18 Luglio 2024
Storia

Pregiudizi e luoghi comuni sul Medioevo – Luigi Morrone

Protestanti, illuministi, alcuni marxisti e alcuni massoni (non tutti, per fortuna …) hanno fatto a gara per costruire la leggenda di un medioevo epoca oscura, sentina di ogni inciviltà. Raffaello Morghen (1) annotava: “È universalmente noto che il Medioevo non ha mai goduto di quella che comunemente si chiama buona stampa”. Da questo fuoco concentrico i cattolici hanno sviluppato una sorta di complesso di inferiorità onde si sono autoconvinti di essere responsabili di una serie indeterminata di misfatti e di essere stati per secoli nemici del progresso. Anche i “colti” hanno recepito questa immagine negativa del medioevo: nella sua scopiazzata Storia d’Italia, Montanelli titola “L’Italia dei secoli bui” la parte dedicata al medioevo; le vestali della politically correctness inneggiarono al “coraggio” della Fallaci che alla fine di un’intervista a Khomeini disse: ” Me lo tolgo immediatamente questo stupido cencio da medioevo” (2), utilizzando il termine nel senso di “inciviltà”, così dimostrando ignoranza e maleducazione al tempo stesso. E nell’immaginario collettivo si sono radicati convincimenti a volte assurdi, ma comunque così penetrati a fondo, da essere patrimonio del “pensare comune”. Meritoria l’opera di Chiara Frugoni nello scrivere libri di taglio divulgativo per smentire tanti luoghi comuni. Io, più modestamente, utilizzerò le mie letture per sfatare alcune “leggende metropolitane” fiorite sul medioevo.

 

 

Parliamo di una credenza “pruriginosa”, che ci ha regalato un trash cult come la Ubalda ed una bella canzone di Villaggio – De Andrè, che immagina Carlo Martello che torna dalla battaglia di Poitiers avendo perso la chiave della cintura di castità imposta alla moglie.

È ampiamente diffusa la convinzione che i Crociati, prima di partire per la loro missione, imponessero alle proprie mogli una cintura che, coprendo la pudenda, aveva lo scopo di impedire rapporti sessuali. In realtà, nessuno ha mai visto una cintura di castità medievale. In qualche museo sono apparsi degli strani marchingegni a forma di mutanda di ferro e qualche buontempone li ha classificati come “medievali”.

Sono bastate analisi neanche tanto approfondite per appurare che si trattava di smaccati falsi ottocenteschi. Anche sul piano documentale, non c’è alcun testo medievale che parli di questa usanza. La prima volta in cui viene menzionata è del 1405, nel manoscritto Bellifortis di Konrad Kyeser (v. disegno). Sta di fatto che il Bellifortis è una collezione di strumenti chiaramente inventati, per lo più macchine militari (3), accompagnati da commenti palesemente sarcastici che, sulla “cintura di castità”, ironizzano sulla gelosia dei mariti fiorentini. Un marchingegno simile compare in alcuni disegni del XVI secolo, che raffigurano una donna che l’indossa in mezzo a due uomini, uno dei quali dà soldi all’altro, che a sua volta gli porge una chiave (v. figura). La donna è chiaramente una prostituta, il possessore della chiave il suo sfruttatore, che riceve i soldi dal cliente. Probabilmente è uno strumento meramente simbolico, ma ammesso che sia reale, è uno strumento professionale della prostituta, non certo un oggetto di uso ordinario.

Come sia stato possibile credere ad una tale sciocchezza, non è dato di capire:
1) Sia consentita la grevità della battuta: la “natura” era l’unica strada d’accesso per tradire il marito? Per completezza, i Crociati avrebbero dovuto imporre anche una museruola!
2) Le serrature medievali erano facilmente apribili con l’ausilio di un fabbro. Quale certezza avrebbe dato la cintura circa la fedeltà della moglie?
3) È vero che i falsi ottocenteschi sono muniti di una piccola apertura per l’espletamento delle funzioni fisiologiche, ma sarebbe stata impossibile l’igiene conseguente … Se fosse stata vera questa diceria, i Crociati sarebbero rimasti tutti vedovi, perché le mogli sarebbero irrimediabilmente morte tutte di setticemia!
4) Poiché era alto il rischio di non tornare, era uso dei cavalieri giacere con la consorte prima della partenza in modo da assicurare discendenza alla stirpe. Come avrebbe potuto partorire la dama con quell’arnese addosso?
Com’è nata questa diceria di nessuna credibilità?

Nel rituale romano di vestizione del sacerdote, l’officiante indossa sopra la tunica una cinta, pronunciando le parole: “Praecinge me, Domine, cingulo puritatis, et exstingue in lumbis meis humorem libidinis; ut maneat in me virtus continentiae et castitatis” (4)

Dante, che avvisa (5)
“O voi che avete gl´ intelletti sani,
Mirate la dottrina che s´asconde
Sotto il velame delli versi strani!” (6)
utilizza la cintura come simbolo della castità (7):
Io avea una corda intorno cinta,
e con essa pensai alcuna volta
prender la lonza a la pelle dipinta (8)

 

È attestato l’uso dei cavalieri di cingere con una corda la tunica dell’amata quale promessa di fedeltà (9). La cintura era – dunque – un simbolo di castità e di fedeltà, tanto da essere utilizzata anche nelle iconografie di Maria per simboleggiarne la purezza (10). La “cattiva stampa” sul Medioevo ha fatto il resto, e dal simbolo si è passati alla diceria.

 

Credenza diffusissima quella secondo cui nel diritto feudale il feudatario avesse il diritto di “giacere” con le novelle spose prima che lo facessero con il marito. Logicamente, ciò senza alcuna fonte, né documentale, né letteraria.Il diritto medievale è ben conosciuto. Molti istituti giuridici ancora in vigore sono nati proprio nel Medioevo(titoli di credito, società commerciali, fallimento, contratti di assicurazione) (11) Non c’è dubbio che, ove fosse stato codificato, di un istituto del genere ci sarebbe traccia nei trattati dei giuristi medievali. Né in letteratura è dato trovare qualcosa di simile.

Un accenno ad un’usanza simile si ritrova nel Gilgamesh (1500 anni prima che cominciasse il Medioevo!). Il re di Ur protagonista del poema aveva imposto ai suoi sudditi tale prassi. Ma anche nel poema è narrata come abuso, non come diritto, tanto è vero che il poema comincia proprio con la ribellione dei cittadini di Ur a tale abuso. La letteratura medievale conosce pagine e pagine in cui si parla liberamente di sesso: il Decameron, i Canterbury Tales, tra i più famosi. Ma anche nei Fabliaux e nelle Cent Nouvelles nouvelles (o Les Cent Nouvelles du roi Louis XI) si parla a profusione di sesso, di beffe basate su stratagemmi licenziosi. Non c’è alcun cenno al presunto diritto del feudatario. Non solo, ma in alcune novelle sono descritte situazioni che contraddicono l’esistenza di tale diritto. La 55^ novella, per esempio, narra di un signore che, per avere favori sessuali da una popolana, le fa credere che ciò l’avrebbe preservata dalla peste. È del tutto evidente cheil signore non avrebbe escogitato questo stratagemma, ove avesse avuto il diritto di pretendere rapporti sessuali con i propri sudditi. La diceria – invece –appare nella letteratura più tarda. Vi è un cenno in “Le mariage de Figaro” di Beaumarchais. Voltaire scrive nel 1762 la commedia in cinque atti “Le droit du seigneur” basata appunto sulla presunta sussistenza dello ius primae noctis. In epoca più recente, ne parlano Ken Follet in“I Pilastri della Terra” e Cataldo Amoruso in “Il Conte di Melissa”. Anche la filmografia riprende la leggenda, come Mel Gibson in Braveheart. Pasquale Festa Campanile basa su tale credenza tutta una commedia scollacciata dal titolo Ius Primae Noctis.

Dunque, nessuna traccia, né nelle fonti storiche, né in quelle letterarie. In una società cristianizzata, tra l’altro,sarebbe del tutto impensabile una tale profanazione del sacramento del matrimonio. Viepiù, le cronache riportano di rivolte contadine durante tutto l’arco del medioevo, rivolte che iniziavano con un cahier de doléance in cui erano elencati i motivi del malcontento. In nessun caso è attestata la richiesta di abolizione di un privilegio feudale che, se esistente, sarebbe stato davvero odioso (12). Una leggenda, dunque. Ma come è nata? Etnologicamente, è attestato il rito della “prelibazione” attraverso il quale la rottura dell’imene era demandato ad un determinato personaggio, che variava a seconda dei luoghi (una cosa del genere è narrata da Erodoto presso gli Etiopi 13). Poiché spesso tale rito era affidato ai capi tribù (il re degli Etiopi, secondo Erodoto), probabilmente, con la formazione della “leggenda nera” del feudalesimo come sopruso nei confronti degli amministrati, sono sorte anche le leggende sull’esistenza di un sopruso ulteriore come lo ius primae noctis.

Il primo libro di storia in cui è menzionata l’esistenza di questo “diritto” è Scotorum Historiae (1527), nelle quali lo scozzese Hector Boece disegna la storia della Scozia dalle origini all’avvento al trono del re Giacomo III. Boece ne attribuisce l’istituzione a Evenio III, e l’abrogazione a Malcolm III Canmore, il marito di Margherita di Scozia. Sta di fatto che abbiamo abbastanza documenti su Malcolm III Canmore, re di Scozia dal 1058 al 1093. Ma non esiste alcun documento circa l’abrogazione dello ius primae noctis che sarebbe preesistito al suo regno. Non solo, ma non è mai esistito un re di Scozia di nome Evenio III. In realtà, dopo Boece, molti storici, soprattutto locali, fecero propria questa credenza. Ma, al riguardo, nessuno storico ha mai detto che lo ius primae noctis fosse attestato “hic et nunc”. L’istituto è riferito, di solito, a popolazioni “selvagge” (rito della “prelibazione”), o ad un’epoca lontana (con tanto di lodi ai “riformatori” che l’avevano abrogato, di solito antenati di qualche esponente del potentato locale) (14). Gli storici cinque-seicenteschi sono stati tratti in inganno dalla presenza, nella fiscalità feudale, di una sorta di tassa sul matrimonio. Poiché le prestazioni patrimoniali di solito erano il corrispondente nummario di prestazioni personali, si pensò che tale tassa sostituisse il primigenio ius primae noctis (15). È inutile dire che protestanti e illuministi si gettarono sulla “leggenda nera” e ne fecero oggetto dell’opera di denigrazione dell’intero medioevo.

“V’immaginate il levar del sole nel primo giorno dell’anno Mille? Questo fatto di tutte le mattine ricordate che fu quasi un miracolo, fu promessa di vita nuova, per le generazioni uscenti dal secolo decimo? … E che stupore di gioia e che grido salì al cielo dalle turbe raccolte in gruppi silenziosi intorno a’ manieri feudali, accasciate e singhiozzanti nelle chiese tenebrose e nei chiostri, sparse con pallidi volti e sommessi mormoni per le piazze e alla campagna, quando il sole, eterno fonte di luce e di vita, si levò trionfale la mattina dell’anno Mille!”. Con queste parole di Giosuè Carducci (16) si può sintetizzare la “madre di tutte le leggende” sul medioevo. Secondo molti (a cui mostra di credere anche Montanelli 17 …) alla vigilia dell’anno Mille tutta l’Europa viveva nel terrore che non sarebbe mai cominciato il secondo millennio. Sarebbe arrivata la fine del mondo il 31 dicembre 999. Perché? Nell’Apocalisse c’è un passo in cui si dice che il regno di Cristo sarebbe durato mille anni. E siccome Dionigi il Piccolo, aveva calcolato (con molta imprecisione) l’anno di nascita di Gesù, ecco qui la credenza.

Logicamente, i denigratori del medioevo non fanno mancare la denigrazione della Chiesa Romana: tutti aspettavano la fine del mondo e per purificarsi dai peccati, avrebbero arricchito la Chiesa con abbondanti donazioni. Va premesso che la fine del mondo è effettivamente attesa dai Cristiani, che hanno una concezione lineare della storia, che parte dalla Creazione e finisce con la παρουσία – il ritorno di Cristo. Et iterum venturus est cum gloria, iudicare vivos et mortuos recita il Simbolo Niceno. Il punto è che nessuno si è mai sognato di predire una data per questo evento. O meglio, qualche esaltato di quando in quando se ne esce fuori con cose del genere, ma nessuno è stato mai preso sul serio in grande scala. Già Agostino d’Ippona aveva chiaramente ammonito a non interpretare alla lettera le sacre scritture (v. infra), ma le persone sane di mente hanno sempre confutato questi annunciatori della fine del mondo. Logicamente, non si trova alcun testo che predica la fine del mondo l’1.1.1000. Non solo, ma una serie di eventi smentisce in modo clamoroso questa vera e propria “invenzione” (vedremo poi il responsabile). Innanzitutto, non si capisce quale fosse questa “alba del 1000” in cui avrebbe dovuto finire il mondo. Montanelli immagina che le scene descritte da Carducci sarebbero avvenute la notte di san Silvestro, ma è un chiaro anacronismo, perché la convenzione dell’inizio dell’anno al 1° gennaio è molto più tarda.

A Costantinopoli, non contavano gli anni dalla nascita di Gesù, ma dalla Creazione e l’anno cominciava il 1° settembre. Ma anche in Europa l’anno non cominciava dovunque nel medesimo giorno: a Roma il 24 dicembre, a Firenze il 24 marzo, in Francia il giorno di Pasqua. Ma vediamo che succedeva a ridosso dell’anno 1000. Nel 976 sale al trono imperiale d’Oriente Basilio II, che regnerà per quasi cinquant’anni. Si dà da fare parecchio. Verrà nominato bulgaroctono perché debellerà definitivamente la minaccia bulgara sull’impero. Nel 988 scoppia la guerra di Crimea con i Ru’s di Kiev, che Basilio chiude dando in sposa allo Zar Vladimir il Grande la sorella Anna Porfirogeneta. I Russi convertono al cristianesimo ed insieme cominciano la grande campagna contro i Bulgari, che vengono quasi annientati nel 999 (sic!), quando deve dedicarsi agli islamici che avevano invaso la Siria. Nel frattempo stipula un trattato commerciale con Venezia. Intraprende una campagna contro i Fatimidi ricacciandoli dalla Siria una prima volta nel 996 ed una seconda nel 999. Intraprende trattative matrimoniali con l’imperatore d’occidente Ottone III, mette lo zampino nella elezione del vescovo di Roma prendendo parte attiva al “ribaltone” che portò sul soglio di Pietro il calabrese Giovanni Filagato nel 998 (ne riparleremo) (18).

 

Ma vi pare che fosse uno che aspettava la fine del mondo? E se ci fosse stata davvero l’attesa per la fine del mondo, soldati imperiali e russi si sarebbero davvero imbarcati in queste guerre contro bulgari e Fatimidi? E veniamo in Occidente. L’impero era risorto con i Sassoni, a cominciare da Ottone I. Ottaviano dei conti di Tuscolo, eletto vescovo di Roma nel 955, con il nome di Giovanni XII, aveva incoronato imperatore il sassone nel 963, riesumando la corona imperiale. E – praticamente – si erano scambiati i favori: Ottone aveva aiutato Ottaviano a restare sul soglio di Pietro e questi, in cambio, gli aveva concesso di mettere becco sull’elezione dei suoi successori (privilegium Othonis 19).

Arriviamo a ridosso della presunta “fine del mondo”. 996: muore il vescovo di Roma Giovanni XV. Imperatore è Ottone III, che si avvale del privilegio del suo antenato e briga per far eleggere il cugino Brunone di Carinzia, che sale al trono papale con il nome di Gregorio V. Basilio II bulgaroctono vuole riaffermare il privilegio imperiale nell’ambito una diatriba tra i due imperi che dura dai tempi di Carlo Magno (20) e appoggia una rivolta del patriziato romano, capeggiata da Crescenzio II Nomentano che porta alla deposizione di Brunone ed elegge il rossanese Filagato, “sponsorizzato” anche dal suo concittadino Nilo. Ottone reagisce, convoca un sinodo di vescovi che dichiara abusiva l’elezione di Filagato, muove verso Roma e rimette sul trono il cugino nel 998 (21).

Vi pare gente che sta aspettando la fine del mondo? Ma andiamo avanti: Brunone muore presto, nel 999, e Ottone fa eleggere vescovo di Roma il suo precettore, l’aquitano Gérbert d’Aurillac. Grande filosofo, teologo, matematico, che assume il nome di Silvestro II. Gérbert, in sinergia con Ottone, e senza alcuna pretesa di supremazia sacerdotale sull’Impero, promuove una serie di iniziative atte a riprendere il dialogo con il mondo islamico (conosceva benissimo l’arabo ed il persiano, nonché la cultura islamica), riprende il progetto carolingio della renovatio imperii, introduce l’abaco in Europa (c’è chi sostiene che abbia introdotto anche i numeri arabi, ma il dato è controverso), appiana diatribe all’interno della Chiesa, favorisce la nascita di chiese nazionali, fonda abbazie, rinnova privilegi pluriennali alle istituzioni ecclesiastiche già esistenti:

• nel 999 conferma alla cattedrale di Reims il Privilegio di unzione dei re di Francia;
• il 15-18 Aprile 999 attribuisce all’abbazia di Helmarshausen, San Lamberto Martire il Privilegio di elezione dell’abate);
• il 19 Aprile 999 attribuisce all’abbazia di San Salvatore e San Benedetto di Leno il attribuisce all’abbazia di amministrazione del fondo;
• il 26 Aprile 999 attribuisce al monastero di San Pietro e San Servato Confessore di Quedlinburgil Privilegio di eleggere la badessa;
• il 31 dicembre 999, cioè proprio quando, secondo Carducci, avrebbe dovuto stare a tremare aspettando la fine del mondo, conferma all’abbazia di Fulda il Privilegio di elezione dell’abate. (22)

Vi pare uno che aspetta la fine del mondo? Ma, anche nella vita di tutti i giorni, non c’è traccia dell’esistenza di questa attesa tremebonda. Solo un esempio: proprio nel 999, l’abbazia di Sam Tommaso in Foglia, a Montelabbate, concede in affitto alcuni terreni per la durata di trent’anni. Vi sembra gente che aspetta la fine del mondo? Come nasce questa leggenda? Nasce da alcuni presunti “indizi” storici che è veramente incredibile come abbia potuto avere successo nella storiografia successiva (23), tanta è la pretestuosità di chi li ritiene probanti. Manco a dirlo, è un figlio della Rivoluzione Francese a cominciare: riprendendo una semplice frase di William Robertson di 50 anni prima, Jules Michelet, nella sua Histoire de France (24), dice sostanzialmente che tutti aspettavano la fine del mondo per l’anno Mille, e dice anche il perché. Secondo Michelet, nel Medioevo erano tutti creduloni e superstiziosi, stavano tutti malissimo ed abbracciarono questa idea quale placebo per il riscatto dalla miserrima condizione in cui versavano. La “balla di Michelet” (25) ebbe subito successo: Simondo Sismondi, Camille Flammarion, Victor Duruy, Ferdinand Gregorovius, recepirono acriticamente non solo la bulala, ma anche la sua “motivazione”.

Solo negli ultimi decenni gli storici paiono rinsaviti. E non del tutto: ancora si trovano libri di taglio divulgativo che riportano questa idiozia. Del rinsavimento dobbiamo dare atto agli italiani (Gioacchino Volpe, Raffaello Morghen ed Ernesto De Martino in primis e – più di recente – Franco Cardini, Chiara Frugoni ed Alessandro Barbero), ma anche i francesi, come Le Goff, che spiega con dovizia di riferimenti come il termine “mille”, ricorrente nell’Apocalisse, non indichi un numero preciso, ma significhi “molti” (26) (anche le armi dell’Anticristo sono “mille” nel testo giovanneo).

Molti manuali scolastici così raccontano la scoperta dell’America. Colombo sapeva che la Terra era sferica, ma l’oscurità del medioevo impediva agli scienziati di dirlo onde, quando propose di andare in Oriente passando per l’Occidente sfruttando la sfericità della Terra, tutti lo presero per pazzo, perché tutti sostenevano che la Terra era piatta. Solo Isabella di Castiglia gli diede retta e gli finanziò la spedizione. È una balla colossale. A dire il vero, per smentirla, basterebbe poco, senza lunghi discorsi: basterebbe guardare una qualunque immagine di un imperatore, d’Oriente o d’Occidente. L’imperatore è ritratto con un globo in mano, per lo più sormontato da una croce.

Ottone I in una miniatura dell’XI secolo

Ma andiamo per ordine.
Che la Terra fosse sferica, lo sapevano già i Greci. C’è una diatriba su chi sia stato il primo a intuirlo, tanto che Diogene Laerzio dice: “Ἀλλὰ µὴν … πρῶτον… τὴνγῆνστρογγύλην· ὡςδὲ Θεόφραστος Παρμενίδην· ὡςδὲ Ζήνων, Ἡσίοδον” (27). Ma, di chiunque sia la paternità della “scoperta”, era un dato acquisito nella cultura greca e, più tardi in quella romana: Platone, Aristotele, Cicerone, tutti parlano della sfericità della Terra. Addirittura, Eratostene, nel III secolo a.C., misurò la circonferenza della Terra, costruendo una macchina detta “sfera armillare” (v. figura) che calcolava il moto dei pianeti e dei corpi astrali, al centro della quale era riprodotta la Terra, naturalmente di forma sferica … ça va sans dire …

 

Ma a tali semplici considerazioni soccorre l’ars denigrandi il Medioevo. Sì, gli antichi lo sapevano, ma nel Medioevo erano tutti superstiziosi ed ignoranti, interpretavano la Bibbia alla lettera e perciò preferivano credere che la Terra fosse piatta, dimenticando gl’insegnamenti degli antichi. Oh, non è che i cristiani non ci abbiano provato, a cominciare da quell’esaltato di Lattanzio, ma già Agostino d’Ippona pone un freno. Nel suo “De Genesi ad litteram”, dice sostanzialmente: cari cristiani, non interpretate alla lettera le scritture, se non per le questioni di fede – sulle questioni naturali, lasciate fare agli scienziati, altrimenti gli scienziati pagani, che non conoscono le scritture, ma conoscono bene le loro scienze, come potranno credervi su questioni spirituali come l’immortalità dell’anima se vedono che le scritture contraddicono i principi naturali? (28).

In effetti, la lezione di Agostino servì, perché – almeno sulla sfericità della Terra – quelli che la negavano sulla base delle Sacre Scritture non ebbero molto seguito. Vediamo un po’ che succede in quei “secoli bui”. Beda il Venerabile, un monaco inglese vissuto nel VII secolo, scrive un trattato, De temporum ratione, in cui dice chiaramente che la terra è un globo. Il trattato ha larghissima diffusione, viene tradotto anche nelle lingue nazionali e si può dire che per secoli non mancò mai in qualunque biblioteca appena fornita. Andiamo avanti. Gérbert d’Aurillac, di cui abbiamo già parlato riguardo alla leggenda della “paura dell’anno Mille”, prima essere eletto vescovo a Roma fu un apprezzato scienziato, filosofo, matematico. Uno dei più grandi intellettuali della sua epoca, se non il più grande. Nella sua attività didattica, tra il 972 ed il 982 scrisse ad un suo allievo, il monaco Costantino, una lettera, “De sphaerae constructione” (29), in cui tratta del moto dei pianeti e spiega la tecnica costruttiva della sfera armillare di Eratostene. Probabilmente l’aveva imparato dagli arabi, ma sta di fatto che un vescovo a Roma, 20 anni prima della sua elezione aveva istruito un monaco a costruire la sfera armillare.

Andiamo ancora avanti. Giovanni di Sacrobosco, studioso inglese d’origine, ma francese di adozione, vissuto nel XIII secolo, scrisse il Tractatus de sphaera, in cui descrive il movimento dei pianeti dando per scontata la sfericità della Terra. Contemporaneamente, l’italiano Guido Bonatti scrive il Liber decem continens tractatus astronomiae, in cui, contaminando astronomia ed astrologia, individua – comunque – l’universo come un insieme di sfere. I due trattati ebbero grandissima diffusione, tanto da essere tra i primi testi stampati nel XV secolo. Anche in letteratura, i testi medievali che si occupano di viaggi immaginari, come il Mainauer Naturlehre – libro svizzero di viaggi XIV secolo, danno per scontata la sfericità della Terra. La stessa struttura della Commedia dantesca non può concepirsi se non immaginando la Terra come una sfera, e tale fu raffigurata dagli illustratori medievali (v. immagine).

E allora? Perché Colombo trovò difficoltà nel finanziamento del suo progetto? Semplicemente perché Colombo o si sbagliava o barava. Tutti sapevano che la Terra era sferica, ma fino a Magellano nessuno poteva sapere quanto fosse grande. I portoghesi scartarono il progetto perché, doppiando il Capo di Buona Speranza, sapevano bene che i calcoli di Colombo sulla circonferenza della Terra erano sbagliati. Detto per inciso, Eratostene aveva sbagliato di poco: aveva calcolato in circa 40.500 Km la circonferenza della Terra (in realtà è 40.009 – errore dell’1,21%). Colombo, invece, l’aveva calcolata (o, comunque, diceva di averla calcolata) in meno della metà (30). Qualcuno ha sostenuto che, se non avesse scoperto l’America andandoci a sbattere, Colombo sarebbe morto di sete, perché aveva stimato di dover compiere un viaggio molto più breve di quello che avrebbe dovuto compiere se avesse dovuto raggiungere “le Indie”. Qualcun altro, invece, ha sostenuto che Colombo sapesse o intuisse l’esistenza di un continente tra Europa ed Asia Ma ai fini della confutazione di questa leggenda denigratoria sul Medioevo non importa. Chi si oppose al viaggio di Colombo riteneva (a ragione) che Colombo sbagliasse i calcoli e che, dunque, per “Buscar el levante por el poniente”, come voleva lui, si sarebbe dovuto attrezzare per un viaggio molto più lungo (e, dunque, più costoso), non perché “gli altri” ritenessero piatta la Terra! Ma com’è nata questa leggenda? È davvero difficile risalire alla sua origine. Si è diffusa senza che nessuno abbia assunto la paternità di questa ennesima balla sul Medioevo,

Note:

1 – Medioevo cristiano, Laterza, Bari 1984, p. 15
2 – Corriere della Sera 26 settembre 1979, intervista di Oriana Fallaci a Ruhollah Khomeini
3 – White Jr., Lynn, ‘Kyeser’s “Bellifortis”: The First Technological Treatise of the Fif-teenth Century’, Technology and Culture, Vol. 10, No. 3 (1969).
4 – Cingimi, Signore, con il cingolo della purezza e prosciuga nel mio corpo la linfa della dissolutezza, affinché rimanga in me la virtù della continenza e della castità
5 – Inf., IX, 61-63
6 – L’avviso di Dante è chiaramente riferito a vari “livelli” di lettura dei suoi versi – cfr. René Guénon, “L’esoterismo di Dante”, Adelphi 2001
7 – Inf., XVI, 106-108
8 – La lonza simboleggia la lussuria e, dunque, il cordiglio, per contrapposizione, la castità – cfr. Giuseppe Vandelli, edizione 1983 della Divina Commedia a cura della società dantesca italiana. Il dato è contestato da Mario Alinei, Dante rivoluzionario borghese, Per una lettura storica della Commedia, Edizioni Piemme, Velletri 2015, pp. 52 ss., che tenta una lettura “politica” dell’allegoria. Ma, come detto, i “livelli” di lettura della Commedia sono diversi e l’una cosa non escluderebbe l’altra.
9 – Il rito è descritto nel Lai de Guigemar di Maria di Francia.
10 – Segnaliamo un raro libro del 1660 addirittura monografico su questo simbolo: Beniamin Zacco,“L’eccellenze della sacra cintura di Maria vergine santissima madre di Dio, e di consolatione”.
11 – Paolo Grossi “L’ordine giuridico medievale”, Laterza, Bari-Roma 2017, p. 151
12 – Una trattazione esaustiva sulle rivolte medievali contro i signori: AA.VV., “Rivolte urbane e rivolte contadine nell’Europa del Trecento: un confronto”, a cura di Monique-Bourin, Giovanni Cherubini, Giuliano Pinto, Firenze University Press, 2008
13 – Er., III, 20
14 – cfr. Giuseppe Sergi. “L’idea di Medioevo, fra storia e senso comune”, Donzelli 1997, pp. 5 ss.
15 – Ritiene che sia questa la ragione dell’origine della leggenda Guido Astuti, voce “Ius primae noctis” in “Enciclopedia Giuridica Italiana”, Giuffrè Milano 1968
16 – Introduzione ai suoi discorsi “Dello svolgimento della letteratura nazionale”, per gli studenti dell’Università di Bologna. Si può trovare, tra l’altro, in Antologia Carducciana; poesie e prose scelte e commentate da Guido Mazzoni et Giuseppe Picciola, Zanichelli, Bologna 1957, pp. 429 ss.
17 – Montanelli – Gervaso, “L’Italia dei secoli bui”, Rizzoli, 1967, cap. XLIV
18 – Su Basilio II “bulgaroctono”, esiste la monografia di Giulio Impaccianti del 1809 – cfr. Gustave Léon Schlumberger,“L’Épopéebyzantine à la fin du Xesiècle. Seconde partie, Basile II le tueur de Bulgares”, Hachette, Paris 1900
19 – Marina Montesanto, “La lotta per le investiture”, Corriere della Sera – Grandangolo, Milano 2015, pp. 46 ss.
20 – Sul punto: Franco Cardini e Marina Montesano, “Carlo Magno e il Sacro Romano Impero”, Corriere della Sera – Grandangolo, Milano 2015
21 – Sul succedersi degli avvenimenti, cfr. Wolfgang Huschner, “Papa Gregorio V”, in “Enciclopedia dei Papi” a cura dell’Istituto Treccani
22 – Massimo Oldoni, “Papa Silvestro II”, in “Enciclopedia dei Papi” a cura dell’Istituto Treccani.
23 – Si riportano canoni ritrovati qua e là in cui si parla genericamente di fine del mondo imminente, ma frasi del genere si ritrovano anche nei secoli precedenti, e continueranno nei secoli successivi al X – già nel VII secolo è cristallizzata in atti notarili la formula “appropinquante fine mundi” – cfr. Giovanni Tamassia,“La formola Appropinquante fine mundi nei documenti del medio Evo” Vallardi, Torino 1887.
24 – Ripubblicata integralmente nel 2008 dalle Éditions des Équateurs. Michelet dice: “C’était une croyanceuniverselleaumoyenâge, que le monde devait finir avecl’an 1000 de l’Incarnation” – Nel Medioevo c’erauna credenza universale, che il mondo avrebbe dovuto finire con l’anno 1000 dall’incarnazione (p. 82 del vol. II).
25 – “La paura dell’anno Mille è una balla. Messa in giro nell’800 da Michelet”– Franco Cardini, intervistato da Antonio Rapisarda – Secolo d’Italia 16 dicembre 2012.
26 – Jacques Le Goff, “L’Uomo Medievale”, Laterza. Bari-Roma 1993, p. 24
27 – Vite dei Filosofi, VII, 48 – (Pitagora) sarebbe stato il primo … a dire sferica la terra, ma per Teofrasto quest’ultima affermazione sarebbe di Parmenide, e per Zenone di Esiodo
28 – De Genesi ad litteram, I, 18, 37-39. Il passo qui sintetizzato è: “Plerumque enim accidit ut aliquid de terra, de coelo, de caeteris mundi huius elementis, de motu et conversione veletiam magnitudine et intervallis siderum, de certis defectibus solis ac lunae, de circuiti busannorum et temporum, de naturis animalium, fruticum, lapidum, atque huius modica eteris, etiam non christianus ita noverit, ut certissima ratione velexperientia teneat. Turpe est autemnimis et perniciosum ac maxime cavendum, ut christianum de his rebus quasi secundum christianas Litteras loquentem, ita delirare audiat, ut, quemad modum dicitur, toto coelo errare conspiciens, risum tenere vix possit. Et non tam molestum est, quod errans homo deridetur, sed quod auctores nostri ab eis qui forissunt, tali a sensisse creduntur, et cum magno eorum exitio de quorum salute satagimus, tamquam indoctire prehendunturat que respuuntur. Cum enim quem quam de numero Christianorum in ea re quam optime norunt, errare comprehenderint, et vanam sententiam suam de nostris Libris asserere; quo pactoillis Libris crediturisunt, de resurrectione mortuorum, et de spe vitae aeternae, regnoque coelorum, quando de his rebus quasi amexperiri, velin dubitatis numeris percipere potuerunt, fallaciter putaverint esse conscriptos? Quid enim molestiae tristiti aeque ingerant prudentibus fratribus temerarii praesumptores, satis dici non potest, cum si quando de prava et falsa opinatione sua reprehendi, et convinci coeperint ab eis qui nostrorum Librorum auctoritate non tenentur, ad defendendum id quod levissima temeritate et apertissima falsitate dixerunt, eosdem Librossanctos, unde id probent, proferre conantur, veletiam memoriter, quae ad testimonium valere arbitrantur, multa inde verba pronuntiant, non intellegentes neque quae loquuntur, neque de quibus affirmant”.
29 – Gérbert d’Aurillac, Lettere, traduzione a cura di Paolo Rossi, Plus, Pisa 2009, p. 190
30 – Antero Reginelli, “Colombo – Diario del viaggio che ha cambiato il mondo” – Independently published, 2017, p. 5.

Luigi Morrone

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *