Nel 1929, l’allora ventenne Robert Brasillach si accingeva alla compilazione del saggio richiesto dall’Ècole Normale, e la scelta non poteva non ricadere sulla figura di Virgilio. Difatti, al Liceo “Luigi il Grande”, il giovane Brasillach, arrivato dalla provincia con la sua cultura provinciale, aveva avuto come insegnante di latino e greco André Bellesort, autore di un importante saggio su Virgilio e che era stato capace di accendere nel suo studente la passione verso la letteratura classica e in particolare per il grande poeta latino, tanto che ne Il nostro anteguerra, Brasillach ricorda con affetto e ammirazione «mentre arriva nella sua aula ad anfiteatro, con l’ombrello e la borsa sotto braccio, dondolandosi fino alla cattedra con l’andatura d’un vecchio lupo di mare» e soprattutto le sue lezioni, «mai preparate in anticipo, eppure sempre affascinanti». Bellesort era molto vicino al movimento di Maurras e non si faceva scrupolo di attaccare il governo e, si sa, i giovani restano sempre affascinati da una cultura non conformista. A Virgilio, Brasillach si era già ispirato per un poemetto pubblicato su “Tramontane” nel 1926, per un concorso di poesia e a Virgilio e a Bellesort torna in occasione del saggio che diventerà il primo libro da lui pubblicato, nel giugno 1931 in occasione del bi-millenario della nascita del poeta latino e finalmente tradotto in italiano, a colmare una delle tante lacune che ancora ostacolano la piena conoscenza e comprensione dell’opera letteraria di Brasillach, la cui morte affrontata con coraggio ha come opacizzato la sua vasta produzione.
La tentazione di leggere in Presenza di Virgilio la presenza del giovane Brasillach è indubbiamente molto forte e ad essa qualcuno non ha infatti resistito; si tratta di un errore, come evidenzia anche Attilio Cucchi nella sua introduzione. Certo, non mancano proiezioni e sarebbe ben strano non ci fossero, considerando che all’opera neutrale non hanno creduto nemmeno i primi naturalisti, ma queste riguardano l’infanzia e la giovinezza di Virgilio, l’età sul limitare della quale era ancora concesso a Brasillach di incontrare il poeta mediterraneo e romano. Difficile non ricordare l’infanzia di Brasillach negli accenti con i quali si rievocano i colori, le immagini, i solchi nell’anima prodotti dalle sensazioni della prima età e che descrivono Virgilio nella natia Mantova, nell’azienda agricola del padre, una figura che abbandonerà presto la vita di Virgilio, come era accaduto del resto allo stesso Brasillach. «Suo padre era morto. Il padre, il suo primo oggetto d’ammirazione… Suo padre, che gli aveva donato la vita, nostro solo possesso», parole che attribuite ai sentimenti di Virgilio, possono benissimo descrivere quelli di Brasillach fanciullo alla notizia del padre morto in una lontana battaglia di una guerra coloniale. In quel mondo dell’infanzia che assume sempre di più la consistenza d’un mondo poetico, c’è tutta la passione del poeta francese per l’età del sogno e per la giovinezza che sola può regalare il dono dell’amicizia. Allo stesso modo, il nazionalismo e l’amore della terra è lo stesso di un giovane che già scriveva sull’ “Action française” con una chiara coscienza politica: così quando leggiamo, certo riferito a Virgilio, che «Questa nazione la amava, la amava con tutto il suo amore fraterno, per i suoi boschi, i suoi prati, le sue strade, i suoi animali – e il patriottismo è innanzitutto ciò che si ama», come si può non riconoscervi il giovane poeta e scrittore politico, anche in quel privilegiare l’aspetto sentimentale persino nelle scelte ideologiche, in quell’appassionato esprit de finesse che in controluce si coglie in tutte le pagine di Brasillach. In altre parole di quell’irrazionalismo che permette, come scrive Kunnas, di trovare nell’opera del giovane Brasillach un’atmosfera misteriosa dove l’inesplicabile si intreccia al reale e apre, forse, alla trascendenza che non si coglie invece in Drieu o in Cèline.
In Presenza di Virgilio troviamo anche quelle prospettive politiche che certamente animavano le discussioni dell’Action française come poi di “Je suis partout”, ma testimoniano anche della simpatia e dell’attenzione con le quali Brasillach guardava all’Italia fascista. E c’è soprattutto quell’elemento che ha spinto molti intellettuali, e tra i più grandi, a guardare al fascismo con speranza e fiducia, ovvero la consapevolezza che si era entrati in un’età di crisi dalla quale solo un nuovo ordine poteva indicare la via d’uscita. Un nuovo ordine rappresentato da un homo novus con il quale potesse identificarsi una nazione e tutta una civiltà. Infatti, «nei tempi leggendari in cui i Romani erano virtuosi, sobri, coraggiosi, talmente intrisi di nobili qualità che sembrava una storia irreale, allora sì, la repubblica poteva reggersi. Ma adesso c’era bisogno di un uomo, di un capo, di uno che sapesse essere clemente coi nemici del passato, tenersi al di sopra dei partiti e innanzitutto mantenere l’ordine e la pace. Questo Cesare enigmatico e gaudente, che aveva preso il potere così come si assume il sacerdozio, forse sarebbe stato abitato da una forza: quella che risiede nell’esercizio della potenza e trasforma gli uomini». Quest’uomo «aveva una missione da compiere, quella di salvare e fondere il suo popolo», Virgilio se lo augura e rimane fedele a questa consapevolezza anche dopo Cesare, con Ottavio, uomo privo di coraggio fisico e virtù virili, uomo delle proscrizioni e degli spergiuri, «perché adesso lui si confondeva col popolo romano. Virgilio lo ascoltava quando, con voce ostinata e fulmini di collera contro i possibili ostacoli, spiegava i progetti necessari: abbassare i grandi, creare un’indispensabile classe media, ristabilire le tradizioni, la religione nazionale, rimandare i contadini nei campi disertati. Allora si proponeva di sostenere con tutti i mezzi quest’uomo, che amava d’un amore ancora spaventato». Si tratta esattamente del programma maurassiano e se vogliamo di quello del fascismo italiano, con un Duce che sarà per Brasillach più Cesare che Ottavio.
Ma il tempo passa e Virgilio supera i vent’anni. Brasillach lo segue in quei trent’anni che egli considera la fine della giovinezza, fino alla morte avvenuta a cinquant’uno anni, ormai “vecchio” e inseguito dalla saggezza sulle vie di Napoli. L’identificazione, ammesso che ci sia stata, non può esserci più; troppo lontane queste età dal giovane redattore di Af e a quel punto, molto presto, Presenza di Virgilio, per il lettore diviene un enigma e forse lo diventa per lo stesso Brasillach. Nel rivolgersi al “benevolo lettore”, una sorta di conclusione, Brasillach definisce il suo libro solo al negativo ˗ «non si è voluto fare un romanzo storico», «non abbiamo voluto scrivere un libro di storia letteraria, né di critica» ˗ quasi come se a lui stesso sfuggisse il significato del suo primo lavoro. Rinvia questo compito al lettore, dichiarando di aver voluto «che il lettore potesse cominciare questo libro come se si trattasse della storia d’un giovane italiano del 1930». Eppure nel Virgile, il legame con l’autore è forte, ma non nel senso dell’immedesimazione quanto piuttosto in quello della proiezione, certo inconsapevole. Ad esempio, nel lavoro virgiliano ad un grande poema nazionale, un parto sacro, è difficile vedere la leggerezza poetica di Brasillach, ma quel Virgilio che «aveva abbandonato l’idea che l’arte bastasse a se stessa e che la bellezza è l’unica cosa di cui essa debba preoccuparsi. Alla bellezza, egli infliggeva una funzione morale, politica, religiosa, storica, educativa. Ed era soddisfatto quando, da tutte queste barriere opposte alla poesia, riusciva tuttavia ad estrarre poesia», sembra un programma poetico per il futuro. Coniugare poesia e politica e fare dell’opera che ne emerge qualcosa di bello era forse ciò che l’intellettuale militante avrebbe partorito se non fosse stato fucilato a trentacinque anni. Brasillach come poeta impegnato del Nuovo Ordine non è un’ipotesi peregrina, anche perché di tutti i Collabòs era certamente quello meglio preparato e predisposto al compito. Certo occorreva raggiungere la maturità, acquisire «quella cosa terribile e necessaria che si chiama mestiere», per poter elevare un monumento più duraturo del bronzo. Ma quanto c’è nella Lettera a un ragazzo della classe 40, di quel Virgilio che «si rivolgeva all’avvenire, ai giovani del suo paese, ai giovani di tutti i secoli», certo un modello di eroismo, laddove il testamento spirituale di Brasillach è quello di un condannato a morte, insieme a tutto un mondo che rifiuta di morire, che chiede di salvare quanto è necessario, ma è probabilmente lo stesso lavoro che Virgilio avrebbe composto se il suo Cesare, il suo Impero avessero mancato l’appuntamento con la vittoria e con la storia. E forse, il Brasillach scrittore maturo avrebbe conosciuto quella sensualità molle che costituisce una delle cifre del suo Virgilio, ma che non gli appartiene. La sensualità di Brasillach è solare, calda, francamente erotica e non a caso la sua più bella pagina, e forse la più bella di tutta la letteratura contemporanea, si svolge a Toledo, nella Spagna più latina e mediterranea; il rapporto di René e Florence non ha nulla di decadente, nulla di morboso. È il compimento di un’opera d’arte, il compimento «di uno dei miracoli indescrivibili che sono il capolavoro della vita», il capolavoro dell’unione. Del resto, il giovane Brasillach sa bene, come scrive ancora Kunnas, che il sogno fa parte della realtà e volerli separare è il vero peccato contro la vita.
Forse, ancora, anche il vecchio Brasillach sarebbe stato inseguito dalla saggezza che lo aveva rifiutato da giovane e forse lo avrebbe inseguito in quell’Italia che egli vedrà ˗ con i suoi occhi che vedono insieme sogno e realtà ˗ come la terra della gioia e della giovinezza e che incontrerà, stupito e felice, nella sua materializzazione in un treno, osservando un gruppo di Balilla che cantano il loro inno. Forse anche Brasillach sarebbe stato capace, come il suo Virgilio, di trovare «la gioia totale nella disperazione totale» e, perché no, «nella rinuncia, nell’amarezza». In altre parole, in quell’assoluto che forse Brasillach ha solo intravisto in prossimità della fucilazione, quando affida la sua anima a Dio con la certezza di non aver mai peccato contro la speranza, ma per tornare alla consapevolezza che ciò che non gli si può strappare è l’amore e il gusto della terra: Gli anni della mia felicità,/La fiducia dei miei fratelli,/E sempre il pensiero dell’onore/E l’immagine di mia madre.
Ed ecco allora svelato, forse, l’enigma di un’opera che il suo autore sa definire solo negativamente. La Presenza di Virgilio è un presentimento di Brasillach, e in questo senso è un documento importantissimo per proiettare il giovane poeta fucilato oltre il suo tempo terreno.
Rodolfo Sideri
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