12 Ottobre 2024
Storia delle Religioni

L’Islam e il Corano – Marco Calzoli

L’Islam è una religione monoteistica nata con la predicazione di Maometto nel VII secolo d.C. L’Islam non è un monolite sempre uguale a sé stesso nel tempo e nello spazio. In realtà esiste un Islam diverso a seconda delle nazioni in cui è diffuso. Non è semplice studiare l’Islam perché ha innumerevoli volti.

La parola Islam deriva dalla radice araba salama, che come tutte quelle dell’arabo ha vari significati. “Sottomissione” a Dio, ma anche “abbandonarsi” a Dio, e così via, tra cui “pace”.

Nel Hadith di Gabriele è scritto che Islam significa seguire i cinque precetti: la fede, la preghiera, l’elemosina, il digiuno e il viaggio alla Mecca. Quindi Islam è ortoprassi, cioè pratica rituale. Il Hadith di Gabriele continua. I sei pilastri della fede sono: credere in Dio, nei suoi angeli, nei suoi Libri, nei suoi messaggeri, nell’Ultimo Giorno e nel decreto divino.

Secondo l’antropologo Talal Asad l’Islam è una tradizione discorsiva, ovvero un insieme di discorsi che cercano di dare istruzioni ai credenti su quale sia lo scopo e la forma corretta di una certa pratica rituale. Ora, questi discorsi sono segni espressi in un idioma universale ma la cui esperienza è necessariamente inscritta in un dato contesto storico. Questo vuol dire che i cinque pilastri dell’Islam sono universali (accettati da tutti i musulmani) ma cambiano nel tempo e nello spazio.

Durante la Notte del Destino (610), mentre meditava in una grotta del monte Hira, Maometto ricevette la prima rivelazione dall’arcangelo Gabriele, le altre rivelazioni durarono per ventidue anni (610-632).

Il Corano non è un libro in senso occidentale: la sacralità del testo sacro si esprime solamente nella tradizione orale e nella pratica liturgica. Il Corano è quindi un evento discorsivo. Il Corano deve essere soprattutto ascoltato in una liturgia (e non tanto letto come un libro). I credenti sono invitati a impararlo a memoria in arabo per poterlo declamare nella pratica rituale.

Il Corano che abbiamo oggi è sostanzialmente autentico: corrisponde alle rivelazioni ricevute da Maometto. Pertanto la discussione sulla storicità del testo coranico a noi pervenuto si è spenta nel 2015 con il ritrovamento del Corano di Birmingham, un manoscritto posseduto da questa università e identificato come il frammento più antico del Corano esistente, è stato datato con il radiocarbonio tra 580 e 645, in cui si dimostra che il testo presente sul manoscritto (due sure: la 18 e la 20) è tale e quale a quello oggi diffuso.

L’Arabia nella quale nacque Maometto era organizzata in tribù, non c’era uno stato centrale. Il capo di una tribù era tale non per ricchezza né per discendenza ma per murua, cioè per onore: era colui che poteva difendere meglio i suoi amici. Questo sistema era entrato in crisi alcuni decenni prima la nascita di Maometto per la formazione alla Mecca (in cui vi era la Ka’ba, un santuario politeista meta di pellegrinaggio da tutta l’Arabia già prima l’avvento dell’Islam) di un sistema pre-capitalista. In esso veniva sempre meno la solidarietà entro le tribù accentuandosi la differenza tra i ceti sociali. La principale differenza di ceto era quella tra coloro che erano in grado di portare le armi e coloro che non erano in grado perché poveri.

Maometto, nonostante fosse nato da una famiglia nobile, era povero, quindi apparteneva al ceto che non era in grado di portare le armi: rimasto orfano in tenera età (il padre muore prima della sua nascita, la madre quando aveva un paio di anni), non aveva protezione né dal clan paterno né da quello materno, però venne preso in carico da uno zio, che lo mise a lavorare. Questo perché c’era ancora chi credeva nei valori tradizionali, non solo quelli delle armi.

Maometto lavora nelle carovane commerciali, se la cava e il suo status migliora notevolmente perché si arricchisce. Si sposa quindi con una vecchia vedova ricchissima. Quando Maometto ha 40 anni sente l’arcangelo Gabriele che gli rivela il Corano: non lo vede ma percepisce di essere afferrato e ode urlare nelle orecchie. Il primo versetto che sente è 96, 1-5: “Grida (in arabo lqra’, anche “leggi”, “recita”, donde la parola Qur’an, Corano), in nome del tuo Signore, che ha creato, ha creato l’uomo da un grumo di sangue. Grida! Ché il tuo Signore è il Generosissimo, Colui che ha insegnato l’uso del calamo, ha insegnato all’uomo ciò che non sapeva”.

Maometto ha molta paura e pensa di essere impazzito, va a cercare disperato la moglie, la quale gli crede: è la prima a convertirsi. Lei gli chiede di continuare a predicare, le persone si convertono sempre di più. La predicazione quindi viene osteggiata dal potere fino alla violenza fisica. La prima martire dell’Islam è una donna.

Perché tanta opposizione all’inizio? Il nocciolo del messaggio coranico era il giorno del giudizio, nel quale riceveranno la condanna coloro che osteggiano i poveri (vd. sure 107 e anche 102). I ricchi della Mecca erano spaventati da queste minacce.

Secondo un’altra teoria, i ricchi della Mecca erano spaventati dal fatto di perdere la loro influenza per via del pellegrinaggio alla Mecca che sotto l’Islam si era intensificato (secondo una tradizione il santuario della Ka’ba fu fondato da Abramo e Ismaele, poi divenne politeista, quindi Maometto voleva riportarlo al monoteismo originario).

Per evitare il massacro, i primi musulmani fuggono dalla Mecca. Trovano rifugio nell’oasi Yahtrib (la futura Medina, dall’espressione araba madina al-nabi, “città del Profeta”). Nel 622 Maometto e i suoi primi seguaci emigrano a Medina, si tratta della Egira, la migrazione (dall’arabo hijra) che segna la costituzione della prima comunità (umma) musulmana e l’anno zero del calendario lunare islamico.

Il Corano della prima fase (fase meccana) ha sure brevi, ritmiche e molto poetiche. Nella seconda fase (fase medinese) le sure diventano più lunghe e più discorsive (anche se vi sono alcune eccezioni, pensiamo alla poetica sura 35, che il sufismo ha molto commentato).

Mentre Maometto era in vita il Corano circolava oralmente tra i credenti, che ne memorizzavano i contenuti. È attribuita al terzo califfo ‘Uthman (m. 656) la messa per iscritto del testo canonico, in uso ancora oggi tra i sunniti. Questo testo è organizzato in 114 sure o capitoli. “Sura” significa “recinto” ed è suddivisa in versetti. Ogni sura, tranne la 9, inizia con la basmala (“Nel nome di Dio Clemente e Misericordioso”). Le sure non si succedono per ordine cronologico ma in base alla lunghezza: dalla più lunga alla più breve. Quindi leggendo il Corano dalla prima sura all’ultima non si apprezza una storia lineare.

Campanini (2020) dimostra come il contenuto delle sure sia strettamente legato agli eventi della vita di Maometto.

Maometto è il Sigillo dei Profeti: dopo di lui Dio non parla più all’umanità. Maometto non era soltanto il profeta (colui che esprimeva la rivelazione divina) ma anche l’interprete della stessa. Con la sua morte la comunità non ebbe più né profeta né interprete. Questo creava problemi anche in considerazione del fatto che l’Islam si stava diffondendo nel mondo, cioè in contesti molto diversi da quelli di origine.

Allora con la morte di Maometto si generò un grande vuoto. Quelli che sarebbero diventati sunniti sostenevano che la successione dovesse essere elettiva, invece gli sciiti che dovesse passare per legame di sangue, attraverso la figlia Fatima e il marito Alì. Per via di questa scissione politica si ebbe scissione anche teologica, rituale e relativa all’esegesi del Corano.

Per risolvere il vuoto lasciato da Maometto si escogitano due soluzioni:

  • La messa per iscritto del testo canonico del Corano (gli altri testi circolanti vennero eliminati);
  • La formazione della letteratura esegetica, comprensiva anche dei primi hadith, i detti del profeta Maometto (il cui insieme è detto Sunna).

Secondo la tradizione sono possibili sette letture diverse del Corano (qira’at), variazioni che non toccano la sostanza dottrinale del testo. Il Corano NON è un testo giuridico: solo 350 versetti (3%) sono incentrati su temi legali.

La parola tafsir significa letteralmente “spiegare”, interpretare”. Poiché il Corano è al-Kitab, il Libro per eccellenza, il termine è andato a indicare nello specifico l’esegesi coranica.

Il concetto ha due livelli di significato:

  • Il tafsir come processo o come prassi, cioè l’esercizio intellettuale della immaginazione religiosa musulmana, che avviene ogniqualvolta una persona si accosti al testo con l’intenzione di comprenderne il significato (che non è la stessa cosa della recitazione liturgica, la quale non implica necessariamente la comprensione del testo: basta la sola declamazione del testo arabo anche senza capirlo, cosa che è già miracolosa per il credente);
  • Il tafsir come genere letterario – o tradizione genealogica (Walid Saleh) – soggetto a norme specifiche che un autore deve rispettare affinché il frutto del suo lavoro sia riconosciuto dalla comunità.

La Sunna costituisce il più importante esempio di tafsir dell’età premoderna. Nel corso dei primi due secoli dell’Islam, le tradizioni su Maometto vennero trasmesse perlopiù oralmente e in modo informale, dando vita a una vera e propria proliferazione di hadith, molti dei quali spuri. Nel tardo ottavo secolo, l’autorità califfale promosse un processo di formalizzazione della Sunna e alcuni studiosi (Bukhari e Muslim furono i più celebri) si assunsero il compito di raccogliere, verificare e catalogare le diverse tradizioni. Il criterio della validità non era incentrato sul contenuto ma sulla catena dei trasmettitori.

Nei primi secoli vi fu una ricchissima discussione circa l’esegesi coranica ma si svolse soprattutto oralmente, quindi è di difficile ricostruzione. Forse la traccia più evidente corrisponde al corpus degli hadith della Sunna. Non sappiamo direttamente su cosa discutessero i primi esegesi del Corano, ma possiamo farcene una idea leggendo gli argomenti della Sunna

Oltre alla Sunna, vennero scritte alcune opere di esegesi, la prima delle quali è quella di un contemporaneo di Maometto, ma di questa letteratura non ci è giunto nulla. La prima opera di tafsir giuntaci nella sua interezza è: Jami al-bayan ‘an ta’wil ay al-Qur’an di al Tabari (m. 923), che è andata a costituire il canone della letteratura esegetica successiva. La storia dell’esegesi coranica è certamente più antica ma conosciamo il nome di queste opere solo grazie alle citazioni presenti nel prodotto di Tabari.

Prima di Tabari vi era grossomodo questa situazione:

  • Tafsir bi-l-ma’thur: è la scuola poi risultata dominante. Si basa sul presupposto che esista un corpus di letteratura “accettabile” – quello degli hadith – tramandato da una generazione all’altra senza l’intervento della ragione o del parere personale dei trasmettitori. L’esegeta quindi poteva limitarsi a ripetere contando sulla autorità dei predecessori.
  • Tafsir bi-l-ra’y: ammetteva la possibilità per l’esegeta di ricorrere al giudizio personale in assenza di indicazioni chiare da parte del Corano o della Sunna.

Questa situazione esegetica è parallela a una grande disputa teologica, quella sulla natura creata o increata del Corano. Il Corano è stato creato da Dio successivamente o è increato come Dio stesso? La disputa è questa:

  • I teologi di scuola mu’tazilita, fortemente influenzati dal razionalismo greco, sostenevano la validità della esegesi secondo ragione (tafsir bi-l-ra’y) in quanto rifiutavano la dottrina del Corano increato perché essa inficiava l’assoluta Unità e trascendenza di Dio. Questi teologi hanno perduto.
  • I teologi di scuola hanbalita consideravano illecita questa esegesi basata sulla ragione in quanto il Corano avrebbe un archetipo celeste, una Madre del Libro (della quale parla lo stesso testo coranico), cioè increata, ragion per cui il Corano va interpretato letteralmente. Questa è la teoria risultata dominante.

L’intervento (eccezionale) del potere politico nella disputa portò inizialmente alla persecuzione dei hanbaliti (833-848) e in seguito alla scomunica dei mu’taziliti.

Secondo il canone avviato da al-Tabari (qui nella rilettura di al-Suyuti), l’interprete deve essere di comprovata pietà, essere in grado di mantenere il distacco dalle necessità materiali, possedere la perfetta padronanza di queste scienze:

  • Lingua araba
  • Le tre branche della grammatica
  • Le tre branche dell’arte oratoria
  • Le diverse letture del Corano (qira’at)
  • I fondamenti della religione (usul al-din)
  • I fondamenti della giurisprudenza (usul al-fiqh)
  • Le occasioni della rivelazione (asbab an-nuzul)
  • Abrogante e abrogato (nasikh wa mansukh)
  • Giurisprudenza (fiqh)
  • Scienza del hadith
  • Ilm al-mawhiba, uno speciale tipo di conoscenza concessa per grazia divina.

“Le occasioni della rivelazione” (asbab an-nuzul) indaga le circostanze contestuali della discesa di una particolare rivelazione. La scienza del nasikh wa mansukh stabilisce i criteri di abrogazione  dei testi normativi in contraddizione: un passo può essere “abrogante” se toglie valore ad altri, invece può essere “abrogato” se viene smentito e quindi nullificato.

Le opere di tafsir tradizionale seguono in larghissima parte il modello fissato da Tabari in queste caratteristiche:

  • Andamento lineare e atomistico dell’esegesi, in cui il testo coranico viene interpretato dall’inizio alla fine, versetto dopo versetto, parola dopo parola;
  • Prevalenza dell’analisi grammaticale-filologica su quella teologica;
  • Nell’analisi di un segmento ricorre una struttura simile: l’esegeta attribuisce la rivelazione al periodo meccano o medinese, ne specifica le circostanze (asbab an-nuzul), evidenzia la presenza di letture diverse, illustra le caratteristiche grammaticali, verifica se il versetto è abrogante o abrogato, e solo in seguito entra nel merito dell’interpretazione e del suo valore teologico, giuridico o spirituale;
  • L’espressione di un parere è preceduta dall’accumulo dei giudizi dei predecessori.

Le principali opere di tafsir di epoca premoderna, che hanno lasciato maggiore impatto nei secoli successivi, sono:

  • Tafsir al-Zamakhshari (m. 1140): mu’tazilita. È quello di cui ci sono più manoscritti nelle biblioteche islamiche. L’autore scrive questo trattato quando la scuola stava scomparendo, quindi costituisce un tentativo di farla sopravvivere, e in parte al-Zamakhshari riesce nell’intento vista l’importanza dell’opera. Pensiamo al fatto che quando negli anni Cinquanta del Novecento in Yemen fu ritrovata una biblioteca di testi mu’taziliti gli studiosi riuscirono a capire a fondo il mu’tazilismo dai numerosi commenti e dalle numerose critiche al Tafsir al-Zamakhshari
  • Tafsir al-kabir, Fakhr al-din al-Razi (m. 1210): filosofico. Il più voluminoso di tutti, 42 volumi. Al-Razi è considerato una sorta di Leonardo da Vinci, non perché era un pittore ma perché era poliedrico, essendo medico, chimico, letterato, storico, filosofo, giurista, interprete del Corano. È il trattato più vivace, particolare e indipendente nel ragionamento, tributario della scuola platonica e razionalista. Egli era nell’ortodossia ma sapeva ragionare in maniera autonoma: non per nulla il suo trattato è il più voluminoso. Al-Razi, infatti, per poter giustificare le sue interpretazioni molto spesso originali le ingabbia in un’analisi fittissima della tradizione precedente
  • Tafsir al-Qurtubi (m. 1214): giuridico. Nell’Islam si sono sviluppate quattro scuole giuridiche principali, ovvero quelle che sono sopravvissute, in quanto nella fase iniziale erano molte di più. Esse sono: hanafita, malikita, shafi’ita, hambalita. Il Nord Africa è prevalentemente malikita, il Sud Est asiatico è prevalentemente shafi’ita, l’Egitto è hanafita, la scuola hambalita era praticamente scomparsa fino a quando non viene trasformata in wahhabismo, ma esso nacque come eresia, poi i sostenitori del wahhabismo scoprirono il petrolio e quindi acquisirono il potere economico necessario per trasformare una eresia nella scuola dominante ortodossa della contemporaneità. Al-Qurtubi è della scuola malikita ma nel suo tafsir riporta tutte le altre opinioni: si tratta certamente di un sintomo di pluralismo, ma anche del fatto che al-Qurtubi, in accordo con lo stile del tafsir tradizionale, prima di esprimere un parere riporta tutti quelli precedenti
  • Tafsir Ibn Kathir (m. 1373): pre-salafita. Il più diffuso oggi tra i tafsir classici, l’unico tradotto in inglese. Comincia ad avere la tendenza moderna a censurare le opinioni precedenti e a dare un unico parere corretto. È quello più letto entro il wahhabismo, o comunque in Arabia Saudita, in quanto è il più rigido.
  • Tafsir al-Jalalayn (1505): divulgativo. Uno dei primi pensato per essere “leggero”, in soli 3 volumi per essere diffuso anche nelle scuole e non solo nelle torri d’avorio dei dotti.

Concludiamo dicendo che, fino a tempi relativamente recenti, è prevalsa tra gli storici del tafsir e del fiqh la teoria della “chiusura delle porte del ijtihad”. Secondo Schacht (1964), intorno al 1900 gli studiosi islamici sono arrivati ad affermare che tutte le questioni più importanti dell’Islam erano state discusse e si è arrivati a una soluzione, per cui non c’era più bisogno di interpretare i testi con l’ausilio del ijtihad (raziocinio indipendente) ma bastava imitare quanto stabilito dal consenso dei giuristi precedenti, secondo il principio del taqlid.

Questa teoria venne profondamente contestata già a partire dagli anni Ottanta e si è cercato di mostrare quanto il ragionamento indipendente fosse importante. Infatti esso non si è mai fermato. Tuttavia oggi vi è la cosiddetta “utopia retrospettiva” (Campanini), ovverosia la tendenza a considerare il sapere già raggiunto come un paradiso perduto al quale ritornare, pur non annullando del tutto il ragionamento indipendente. Per alcuni è questa utopia retrospettiva la causa del declino tecnologico e scientifico attuale del mondo islamico.

 

Bibliografia

 

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  • T. Asad, The Idea of an Anthropology of Islam, Washington 1986;

 

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  • M. Campanini, Maometto: L’inviato di Dio, Roma 2020;

 

  • M. Campanini (a cura di) Storia del pensiero politico islamico, Milano 2017;

 

  • C. Gilliot, Les débuts de l’exégèse coranique, R.M.M.M. n. 58/1990;

 

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