12 Aprile 2024
Anniversario Politica

Repubblica Italiana: 70 anni di ipocrisia – Roberto Pecchioli

 

La mattina della sedicente festa della Repubblica mi ha colto alla Spezia. Non è granché, la città della marina militare inventata dall’ammiraglio Brin dopo l’Unità d’Italia, ma il 2 giugno mi è sembrata il simbolo perfetto della Repubblica Italiana. Il vecchio quartiere umbertino degli arsenalotti è in mano ai dominicani, la spazzatura accumulata dovunque la fa assomigliare alla Napoli dei peggiori momenti. Mi dicono che c’è stato uno sciopero, ma la quantità di rumenta (noi la chiamiamo così) era impressionante, e non risparmiava nessuna zona, con contorno di ratti ed assemblea di gabbiani. L’azienda comunale cittadina, che si occupa di energia e di rifiuti è tra le più disastrate della Repubblica per bilancio in rosso, ed i suoi dirigenti, che qui sono tutti rigorosamente democratici, con spruzzate di Vendola, non verranno certo cacciati dal referendum di Renzi, che promette di spezzare le reni a tanti politici. Narrazioni, storytelling, cioè balle.

Gruppi di ufficiali in divisa raggiungevano il bel lungomare cittadino con aria distratta per partecipare, dovere d’ufficio, al rito annuale delle celebrazioni. Cittadini comuni, quasi nessuno, tranne pochi anziani, immagino di quelli che hanno avuto la tessera del PCI, poi PDS, quindi DS ed infine PD. La Repubblica non “tira”, e ci sono ottimi motivi. Al bar, mi imbatto nel quotidiano locale, molto progressista, ça va sans dire, da poco nell’orbita della Stampa (Fiat), che delizia i lettori con molti paginoni fieramente repubblicani, a partire da un titolo involontariamente umoristico: “scelsero il futuro”. Magari lo scelsero gli americani per noi, insieme con il ministro Romita addetto agli aiutini alla causa repubblicana (leggasi brogli) , i comunisti in armi di Secchia, il truce Pertini che voleva sparare all’incolpevole Umberto di Savoia, e non scelsero affatto militari, prigionieri, giuliani ed istriani, che non poterono votare.

Ordinaria amministrazione di un regime che agonizza, ma non muore, e sarebbe eutanasia: invece, c’è l’accanimento terapeutico nei confronti di un cadavere. La televisione, senza distinzione tra reti pubbliche e private, ci ha bombardato di retorica a fiumi, parate militari, festeggiamenti e parole in libertà di anziane signore per ore e ore, con un patriottico logo bianco, rosso verde ad un lato dello schermo, conservato anche durante i telefilm americani, a gloria del grande architetto dell’universo repubblicano.

Basta, basta, basta! E invece no, a sera abbiamo avuto il dubbio piacere di goderci un disgustoso pistolotto elettorale a favore del sì nel referendum di ottobre da parte del buffone ufficiale di corte, un altro del giglio magico, Roberto Benigni da Castiglion Fiorentino. Il violinista di regime, antico protagonista di un monumento della cinematografia universale come “Berlinguer ti voglio bene”, già autore di entusiaste emissioni televisive a favore della costituzione più bella del mondo (quella italiana, per gli ignari), si è prodotto nel consueto “one man show” dove ha unito in un minestrone indigeribile libertà, democrazia, repubblica, voto alle donne, referendum.

Ogni regime ha bisogno dei suoi giullari, o buffoni di corte: l’autoproclamata democrazia non fa eccezione, e Benigni assolve perfettamente al suo compito. Noi continuiamo a preferire Rigoletto che, capito chi è davvero il Duca di Mantova (“questa o quella per me pari sono…”) seduttore di sua figlia Gilda, trama per ucciderlo, con il tragico epilogo che conosciamo. Gilda uccisa per errore ed il povero padre disperato: il potere ha vinto un’altra volta.

Nella felice repubblica italiana nata-dalla-resistenza, il settantesimo compleanno che, anche dopo la legge Fornero, dovrebbe significare età della pensione, è stato accompagnato da una geniale trovata: ricordare l’anniversario del voto alle donne. Di qui l’alluvione di attempate intellettuali “de sinistra”, reduci di tutte le finte battaglie, esponenti politiche in disarmo, tutte riesumate nell’occasione per intrattenere gli utenti della TV sempre più di Stato.  Associare il voto alle donne alla repubblica è stato geniale. Peccato che il 2 giugno 1946 la repubblica non ci fosse ancora e gli elettori, e le elettrici, siano stati convocati dal …luogotenente del Regno! Dettagli.  Da italiano infastidito da decenni di indottrinamento, ho associato l’immondizia mattutina, quella maleodorante che sfregiava le strade della Spezia, a quella delle trasmissioni di potere, e, per un’ardita associazione di idee, mi è venuta in mente una pubblicità di una certa carta, dieci piani di morbidezza. E’ stato un attimo, temo il vilipendio e la psicopolizia, ed allora ecco un’altra libera associazione psicanalitica: i due minuti di odio obbligatorio prescritti dal Grande Fratello ai cittadini di Oceania in 1984 di Orwell nei confronti dell’arcinemico (inesistente) Emmanuel Goldstein.

Qui non è diverso, con la differenza che i due minuti erano in fondo una modica quantità, mentre i custodi dei patri lari hanno bisogno di bombardamenti molto prolungati. Da alcuni anni, inoltre, hanno riscoperto la bandiera tricolore ed il patriottismo. Ultimo rifugio dei mascalzoni, come sapeva José Ortega Y Gasset, anch’esso è diventato un obbligo, anzi un atto d’ufficio, come quello che ha portato gli ufficiali spezzini della Marina alla cerimonia locale.

I telegiornali ci hanno mostrato i mandarini e le dame di regime cantare a voce spiegata l’Inno di Mameli alla parata militare romana del 2 giugno. Unica, lodevole eccezione, Madama Boldrini, la presidenta, e per la prima volta nella vita sono stato dalla sua parte. Internazionalista, funzionaria dell’ONU, nemica giurata di muri e frontiere, immigrazionista di ferro, perché dovrebbe esser “pronta alla morte” perché “l’Italia chiamò”?  La sua altera eleganza, peraltro, sarebbe messa in crisi dall’elmo di Scipio di cui dovrebbe cingersi la testa.

Tutti gli altri, lì a mentire spudoratamente davanti alle telecamere: pensate al patriottismo di Renzi, o alla disponibilità di Padoan, della garrula signora Pinotti o dell’eterea Madia a morire per l’Italia. In più, è sempre in prima fila il presidente “emerito” Napolitano. Gran patriota, prima servitore dell’URSS e poi, dal famoso viaggio in America del 1978, degli USA, e, da ultimo, commissario del popolo…. della Commissione Europea.  Amano talmente l’Italia che hanno cancellato in pochi anni la sovranità proclamata da quella Costituzione al cui solo pensiero si commuovono sino alle lacrime.

Le leggi finanziarie le scrivono tra Bruxelles e Francoforte, l’esercito che fanno sfilare armato di fucili di latta è al servizio da 70 anni ( 70, quanti la repubblica, sarà un caso ?) di una potenza straniera, la sovranità monetaria è in mano ad una banca straniera e privata, e la Commissione dell’UE ci impone insieme le dimensioni delle zucchine, la capacità dei profilattici e l’obbligo di salvataggio delle banche con i soldi di correntisti ed obbligazionisti, vietandoci al contrario di salvare distretti industriali o settori produttivi in crisi. Sono patrioti da quando hanno completato lo smontaggio dell’Italia.

Ricordate il 2011, un secolo e mezzo di unità nazionale?  Un’alluvione di retorica e di panzane in salsa tricolore, con la stessa disinvoltura di chi pubblicizza una marca di pomodori pelati o un venditore di auto usate. Nessun accenno alla guerra civile del Sud, ma anche fantastiche acrobazie verbali per non ricordare il fatto che, guarda un po’, l’Italia era stata unita attraverso l’azione del Regno Sardo Piemontese, nel bene e nel male, più ombre che luci, ma comunque da loro, non dai partigiani dell’ANPI o dal maresciallo Badoglio (Adua, Caporetto, 8 settembre). Ciampi, uomo delle banche, lo stesso che ha distrutto la lira da banchiere centrale, venerabile maestro dei politici svenditori della sovranità nazionale e popolare, ci esortava al “patriottismo costituzionale”, Mattarella, più modestamente, ha sussurrato di dignità per i migranti. Chi pensa agli italiani, quelli in carne e ossa, magari quelli che vorrebbero un lavoro stabile?

Le parate militari, cui opportunamente non hanno partecipato i marò provvisoriamente liberi dall’India, che sono stati arrestati in quanto hanno sparato per ordine espresso della Repubblica, non nascondono l’impotenza delle nostre Forze Armate ed il ruolo di bagnini di salvamento di fronte ad un’emergenza storica come quella dell’invasione provocata dall’Africa.  Da quando l’Italia non “è” più, gran sventolio di bandiere, patriottismo obbligatorio quanto lo spirito antinazionale di prima, occhi bagnati di lacrime all’inno nazionale, e cantano senza vergogna la menzogna massima: “l’Italia s’è desta “.

Loro però dormivano della grossa, e non era il sonno del giusto, quando Ciampi, Andreatta e Draghi svendevano i gioielli di famiglia al tempo delle grandi privatizzazioni degli anni 90, o permettevano alla Banca d’Italia di decidere il tasso di sconto, inaugurando l’era del debito. Russavano tutti accettando il cambio di lire 1936,27 per un euro, dormiva D’Alema con il pio Oscar Luigi Scalfaro bombardando la Serbia e abolendo la legge bancaria che distingueva tra istituti di credito e deposito e banche d’affari. Più recentemente, i sonniferi hanno permesso leggi come il pareggio di bilancio in Costituzione, il Patto di Stabilità (quello del rapporto deficit/PIL). La narcosi doveva essere tremenda votando il Meccanismo Europeo di Stabilità, con cui regaliamo 85 miliardi di euro ad un fondo destinato a farci prestiti a strozzo, e certo dormiranno come angioletti quando si tratterà di approvare il Trattato Transatlantico di Partenariato che darà l’ultimo colpo di piccone al loro stesso potere, oltreché alla sovranità del popolo italiano.

Poi si svegliano come tarantolati per urlare a gola spiegata che Schengen non si tocca, ovvero che le frontiere non si controllano, e tacciano di ogni nefandezza chi si oppone al loro vangelo apocrifo. Ma sono le stesse frontiere per cui sono morti in tanti nel Risorgimento e nella Grande Guerra. Il Piave mormorava, quando le truppe marciavano verso la frontiera, per far contro il nemico una barriera. Marciavano, imperfetto, passato. Ora le marce riguardano i diritti degli omosessuali, nuova classe levatrice della storia, come il proletariato dei poveri Marx e Engels, che, nella tomba, devono essere molto tristi.

L’Italia, no, non si è desta; la sua classe dirigente, con duemilatrecento invitati, era tutta ad ingozzarsi al ricevimento per la festa della Repubblica al Quirinale, ben svegli. Svegli e vigili come i loro numerosi maggiordomi di rango, sindaci, alta dirigenza pubblica, generali e colonnelli taglia extralarge, presidenti e consiglieri d’amministrazione di enti pubblici e società partecipate, industriali foraggiati come i cotonieri del New Deal, banchieri falliti, parrucconi vari, nani, ballerine e buffoni di corte. Solo loro devono cantare l’inno nazionale, loro, i mantenuti della repubblica settantenne. Una vecchia signora dal gagliardo appetito attorniata da tronisti e gigolò.

Purtroppo, siamo noi a dormire. In Francia stanno lottando contro la legge sul lavoro, in Belgio sfilano a decine di migliaia contro le politiche antisociali del governo, in Germania trecentomila sudditi di Frau Merkel hanno manifestato contro il TTIP, in Gran Bretagna mettono in questione la stessa permanenza nell’Unione Europea, bulgari, austriaci, ungheresi e persino macedoni (extra UE) difendono le frontiere. In Spagna si vota per la seconda volta in pochi mesi perché non si sono formate maggioranze politiche a favore dell’austerità, in Grecia si combatte come si può, all’insaputa degli altri europei.

L’Italia no, isola felice nella quale non esiste disoccupazione, la sicurezza civica è garantita, ladri ed assassini stanno tutti al sicuro dietro le sbarre, l’immigrazione è sotto controllo ed entrano solo valenti lavoratori richiesti a gran voce da un sistema industriale in ascesa, i giovani hanno un radioso futuro e gli anziani possono usufruire di ottime pensioni e servizi sanitari rapidi ed a buon mercato. Le mafie sono un retaggio del passato e un caso di corruzione è così raro “come un dì senza vento a Catanzaro”.

L’Italia dorme, sazia ed indottrinata dal Benigni di turno, irretita oggi da Renzi come ieri dal Cavaliere. L’elmo di Scipio è fuori moda, scomodo da portare, e questo Scipio, poi, non è neppure uno stilista con griffe.

Per illustrare lo stato di questo popolo sfatto, non si sa se pensare al gran ballo del Titanic, che durò sino allo schianto contro l’iceberg assassino, o se ricordare il finale del Sabato del Villaggio leopardiano, con il triste risveglio dopo l’attesa: “Godi, fanciullo mio; stato soave, stagion lieta è cotesta. /Altro dirti non vo’; ma la tua festa/ Ch’anco tardi a venir / non ti sia grave.”

Meglio, molto meglio, per descrivere la festa volgare del potere che celebra se stesso, mettere uno accanto all’altro due quadri francesi dell’Ottocento, L’ orgogliosa, retorica, falsa “Libertà che guida il popolo” di Delacroix e la realistica drammatica Zattera della Medusa di Géricault, tutti contro tutti.

Meglio ancora, la Torre di Babele di Pieter Bruegel: ognuno estraneo a tutti gli altri.

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