10 Aprile 2024
Appunti di Storia Controstoria

Lo sviluppo del Fascismo e il secondo Congresso Nazionale (Milano 23-25 maggio 1920) – prima parte – a cura di Giacinto Reale

 

“Noi non possiamo però andare contro il popolo, perché è il popolo quello che ha fatto la guerra” (Mussolini al Congresso, 23 maggio)

 

Il secondo Congresso Nazionale (anzi, “Adunata Nazionale”, come viene chiamata, a somiglianza di quella fiorentina dell’ottobre del 1919) del movimento fascista si svolge a Milano, al teatro Lirico, dal 23 al 25 maggio del 1920.

Questa è la data esatta, anche se da molte parti si continua a preferire quella circoscritta a due sole giornate, 24 e 25, a riprova del fatto che all’avvenimento non è mai stata dedicata molta attenzione, e si è cristallizzata l’opinione che esso sia stato un mero momento di passaggio del fascismo verso quella che De Felice efficacemente – ma forse non esattamente – definirà la sua “conversione a destra

Giudizio che appare viziato, se non dal pregiudizio ideologico, da una valutazione fatta “col senno di poi”, alla luce di ciò che succederà al movimento – e nemmeno a tutto il movimento – parecchio dopo, diciamo a partire dalla sconfessione del “Patto di pacificazione” che segnerà insieme la vittoria dello squadrismo di provincia, rivoluzionario e intransigente, ma anche l’inizio del suo declino..

Questo perché esso è privo di vera omogeneità su contenuti e obiettivi, destinato quindi a soccombere di fronte al vertice politico milanese che invece ha ben chiara la meta finale, ed è disposto a raggiungerla anche a prezzo di compromessi ritenuti necessari, magari con i “nuovi venuti”, a successo acquisito.

La cronaca delle giornate congressuali, che qui cercheremo di fare, non può, a nostro avviso, che confermare la tesi appena esposta.

Né va trascurato il quadro generale nel quale l’Assise si svolge, che vede:

– a Fiume, che è il riferimento “forte” del movimento in questo periodo, in pieno sviluppo un esperimento politico (e comportamentale) che definire tout court “di destra” sarebbe azzardato;

– nell’intera Italia il progredire di un’azione sovversiva che, per i suoi contenuti antinazionali soprattutto, appare intollerabile ai primi fascisti, per motivazioni patriottiche prima che genericamente “di destra”;

– su un piano più spicciolo, l’approssimarsi di una nuova consultazione elettorale (amministrativa questa volta) che lascia prevedere il ripetersi della impossibilità di costituire un fronte unico degli ex interventisti (anche “di sinistra”) già ipotizzato a Firenze, e la necessità – se non si vuole che nelle singole realtà territoriali la pressione sovietista si faccia troppo forte – di addivenire a tattiche intese che, però, non possono comprendere nessuna “conversione” anche solo rispetto ai presupposti dell’anno precedente.

Questo significa, insieme, lotta senza quartiere contro i denigratori della guerra e i sabotatori della vittoria, e attenzione alle ragioni dei più deboli (per esempio, con la richiesta di una legge che sanzioni le otto ore, della modifica del regime delle pensioni di invalidità e vecchiaia, dell’assicurazione obbligatoria di malattia e disoccupazione, etc), perché: “se le masse lavoratrici rimangono in uno stato di miseria e di abbrutimento, non v’è grandezza di popolo né dentro né oltre i confini della Patria”.

Mai come in questa fase – che non è sbagliato definire ancora aurorale – del fascismo, salta evidente quindi l’inapplicabilità al movimento mussoliniano delle vecchie definizioni (e, quindi, di ogni ipotesi di “conversione”) per il contenuto di rivoluzionaria modernità che esso esprime.

Il Congresso si apre domenica 23, in un clima di grande partecipazione ed entusiasmo, col teatro gremito, che tributa un applauso particolare alle rappresentanze degli Arditi e dei bambini fiumani presenti sul palco.

I piccoli, giunti a scaglioni, a partire dal 21 febbraio, per sottrarli agli stenti ai quali è costretta la città dall’infamia di Nitti, sono ospiti di famiglie (uno sarà anche a casa Mussolini) in tutta Italia. Li ha salutati, alla partenza, a suo modo, lo stesso Poeta:

[…]d’Annunzio narra, con insuperabile grazia, come visse un tempo un grande eroe di nome Orione, il quale aveva compiuto gesta meravigliose, e che per le sue gesta meritò di essere trasformato in stelle minori. Ma l’eroe, dopo tanto sforzo, divenne miserabile e cieco. Allora avvenne che un bimbo, chiamato Prodigio, lo volse verso il sole, lo condusse verso il sole.

“Questo è il nome – conclude il Comandante – che per voto voglio dare ai figli di Fiume che, giungendo dalla sponda ove sorge il sole, potranno guarire la nostra divina Italia che vinse la guerra ed ottenne la vittoria, ed ora è ridotta cieca e miserabile”. (1)

Particolare commozione suscita anche il messaggio della medaglia d’oro, cieco e mutilato di guerra, Carlo Del Croix:

 

Mussolini, Milano

Un’improvvisa indisposizione, mi impedisce, con vivo rammarico, di partire. Dopo tanto buio sarei venuto volentieri a prendere un bagno di sole nell’entusiasmo della vostra Milano, che saprà ritrovare, nel grande anniversario, l’anima del 24 maggio. Raccontate al popolo che, nonostante la viltà, l’ingratitudine, l’oblio, vi sono ancora Italiani che credono senza vedere e combattono senza braccia, fedeli alla Patria e all’umanità.

Vostro Carlo Del Croix (2)

 

Vengono poi consegnati i nuovi gagliardetti al Fascio milanese ed all’Associazione Arditi, con Ferruccio Vecchi che indirizza un primo saluto ai convegnisti. S’ode anche la voce di Filippo Tommaso Marinetti, che, quasi urlando, esclama: “Viva la repubblica! Abbasso il papato!”

È a questo punto che prende la parola Benito Mussolini, per l’atteso intervento inaugurale, che deve precedere i lavori veri e propri.

Egli prima approfitta della (voluta?) coincidenza con la data del “radioso” 24 maggio, per rivendicare le ragioni dell’intervento, e poi affronta subito il tema sul tappeto, in questo inizio d’anno che vede le masse ammaliate dal mito soviettista, in attesa della rivoluzione:

Non intendiamo osteggiare il movimento delle masse lavoratrici, ma intendiamo di smascherare la ignobile turlupinatura che, ai danni delle masse lavoratrici, fa un’accozzaglia di borghesi e pseudo borghesi, che, per il fatto di avere la tessera, credono di essere salvatori dell’umanità. Non contro il proletariato, ma contro il Partito Socialista, fino a quando continuerà ad essere anti-italiano...

Noi non possiamo però andare contro il popolo, perché è il popolo quello che ha fatto la guerra. I contadini che oggi si agitano per risolvere il problema terriero, non possono essere da noi guardati con antipatia. Commetteranno degli eccessi, ma vi prego di considerare che il nerbo delle fanterie erra composto di contadini, che coloro i quali hanno fatto la guerra sono i contadini. (3)

In realtà, Mussolini, che conosce i suoi polli, sa che i dirigenti del PSI si riempiono la bocca con la parola “rivoluzione”, ma non la faranno mai, perché non ne sono capaci. Intuisce, piuttosto, che qualcun altro dovrà farla al loro posto, e sa che, a tal fine, indispensabile sarà il contributo di chi all’azione si è abituato nel fango delle trincee, non ha paura delle pallottole, ieri del nemico, domani, chissà, delle Forze dell’Ordine.

Ecco perché non fa mancare un cenno agli Arditi: “…che andavano alla trincea cantando, e se siamo ritornati dal Piave all’Isonzo, è merito degli Arditi; se teniamo ancora Fiume, è merito degli Arditi; se siamo ancora nella Dalmazia, lo dobbiamo agli Arditi”.

Al termine del discorso, i convenuti, con musica, bandiere e gagliardetti in testa, si recano a via Cerva, proprio presso la sede degli Arditi, per un sentito omaggio.

Con una bicchierata serale, nel ridotto del piano superiore del teatro, si conclude la prima giornata, non prima però che Pasella abbia consegnato a Mussolini una pergamena firmata da tutti i partecipanti e un orologio d’oro.

La successiva giornata del 24 è aperta dalla nomina, su proposta di Pasella, di tre Presidenti (Giuseppe Aversa, noto avvocato milanese, sansepolcrista, Mario Gioda, l’ex anarchico che guida il Fascio torinese, e tale Borgogliotti, sul quale non so dirvi di più) e due Segretari (Celso Morisi, messosi in luce alla riunione di San Sepolcro, dove ha presentato un Ordine del Giorno a favore degli operai di Dalmine, e Alessandro Melchiorri, diciannovenne che si va distinguendo nella sua Brescia).

L’attribuzione ad un giovanissimo di un incarico di primo piano in un’Assise così importante, nella quale non mancano elementi più “titolati”, non deve stupire, perché è solo una ulteriore conferma della “novità” del movimento mussoliniano rispetto ai Partiti esistenti, basati su una rigida burocrazia che spesso sbarra la strada ai più giovani.

Melchiorri, d’altra parte, i gradi se li è guadagnati sul campo, indirizzando, diciassettenne, alla fine del 1918, una lettera a Mussolini, con la quale dava la sua disponibilità a costituire nella sua città un “Fascio degli interventisti e degli intervenuti”, come indicato dal direttore de “Il Popolo d’Italia”.

E, – pure questo è indicativo del “clima” – l’esperto politico e direttore ha risposto all’adolescente ai primi passi con la “politica”, ringraziandolo e dandogli le indicazioni necessarie, fino a nominarlo corrispondente del suo giornale.

Il volitivo giovanotto sarà poi Segretario del Fascio cittadino, e si metterà in luce in svariate occasioni per il suo coraggio, fino all’episodio, destinato ad avere grande risonanza, dell’attacco alla Camera del Lavoro in occasione dello “scioperissimo” di luglio, che gli costerà mesi di latitanza in val Seriana.

Le fiamme di Brescia saranno le prime – se si esclude l’incendio del Balkan a Trieste, che però matura in una diversa situazione locale – dopo quelle dell’Avanti milanese nell’aprile del 1919, ad indicare la strada del confronto senza paura con il pur straripante avversario.

Per ora Melchiorri è lì, al Lirico, a fare il suo dovere, insieme agli altri, con i quali condivide la speciale attenzione verso quelli che sa essere – come lui – “fascisti d’azione”.

A loro, ai camerati che sono ancora detenuti, dopo sei mesi dai fatti di Lodi, si rivolge per primi, infatti, l’indirizzo di saluto di Pasella che apre i lavori congressuali. Segue la Relazione Morale vera e propria.

Essa fornisce i dati numerici, che non sono in crescita, come ci si aspettava, perchè l’intero movimento è stato distratto dall’attività di proselitismo vera e propria a causa prima della campagna elettorale, e poi dell’impegno per Fiume, fatto da arruolamenti di volontari presso tutte le sedi fasciste, reperimento di fondi con la sottoscrizione de “Il Popolo d’Italia” (oltre che una miriade di iniziative minori) e organizzazione dell’ospitalità ai bambini fiumani presso famiglie di iscritti.

Comunque, rispetto a Firenze, risultano costituiti 118 Fasci (erano 148), 22 Avanguardie Studentesche (prima assenti), con un totale di 27.430 aderenti ai primi (erano 42.836) e 3.700 alle seconde. Inoltre, un centinaio di Fasci sono in via di costituzione (erano 68), molti dei quali nell’Italia meridionale e con forti adesioni popolari, come – e l’oratore ci tiene ad evidenziarlo – a Sperlinga, in provincia di Enna, dove il Fascio ha 100 soci, dei quali molti aderenti alla Lega dei contadini.

Sul fronte della propaganda, le cose non vanno male: “Il Fascio”, che è l’organo ufficiale del movimento, conta un buon numero di abbonati che vanno, però, incrementati, così come per “Il Popolo d’Italia” che resta –e la cosa è sottolineata- il giornale di Mussolini “un onest’uomo, il quale, se avesse voluto fare mercato della sua penna, oggi non sarebbe il giornalista che lavora quindici sulle ventiquattro ore del giorno, ma il milionario pescecane”.

Manifestazioni di consenso all’intervento del Segretario uscente sono espresse da vari interventi (tra gli altri, Farinacci), così che si arriva all’approvazione unanime di un documento che dice:

Il Congresso Nazionale dei Fasci italiani di Combattimento, approvando la Relazione del Segretario Generale Umberto Pasella, passa all’ Ordine del Giorno, e affida il mandato al Comitato Centrale di convocare le Adunate Regionali” (4)

 

Sbrigati questi che sono, in buona sostanza, adempimenti di rito, la parola passa a Mussolini, per la sua Relazione di Politica interna ed estera, che egli presenta all’Assemblea come proposta di discussione, passibile, cioè di modifiche e cambiamenti.

È una lunga Relazione, che, a tutto campo, affronta i problemi sul tappeto in un’ottica che non è quella di un minuscolo movimento di opposizione, ma sembra quasi prefigurare lo sviluppo e il destino del Fascismo.

L’oratore lo dice chiaramente quando accenna alle questioni interne che verranno in primo piano appena risolto il problema adriatico. Nitti – e qui è lungimirante – non può durare, e occorre prepararsi a vicine nuove elezioni – e qui è troppo ottimista, non prevedendo la “variante Giolitti” – nelle quali è certo un successo “infinitamente migliore di quello che abbiamo avuto nello scorso novembre”.

Tutto lo lascia pensare. L’ipertrofia del Partito Socialista non significa effettivo consenso e forza; l’amalgama artificioso del Partito Popolare è il motivo della sua vera debolezza; i Repubblicani sono divisi al loro interno tra chi vuole andare con i socialisti e chi invece, in nome della tradizione risorgimentale, al Fascismo guarda.

Il problema istituzionale non può fare ombra a tale eventuale intesa, perché non essenziale al momento, di fronte al vero quesito che bisogna porsi, e cioè “se la monarchia abbia o non abbia tutelata degnamente la Nazione e se la Nazione possa o non possa risolvere i suoi problemi abbattendo la monarchia”.

Come si vede, Mussolini è aperto ad ogni soluzione, e disposto ad accettare le indicazioni che dal Congresso gli verranno, anche se fa capire che la sua idea è, al momento, di lasciare sospesa la questione, di fronte all’urgenza dei problemi che si prospettano all’orizzonte.

È una scelta intelligente, ma che se servirà da pretesto all’allontanamento di alcuni, come Marinetti. La controprova si avrà l’anno successivo, quando il tentativo di forzare la mano proponendo l’assenza del Gruppo Parlamentare fascista dalla Seduta Reale di inaugurazione della nuova Camera, verrà bocciata dai componenti il Gruppo stesso.

Anche la questione –gioia e tormento di tutte le assemblee sindacal-rivoluzionarie, delle quali molti dei presenti hanno esperienza- dell’atteggiamento di fronte alla borghesia, è risolta con una soluzione mediana, che fa dei distinguo la sua forza:

Non si deve mandare a picco la nave borghese, ma entrarvi dentro per espellere gli elementi parassitari.

Lotta quindi contro tutti i parassiti: quelli del partito Socialista, che sono tutta la caterva dei cattivi pastori, quelli della borghesia, che sono la burocrazia e i funzionari. (5)

Più breve la parte della relazione che riguarda la Politica estera, e si articola su alcuni punti, poi dettagliatamente ripresi nell’Ordine del Giorno approvato per acclamazione:

La II Adunata Nazionale dei Fasci di Combattimento, chiede: a) l’applicazione effettiva del Patto di Londra e l’annessione di Fiume all’Italia e la tutela degli Italiani residenti nelle terre non comprese nel Patto di Londra; b) lo svincolamento graduale dell’Italia dal gruppo delle Nazioni plutocratiche occidentali, attraverso lo sviluppo delle nostre forze produttive interne; c) il riavvicinamento alle Nazioni nemiche Austria, Germania, Bulgaria, Turchia, Ungheria, ma con atteggiamento di dignità, e tenendo fermo alle necessità supreme dei nostri confini settentrionali e orientali; d) creazione e intensificazione di relazioni amichevoli con tutti i popoli dell’Oriente e del Sud Oriente europeo; e) rivendicazioni nei riguardi coloniali dei diritti e delle necessità della Nazione. (6)

Riconfermato, con l’unanime consenso ricevuto, il proprio controllo dell’Assemblea, Mussolini lascia a Cesare Rossi il compito di affrontare quello che potrebbe rivelarsi un tema cruciale, e cioè la revisione del programma.

 

Foto 1: il teatro Lirico, sede del Congresso

Foto 2: Carlo Delcroix

 

NOTE

  1. Ferdinando Gerra, L’impresa di Fiume, Milano 1066, pag. 300
  2. Panorami di realizzazione del fascismo, Roma 1940, vol. III, pag. 140
  3. (a cura di) Edoardo e Duilio Susmel, Opera Omnia di Benito Mussolini, Firenze 1954, vol. XIV, pag. 467
  4. Panorami di realizzazione…cit., pag. 143
  5. Ibidem
  6. Ibidem, pag. 144

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