11 Aprile 2024
Disobbedienza Civile

L’ultima frontiera della legalità – Luigi Morrone

Le recenti vicende relative all’arresto del sindaco di Riace Mimmo Lucano hanno riportato alla ribalta il tema del rapporto tra la sinistra e la legalità.

Tradizionalmente, il rispetto della legalità è stato considerato un tema della “destra conservatrice”, riassunto nello slogan “law and order” (legge e ordine), caro ai tories inglesi.

La sinistra italiana, invece, si è caratterizzata, nel passato, per la negazione di un principio generale che imponga il rispetto della legge.

Questa posizione sottende un’ideologia classista: le leggi sono approvate dalla borghesia per consolidare il potere della classe dominante ed i lavoratori hanno il diritto, se non il dovere, di infrangere le leggi dei “padroni”. Il principio di legalità, uno dei “sacri principi” della Rivoluzione francese, è bistrattato da Marx alla pari di tutti i “diritti borghesi”, ed i marxisti si adeguano alla lezione del maestro.

Il sottofondo è, logicamente, quello dell’azione rivoluzionaria, di cui il rifiuto di rispetto delle “leggi borghesi” è una delle manifestazioni. Icasticamente, scrive Lenin: “La rivoluzione la fanno, … nelle trincee, i soldati che … piantano la baionetta nella pancia degli ufficiali”. Viceversa, il principio di legalità Rivoluzione francese si basa su un denominatore comune, per il quale i consociati si riconoscono nelle istituzioni dello stato democratico e si impegnano a rispettarne le regole per conservare lo status quo.

La lotta antifascista per i democratici fu lotta per la legalità che reputavano conculcata dai regimi totalitari.

Nel dopoguerra, la Costituzione repubblicana fu frutto della collaborazione tra varie concezioni, tra cui quella marxista.

La sinistra, tuttavia, continuò a non riconoscersi nel principio di legalità. Occupazioni delle terre, delle fabbriche, picchettaggi, blocchi ferroviari, blocchi stradali, disturbo anche violento delle manifestazioni degli avversari politici, fecero parte dell’azione politica della sinistra.

Una svolta si ebbe alla metà degli anni settanta. Dopo lo “strappo” dal PCUS, incalzato dalla politica socialdemocratica del PSI dopo l’avvento di Bettino Craxi alla segreteria, il PCI si riconobbe pienamente nello stato democratico, non solo aprendosi al dialogo con tutte le forze politiche che avevano contribuito alla redazione della Costituzione (“arco costituzionale”), ma accettando di fatto il comune denominatore della democrazia rappresentativa. Dunque, la conservazione dello status quo era visto come conservazione dell’assetto istituzionale architettato da una Costituzione in cui ci riconosce quali cittadini della Repubblica. Ed il rispetto delle leggi approvate nel rispetto delle procedure costituzionali è uno dei capisaldi dell’autoconservazione del sistema all’interno del quale ormai la sinistra “legalitaria” si riconosce. Restano fuori da questa “svolta” solo alcune frange estremiste, oltre alla sinistra terrorista.

Scomparse (o quasi) le frange estremiste, che sopravvivono a macchia di leopardo nei cosiddetti “centri sociali”, da più di quarant’anni la parola d’ordine della sinistra tutta è “legalità democratica”, alternata a “legalità repubblicana”. A questo, si unisce, dalla metà degli anni ottanta, una sorta di sanzione di intoccabilità della magistratura, di cui si teme la “delegittimazione”.

Sul principio di legalità la pubblicistica di sinistra scrive a iosa, le amministrazioni di sinistra promuovono iniziative per la cultura della legalità. La cultura della legalità viene dalle forze di sinistra contrapposta ad un presunto “disprezzo delle regole” da parte degli avversari politici.

Il panorama degli ultimi 40 anni di politica della sinistra si rovescia completamente per il “caso Lucano”. La sinistra tutta si mobilita in difesa del sindaco di Riace, non temendo la “delegittimazione” degli inquirenti ed invocano una dicotomia tra “legalità” e “giustizia” che presuppone l’abbandono del concetto di “legalità democratica” quale obbligo di rispetto delle leggi approvate da un parlamento democraticamente eletto nel rispetto delle procedure costituzionali. Perché in una società democratica la legge è il fondamentale criterio di misura che determina il bene comune di un popolo, e lasciare all’arbitrio del singolo sindacare se una singola legge risponda o no a tale requisito, significa rifiutare il contratto sociale, rifiutare il principio per il quale il sistema in cui si vive ha un minimo comun denominatore che è la democrazia rappresentativa, quel sistema di governo in cui al popolo è demandata una “designazione di capacità” dei propri governanti, da verificare nel momento  elettorale.

Il Costituente, per lo scrutinio di rispondenza delle leggi ordinarie ai principi costituzionali (che si presumono compendiare quello che viene considerato il “bene comune”) ha previsto un organo, la Corte Costituzionale, che ha più volte scrutinato le norme ritenute “balorde” da Lucano per giustificarne la violazione. La sinistra nell’immediatezza fu contraria a questo organo, tanto da ostacolarne l’istituzione. Nenni e Togliatti sostenevano che lo scrutinio di costituzionalità dovesse essere demandato “al popolo”. Una volta istituita la Corte, ci sono stati dissensi da singole decisioni, ma la sinistra non è mai ritornata a quelle posizioni estreme.

Ed a sproposito viene invocata la “disobbedienza civile”, peraltro praticata da frange trascurabili della sinistra libertaria o del sindacalismo d’assalto.

La “disobbedienza civile”, infatti o è un atto di sovversione (come l’invito alla diserzione di massa da parte di alcuni socialisti nella prima guerra mondiale o dei massoni all’alba della seconda guerra mondiale) o è un atto che presuppone l’accettazione piena del principio di legalità, con l’eclatanza del gesto di disobbedienza alle leggi e l’accettazione della conseguente punizione, al fine di far sorgere una “coscienza civile” favorevole all’abrogazione delle leggi violate. Dall’obiezione di coscienza di Aldo Capitini, agli aborti di Adele Faccio ed Emma Bonino, alla cessione di droghe leggere da parte di Marco Pannella, si è trattato di azioni alla luce del sole, con successiva consegna nelle mani della Giustizia perché facesse il suo corso. Lucano non ha inteso né sovvertire l’ordine costituito (era iscritto al maggior partito di governo, all’epoca della commissione dei fatti), né “sollevare il caso” per far cambiare la legge (ha agito nella speranza di non essere scoperto dall’Autorità).

Il “caso Lucano” è solo una reazione emotiva alla fine per via giudiziaria di un “modello” cui la sinistra si era ispirata, o è l’inizio di una nuova inversione di tendenza? Il prevalere degli slogan sulle analisi ragionate da parte di chi grida “io sto con Lucano” impedisce oggi di capirlo.

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