11 Maggio 2024
Età oscura

Maledetto sia Copernico! – Rita Remagnino

Sull’«orlo dell’Inferno», cioè nel Limbo, definito da Dante il “primo cerchio che l’abisso cigne” (Inferno, canto IV, 25), troviamo i cosiddetti pagani virtuosi, i quali, essendo vissuti prima della resurrezione di Cristo, non sono stati baciati dalla luce dei suoi insegnamenti né hanno ricevuto il battesimo. Nel gruppo il fiorentino inserisce i patriarchi biblici e i massimi letterati della classicità, tra i quali lo stesso Virgilio, oltre ad insigni filosofi ed eminenti scienziati del mondo greco-romano come Platone e Aristotele (vero responsabile della materializzazione del senso della realtà in Occidente) con la loro idea di anima e corpo, oggettività e soggettività, intuizione e ragione, rispettabilità scientifica e immaginazione artistica.
Vagano nella voragine del dolore Socrate, Seneca, Tolomeo, Euclide, Ippocrate e molti altri. In modo significativo incontriamo Eraclito, il filosofo del divenire, ma brilla per assenza Parmenide, che alla maniera degli Antichi radunava la molteplicità apparente delle cose visibili nella singola realtà eterna chiamata «Essere». Un lapsus, o un giudizio esplicito?
Diciamo pure che non è piacevole per noi Ultimi dell’Età Oscura ritrovare in fondo a un buco profondo e fumoso le colonne portanti del pensiero occidentale, ma probabilmente Dante ha le sue buone ragioni. Senza le elucubrazioni di costoro la nostra cultura non avrebbe puntato tutto sul pensiero quando ormai appariva evidente che il livello di complessità dei problemi era diventato superiore alle forze concettuali in campo.

 

E’ implicito in questa scelta il peso della fede religiosa dell’autore, non sfugge tuttavia una certa disparità di trattamento tra gli intellettuali citati. Riferendosi ai grandi poeti che lo hanno preceduto il Fiorentino si spertica in lodi chiamandoli «spiriti onorevoli», «savi», «quattro grandi anime» (Omero, Orazio, Ovidio, Lucano), «bella scuola poetica», «spiriti magni», eccetera, gloriandosi nel contempo di fare parte dell’autorevole schiera e di parlare con gli altri di cose che al di fuori di quella cerchia è bello tacere. “Così andammo infino a la lumera, / parlando cose che ’l tacere è bello, / sì com’era ’l parlar colà dov’era” (Inferno, canto IV, 103-105).
Più formale e meno deferente appare invece il rapporto con i filosofi e gli uomini di scienza, ai quali il poeta dedica sbrigativamente un solo aggettivo («sapienti») senza dimenticare, prima di proseguire, di lanciare una frecciatina contro Democrito, sostenitore della teoria di un mondo governato dal caso. Semplice spirito di casta, o denuncia bell’e buona?
Può darsi che da grande iniziato quale era Dante non vedesse di buon occhio l’eclisse della «sapienza» determinata dall’affermazione della «filosofia», nella quale tuttora noi Ultimi ci riconosciamo perché quegli uomini pensavano con la nostra testa. Ponendo al centro della scena l’essere umano essi ci hanno lasciato credere che l’umanità potesse emanciparsi da qualsiasi influenza, ignorando il filo invisibile che lega ogni parte del cosmo vicendevolmente per farne un Tutto ordinato. Una visione che alla lunga ha confinato l’uomo in una solitudine cosmica mai vista prima, in un nonsense esistenziale senza speranza.

 

L’atmosfera del Limbo non è cruenta come quella dei gironi infernali che attendono il viaggiatore oltremondano ma appare ugualmente cupa e dolorosa. Un suono denso di sospiri lamentosi fa fremere l’aria, conferendole una tonalità inedita: elegiaca anziché tragica. Sentendo quelle note dolenti lo stesso Virgilio si fa cupo in volto e Dante non manca di farglielo notare, mostrandosi preoccupato per la sorte del viaggio: “E io, che del color mi fui accorto, / dissi: «Come verrò, se tu paventi / che suoli al mio dubbiare / esser conforto?»” (Inferno, canto IV, 16-18).
Indubbiamente i due poeti si sentono in varia misura parti in causa, essendo entrambi uomini di pensiero. Anche per questo motivo il Fiorentino non osa consegnare i pesi massimi della cultura occidentale alle fiamme dell’Inferno, preferendo abbandonarli in un territorio neutrale. Taglia corto e fa borbottare a Virgilio: “Andiam, ché la via lunga ne sospigne.
A questo punto la palla passa al lettore, che non può sottrarsi al sopraggiungere di alcuni dubbi relativi al passaggio dalla sapienza dell’Era Arcaica, che era un modo di essere, alla filosofia storica, che chiaramente è un modo di pensare. Mentre il sapiente dell’antichità incarnava la verità in quanto esperienza diretta, «praticava» la magia e il misticismo, la matematica e l’astronomia, il filosofo tratta la verità come un oggetto di pensiero e di ricerca circoscritti all’uomo.

 

L’esperienza «fa». Il pensiero definisce e rappresenta, circoscrive e sintetizza. Ma per forza di cose il «comprendere» è un «limitare», essendo la facoltà della mens quella di misurare (mensura), il che significa che le sfugge non solo l’indefinito ma anche ciò che rispetto ad essa risulta incommensurabile.
L’uomo occidentale ne ha tratto un vantaggio? Oppure in preda a un’esaltazione assurda, in quanto insensata, gradualmente si è allontanato dall’Essere, perdendo di vista la vera Conoscenza? Qualche timida ammissione sta arrivando dalla fisica, che per scoprire i limiti del possibile ha iniziato ad avventurarsi nell’impossibile. Ne ha dato ufficialmente conferma l’astrofisico Michio Kaku, ammettendo che ogni tecnologia abbastanza progredita è indistinguibile dalla magia. La qual cosa rimette tutto in discussione. Altro giro, nuova corsa.
Prevedibilmente avvicinandoci alla Fine ritorneremo all’Inizio, non allo stesso modo perché questo è impossibile ma abbastanza vicino all’Origine da cogliere il vero mistero: quello che non c’è alcun mistero da svelare. Il primo dovere dell’essere umano, la sua ragione di esistere, è vivere ogni istante della propria esistenza come un’iniziazione, senza illudersi di «scoprire» alcunché. L’intelletto non è un eccezionale prodigio bensì una scommessa che ora si vince e ora si perde, sempre continuando a girare intorno alla verità.

 

Riguarda dilemmi di questa portata il “duol sanza martìri”, cioè il dolore senza tormenti, che impregna il Limbo dantesco? Nonostante gli sforzi profusi, è fattuale l’impossibilità di scovare una «scienza» in grado di svelare ogni mistero in un mondo reale costellato di «misteri»? Dunque finora di cosa abbiamo parlato?
E’ un’idea quella secondo cui le leggi fisiche e le cosiddette costanti universali (velocità della luce, costante di gravitazione e così via) rimarrebbero invariate per miliardi di anni, o per sempre. E’ una chimera la «teoria del tutto» che per decenni è sembrata essere dietro l’angolo. E’ un sogno la «teoria delle stringhe», di fatto mai verificata e non a caso arenatasi in astruse astrazioni matematiche.
I fedelissimi dello scientismo dogmatico imperante dovrebbero approfondire queste tematiche. Conviene arruolarsi volontariamente nell’esercito dei nuovi crociati in lotta contro il buio dell’ignoranza per difendere una manciata di banali teorie liberiste? In un’epoca diabolica come l’attuale Età Oscura è chiaro a tutti quale «forza» si sta venerando e quale padrone si sta servendo, o si gioca a mosca cieca in uno stato di beata incoscienza?
Sia che profumino d’incenso o di silicio, le bigotterie sono sempre un intralcio all’evoluzione della specie. E’ vero: ci troviamo inseriti in un Universo che si lascia esaminare, dando l’impressione di essere stato creato apposta per generare e sostenere la presenza di osservatori umani. Ma chi ha detto che il nostro compito è quello di «conoscerlo»? Siamo stati paracadutati su questo pianeta per «sapere», o per «fare»? In mancanza di certezze, lascio volentieri la parola al primo della classe.

 

Forse la celebre esortazione “Conosci te stesso!” (attribuita a Solone) non era un incitamento ad occuparsi in modo ossessivo del proprio cervello bensì un richiamo alla responsabilità e al senso del dovere. Secondo la saggezza primigenia l’evoluzione biologica e spirituale complessiva dipenderebbe dal grado di comunione di ogni singolo elemento con il Tutto. L’essere umano sarebbe l’enzima più evoluto della macrocellula chiamata Cosmo, dunque spetterebbe a lui il compito di elaborare gli elementi coinvolti nel mastodontico processo di trasformazione affinché l’evoluzione del vasto organismo vivente chiamato Cosmo possa continuare.
In qualità di profondo conoscitore delle «antiche cose», Dante poteva non sapere? D’accordo, non condanna esplicitamente le teste d’uovo. Ma neppure le assolve. Sembra anzi d’intravedere l’ombra di una frusta in agguato nella dimensione limbica. Nessuna pena esplicita viene inflitta in questa zona franca, che tuttavia si trova sul «limitare» dell’Inferno e costringe i suoi occupanti a stare in un perenne stato di ansia e di inquietudine, senza un attimo di pace, tra un sospiro di rimpianto e uno di pentimento. Meglio morire, si potrebbe augurare pietosamente ai Padri del Pensiero laggiù confinati, se già non fossero morti.
Senza la svolta radicale da loro impressa alla società Pirandello non avrebbe mai messo in bocca a uno dei suoi personaggi la celebre imprecazione “Maledetto sia Copernico!”, reo di avere destituito di senso il mondo con la sua rivoluzione, né l’umanità si sarebbe illusa di poter raggiungere obiettivi irraggiungibili. Nonostante si sapesse fin dall’inizio che un pensiero oggettivamente limitato non può arrivare a conoscere un Universo spazialmente infinito.

 

Togliamoci dalla testa l’idea (made in World Economic Forum) che le tecnoscienze saranno la soluzione. I problemi umani non possono essere risolti inserendo nell’hard disk i dati giusti affinché la macchina elabori le informazioni. Le «connessioni» da ripristinare non riguardano il guasto di un circuito elettrico bensì la memoria, il passato, le relazioni intergenerazionali, naturali, cosmiche.
Sarebbe tuttavia poco saggio buttare via il bambino con l’acqua sporca, per cui andrà recuperata la Scienza con la «S» maiuscola degnamente rappresentata da figure imponenti quali Heisenberg, Bohr, Lorenz, Prigogine, Sheldrake, Capra, Bateson ed altri, ovvero dalla generazione di ricercatori che attraverso il paradigma sistemico-olistico hanno inquadrato la nostra specie in un insieme psicofisico infinitamente più vasto di quello concepito dall’uomo.
Fondamentali sono stati anche gli studi di Richard Feynman (1918-1988) che esplorava il funzionamento della Natura unendo alle proprie conoscenze tecniche una specie di magia intuitiva connaturata. Da autentico genio quale era Feynman detestava la vanità di certi colleghi. “La scienza non ha uno scopo, diversamente dalla ricerca ingegneristica”, insegnava ai suoi studenti. “I nostri maggiori progressi si devono a scienziati che non puntavano all’utilità ma al divertimento, alla curiosità, al desiderio di capire“. D’accordissimo: quando mai gli avvitamenti mentali sono divertenti?

 

In barba a queste poche semplici considerazioni la cultura occidentale continua a parlare di Conoscenza e di Progresso ad libitum. Inebriati dall’idea del pensiero ci illudiamo di vedere l’inesistente, diminuendo così le possibilità di cogliere qualsiasi altro segnale. Mentre la cultura orientale è più critica verso l’invadenza del pensiero, paragonata all’azione di una scimmia dispettosa.
In effetti poche cose sanno essere più fastidiose dell’attività mentale che occupa petulante la coscienza, turba la quiete, monopolizza l’attenzione, ma soprattutto impedisce la trasmutazione nella modalità «superumana». E’ un controsenso la pretesa della mente di assegnare al pensiero la funzione della conoscenza continuando a concepire l’universo come infinito, illimitato. O meglio: è la condanna a un conflitto perenne.
Il dispotico Impero della Mente tuttavia non rappresenta il nostro ineluttabile destino. Per quanto si sforzi, l’uomo non proverà mai amore per le materie fredde, più semplici di quelle calde per affrontare le quali persino un Dante Alighieri si vede costretto a chiedere aiuto a Virgilio «che di servo lo trae a libertade», ovvero alla catarsi del Paradiso Terrestre, da cui uscirà «rinnovellato di novella fronda, puro e disposto a salire alle stelle».

 

Ma eccoci di fronte alla domanda cruciale. Dante chiede al Maestro se mai qualcuno è uscito dal Limbo, per merito proprio o di altri, diventando così beato. Virgilio ricorda di esservi entrato da poco tempo, quando vide apparire un trionfante Cristo che portava i segni della vittoria. “Io era nuovo in questo stato, /quando ci vidi venire un possente, / con segno di vittoria coronato” (Inferno, canto IV, 52-54).
La risposta è sottintesa: sì, c’è speranza. Tutto dipende da noi poiché il nesso che l’umanità ultima dell’Età Oscura è chiamata a ripristinare sulla via della salvezza è tutto interiore, sostanzialmente a-spaziale. Andranno trovati altri simboli e si dovrà cominciare tutto daccapo per ri-entrare nell’illimitata molteplicità dove risiede la «coscienza dell’universale connessione» necessaria alla vera Conoscenza. Ma sarà elettrizzante smettere di studiare il modo in cui le maree sono gestite dall’attrazione gravitazionale della Luna per «sentire» come fanno l’acqua del mare e gli esseri senzienti che la abitano ad accorgersi che la Luna sta passando.

 

Personalmente, confido nell’ingorgo degli eventi che tra non molto costringerà l’umanità a cambiare direzione. Mica possiamo andare avanti all’infinito a sognare Marte per soddisfare l’inestinguibile sete umana di materie prime, a organizzare guerre stellari altamente distruttive, a progettare l’ibridazione del corpo con circuiti integrati miniaturizzati.
Questi sono giochi mentali. Nella fase terminale della Storia era scontato prendere fischi per fiaschi, illudendosi di poter andare oltre le umane possibilità. Adesso, però, bisogna «bucare» il muro di gomma costituito dall’assoluta mancanza di un orizzonte metafisico.
Le persone sulle quali non funziona più la formattazione del cervello possono iniziare fin d’ora a non pensare oltre il necessario. Gradualmente svanirà ogni credenza, religiosa, moralistica, filosofica, scientifica. Verrà abbattuto ogni pregiudizio, convenzione, superstizione locale e temporale, di casta e di scuola. Si scioglieranno le incrostazioni di concetti riguardanti il linguaggio e il contesto ambientale.
Il viaggio sarà lungo e non mancheranno i momenti di sconforto, né i colpi di scena, come suggerisce Dante «sotto il velame delli versi strani». In tutto il poema sacro al quale han posto mano sia il cielo che la terra lui stesso non fa che inoltrarsi, scendere, salire, «Illuiarsi» e «incingersi». La sua ferma volontà lo farà arrivare in Purgatorio, ed infine in Paradiso.

 

(il viaggio continua)

Ricercatrice indipendente, scrittrice e saggista, Rita Remagnino proviene da una formazione di indirizzo politico-internazionale e si dedica da tempo agli studi storici e tradizionali. Ha scritto per cataloghi d’arte contemporanea e curato la pubblicazione di varie antologie poetiche tra cui “Velari” (ed. Con-Tatto), “Rane”, “Meridiana”, “L’uomo il pesce e l’elefante” (ed. Quaderni di Correnti). E’ stata fondatrice e redattrice della rivista “Correnti”. Ha pubblicato la raccolta di fiabe e leggende “Avventure impossibili di spiriti e spiritelli della natura” e il testo multimediale “Circolazione” (ed. Quaderni di Correnti), la graphic novel “Visionaria” (eBook version), il saggio “Cronache della Peste Nera” (ed. Caffè Filosofico Crema), lo studio “Un laboratorio per la città” (ed. CremAscolta), la raccolta di haiku “Il taccuino del viandante” (tiratura numerata indipendente), il romanzo “Il viaggio di Emma” (ed. Sefer Books). Ha vinto il Premio Divoc 2023 con il saggio “Il suicidio dell’Europa” (ed. Audax Editrice). Attualmente è impegnata in ricerche di antropogeografia della preistoria e scienza della civiltà.

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