13 Aprile 2024
Tradizione

Paolo Galiano, Vesta e il Fuoco di Roma

Questo agile volumetto edito da Simmetria segue a distanza di pochi mesi il testo dell’Autore sulla visione ermetica e le tecniche di palingenesia del Principe di San Severo (Raimondo De Sangro e gli Arcana Arcanorum, Simmetria, 2011). Paolo Galiano torna a trattare con questo libro le problematiche afferenti alla visione romana del Sacro facendo del culto di Vesta, vero cuore della Romanità, il fulcro della sua indagine. Il valore di Vesta e il Fuoco di Roma sta nella sua capacità di sintesi: concentrare l’essenza di una cultualità come quella di Vesta, che presenta profili di particolare complessità, è compito di difficile realizzazione che, pure, l’Autore conduce a termine con esiti degni di rilievo. Tutti gli aspetti più importanti del culto in esame vengono passati in rassegna, dalle origini mitiche alla disamina dei riti di pertinenza delle Vestali, dall’interpretazione del simbolismo del Fuoco allo status giuridico delle Vergini, fino al declino della Romanità e alla chiusura dei templi a seguito degli Editti di Teodosio e della sconfitta militare di Eugenio. Per ovvie ragioni di spazio concentreremo la nostra analisi sui punti salienti del testo. Il saggio è suddiviso in due parti, una dedicata all’analisi delle qualità della Dea e peculiarità del culto, l’altra alle sue sacerdotesse e al ruolo da esse ricoperto in seno all’organizzazione sacrale e alla società romana.

Nella prima parte assume anzitutto particolare rilievo la problematica della dimensione che per comodità chiameremo mitistorica. L’analisi tanto dei dati archeologici più recenti quanto dei miti legati alle Rome prima di Roma, con speciale risalto conferito alle figure di Ercole-Tricarano e Giano, è per certi versi propedeutico alle riflessioni contenute nei capitoli successivi. Si pensi a titolo esemplificativo agli importanti cenni fatti al Nodo di Ercole nell’abbigliamento delle Vergini Vestali, che potrebbe condurre a interessanti speculazioni sul possibile legame tra l’eroe e la dimensione propria al predecessore mitico di Vesta, Caca, paredra di quel Caco ucciso dal semidio. Ma anche e soprattutto all’identificazione tra Giano e il Fuoco, di cui Vesta è il Focolare, tesi già cara al Marco Baistrocchi degli Arcana Urbis e che qui trova ulteriore e ponderato sviluppo: “Giano è il Sole ma è soprattutto il principio del Fuoco cosmico grazie al quale viene in essere la creazione, e questo si manifesta nel rito di accensione e spegnimento del fuoco di Vesta il primo giorno di Marzo, quando quello che si spegne è il fuoco materiale mentre quello spirituale rimane eternamente perenne […]” (pp. 26-27). Viene qui richiamata la funzione propria al vedico Agni che, pure a latitudini opposte (ma Dùmezil insegna quanto di “indiano”, in un certo senso, ci sia a Roma e quanto di “romano” ci sia in India), si rivela del tutto analoga a tale aspetto gianuale, così come si pone in risalto la qualità virginale della Dea, di cui correttamente si evidenzia il profilo di “Vergine Madre, differente dalle Grandi Madri del tipo di Cibele, eternamente Vergine ed eternamente Madre di tutto ciò che viene all’esistenza”, in ciò cogliendo una ideale contiguità con la egizia Iside e l’ellenica Hestia (ma è interessante anche il cenno fugace alla cristiana Maria in quanto Vergine e Madre).

Di grande interesse, nella seconda parte dedicata alle sacerdotesse di Vesta, è la disamina dello status giuridico che le caratterizzava, anche considerato che nulla è realmente dato comprendere della Romanità ove non si consideri attentamente il carattere giuridico che informa costituzionalmente la mentalità dei discendenti di Romolo e Numa. In particolare il rito della captio è qui messo in evidenza con tutte le sue potenti valenze simboliche e i richiami, tipici del mondo romano, alla dimensione mitistorica con riferimento, nel caso di specie, al ratto delle Sabine, episodio a cavallo tra storia e leggenda, tra campo d’azione dell’uomo e dominio del Sacro. Vengono altresì effettuate speculazioni di un certo interesse in merito alla presenza di due passaggi sotterranei scoperti al di sotto dell’Atrium Vestae nel corso di alcune campagne di scavo, che l’Autore ricollega in via ipotetica, tra l’altro, alla partecipazione delle Vestali ai riti segreti (dal sapore quasi misterico) di Bona Dea nonché al rituale richiamo alla “vigilanza” operato nei confronti del rex sacrorum. Particolare risalto assumono anche le pagine sulle “Vestali non romane”, tematica in gran parte ancora da affrontare, invero meritevole di studi specifici e approfonditi.

Ma uno dei punti di forza del saggio in oggetto risiede nel parallelo effettuato tra le Vergini Vestali e le Saliae virgines, sacerdotesse conductitiae che affiancavano i Salii nell’ufficio marziale. Galiano opera qui un ponte concettuale potenzialmente proficuo, ponendo le basi per eventuali studi sul tema. In questa sede ci limitiamo a porre in evidenza il richiamo, a nostro sommesso avviso non peregrino, alla paraetimologia (o etimologia sacra?) del lemma virgo come vir-agens id est viri-potens sapientemente snocciolata da Giustiniano Lebano e successivamente ripresa dal Kremmerz: l’Autore ravvisa, nel rapporto intercorrente tra Salii e Vergini Saliari un fondo di natura piromagica. Ci si potrebbe domandare se sia lecito traslare simili riflessioni anche sui legami rituali tra Vestali e Pontefice Massimo, sotto la cui alta tutela le Vergini erano poste all’atto della consacrazione.

Ignis Rumon

Paolo Galiano, Vesta e il Fuoco di Roma – Simmetria 2011, pp. 71 – € 19,00. 

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