14 Aprile 2024
Attualità Esteri Rallo

Siria e Iraq: vittime della crociata contro gli arabi laici e sciiti

Di Michele Rallo

Che cosa sta succedendo in Iraq? Semplice: con poche varianti, la stessa cosa che sta avvenendo in Siria. Continua, cioè, la sanguinosa manovra per eliminare fi­sicamente gli arabi laici e, con essi, le due comunità religiose ostili al fon­damentalismo jihadista: i musulmani sciiti ed i cristiani orientali. È una guerra sporca, sporchissima, lorda di sangue, di petrolio e dell’inchiostro bugiardo della stampa occidentale, che uccide quotidianamente la verità facendo passare quelle nefande guer­re d’aggressione per benemerite “ri­volte democratiche” contro regimi impopolari perché dittatoriali. Ma, di grazia, qualcuno vuole citarmi un so­lo Paese arabo che sia retto da un si­stema autenticamente democratico?
Sono due guerre — quella dell’Iraq e soprattutto quella della Si­ria — che tanti punti in comune hanno con quella che, tre anni or sono, fu mossa contro la Libia di Gheddafi, armando — a spese delle monarchie pe­trolifere del Golfo e dei servizi occi­dentali — un esercito mercenario di se­dicenti “ribelli” (peraltro in larga par­te formato da fanatici fondamentali­sti) che in poche settimane distrusse completamente la vita civile e l’eco­nomia di una delle nazioni più floride del mondo arabo.

Le prove generali — a onor del vero — erano già state fatte, otto anni prima, contro la prospera repubblica laico-nazionalista dell’Iraq. Il suo Presidente-dittatore Saddam Hus­sein era stato accusato di essere il pro­tettore dei terroristi sunniti di al-Qae­da e di detenere grandi arsenali di “ar­mi di distruzione di massa”. Tutti sanno che le armi di distruzione di massa non furono trovate, per il semplice fatto di essere state soltanto un’inven­zione dei servizi segreti americani. Quel che molti ignorano, invece, è che Saddam Hussein contrastasse i fondamentalisti religiosi di al-Qaeda, e che addirittura fosse un elemento essenziale di quella “cintura sanita­ria” che impediva al terrorismo jiha­dista di penetrare nelle società arabe progredite, ivi comprese quelle dei Paesi nostri dirimpettai nel Mediter­raneo. Queste cose, però, erano per­fettamente note a tutti gli “addetti ai lavori”, ivi compresi — naturalmente — gli eccelsi strateghi americani; an­che se questi, ufficialmente, si affannavano a proclamare che quella di Bush era una benemerita guerra “con­tro il terrore”. Non era vero niente, anzi era vero l’esatto opposto: era — volontariamente o involontariamente — una guerra “per il terrore”, per con­sentire ai qaedisti di dilagare in tutto il mondo arabo e, come conseguenza diretta, di tenere sotto scacco l’Euro­pa. Perché tutto ciò? Perché — è la mia personalissima opinione “eretica” — perché solamente un’Europa che si sentisse minacciata dal fondamenta­lismo islamico sarebbe stata disposta a sbracarsi ancor di più di fronte ai padroni americani, accettando non soltanto il vassallaggio militare di una NATO ormai senza più ragion d’es­sere, ma anche quello economico (che sta materializzandosi proprio in que­ste settimane) di una zona atlantica di libero scambio che è utile solo agli statunitensi.
Certo — è sempre l’eretico che parla — non posso credere che gli spioni della CIA abbiano potuto pen­sare, anche soltanto per un attimo, che il laicissimo Saddam Hussein fosse alleato del fondamentalista Bin La­den. Così come non posso credere che gli spioni di cui sopra non avessero previsto la dissoluzione dell’Iraq, una volta abbattuto il regime laicista che era faticosamente riuscito a tenere unito il Paese. L’Iraq — sia detto per inciso — uno Stato artificiale, crea­to a suo tempo dagli inglesi per moti­vi eminentemente petroliferi; creato — si badi bene — costringendo ad una convivenza forzata la regione arabo­-sunnita di Baghdad, quella sciita di Bassora e quella kurda di Mosul, per tacere della (un tempo) numerosa co­munità arabo-cristiana.
Gli strateghi americani — di­cevo — dovevano ben sapere che l’Iraq sarebbe andato in frantumi e sa­rebbe stato preda delle bande fonda­mentaliste. Esattamente come la Li­bia, otto anni appresso. Esattamente come si è tentato di fare in Siria, poco dopo. Esattamente come si tenta di fare in questi giorni nuovamente in Iraq. Lì, come in Siria, la barbarie avanza. Ed a farne le spese sono in primo luogo i cristiani: uccisi, tortu­rati, bruciati vivi nelle chiese e — i più fortunati — espulsi dai loro paesi e costretti all’emigrazione forzata.
Un’Europa imbecille, intan­to, fa il tifo per gli “eserciti dei ribel­li” e lancia gridolini di gioia per ogni arretramento delle “milizie del regi­me”, obbedendo ai fogli d’ordine americano-saudito-israeliani. Al con­tempo, gli Stati Uniti — che nel 2003 rasero al suolo l’intero Iraq — hanno fatto sapere che questa volta non in­vieranno soldati e non bombarderan­no nessuno; tutt’al più, interverranno con i droni, gli aerei senza pilota. E che il governo sciita dell’Iraq (alleato di quello dell’Iran) si arrangi come può per difendersi dai terroristi. Le guerre “contro il terrore” non si fanno più, le bombe “intelligenti” sono finite; e verrebbe da dire che oggi si usano soltanto le bombe cretine, quel­le tanto care agli americani e a chi dà loro credito.
Il Premio Nobel per la Pace Barack Obama è stato chiaro, come si conviene ad un perfetto pacifista a stelle e strisce. Le guerre si fanno sol­ tanto contro i cattivi: il Presidente si­riano Assad è certamente un cattivo, perché rifiuta di consegnare il suo Paese agli sceicchi sunniti; gli irania­ni sono cattivi per antonomasia, per­ché stanno antipatici a Israele; e il più cattivo di tutti è certamente Putin, che non vuole vendere il gas a metà prez­zo all’Ukraina che gli americani gli hanno strappato giocando sporco. Certo, tutto sarebbe stato più facile se, qualche mese fa, i russi avessero consentito al Presidente abbronzato di radere al suolo la Siria di Assad, ma quel dittatoraccio di Putin ha avu­to il cattivo gusto di mettersi di traverso. Pazienza, adesso gli americani dovranno far finta di avversare i terroristi del fantomatico ISIS (Stato Islamico dell’Iraq e della Siria), e i loro amici europei dovranno far finta di crederci.
Il tutto — a modesto parere dello scrivente — stando bene attenti a non intralciare il disegno del “Gran­de Medio Oriente”, teorizzato da cir­coli sauditi e israeliani, le cui spire dovrebbero allargarsi a nord, fino al Caucaso ed al Mar Nero. Un Grande Medio Oriente con la Russia e l’Iran fuori gioco e, comunque, non in gra­do di fare concorrenza al petrolio sau­dita, né al gas “di scisto” americano e, dopo l’entrata in produzione del nuovissimo giacimento Leviathan, neanche al gas israeliano che — ci scommetto — prenderà il posto di quello libico diretto in Europa.
Intanto, siamo tutti seduti su una pol­veriera. Anzi su due polveriere. Una è l’Iraq, l’altra è l’Ukraina. Speriamo che non ci siano scintille.

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