere razziale (532) che a suo tempo potrebbe aver connotato proprio i Cro-Magnon (533) giungendo in Europa circa 30.000 anni fa (534). Ecco dunque spiegato il motivo per il quale alcuni autori di orientamento tradizionale considerano i Cro-Magnon di Razza Rossa (535) e perché questa caratteristica appaia particolarmente diffusa soprattutto in area atlantica (536); e ciò forse si collega, in parte, anche alla particolare distribuzione dei gruppi sanguigni tra diverse popolazioni dell’Occidente europeo, dove – tra i già incontrati Baschi, ma anche tra i Sardi, gli Irlandesi e gli Islandesi – lo “O” si attesta con un’incidenza superiore al 50% della popolazione (537). Ciò emerge in parallelo alle relativamente basse frequenze del gruppo A rilevate anche in Galles e Scozia (538), cosa che potrebbe suggerire qui una più elevata sopravvivenza del ramo sudatlantico e una maggiore distanza da quello “idiovariato”, originatosi in un’area più euro-nordorientale.

In ogni caso, il primo nucleo cromagnoide/rosso potrebbe aver generato un lunghissimo riflusso migratorio sviluppatosi già durante l’anzidetto Gravettiano: invadendo quella che tradizionalmente era denominata la “Terra del Toro”, cioè il nostro continente (539), deve comunque aver trovato già ivi stanziate le genti capelloidi di antichissima origine orientale ed in quella fase rappresentate, ad esempio, dai reperti moravi di Pavlov risalenti a circa 24.800 anni fa (540). Probabilmente l’espansione della cultura gravettiana è associabile ad una popolazione almeno parzialmente diversa da quella collegata al precedente aurignaziano, anche se non senza una qualche relazione con il genoma dell’anzidetto reperto russo di Kostenki, ma comunque abbastanza distante da quello belga di Goyet di 35.000 anni fa che, nel suo movimento, pare soppiantare (541). Ora però, rispetto al precedente popolamento Sapiens, la direttrice di avanzamento sembra essere opposta, da ovest verso est (542) in un vasto movimento trascinatosi forse fino al passaggio tra Pavloviano e Kostienkiano e spintosi molto ad Oriente. E’ comunque difficile stabilire se tale migrazione possa essere giunta addirittura fino al cuore della Siberia, lasciando tracce nei siti di Mal’ta, risalente a circa 24.000 anni fa (543) e Buret: le affinità archeologiche con i reperti russo-occidentali, area Dniepr, sembrano piuttosto evidenti (544) però l’attribuzione genetica dei resti umani di Mal’ta alla componente autosomica ANE (“Antichi Nord-Eurasiatici” – 545) potrebbe invece suggerire un ancor più antico flusso di direzione contraria, forse anche – azzardiamo un’ipotesi – collegabile all’apporto siberiano che “uralizzò” i proto-Lapponi nel settentrione europeo e, molto probabilmente, precedette largamente il Secondo Massimo Glaciale di 20.000 anni fa (546).

Ma a prescindere dal punto dove tale ondata occidentale possa essere giunta, è quasi certo che il Gravettiano si sviluppò in un contesto climatico piuttosto stabile, non scosso da episodi wurmiani di particolare intensità; in effetti, da almeno 30.000 fino a 22-24.000 anni fa, in Europa si riscontra un periodo relativamente caldo, una fase “interpleniglaciale” posta tra i due massimi wurmiani e grossomodo corrispondente a quello che è stato definito “stadio isotopico 3” (547). Inoltre, come sottolinea Evola (548) la traccia lasciata da questa cultura è ben riconoscibile in un gran quantità di idoli femminili e nelle notissime “Veneri paleolitiche”: le statuette che, dalle coste atlantiche fino almeno all’Europa orientale, testimoniano una significativa omogeneità stilistica (549) e tra le quali quella antichissima di Hohle Fels in Germania, forse di più di 35.000 anni fa (550), quelle francesi di Brassempouy (551) e quella più recente di Willendorf, risalente a 22-24.000 anni fa, sono solo alcuni tra gli esempi più noti (552).

Infatti, nell’enorme spazio geografico compreso tra la Francia meridionale e la Siberia, Marija Gimbutas sottolinea (553) come al periodo gravettiano sia attribuibile un consistente numero di piccole sculture in pietra, corno od osso tra le quali la figura femminile occupa chiaramente un posto di grande rilievo: oltre una sessantina di reperti, solo per rimanere nel nostro continente (554). Da cui l’idea che in quel contesto la strutturazione comunitaria fosse di tipo matriarcale, o quanto meno che una forte influenza potesse essere esercitata da una classe di sacerdotesse (555), il che pare coerente con ciò che fu l’Età della Madre – il Treta Yuga della Tradizione indù – quale fase contraddistinta da una forte spinta “fusionale” verso un’unificazione culturale riscontrabile sia dal punto di vista della produzione litica che artistica (556).

D’altronde se è Atlante, il Titano dell’Ovest, l’entità che nel Mito ellenico viene messa a capo della Luna (557) ciò forse sta a significare come la terra dell’estremo Occidente diventi ora fonte primaria di un’influenza selenica e femminile (558) che si irradia culturalmente e spiritualmente verso l’Eurasia. Una  tendenza fusionale che, secondo Renfrew, circa 27.000 anni fa potrebbe aver comportato delle importanti ricadute anche sul piano linguistico con fenomeni di convergenza di parlate diverse (tra le quali anche il Protoindoeuropeo) a formare quello che potrebbe essere stato il “Nostratico”: ma dobbiamo rilevare che si tratta di un’ipotesi piuttosto azzardata perché, essendo opposta a quella, ben più consolidata, che vede invece il Nostratico come antecedente genetico delle famiglie linguistiche successive (559), presuppone una preesistenza di queste temporalmente incompatibile con il quadro che l’archeologo britannico, rivedendo la sua idea iniziale, proporrà in seguito per le origini indoeuropee (e che analizzeremo a tempo debito).

Tuttavia le digressioni di Renfrew sul Gravettiano ci offrono l’occasione per formulare un’ipotesi lievemente diversa, ovvero non tanto quella di una convergenza di linguaggi verso un’entità di ordine diverso, ma piuttosto – ed in analogia con un processo di assoggettamento, spirituale e culturale assieme, dei primi Giganti cromagnoidi all’archetipo della Femmina demetrica – la vera e propria adozione delle parlate dene-caucasiche proprie del substrato “tellurico” e quindi “relativamente femminile”, come segnalato in precedenza. Se infatti ritorniamo al tema, già incontrato sopra, dell’unione tra i “figli di Dio” e le “figlie degli uomini” secondo la particolare interpretazione evoliana, cioè quella di una caduta verificatasi a causa della “brama” per la potenza “femminile” (560), se ne può trarre l’impressione che la prole risultante – i “Nephelin”, ovvero la stirpe dei Giganti – rappresentò proprio il frutto tangibile di un “soggiacere” dell’elemento virile rispetto a quello spiritualmente opposto.

 

 

7.4 – Depigmentazioni e primi Eroi esiodei

 

Forse è plausibile che la diffusione cromagnoide verso est impattò in minor misura sulle popolazioni geograficamente più marginali, come ad esempio i proto-Lapponi, che quindi potrebbero aver mantenuto in maggior misura rispetto ad altri gruppi le frequenze molecolari “pre-gravettiane”. Inoltre, tale movimento potrebbe essere collegato, a partire dai WHG occidentali, all’enucleazione di un’altra importante componente autosomica europea, quella degli “EHG” (Cacciatori Raccoglitori Orientali); oppure, nella genesi di questo gruppo, è anche molto probabile che abbia giocato un ruolo rilevante, agendo sul comune ed antecedente substrato “BE” (Basale Eurasiatico), l’arrivo da nord-est della componente “ANE” (Antichi Nord-Eurasiatici), già precedentemente accennata in relazione ai reperti siberiani di Mal’ta e forse responsabile dell’uralizzazione linguistica dei proto-Lapponi. Ovviamente, lo ribadiamo ancora, si tratta di riflessioni fortemente congetturali, dal momento che lo stato attuale delle evidenze paleogenetiche non è ancora in grado di fornire degli elementi univoci sulle reciproche correlazioni e sui rapporti di derivazione tra le antiche componenti autosomiche: componenti che, ricordiamolo, non vanno ovviamente considerate come popolazioni “chiuse” ed isolate tra loro – il concetto di “metapopolazione” basale-boreale è sempre sottostante a tutto – ma piuttosto come “nuvole” dai contorni molto sfumati e sicuramente sovrapposte e concatenate tra loro.

In ogni caso è probabile che, rispetto ai WHG occidentali, gli EHG orientali presentassero una pigmentazione più chiara a fronte della rilevante pressione selettiva indotta dalla carenza alimentare di vitamina D ed il conseguente vantaggio connesso a un’epidermide più ricettiva alla luce ultravioletta che ne incrementa la sintesi. Che tali caratteristiche, com’è stato ipotizzato, possano essersi stabilizzate in area baltica tra 10 e 35.000 anni fa (561) o che, magari, possano essere sorte ancora più a Nord e giunte negli EHG per massiccia introgressione dalla componente ANE, è ancora difficile da stabilire. Quello che è certo, e può sembrare un’osservazione ovvia ma che comunque viene sottolineata anche da Cavalli Sforza (562), è che la pelle bianca raggiunge il suo massimo picco solo nell’Europa settentrionale e non in altre aree del pianeta; quindi sembra oggettivamente improbabile che i più imponenti fenomeni di depigmentazione cutanea che hanno interessato la specie Sapiens si siano verificati in aree troppo distanti dal nostro continente.

In ogni caso, ci sembra interessante osservare come il lasso 10-35.000 anni fa appaia pienamente compatibile con un’altra stima, formulata più recentemente, che attribuisce ad una mutazione del gene SLC24A5 ritenuta responsabile di una delle varianti della depigmentazione europea, un’età compresa tra i 22.000 e i 28.000 anni (563). E sembra significativo il fatto che, facendo la media della date, questa nuova variante possa essere sorta attorno a 25.000 anni fa, quindi qualche millennio prima dell’Ultimo Massimo Glaciale (per brevità “LGM”, dalla sigla in inglese) ed in un momento che, pur con tutte le più ovvie cautele che possiamo avere nei confronti di queste ipotesi, è molto vicino a quella che Cavalli Sforza stima essere la data della separazione dei Lapponi dagli altri caucasoidi: cioè quei 26.000 anni fa (564) che, tra l’altro, si collocano non lontano da alcune valutazioni sulla datazione della superfamiglia linguistica nostratica / eurasiatica – già incontrata in precedenza e sulla quale torneremo più avanti – che ondeggia tra i 27.000 di Colin Renfrew (565) e i 20.000 di Cavalli Sforza (566).

Ci sembra quindi fortemente suggestiva l’ipotesi che l’afflusso di nuove genti nord-siberiane, di ceppo razziale “pre-europide” ed autosomicamente in prevalenza ANE, possa aver portato alcune modifiche del quadro genetico euro-nordorientale ed in qualche modo aver causato – più o meno direttamente – la separazione definitiva del ramo lapponoide e, appunto, la sua uralizzazione linguistica, ma forse anche aver contribuito alla genesi del gruppo sanguigno “A” (ricordiamo ancora la ridottissima incidenza del gruppo asiatico “B” tra i Lapponi) e della mutazione del gene SLC24A5.

Ma questo momento è piuttosto interessante anche dal punto di vista della storia tradizionale, perché cade praticamente in corrispondenza a quello che, secondo la cronologia “Guenon / Georgel” dovette essere il passaggio tra 3° e 4° Grande Anno del Manvantara (come già accennato, la suddivisione di questo in 5 Grandi Anni – ciascuno di durata pari a circa 13.000 anni ordinari – rappresenta una diversa ipotesi di suddivisione del nostro ciclo umano, non necessariamente alternativa a quella nei 4 Yuga indù, di durata invece decrescente). In un’ottica quinaria e tenendo presente le indicazioni di Esiodo, riteniamo che il 4° Grande Anno del Manvantara (estesosi all’incirca tra 26.000 e 13.000 anni fa) potrebbe essere associato alla quarta generazione, quella degli Eroi (567): un’ipotesi che ci sembra logica, dal momento che non ci ha mai convinto l’idea più comune – ispirata dal tentativo di sovrapporre, problematicamente, le 5 generazioni esiodee ai 4 Yuga indù – di comprimere gli Eroi tra la  fine del Dvapara e l’inizio del Kali Yuga, in una posizione piuttosto artificiosa, quasi fossero un “di più”.

Molto più lineare, invece, ci sembra l’idea di interpretarli in una prospettiva quinaria e dunque, essendo essi la quarta stirpe esiodea, di farli analogamente corrispondere al Quarto Grande Anno del Manvantara, possibilità peraltro contemplata anche da Giuseppe Acerbi (568). Il quale, oltretutto, nello stesso scritto propone un’interessante correlazione tra il relativo termine greco, “Heroes”, e quello sanscrito “Arya” – accostamento che, anche se non a livello così precisamente terminologico, almeno a livello concettuale era già stato suggerito da Evola (569) – inoltre avvicinando tale compagine, in termini biblici, al terzo figlio di Adamo, cioè Seth (570); tale prospettiva potrebbe essere collegata alle deduzioni di Hormusjee Shapoorjee Spencer, secondo il quale il “ciclo ariano” iniziò in area artica circa 27.000 anni fa, quindi ben prima di quanto avevamo già ricordato essere ipotizzato da Tilak (571) e dunque in un quadro temporale molto vicino a quello connesso al Quarto Grande Anno. Orizzonte che, per inciso, viene addirittura superato nelle stime di Karl Georg Zschaetzsch, che ipotizza un’etnogenesi “ariana” verificatasi quasi 30.000 anni fa (572) anche se, come visto, in un contesto non inizialmente nordico, quindi meno interessante ai fini delle nostre riflessioni.

 

Link articolo precedente:

 

Parte 12

 

 

Note

 

520.  Telmo Pievani – Homo Sapiens. Il cammino dell’umanità – De Agostini – 2012 – pag. 89

 

521.  Davide Bigalli – Il mito della terra perduta. Da Atlantide a Thule – Bevivino Editore – 2010 – pag. 174; Charles Berlitz – Il mistero dell’Atlantide – Sperling Paperback – 1991 – pag. 109

 

522.  AA.VV. (a cura di Fiorenzo Facchini) – Paleoantropologia e Preistoria. Origini, Paleolitico, Mesolitico – Jaca Book – 1993 – pag. 204

 

523.  Michel Brezillon – Dizionario di Preistoria – Società Editrice Internazionale – 1973 – pagg. 155, 220

 

524.  Alberto Broglio, Janusz Kozlowski – Il Paleolitico. Uomo, ambiente e culture – Jaca Book – 1987 – pag. 209; AA.VV. (a cura di Fiorenzo Facchini) – Paleoantropologia e Preistoria. Origini, Paleolitico, Mesolitico – Jaca Book – 1993 – pag. 441

 

525.  AA.VV. (a cura di Fiorenzo Facchini) – Paleoantropologia e Preistoria. Origini, Paleolitico, Mesolitico – Jaca Book – 1993 – pag. 306; Renato Del Ponte – Miti e simboli della Liguria “esoterica” in Evola – in: Arthos, n. 16, 2008, pag. 24

 

526.  Vincenzo Formicola – Le sepolture paleolitiche dei Balzi Rossi – in: Le Scienze, Dicembre 1991, pagg. 80, 85

 

527.  Mario Giannitrapani – Protostoria indoeuropea – in: Julius Evola, Il mistero Iperboreo. Scritti sugli Indoeuropei 1934-1970, a cura di Alberto Lombardo, Quaderni di testi evoliani n. 37, Fondazione Julius Evola, 2002, pagg. 73 (nota 3), 74 e 76

 

528.  Angelica Fago – Mito esiodeo delle razze e logos platonico della psichè: una comparazione storico-religiosa – in: Studi e materiali di storia delle religioni, Vol. 57, 1991, pag. 236

 

529.  Bjorn Kurten – Non dalle scimmie – Einaudi – 1972 – pag. 121

 

530.  Vincenzo Giuffrida-Ruggeri – Su l’origine dell’uomo: nuove teorie e documenti – Zanichelli – 1921 – pag. 191; Madison Grant – Il tramonto della grande razza – Editrice Thule Italia – 2020 – pag. 118

 

531.  Bruno D’Ausser Berrau – De Verbo Mirifico. Il Nome e la Storia – pag. 15 – https://fdocumenti.com/download/de-verbo-mirifico-il-nome-e-la-storia-prf-u-viewlapproccio-al-problema-partendo; Bruno d’Ausser Berrau – La Scandinavia e l’Africa – Centro Studi La Runa – 1999 – pag. 12

 

532.  Mario F. Canella – Razze umane estinte e viventi – Sansoni – 1940 – pag. 70

 

533.  Raffaello Parenti – Lezioni di antropologia fisica – Libreria Scientifica Giordano Pellegrini – 1973 – pag. 221

 

534.  Tiziana Pompili Casanova – Pelasgi stirpe divina – Drakon Edizioni – 2017 – pag. 257

 

535.  Gaston Georgel – Le quattro Età dell’umanità. Introduzione alla concezione ciclica della storia – Il Cerchio – 1982 – pag. 182

 

536.  Flavio Barbiero – Una civiltà sotto ghiaccio – Editrice Nord – 1974 – pag. 139; Marco Mattarollo – L’origine nordica di Adamo – Yume – 2021 – pag. 86

 

537.  Renato Biasutti – Razze e Popoli della terra – UTET – 1967 – vol. 1 – pagg. 382-384 (tabella)

 

538.  Louis Charpentier – Il mistero Basco. Alle origini della civiltà occidentale – Edizioni L’Età dell’Acquario – 2007 – pagg. 72, 73

 

539.  Nuccio D’Anna – Parashu-Rama e Perseo – in: Arthos, n. 33-34, 1989/1990, pag. 168

 

540.  Michel Brezillon – Dizionario di Preistoria – Società Editrice Internazionale – 1973 – pag. 220; Raffaello Parenti – Lezioni di antropologia fisica – Libreria Scientifica Giordano Pellegrini – 1973 – pag. 164

 

541.  David Reich – Chi siamo e come siamo arrivati fin qui. Il DNA antico e la nuova scienza del passato dell’umanità – Raffaello Cortina Editore – 2019 (copia in pdf) – pag. 128

 

542.  Alberto Broglio, Janusz Kozlowski – Il Paleolitico. Uomo, ambiente e culture – Jaca Book – 1987 – pag. 336

 

543.  Michel Barbaza – Dal Paleolitico medio all’Epipaleolitico nel Vecchio Mondo – in: AA.VV. (a cura Jean Guilaine), La preistoria da un continente all’altro, Gremese Editore, 1995, pag. 67

 

544.  Renato Biasutti – Razze e Popoli della terra – UTET – 1967 – vol. 2 – pag. 388

 

545.  Gli europei derivano da tre gruppi di antenati – Il Fatto Storico – 25/1/2014 – https://ilfattostorico.com/2014/01/10/gli-europei-derivano-da-tre-gruppi-di-antenati/; David Reich – Chi siamo e come siamo arrivati fin qui. Il DNA antico e la nuova scienza del passato dell’umanità – Raffaello Cortina Editore – 2019 (copia in pdf) – pag. 118

 

546.  Giuseppe Acerbi – L’Isola Bianca e l’Isola Verde – Simmetria Associazione Culturale – pagg. 27, 28 – http://www.simmetria.org/images/simmetria3/pdf/Rivista_41_2016_A5_booklet.pdf; Fabio Calabrese – Alla ricerca delle origini – Ritter – 2020 – pag. 207; Indoeuropei, la genetica conferma l’origine siberiana – Il Secolo XIX – 10/07/2017 – https://www.ilsecoloxix.it/blog/2017/07/10/news/indoeuropei-la-genetica-conferma-l-origine-siberiana-1.33090208

 

547.  Mario Giannitrapani – Protostoria indoeuropea – in: Julius Evola, Il mistero Iperboreo. Scritti sugli Indoeuropei 1934-1970, a cura di Alberto Lombardo, Quaderni di testi evoliani n. 37, Fondazione Julius Evola, 2002, pag. 73

 

548.  Julius Evola – Rivolta contro il mondo moderno – Edizioni Mediterranee – 1988 – pag. 258

 

549.  Mario Alinei – Origini delle lingue d’Europa. Volume 1: La Teoria della Continuità – Il Mulino – 1996 – pag. 430 – pag. 430; Fabrizio Ardito, Daniela Minerva – La ricerca di Eva – Giunti – 1995 – pag. 204

 

550.  Costanza Bondi, Marco Morucci – Svastica simbolo sacro universale – XPublishing – 2018 – pag. 116; Telmo Pievani – Homo Sapiens. Il cammino dell’umanità – De Agostini – 2012 – pag. 89

 

551.  Michel Brezillon – Dizionario di Preistoria – Società Editrice Internazionale – 1973 – pag. 60; Julius Evola – Rivolta contro il mondo moderno – Edizioni Mediterranee – 1988 – pag. 257; Telmo Pievani – Homo Sapiens. Il cammino dell’umanità – De Agostini – 2012 – pag. 89

 

552.  Una “Venere” di 35.000 anni fa – Le Scienze – 14/05/2009 – http://www.lescienze.it/news/2009/05/14/news/una_venere_di_35_000_anni_fa-575046/

 

553.  Marija Gimbutas – La religione della Dea nell’Europa preistorica – in: AA.VV, La religiosità nella preistoria, Jaca Book, 1991, pag. 88

 

554.  Margaret Ehrenberg – La donna nella Preistoria – Mondadori – 1992 – pag. 102

 

555.  Janusz K. Kozlowski – Il sentimento religioso nel corso della preistoria: il Paleolitico superiore – in: AA.VV., La religiosità nella preistoria, Jaca Book, 1991, pag. 67

 

556.  AA.VV. (a cura di Fiorenzo Facchini) – Paleoantropologia e Preistoria. Origini, Paleolitico, Mesolitico – Jaca Book – 1993 – pag. 305

 

557.  Robert Graves – I Miti Greci – vol.1 – Il Giornale – pag. 21

 

558.  Julius Evola – Metafisica del Sesso – Edizioni Mediterranee – 1996 – pag. 149; Julius Evola – Rivolta contro il mondo moderno – Edizioni Mediterranee – 1988 – pag. 270

 

559.  Mario Alinei – Origini delle lingue d’Europa. Volume 1: La Teoria della Continuità – Il Mulino – 1996 – pag. 430

 

560.  Julius Evola – La Tradizione ermetica – Edizioni Mediterranee – 1996 – pag. 35

 

561.  R. Hegselmann, Ulrich Mueller, Klaus G. Troitzsch – Modelling and Simulation in the Social Sciences from the Philosophy of Science Point of View – Dordrecht, Netherlands – Kluwer Academic Publishers – 1996 – pag. 119

 

562.  Luigi Luca Cavalli Sforza, Paolo Menozzi, Alberto Piazza – Storia e geografia dei geni umani – Adelphi – 1997 – pag. 500

 

563.  AA.VV. – The Light Skin Allele of SLC24A5 in South Asians and Europeans Shares Identity by Descent – Plos.org – 07/11/2013 –  https://journals.plos.org/plosgenetics/article?id=10.1371%2Fjournal.pgen.1003912&fbclid=IwAR1MxwW-4_-Uv063RVvA1OwRZ4ejUaYHWytoJRjprnrLIXnmnnh0fmdLbSs

 

564.  Luigi Luca Cavalli Sforza, Paolo Menozzi, Alberto Piazza – Storia e geografia dei geni umani – Adelphi – 1997 – pag. 180

 

565.  Mario Alinei – Origini delle lingue d’Europa. Volume 1: La Teoria della Continuità – Il Mulino – 1996 – pag. 430; Riccardo Ambrosini – Le lingue Indo-Europee. Origini, sviluppo e caratteristiche delle lingue indo-europee nel quadro delle lingue del mondo – ETS Editrice – 1991 – pag. 141

 

566.  Luigi Luca Cavalli Sforza – Chi siamo. La storia della diversità umana – Mondadori – 1993 – pag. 268

 

567.  Giuseppe Acerbi – Uttarakuru, il paradiso boreale nella cosmografia e nell’arte indiana – Alle pendici del Monte Meru – 08/06/2013 – http://allependicidelmontemeru.blogspot.it/2013/06/uttara-kuru-il-paradiso-boreale-nella.html

 

568.  Giuseppe Acerbi – L’Isola Bianca e l’Isola Verde – Simmetria Associazione Culturale – pag. 12 – http://www.simmetria.org/images/simmetria3/pdf/Rivista_41_2016_A5_booklet.pdf 

 

569.  Julius Evola – Rivolta contro il mondo moderno – Edizioni Mediterranee – 1988 – pag. 283

 

570.  Giuseppe Acerbi – L’Isola Bianca e l’Isola Verde – Simmetria Associazione Culturale – pagg. 3, 26 – http://www.simmetria.org/images/simmetria3/pdf/Rivista_41_2016_A5_booklet.pdf

 

571.  Joscelyn Godwin – Il mito polare. L’Archetipo dei Poli nella scienza, nel simbolismo e nell’occultismo – Edizioni Mediterranee – 1993 – pagg. 39, 40

 

572.  Karl Georg Zschaetzsch – Atlantide. La patria ancestrale degli Ariani – Editrice Thule Italia – 2021 – pag. 9

 

2 Comments

  • Daniele Bettini 13 Giugno 2023

    Segnalo la prossima uscita de
    L’Impero di Atlantide
    di Marco Vigato

    https://onebooks.it/prodotto/impero-di-atlantide-one-books/
    PROSSIMA USCITA 2023
    già presente su amazon in lingua Inglese
    https://grahamhancock.com/vigatom1/

    Gli imperi neoatlantidei
    Se Zhirov ha ragione, Atlantide non affondò in un solo giorno e notte. Piuttosto, il cedimento della dorsale medio-atlantica è durato centinaia di migliaia di anni, alternando lunghi periodi di cedimento graduale a episodi veramente cataclismici di sprofondamento di centinaia o addirittura migliaia di metri.

    Nonostante gli eventi catastrofici del Giovane Dryas e la fine dell’ultima era glaciale, la civiltà di Atlantide non svanì dall’oggi al domani. Le prove mostrano che la civiltà di Atlantide sopravvisse effettivamente agli impatti cometari all’inizio del Younger Dryas. Durante quello che chiamo il periodo neo-atlantideo , tra il 10.961 e il 9.600 a.C., i missionari atlantidei visitarono praticamente ogni angolo del mondo nel tentativo di ristabilire la civiltà pre-cataclismica.

    In questo periodo emersero due centri principali della civiltà neo-atlantidea, in Egitto e in Sud America. Fu da questi due centri primari e dai loro vari avamposti coloniali che fu intrapreso un colossale programma edilizio, volto nientemeno che a ricostruire il mondo perduto degli dei. Questa è l’essenza di molti racconti mitici che descrivono l’arrivo in varie parti del pianeta di esseri apparentemente divini, in possesso di una civiltà e di una cultura molto più avanti di quella delle popolazioni indigene locali.

    La diaspora atlantidea
    Gli eventi della fine dell’ultima era glaciale avrebbero sicuramente causato una massiccia diaspora ed esodo di persone dalle ormai condannate isole di Atlantide e dai centri costieri della civiltà neo-atlantidea verso le alture e l’interno dei continenti. Fu la disintegrazione e la frammentazione della civiltà neo-atlantica a innescare uno degli stadi più notevoli di un’accelerazione dell’evoluzione culturale e tecnologica nell’intera storia umana. Come sopravvissuti di Atlantide sparsi in vaste aree del Medio Oriente, dell’Europa occidentale, dell’America centrale e meridionale, portarono con sé una vasta conoscenza dell’agricoltura, dell’architettura e dell’astronomia, che di fatto diedero origine alla Rivoluzione Neolitica.

    Allo stesso tempo, l’affondamento anche delle ultime isole di Atlantide, un processo che si estese fino all’età del bronzo europea, inviò ondate su ondate di “Popoli del Mare” verso le coste dell’Europa e dell’Africa. Questi popoli furono i creatori di quella che da allora è diventata nota come cultura megalitica atlantica, attraverso almeno tre diverse ondate migratorie intorno al 5.000 a.C., 3.500 a.C. e 1.200 a.C. Questi “ Popoli del Mare ” Post-Atlantidei, o Pelasgi, come sarebbero noti agli autori classici, penetrarono fino al Mediterraneo occidentale e orientale, dove rimasero una forza potente almeno fino al secondo millennio a.C., lasciando tracce della loro caratteristica architettura megalitica su un’area molto vasta che si estendeva dal Isole Orcadi nel nord, Francia occidentale, Spagna meridionale, Italia e Grecia nel sud e nell’est. L’ultima delle invasioni dei “Popoli del Mare” nel XII secolo aC fu ricordata in documenti egizi contemporanei dal Tempio di Medinet Habu.

    Questo e molto altro prossimamente anche in Italiano
    https://onebooks.it/prodotto/impero-di-atlantide-one-books/
    https://grahamhancock.com/vigatom1/

  • Michele Ruzzai 16 Giugno 2023

    Molto interessante, grazie della segnalazione

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