11 Maggio 2024
Appunti di Storia

ASPETTANDO LA RIVOLUZIONE: (l’assassinio di Federico Florio, Prato 11 gennaio 1922) – 2^ parte – Giacinto Reale

 

 

Che i nostri avversari si mostrino: noi li attendiamo tranquillamente. E li avvertiamo intanto che i fascisti sono disposti ad accettare qualsiasi sfida e qualsiasi condizione di scontro. Essi non hanno che a presentarsi direttamente a noi per trattare e decidere in merito.

(Manifesto affisso dai fascisti pratesi a novembre del 1921)

 

 

  1. “fascisti, questa volta muoio”

 

Tornato in Patria, nel gennaio del 1921, dopo una breve permanenza a Firenze, Florio si impegna a fondo nella lotta antibolscevica nella sua città, con un contorno fatto di sfide personali alle quali non si sottrae, dimostrando, in più occasioni, uno spavaldo coraggio, pronto allo scontro fisico, che sembra contrastare col suo aspetto “sottile ed elegante”, nel ricordo –confermato dalle foto – di Piazzesi.

Non è un tipo facile: “serio, inflessibile, duro quanto serve; poco amato, molto rispettato” scriverà di lui Gigi Salvagnini.

La prova più frequentemente citata di questa sua “durezza” in azione così come nella vita di ogni giorno, sarebbe il frustino che porta sottobraccio, sempre con sé, alla maniera degli Ufficiali di Cavalleria.

Il particolare è certamente vero, tanto che, un contributo compreso nel libro a lui dedicato dalla sorella, e dovuto alla penna di un suo uomo ai tempi delle squadre, Dino Petracchi, si intitolerà proprio “Il frustino morale di Federico Guglielmo Florio”.

Più incerto è che ne facesse disinvoltamente uso contro i suoi avversari.

Ma la voce si diffonde, con una tale forza di suggestione da essere accreditata perfino negli ambienti fascisti. Umberto Banchelli, ancora nel 1964, in una conversazione con Sandro Norci, pubblicata sul “Giornale del Mattino” del 18 settembre, dirà di lui: “Oltre ad andar fuori armatissimo, come del resto facevamo tutti noi, portava un frustino, e per un nonnulla frustava la gente. Questo sistema di umiliare la gente gli procurò molti odi”.

È comunque lecito pensare che il vecchio squadrista abbia ceduto, nell’esprimere un giudizio così duro, pure a più di 40 anni di distanza, a vecchi rancori, che nascevano dal fatto che Florio era uno dei più fidati collaboratori di Tamburini, suo irriducibile avversario nelle beghe del Fascio fiorentino.

Di contro, magnifica testimonianza della sua capacità di essere amato – almeno dagli uomini della sua stessa tempra – sarà il messaggio, contenuto in un bossolo e firmato “i fratelli Francesco Giunta e Guido Keller” che i due protagonisti dell’avventura fiumana lasceranno cadere sulla folla, insieme a due corone di fiori, in occasione dei funerali:

 

Fratello nella morte come lo fosti nella vita….

Sul tuo cuore siano deposte queste foglie di lauro romano portate da Fiume. Sono i lauri della santa entrata. Così accompagnino ancora Te col loro profumo di gloria nel cielo della Patria e dell’amore. Sono appassite le foglie nel tempo. Ma rinverdiranno! E la nuova primavera della Patria che rifiorisce lungo la via che la tua passione ha segnato, dilaga e purifica come il fuoco.

A chi la fede? A chi l’amore?

A noi! (1)

 

La presenza di Florio in città segna veramente un punto di svolta nel confronto, che si va facendo via via più violento, tra le contrapposte parti politiche.

Il personale carisma dell’ex Ardito è confermato dal fatto che, ai primi di luglio, egli sarà ricevuto da Mussolini, al quale ricorderà la sua presenza a Milano alle elezioni del 1919, e dal quale riceverà un messaggio per i fascisti pratesi.

Aldilà di questo, c’è da dire che l’arditezza e la spregiudicatezza dimostrata in più occasioni, fanno la differenza rispetto al precedente clima cittadino, sì che intorno alla sua figura fiorisce ben presto una vera e propria aneddotica che si accresce di particolari nuovi, di passaggio in passaggio.

Un solo esempio, riportato nell’episodio che, più di dieci anni dopo la sua morte, verrà riproposto nel volume che “La Nazione” dedicherà all’Olocausto di Firenze:

 

In un caldo mattino estivo, gli Arditi del Popolo pratesi vollero fare la loro comparsa ingloriosa. Una colonna di seicento si snodò, come un serpe, improvvisamente, al sole, dal suo covo fino alla piazza San Domenico.

Florio, per primo, affrontò la teppa rossa!

Era pallido e calmo nel momento tragico. Si piantò, eretto e rigido, con la rivoltella in pugno, dinanzi ai tristi. Solo il suo occhio scintillava, dominava con uno sguardo freddo e tagliente la massa.

E all’eroe arrivarono le parole che solo anime abbrutite da una predicazione infame potevano gettare:

“Vieni avanti, vigliacco!”

E Florio avanzò, lentamente, grande ed eroico, incontro alla morte forse, all’immortalità certo.

E i vili indietreggiarono sotto lo sguardo sprezzante, dominatore, finche, al sopraggiungere di altri fascisti, che coraggiosamente coadiuvarono il loro comandante, voltarono le terga, fuggendo ignominiosamente.

Nell’atto leggendario è l’anima pura dell’eroe. (2)

 

Se, anche non si può escludere una certa retorica descrittiva, il fatto è vero, e verrà confermato dagli episodi che, con tragica concatenazione, porteranno alla morte di Florio.

Va prima detto che la sua presenza in città, per la fama che si è guadagnato in guerra e a Fiume, ha anche un altro effetto, e cioè quello di collegare la realtà fascista pratese a quella nazionale e fiorentina in particolare.

Sono proprio i camerati del capoluogo di Regione ad intervenire in zona, automontati su una decina di camion, il 17 aprile, con una spedizione nella valle del Bisenzio e a Vaiano “fulcro del verboso pussismo”:

 

Per assicurare tutti i particolari possibili alla riuscita della spedizione, due settimane innanzi, travestiti da innocenti turisti, Tamburini e Banchelli si erano recati, dopo una vasta ricognizione, sul luogo.

I primi autocarri che entrarono in Vaiano furono accolti dal crepitante scrosciare di colpi di fucile, tanto che restarono per fortuna leggermente feriti Benini, Sciuti e Sorbi.

Due case, abitazioni di comunisti locali, loschi figuri, subirono, per effetto di certo dinamismo che prendeva forma concreta ad ogni nostro apparire, una radicale trasformazione.

I tanti guerrieri rossi conclamati dagli oratori sovversivi di Prato e Firenze se la dettero a gambe, ma qualche penna fu strappata lo stesso, sfatando una buona volta la leggenda che guai a quei fascisti che avessero avuto l’ardire di penetrare nella val di Bisenzio. (3)

 

Lo stesso giorno 17, alla mattina (è una domenica, giornata deputata allo svolgimento di azioni e cerimonie, perché la maggioranza degli squadristi, operai, impiegati e studenti, sono liberi dalle loro usuali occupazioni) si svolge a Prato la prima “Adunata” che deve dimostrare la presenza fascista in città.

I timori sono tanti, alimentati dalle voci messe in giro dagli avversari che descrivono i mussoliniani come una masnada di sanguinari, e che vengono, però, smentite dalla realtà:

 

Che sorpresa! Non maschere da bandito, non ciuffi da bravo, non occhi torvi, non facce con i segni del vizio e del disonore. Ma, invece, gioventù balda, dall’aspetto fiero, dal viso sorridente, dall’espressione contenta che era dovuta alla soddisfazione di compiere un sacrosanto dovere.

Con i giovani vi erano anche dei vecchi, anzi, alcune teste canute, ma questi dimostravano ancor più la loro forza, la loro gagliardia, che acquistavano nel trovarsi tra tanta giovinezza esuberante di virilità.

Quasi tutti avevano le gloriose divise dell’Arma dove avevano servito in tempo di guerra. Non mancavano petti fregiati di numerose medaglie, mutilati che portavano visibili le stigmate del loro sacrificio. Questi erano i fascisti. (4)

 

A partire dalla primavera-estate del 1921, l’ex Tenente degli Arditi si mette in luce, in città e nei dintorni, in una serie di azioni (dettagliatamente elencate nel già accennato libro che gli dedicherà la sorella dopo la morte) che, in una logica tutta paesana, uniscono la contesa politica allo scontro personale, inevitabile in una piccola realtà cittadina, dove tutti si conoscono.

Un mesetto dopo, mentre è appena terminata la campagna elettorale, si verifica un altro episodio che rivela un aspetto imprevisto della personalità di Florio, e cioè la sua capacità di non perdere mai, pur nella drammaticità dei tempi, il gusto della sfida burlesca, sicura eredità delle arditesche avventure di guerra prima e fiumane poi:

 

Due giorni dopo, il 21 giugno, Florio, con due o tre dei suoi fascisti, si recava colà (a Galciana, dove la banda locale era stata costretta a suonare inni sovversivi durante una cerimonia religiosa ndr), riuniva alcuni componenti di quella musica, e li invitava ad un gesto riparatore, da compiersi suonando gli inni della Patria, per far perdere l’eco delle tristi note degli inni sovversivi.

I musicanti osservavano che essi erano in così esiguo numero (erano sette o otto) ed in mancanza di uno che suonasse il tamburo, non potevano esaudire il desiderio del Tenente Florio.

…Ma egli non si perse d’animo. L’arditissimo dei campi di battaglia sapeva, per le soddisfazioni della Patria, anche essere umoristicamente Ardito.

Ed impadronitosi del tamburo…accompagnò la Marcia Reale tra la meraviglia di tutto il popolo presente e l’agitazione dei sovversivi locali, spauriti dall’atto, sia pur fanciullesco, ma energico ed attivo. (5)

 

Un piacevole intervallo, così possiamo considerarlo, in una drammatica, giornaliera realtà che, invece, non conosce tregua. Il 20 novembre, per esempio, giunge al Direttorio del Fascio pratese una lettera firmata “Gli Arditi del Popolo”, che invita gli uomini della squadra da lui fondata, (“D’Annunzio” o “Della morte”), a recarsi, alle ore 19,00, in piazza del Duomo, per “regolare i conti”.

Detto fatto. Florio raduna i suoi, e, con il gagliardetto in testa, si reca, nell’ora indicata, al luogo indicato. Ma è solo una passeggiata. Degli avversari nemmeno l’ombra.

La cosa sarà pubblicizzata con un apposito manifesto affisso in città:

 

Cittadini,

i social-comunisti pratesi hanno voluto dare, ancora una volta, prova della loro ributtante vigliaccheria.

A mezzo di una lettera anonima, questi criminali sfidarono i fascisti pratesi a trovarsi, alle ore 19 di sabato scorso, 22 ottobre, in piazza del Duomo

Alle ore 18,30, i fascisti, col nero gagliardetto della Compagnia d’Annunzio vi si trovarono, ma invano attesero i vilissimi avversari.

Che si mostrino: noi li attendiamo tranquillamente. E li avvertiamo intanto che i fascisti sono disposti ad accettare qualsiasi sfida e qualsiasi condizione di scontro. Essi non hanno che a presentarsi direttamente a noi per trattare e decidere in merito.

La sfida anonima è da vili!

E questi non meritano che tutto il nostro disprezzo. (6)

 

Non passa nemmeno una settimana, e si replica. Il 24 novembre, verso le ore 17,30, un bambino-messaggero avvicina Florio per strada e gli consegna una nuova lettera provocatoria. “Se ha veramente coraggio”, deve recarsi, alle 23,00 in Piazza Santa Maria delle Carceri, “assolutamente solo, per incontrare quattro Arditi del Popolo”.

Lo “sfidato” accetta. Per allontanarsi dalla sede fascista senza che nessuno lo segua, inventa la scusa di una notturna convocazione “segreta” da parte di d’Annunzio, lascia una missiva “testamento” ad un amico, con l’incarico di consegnarla alla madre se non torna entro la mezzanotte, e se ne va, solo soletto, nella Piazza dell’appuntamento.

Qui scatta l’agguato. Nei pressi della chiesa che dà il nome alla piazza, da un gruppetto di individui appostati al buio, si stacca uno che, per rendersi insospettabile, si è elegantemente vestito (particolare presente nelle cronache, a dimostrazione della premeditazione dell’agguato), e che si dirige, con aria indifferente, verso l’ex Ardito. Giuntogli vicino, esplode alcuni colpi, per poi fuggire, lasciando la vittima a terra, ferito.

Fortunatamente non si tratta di cosa grave, perché, nella concitazione del momento, lo sparatore ha tirato a casaccio. Florio si riprende, ma per lui l’incontro con la morte è solo rinviato.

L’11 gennaio dell’anno dopo, infatti, mentre in città vi è grande agitazione per l’uccisione, a Bergiola, di Eugenio e Renato Picciati, due fratelli fascisti, incrocia per strada l’operaio comunista Cafiero Lucchesi, disertore di guerra “graziato” da Nitti, che conosce come pericoloso sovversivo. È il loro secondo incontro in quella giornata. Già in occasione di un precedente “contatto”, qualche ora prima, Florio ha redarguito così il suo avversario: “Ma sei sempre qui a dar noia, non vai a lavorare oggi?”.

La cosa brucia al comunista, che questa volta fa fuoco a bruciapelo, per poi darsi alla fuga, finchè aiutato dal “Soccorso rosso” riesce ad espatriare, e a raggiungere l’Unione Sovietica, dove, per sua sfortuna, sarà però successivamente vittima delle purghe staliniane.

L’agonia dello squadrista dura una settimana. Saranno giorni penosissimi, col ferito in ospedale, i camerati in angosciosa attesa, e i medici che invano cercano di fare qualcosa, finchè, la notte del 17, tutto termina.

Le sue ultime parole, secondo il racconto che se ne farà, sono: “Mi dispiace di non potere fare altro per il mio paese! Che il mio sacrificio salvi Prato! Addio, Fiume!”

Il giorno 19, quando la notizia si è sparsa in tutta Italia, e ha mobilitato l’intero mondo fascista, ci sono le esequie, con una cerimonia alla presenza di quarantamila convenuti, con labari e gagliardetti provenienti da ogni dove, tra i quali fa spicco la rappresentanza dei fiorentini, sempre molto vicini, non solo per un fatto geografico, al defunto.

Proprio ad essi, per esempio, a dicembre del 1920, da Fiume, egli aveva indirizzato un biglietto di saluti che così si chiudeva: “raccomandando caldamente la Camera del Lavoro di Prato ed il sole socialpussista”.

E non sarà un caso se, protagonista di primo piano della difesa della sua memoria, sarà proprio Dino Perrone Compagni, con modalità che danno, anch’esse, la misura dell’epoca.

Il 14 gennaio, con Florio moribondo in ospedale, “Azione comunista”, giornale fiorentino, pubblica un articolo nel quale si ripetono le consuete accuse tese a dimostrare che egli fosse un violento di natura, con una sottolineatura del particolare già detto, che fosse uso a colpire sul volto, con il frustino che portava sempre con sé, i malcapitati avversari che gli venissero a tiro.

La risposta del Segretario Regionale dei Fasci è a tono:

 

Nel numero 2, giorno 14 gennaio, nella colonna “Dalle province comuniste” si leggono le seguenti parole: “Le prepotenze del tenente Florio Gaetano, meridionale, noto fannullone, pagato, etc etc….”

Invito formalmente lo schifoso autore di questo articolo a farsi conoscere personalmente da me.

Impegno la mia parola d’onore che sarò solo a dimostrargli che gli uomini così vigliacchi e così luridi non hanno diritto di scrivere anche su fogli come il vostro. L’assassinio compiuto da un vilissimo disertore trova un degno apologista.

Ma il lanciare offese a carico di chi è morente, è tale vigliaccheria che, se l’autore non si svelerà, saprò trovare in altri le responsabilità sue.

Tanto per vostra norma, resto in attesa che questo vigliacchissimo spalleggiato da altri suoi simili trovi il coraggio bastante per accusare almeno un compagno. (7)

 

La sfida rimarrà senza esito, mentre impressionante sarà, per il numero dei presenti almeno, la risposta dei compagni di fede dello scomparso. Il culmine della cerimonia funebre sarà raggiunto quando, sul sagrato della chiesa, il Segretario del Fascio locale leggerà i messaggi di Mussolini e d’Annunzio, mentre in cielo volteggierà, come si è detto, un aeroplano con a bordo Giunta e Keller.

È un momento di grande commozione per tutti, nella consapevolezza della gravità della perdita.

Condivisibile il giudizio, cinquanta anni dopo, dello studioso fiorentino Gigi Salvagnini:

 

Se il socialismo pratese langue, poco ha da stare allegro il fascismo. Florio era l’uomo giusto al posto giusto: serio, inflessibile, duro quanto serve; poco amato, molto rispettato.

La sua uscita di scena è di quelle che lasciano un vuoto incolmabile, infatti non verrà colmato. (8)

 

Triste epilogo si avrà più di venti anni dopo, nei giorni a cavallo del 25 luglio del 1943, quando la casa dei Florio sarà invasa da un centinaio di esagitati che costringeranno la sorella e la vecchia madre ad affacciarsi alla finestra, e gridare “Viva il Re”.

Il busto del caduto sarà ricoperto di sputi, fatto oggetto di atti osceni dai dimostranti che portano in trionfo la foto di Lucchesi.

È la vendetta postuma di chi, in vita non aveva mai osato affrontare Federico.

 

NOTE SECONDA PARTE

  1. Maria Luisa Florio, Federico Guglielmo Florio, nella vita e nell’opera, Firenze 1924 (?), pag. 73
  2. Aa vv, L’olocausto di Firenze, Firenze 1934, pag. 210
  3. Bruno Frullini, Squadrismo fiorentino, Firenze 1933, pag. 196
  4. Tomaso Fracassini, A Prato dal ’19 al ’22, Prato 1931, pag. LXXXV
  5. Ibidem, pag. XCIII
  6. Maria Luisa Florio, cit., pag. 41
  7. Enrico Valgiusti, Documentario di una tipografia della rivoluzione fascista, Firenze Valgiusti 1936, pag. 183
  8. Gigi Salvagnini, fascisti pratesi, trent’anni di storia e un massacro, Firenze 2006, pag. 49

 

 

1 Comment

  • Filippo 10 Ottobre 2022

    Fenno bene fenno

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