14 Aprile 2024
Antropologia Europidi Razza

Le più antiche caratteristiche razziali

Di Michele Ruzzai
Nel precedente articolo “Madre Africa ?”, incentrato su alcune considerazioni critiche in merito alla teoria “Out of Africa”, tra gli altri punti avevamo visto come le odierne teorie genetiche sulle origini umane utilizzino modi diversi di strutturare gli alberi evolutivi, in funzione soprattutto dell’ipotesi di partenza di un’uniformità, o meno, del tasso di mutazione generale tra tutte le popolazioni mondiali. Nell’albero filogenetico, il gruppo che risulta portatore di un maggior numero di mutazioni è rappresentato da un ramo che appare particolarmente lungo: un ramo che viene raffigurato come parallelo a quelle delle altre popolazioni (e che si stacca dal tronco comune in un punto molto vicino alla radice, a significare una maggiore antichità) se si sceglie l’ipotesi di un tasso di mutazione uniforme per tutti, oppure che viene raffigurato come obliquo e nettamente divergente in direzione laterale (cioè maggiormente “deviante”, ma non necessariamente più antico) se si sceglie l’ipotesi di un tasso di mutazione che, nel caso specifico, avrebbe accelerato la sua frequenza rispetto alle altre popolazioni. All’opposto, è evidente che i “rami corti” degli alberi genetici rappresentano invece popolazioni più giovani (nell’ipotesi di un tasso di mutazione costante) oppure meno “devianti” rispetto al tipo ancestrale (nell’ipotesi di un tasso di mutazione variabile che, nel caso specifico, avrebbe presentato una velocità evolutiva inferiore a quella di altri gruppi).

Ad ogni buon conto, può essere interessante chiedersi quanto l’aspetto odierno di una popolazione che è rappresentata da un ramo comunque “lungo” sia effettivamente in grado di aiutarci a capire quale possa essere stato l’aspetto fenotipico della popolazione che fu ancestrale rispetto a tutte quelle attuali; in effetti, Nicholas Wade ammette significativamente che anche gli odierni africani ed australiani, che considera gruppi molto antichi in quanto rappresentati dai rami più lunghi dell’albero (quindi nell’ipotetica prospettiva di un tasso evolutivo costante per tutti), potrebbero in ogni caso differire considerevolmente dal nucleo originario. Tra gli africani, molto spesso sono i Khoisan (in pratica i Boscimani e gli Ottentotti) quelli che vengono indicati come i più diretti discendenti del gruppo iniziale, ipotesi sulla quale va però rilevato che non concorda Cavalli Sforza. Nell’articolo precedente avevamo infatti visto come il genetista segnali per i Khoisan una posizione molecolare intermedia tra quella degli africani e quella degli asiatici occidentali, propendendo piuttosto per un’origine derivante da un’antica ibridazione, forse avvenuta 20.000 anni fa. In generale però Cavalli Sforza riconosce che, sotto diversi aspetti, due ipotesi radicalmente diverse come l’ibridazione e la discendenza diretta da un gruppo ancestrale possano portare ad evidenze genetiche molto simili.
In effetti, questo è un punto che credo sia piuttosto significativo e che apre la strada ad alcune considerazioni di una certa importanza: potrebbe infatti essere plausibile considerare particolarmente vicine a quelle originarie altre popolazioni che invece per Cavalli Sforza sono solo il prodotto di un incrocio.
Sappiamo che per il genetista oltre ai Khoisan, una possibile origine da ibridazione può aver interessato anche gli Etiopi e, allargando la scala, gli Europei tutti. Per questi ultimi, che considera in posizione intermedia tra africani e resto del mondo, ricordiamo che la relativa brevità del ramo che li rappresenta nel suo albero filogenetico viene spiegata in prima battuta con l’ipotesi di un’origine da incrocio tra 1/3 di geni africani e 2/3 di geni orientali; ma, esplicitamente, Cavalli Sforza ammette per gli Europei attuali anche l’ipotesi opposta, ovvero – come dicevo sopra – che, invece di essere il risultato di un meticciamento, siano un gruppo rimasto piuttosto simile alla popolazione ancestrale. Un’evidenza che è particolarmente visibile nella rappresentazione grafica offerta dall’albero di tipo “NJ” la quale, a differenza di quello basato sul metodo della “massima verosimiglianza”, presenta il breve ramo relativo agli Europei situato in una posizione centrale in rapporto alle altre popolazioni mondiali e molto vicina al punto di origine di tutta la struttura.
In effetti, questo è un punto che credo sia piuttosto significativo e che apre la strada ad alcune considerazioni di una certa importanza: potrebbe infatti es
sere plausibile considerare particolarmente vicine a quelle originarie altre popolazioni che invece per Cavalli Sforza sono solo il prodotto di un incrocio.
Sappiamo che per il genetista oltre ai Khoisan, una possibile origine da ibridazione può aver interessato anche gli Etiopi e, allargando la scala, gli Europei tutti. Per questi ultimi, che considera in posizione intermedia tra africani e resto del mondo, ricordiamo che la relativa brevità del ramo che li rappresenta nel suo albero filogenetico viene spiegata in prima battuta con l’ipotesi di un’origine da incrocio tra 1/3 di geni africani e 2/3 di geni orientali; ma, esplicitamente, Cavalli Sforza ammette per gli Europei attuali anche l’ipotesi opposta, ovvero – come dicevo sopra – che, invece di essere il risultato di un meticciamento, siano un gruppo rimasto piuttosto simile alla popolazione ancestrale. Un’evidenza che è particolarmente visibile nella rappresentazione grafica offerta dall’albero di tipo “NJ” la quale, a differenza di quello basato sul metodo della “massima verosimiglianza”, presenta il breve ramo relativo agli Europei situato in una posizione centrale in rapporto alle altre popolazioni mondiali e molto vicina al punto di origine di tutta la struttura.  
Comunque, l’ipotesi di considerare alternativamente i khoisanidi, gli Etiopi, o gli Europei come raggruppamenti odierni sensibilmente vicini a quella che fu l’antica protoumanità, a mio avviso andrebbe vagliata alla luce di quanto può dirci anche l’antropologia classica, sia in termini storici che in termini geografici.
Per quanto riguarda l’Africa, bisogna dire che le popolazioni khoisanidi sembrerebbero attestate nel Paleolitico su una superficie che, rispetto a quella occupata attualmente, è ben più vasta, ovvero dalla zona del Capo fino all’alto corso del Nilo (Biasutti); è però anche vero che non risulterebbero esser stati trovati ulteriori elementi chiaramente riconducibili al particolare tipo boscimanoide di età superiore ai 20.000 anni, né tantomeno in territori al di fuori del continente africano.
Forse una maggior estensione temporale e geografica potrebbe riguardare gli elementi etiopici: se per alcuni antropologi tale varietà sarebbe riconducibile ad un meticciamento relativamente recente tra europoidi e negroidi (varietà che, quindi, al tempo avrebbero dovuto essere già state consolidate), vi è qualche altro studioso, come Vallois, che si chiede se – in linea con l’ipotesi sopra espressa – più che il risultato di un incrocio, essa non possa piuttosto rappresentare il residuo di un ceppo ancestrale non ancora differenziatosi né nel senso “bianco”, né nel senso “nero”; ciò, oltretutto, spiegherebbe come mai il tipo generale degli Etiopi si presenti in una forma esteriormente così diversa da quello dei mulatti, che invece sono notoriamente degli incroci. Secondo tale interessante ipotesi, dei meticciamenti nei popoli etiopici sarebbero poi intervenuti comunque, ma solo in un secondo momento, modificandone in diversi punti la varietà, in modo da avvicinarla in parte ai neri ed in parte ai bianchi. Tra l’altro, di una certa vicinanza tra Etiopi e Khoisan si era già parlato nell’articolo precedente per quanto evidenziato dalla seconda “Componente Principale” africana, ed infatti Cavalli Sforza segnala – nell’ipotesi di un’origine per ibridazione e non per discendenza diretta – come gli Etiopi (con i Begia e forse anche i Tuareg) posseggano a suo avviso un mix di geni africani e caucasoidi quantitativamente simile a quello dei Khoisan. In effetti anche Vallois valuta le caratteristiche khoisanidi (soprattutto ottentotte, più di quelle dei Boscimani) sensibilmente più vicine alle etiopi piuttosto che a quelle dei negridi sub sahariani veri e propri. Tutto ciò, anche se Cavalli Sforza evidenzia, nella terza “Componente Principale” africana (che tuttavia è meno rappresentativa della seconda) una massima divergenza proprio tra questi due poli: l’autore cioè ne deduce che Etiopi e Khoisan differiscano entrambi – in quanto simili ai caucasoidi – dall’altro nucleo africano costituito dai negridi classici, ma al tempo stesso siano anche geneticamente piuttosto diversi tra loro. In effetti, una certa singolarità nel contesto africano soprattutto degli Etiopi (che anche un autore non certo specialista del settore, come Renè Guenon, evidenzia non appartenere alla Razza Nera pur se di pigmentazione scura) viene segnalata anche da Raffaello Parenti, che ne mette in luce le caratteristiche scheletriche e facciali decisamente europoidi e la pigmentazione cutanea che, rispetto ai negridi classici, presenta un tono più rossastro.
Quello etiopico sembra dunque essere uno snodo piuttosto importante nella storia umana: ma la sua origine può forse essere ricondotta, a sua volta, ad un insieme ancora più ampio e generalizzato – appunto quello caucasoide – se è vero che, ad esempio per Renato Biasutti, il gruppo etiopico può essere interpretato come originariamente europoide (sinonimo di caucasoide) dalla pelle relativamente chiara e dalla provenienza eurasiatica settentrionale, cosa che peraltro viene ammessa anche per gli Ottentotti, i quali avrebbero anch’essi conservato una pigmentazi
one non troppo pronunciata.  
In merito ai reperti antichi, ricordiamo in breve quanto segnalato nell’articolo “Madre Africa ?”, ovvero lo scarso negroidismo di ritrovamenti come quelli di Boskop o di Oldoway, che sono stati considerati anche protoetiopici (Mario Canella, segnalazione sfuggitami nel pezzo precedente) o, per Asselar, forse anche con influenze khoisanidi; l’aspetto che però mi pare più significativo, e che accomuna questi ritrovamenti, è una marcata impronta europoide, e forse ancor più specificamente cromagnoide (in quello di Boskop in particolare per Giuffrida-Ruggeri, che peraltro nega decisamente, in termini generali, la presenza di qualsivoglia elemento negroide in Cro-Magnon). Alcuni antropologi hanno cioè ipotizzato per l’Africa del sud e del sud-est un popolamento cromagnoide, o comunque di vecchie forme paleoeuropidi, risalente anche a 20-30.000 anni fa e quindi antecedente a quello dei boscimanoidi stessi. Tale ipotesi, peraltro, sembrerebbe recentemente confermata dall’analisi del cranio sudafricano di Hofmeyr che lo daterebbe a circa 36.000 anni fa e ne evidenzierebbe un aspetto molto più simile ai reperti risalenti al Paleolitico superiore europeo, piuttosto che a quelli recenti, locali od europei. Sempre per l’Africa australe, ricordiamo che ad opinione di Vittorio Marcozzi elementi europoidi possono, quanto meno, essere entrati come componenti di popolazioni dalla probabile origine mista, come i cafridi dell’Africa sud-orientale o i malgassidi del Madagascar.
Ma in generale, per tutta l’Africa, Bernatzik e Biasutti concludono che, data la mancanza di crani negridi fino a tempi recenti, forse a dopo il mesolitico, in tempi più antichi il cosiddetto “continente nero” tenderebbe sempre più, al contrario, a rivelarsi come un territorio popolato da forme europoidi.
Se ora usciamo dal contesto africano e guardiamo verso altri continenti, Steve Olson ammette, in merito alla generale presenza in Asia, Australia ed America di frequenti tratti apparentemente caucasoidi tra popolazioni non “bianche”, che il fenomeno possa essere spiegato con il mantenimento delle caratteristiche originarie delle genti uscite dall’Africa (l’autore si pone comunque nell’ambito della teoria “OOA”), quelle che avrebbero poi generato tutte le popolazioni del resto del mondo dopo la traversata della zona medio-orientale. Credo vada quindi sottolineato come tali caratteristiche iniziali sarebbero protoeuropoidi anche secondo chi si muove comunque in un’ottica afrocentrica. In altri casi, a tali elementi se ne sarebbero invece sovrapposti ulteriori di carattere più marcatamente mongoloide che però, va notato, sono necessariamente meno arcaici; è infatti il caso di evidenziare un altro punto di ordine generale e di notevole importanza, ovvero che anche le specificità delle popolazioni “gialle” sono, quasi unanimemente, riconosciute avere un’origine relativamente recente.
Sulla datazione dei primi reperti chiaramente mongoloidi, tuttavia, ci troviamo davanti a valutazioni diverse. Ad  esempio nelle sepolture di Sungir (in Russia, vicino a Mosca), di circa 22.000 anni fa, è stato rinvenuto un individuo cromagnoide nel quale sarebbero stati intravisti pure tratti protomongoloidi accostabili a forme asiatico-sudorientali; risalenti ad un periodo più o meno contemporaneo, anche i reperti di Minatogawa (Okinawa, Giappone) evidenzierebbero probabili caratteristiche mongoloidi. Ma altri autori rilevano invece il fatto che, ad esempio, il cranio cinese di Ciu Cu Tien risalente a circa 15-20.000 anni fa non evidenzi alcuna somiglianza con gli attuali orientali ma semmai con i Nativi americani, gli Ainu o con gli europoidi (in particolare i “Pre-europidi” secondo Biasutti). A parere di Nicholas Wade la specializzazione mongoloide non sarebbe apparsa prima di 10.000 anni fa, se non ancora più tardi: per Grottanelli solo in periodo neolitico nell’Asia centro-settentrionale e per Biasutti ancora più tardi, nel calcolitico cinese. In ogni caso, anche a prendere a riferimento le date più antiche (Sungir e Minatogawa) siamo comunque molto lontani dalle ipotesi di Gaston Georgel che, da un punto di vista ciclico-tradizionale, postula l’emergere della Razza Gialla già 52.000 anni fa ad inaugurare un periodo di preminenza che avrebbe coperto tutto il “Secondo Grande Anno” del Manvantara, cioè fino a 39.000 anni fa.
Ritornando quindi ad una rapida analisi delle aree extra africane, per il subcontinente indiano è significativo che diversi autori (Bernatzik, Coon, Glowatzki, Pullè, Eickstedt, Weinert) concordino sul fatto che i gruppi umani più arcaici ivi stanziati, come i veddoidi (i cui reperti, peraltro, sono stati rinvenuti fino in Mesopotamia, Arabia sud-orientale ed Africa sud-orientale), siano fondamentalmente dei paleoeuropoidi. Probabilmente allo stesso raggruppamento dovrebbe fare riferimento anche Biasutti che segnala un’analoga origine per i “paleoindidi” (ricordiamo che molto spesso in ambito antropologico la classificazione tassonomica viene effettuata utilizzando denominazioni che possono variare sensibilmente da autore ad autore). Secondo Marcozzi elementi europoidi entrano nella composizione di popolazioni dalla probabile orig
ine mista quali gli indo-melanidi del Deccan, mentre è stato avvicinato a forme “pre-europidi” (analoghe a quelle che, ad esempio, nel nostro continente sarebbero rappresentate dai Lapponi e da altri Uralici) il popolo dei Toda, dell’India sud-occidentale.
Ancora più lontano, si rileva la presenza di vecchie forme europoidi anche in Indocina ed Insulindia (Biasutti). Se per Vallois quella indonesiana o protomalese è una razza gialla a caratteri estremamente attenuati, è tuttavia significativo il fatto che egli stesso ne evidenzi una certa affinità con le popolazioni europee, tant’è che ricorda come alcuni antropologi l’abbiano addirittura inclusa nel ramo della razza mediterranea; un tempo molto più diffuso di oggi, con propaggini forse estese fino al Giappone, sembra infatti che il gruppo indonesiano rechi al suo interno un importante elemento ainuidico, che vedremo più sotto. Ma forme paleoeuropoidi vengono anche individuate in Melanesia ed in Polinesia (soprattutto nelle isole Marchesi), tant’è che diversi antropologi hanno ritenuto di poter in toto classificare i polinesiani tra gli europoidi.
Più a sud, gli stessi australoidi vengono addirittura incasellati da Weinert come paleoeuropoidi essi stessi (ed anche da Stratz), o quanto meno considerati appartenenti alla stessa linea degli europoidi, considerata “centrale” rispetto a quelle più “laterali” e specializzate rappresentate dai negroidi e dai mongoloidi. Se Stratz si spinge ad ipotizzarli come il prototipo umano, antecedente alla differenziazione razziale, per altri autori (es. Marcozzi) Australiani e Tasmaniani non possono invece essere considerati antenati, ad esempio, degli Europei perché presentano comunque dei caratteri specifici difficilmente compatibili con una loro ancestralità nei nostri confronti. Invece Biasutti postula un’area di enucleazione australoide nella zona del subcontinente indiano – e non più a sud – in quanto dovettero formarsi non troppo lontano da un immaginario analogo centro per gli europoidi, visto che in essi vi sarebbero vari caratteri indicati quanto meno come “profetici” dell’uomo bianco; una nota che quindi lascerebbe intravedere una sorta di derivazione caucasoide dagli australoidi, ma che a mio avviso potrebbe anche essere letta in direzione esattamente opposta, prendendo come spunto la posizione, ad esempio, degli Ainu.
Questo popolo autoctono del Giappone settentrionale e delle isole Curili, risalente quanto meno al periodo “Jomon”, appare del tutto privo di caratteri mongolidi ed è stato molto spesso accostato ai tipi australiani, o anche della Nuova Guinea, dei quali potrebbe rappresentare non tanto un derivazione, ma piuttosto – in un’ottica “boreale” – il tipo ad essi ancestrale; ciò, anche perché altre caratteristiche lo avvicinerebbero sia ai mediterranei che ai nordeuropei (si è parlato anche di non trascurabili connessioni linguistiche con l’Indoeuropeo) in virtù di una diramazione molto remota dal tronco principale ed il mantenimento di forti elementi paleoeuropoidi, tanto da far accostare addirittura al Cro-Magnon il tipo ainu di Tsukumo. Il giapponese Matsumoto parla infatti di “ainu-caucasici pre-mongolici”, mentre per Biasutti essi rappresentano un residuo dei suoi “Pre-Europidi”, che segnala in tempi preistorici enormemente più diffusi di quanto gli europidi recenti non lo siano stati all’inizio dell’evo moderno; anche Vallois concorda sugli Ainu come gli ultimi rappresentanti di quelle arcaiche popolazioni bianche che, senza soluzione di continuità, dall’estremo oriente arrivavano fino in Europa, occupando tutta la fascia settentrionale della Siberia.
In effetti nel settentrione dell’Asia esiste ancora oggi, quasi sommersa dall’enorme, ma recente, diffusione mongolide, tutta una serie di popolazioni che evidenziano caratteristiche, quali il colore degli occhi e della pelle, riscontrabili quasi unicamente presso gli europoidi settentrionali (Bernatzik). Di particolare interesse è il ramo paleosiberiano, che per Vallois è annoverabile tra le razze gialle, ma con caratteri mongoloidi estremamente attenuati ed una certa affinità con i bianchi; a suo avviso sarebbe il risultato di un antico meticciamento tra bianchi e gialli primitivi (questi, forse giunti da sud). Ma non si può non ipotizzare che invece i paleosiberiani rappresentino piuttosto il residuo della vecchia forma più o meno indifferenziata, riproponendo anche in questo caso la doppia opzione, analogamente a quanto visto in ambito africano per gli Etiopi, tra l’ipotesi di un meticciamento primitivo, ed una di origine diretta da un tronco ancestrale paleoeuropoide che, in Asia, stava appena iniziando a differenziarsi verso i mongolidi propriamente detti.
Per quanto riguarda il continente americano è stato notato (Biasutti) come la varietà somatica dei Nativi non possa rientrare totalmente nel canone razziale mongoloide, dal momento che, come detto, tali caratteristiche si sono stabilizzate solo in tempi relativamente recenti; Vallois ne evidenzia i numerosi tratti comuni con gli Europei mentre Deniker designa come razza Paleo-americana quella degli amerindiani considerati più arcaici e, anche secondo lui, privi di caratteristiche mongoloidi, presu
pponendo anzi antichi rapporti oltre che con le forme europoidi, anche con quelle australoidi. In effetti il reperto di Punin è stato avvicinato a questi ultimi, come anche, da alcuni studiosi, la popolazione dei Fuegidi, per i quali si è ritenuto di intravedere una traccia australoide anche a livello linguistico (ed avvicinando ai Fuegidi stessi i ritrovamenti di Lagoa Santa). Biasutti invece ha preferito inquadrare le caratteristiche chiaramente a-mongoliche dei Fuegidi piuttosto in un quadro europoide, rilevando comunque come la particolare posizione meridionale e di nicchia di questa popolazione ne indichi chiaramente la più alta antichità di occupazione del continente americano. I Nativi più arcaici vengono da Biasutti collegati anch’essi ai Pre-Europidi già menzionati (ai quali avvicina il ritrovamento europeo di Combe-Capelle), mentre Facchini definisce “amuriano” il tipo, caucasoide arcaico, che avrebbe rappresentato un’importante componente di base degli amerindi; invece l’influenza più marcatamente mongoloide sarebbe ravvisabile in reperti – come quelli del Minnesota, di San Diego, o di Tepexpan in Messico – riconducibili ad un arrivo più recente e datati circa 10.000 anni fa. Di età similare, ma privo delle più recenti caratteristiche mongoloidi, è l’uomo di Kennewick, un esemplare che arriva ad un’altezza di circa 180 cm, di cui sono stati messe in rilievo le caratteristiche genericamente caucasoidi ed il cui cranio non ricadrebbe nel range di variazione degli indiano-americani moderni ma piuttosto in quello di polinesiani, asiatici meridionali ed Ainu del Giappone. Anche se piuttosto recente (9.000 anni al radiocarbonio), sarebbe tuttavia collegabile alla primissima migrazione dalla Beringia, ed i tratti caucasoidi starebbero a confermare la forte somiglianza morfologica tra Europei e Siberiani nel Paleolitico Superiore, più che un arrivo diretto dall’Europa occidentale per via nordatlantica. Una via che invece potrebbe essere stata seguita da quei gruppi che avrebbero portato in America un elemento più prettamente cromagnoide, e testimoniata dalle forti similitudini morfologiche di vari utensili presenti nella cultura americana Clovis con quelli del Solutreano europeo di circa 19.000 anni fa (argomento sul quale vi sarà modo di tornare in futuro).  
Per quanto riguarda l’Europa, Biasutti segnala la persistenza di forme europoidi arcaiche (Pre-Europidi) nel Galles settentrionale, nella Sardegna montana, nella penisola balcanica e nell’alto bacino del Volga con la razza Uralica. Soprattutto in connessione a quest’ultima, altri autori sottolineano la posizione dei Lapponi, che, secondo l’ipotesi formulata a suo tempo da Wiklund, sarebbero gli ultimi superstiti diretti di una razza da lui definita “Paleoartica” che avrebbe poi dato origine a mongolidi ed europidi; una razza per la quale – in mezzo al vespaio delle diverse denominazioni antropologiche utilizzate dai vari studiosi – si potrebbe a mio avviso tentare un accostamento a quella “Prenordica” ipotizzata da Herman Wirth, sulla quale torneremo più avanti, e che potrebbe già rappresentare una prima differenziazione interna del più generalizzato gruppo caucasoide arcaico, rispetto a gruppi ormai andati a stabilirsi in sedi più meridionali (australoidi, veddoidi, ecc…). Ancora in precedenza, antropologi come Virchow avevano postulato in Europa un massiccio popolamento lapponoide (e definito come similare al gruppo sardo-ligure) precedente all’arrivo degli Indoeuropei, mentre anche Montandon vedeva nei lapponoidi il ramo precocemente differenziatosi da un tronco dal quale gli europoidi propriamente detti sarebbero invece stati il ramo tardivo.
Questa popolazione paleoeuropea, forse risalente a 40.000 anni fa se non di più, avrebbe le sue forme fossili rappresentate principalmente da due tipi, il Cro-Magnon e, probabilmente in misura ancora maggiore, il Combe-Capelle che, nonostante qualche autore ponga in una certa relazione tra di loro, da diversi altri ricercatori vengono invece tenuti nettamente distinti; oltretutto, al di là dell’effettivo livello cronologico dei veri e propri reperti di Cro-Magnon e Combe-Capelle (che forse, in sè stessi, potrebbero essere anche meno antichi di quanto finora stimato) questi vanno considerati, se non come i capostipiti, quanto meno come i tipi-esemplari di due linee abbastanza ben specificate – appunto “cromagnoide” una, e “combe-capelloide” l’altra – le quali avrebbero segnatamente contraddistinto i primi Europei (che tuttavia per Cavalli Sforza costituisce – è bene ricordarlo – il gruppo geneticamente più omogeneo al mondo a livello continentale). In particolare la linea di Combe-Capelle è stata individuata da Klaatsch come una razza a parte, definita “Homo Aurignacensis”, che dovette comparire in tempi anche precedenti ai gruppi più specificatamente cromagnoidi, essendo forse collegabile alla fase più antica del Paleolitico Superiore (Peyrony riunì l’Aurignaziano inferiore, o Castelperroniano, e quello superiore in un unico complesso che definì Perigordiano e che collegò all’uomo di Combe-Capelle; l’Aurignaziano “tipico” venne invece collegato al Cro-Magnon). Secondo Evola, questo tipo “aurignaziano” e pre-cromagnoide arrivò a popolare una enorme area posta tra la Boemia e la Siberia, soppiantando i preesistenti Neanderthal ma forse anche mescolandovisi parzialmente, e con tutta probabilità provenendo in Europa da oriente (secondo Ferembach), cosa forse confermata anche dall’avvicinamento che Biasutti ne effettua con i reperti cinesi di Ciu Cu Tien. Se l’attribuzione “archeo-mediterranea” sembra quella più condivisa, non mancano autori, come Giuffrida-Ruggeri, che riconnettono questa linea ad un quadro ancora più vasto, sottolineandone in particolare le caratteristiche più meridionali e collegandola a popolazioni come Protoetiopici (anche secondo Weinert), Ainu, Vedda, Australoidi, Dravidi ecc.., mentre in Cro-Magnon viene individuato un ceppo più atlantico-occidentale. Sempre Evola riporta il parere di alcuni antropologi che la vedono antesignana soprattutto dei mediterraneo-occidentali ma anche dei nordici attuali e non a caso nella zona scandinava / nord europea si riscontra la massima percentuale di sangue del gruppo A, che qualche studioso associa ai Combe-Capelle. E’ un tipo che infatti viene accostato più o meno direttamente, o comunque in probabile linea di discendenza, anche con i ritrovamenti francesi di Chancelade – di età maddaleniana e spesso interpretato come proto-eschimese – ma anche, procedendo verso oriente, a quelli siciliani di San Teodoro (traccia di un probabile tipo “pelasgico”), a quelli tedeschi di Oberkassel e di Ofnet (questi ultimi, mesolitici e tra i primi abbozzi di sub-razza alpina) fino a quelli più antichi di Brno (Moravia) e Pavlov (Russia europea). Sembra quindi probabile che una significativa parte degli Europei attuali –
dai Lapponi ai Mediterranei di vario tipo – sarebbe riconducibile più o meno direttamente alla linea paleolitica dei Combe-Capelle, a fianco di quella Cro-Magnon, relativamente più recente.     
In definitiva, da tutti questi elementi, si può quindi desumere che l’umanità ancestrale presentasse diffusi caratteri “caucasoidi arcaici” che, sebbene in forma ancora sfumata rispetto a come si osserva oggi, la avvicinavano morfologicamente all’odierna razza europoide (europei, nordafricani, asiatici occidentali), costituendo una sorta di base di partenza per tutte quelle popolazioni non ancora chiaramente indirizzate verso la direzione negroide o mongoloide, realtà ben più specializzate che emergeranno solo successivamente; non a caso Elliot Smith nota nei “bianchi” dei tratti meno differenziati (o più “primitivi”, ma ovviamente non in senso di “arretratezza evolutiva”), considerando ciò un punto di forza dal punto di vista biologico.
Ma quando si parla di “bianchi” – i “leucodermi” – si pensa quasi automaticamente al classico tipo chiaro-nordico, sulla cui posizione filetica sarà tuttavia necessario fare qualche riflessione più specifica, assieme anche ad alcune implicazioni connesse alla pigmentazione cutanea dell’umanità originaria: argomenti che proveremo ad approcciare nel prossimo articolo.

Bibliografia consultata per il presente articolo:

 

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· &n
bsp;    
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·       Carleton S. Coon – L’origine delle razze – Bompiani – 1970
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·       Vincenzo Giuffrida-Ruggeri – Su l’origine dell’uomo: nuove teorie e documenti – Zanichelli – 1921
·       Georg Glowatzki – Le razze umane. Origine e diffusione – Editrice La Scuola – 1977
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·       Silvano Lorenzoni – Il Selvaggio. Saggio sulla degenerazione umana – Edizioni Ghénos – 2005 
·       Vittorio Marcozzi – L’Uomo nello spazio e nel tempo – Casa Editrice Ambrosiana – 1953
·       Vittorio Marcozzi – Trasformazione progressiva o regressiva nella famiglia umana ? – in: La scuola cattolica – Marzo/Aprile 1951
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·       Raffaello Parenti – Lezioni di antropologia fisica – Libreria Scientifica Giordano Pellegrini – 1973
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·       Adriano Romualdi – Gli Indoeuropei. Origini e migrazioni – Edizioni di Ar – 1978
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·       Francisco Villar – Gli Indoeuropei e le origini dell’Europa. Lingua e storia – Il Mulino – 1997
·       Felice Vinci – Omero nel Baltico. Saggio sulla geografia omerica – Fratelli Palombi Editori – 1998
·       Nicholas Wade – All’alba dell’Uomo. Viaggio nelle origini della nostra specie – Cairo Editore – 2006
·       Spencer Wells – Il lungo viaggio dell’uomo. L’odissea della nostra specie – Longanesi – 2006

 

12 Comments

  • Frank 15 Maggio 2014

    Interessante. Ci sono molte possibilità di espandere una discussione sulle variazioni storico-genetiche di homo sapiens. Accando agli studi classici sulla morfologia e i gruppi sanguigni, va sempre tenuto conto della ricerca più recente sul DNA. Gli indigeni americani per esempio, sembra che siano arrivati ad ondate successive da più parti, e sembra dimostrato un flusso europeo “Clovis” nell’America del nord (http://en.wikipedia.org/wiki/Solutrean_hypothesis), oltre a viaggi costieri nel Pacifico (e quindi non solo la penetrazione interna via Beringia). Se si osservano bene gli indigeni americani anche senza tener conto del meticciato recente, si osserva costantemente nel fenotipo un’oscillazione europoide più o meno accentuata, variando tra una popolazione e l’altra, su un fondo che richiama a certe popolazioni asiatiche como i tibetani e i (paleo)siberiani. È vero che gli strati più antichi dei nativi americani sono quelli meno mongolizzanti (il massimo di mongolismo si ritrova negli “ultimi arrivati”, gli eschimesi e gli aleutiani). Uso le denominazioni di Renato Biasutti, che ho più familiari.

  • Frank 15 Maggio 2014

    Interessante. Ci sono molte possibilità di espandere una discussione sulle variazioni storico-genetiche di homo sapiens. Accando agli studi classici sulla morfologia e i gruppi sanguigni, va sempre tenuto conto della ricerca più recente sul DNA. Gli indigeni americani per esempio, sembra che siano arrivati ad ondate successive da più parti, e sembra dimostrato un flusso europeo “Clovis” nell’America del nord (http://en.wikipedia.org/wiki/Solutrean_hypothesis), oltre a viaggi costieri nel Pacifico (e quindi non solo la penetrazione interna via Beringia). Se si osservano bene gli indigeni americani anche senza tener conto del meticciato recente, si osserva costantemente nel fenotipo un’oscillazione europoide più o meno accentuata, variando tra una popolazione e l’altra, su un fondo che richiama a certe popolazioni asiatiche como i tibetani e i (paleo)siberiani. È vero che gli strati più antichi dei nativi americani sono quelli meno mongolizzanti (il massimo di mongolismo si ritrova negli “ultimi arrivati”, gli eschimesi e gli aleutiani). Uso le denominazioni di Renato Biasutti, che ho più familiari.

  • Anonymous 15 Maggio 2014

    Sono d’accordo, il popolamento del continente americano si sta rivelando sempre più complesso ed anche più antico di quanto si pensava fino ad una ventina di anni fa. Anche per me i quattro volumoni “Razze e popoli della terra” di Biasutti sono una delle opere fondamentali in ambito antropologico (oltre ad averlo ripetutamente consultato in biblioteca, di recente sono riuscito ad acquistarlo tramite E-bay ad un prezzo stracciato ed in ottime condizioni); oltretutto è una delle ultime opere di “razziologia” classica prima che il termine cadesse in disgrazia per vicissitudini ben poco scientifiche. Parlare di “razze” ormai è diventato quasi una bestemmia. Teniamo duro….
    Michele Ruzzai

  • Anonymous 15 Maggio 2014

    Sono d’accordo, il popolamento del continente americano si sta rivelando sempre più complesso ed anche più antico di quanto si pensava fino ad una ventina di anni fa. Anche per me i quattro volumoni “Razze e popoli della terra” di Biasutti sono una delle opere fondamentali in ambito antropologico (oltre ad averlo ripetutamente consultato in biblioteca, di recente sono riuscito ad acquistarlo tramite E-bay ad un prezzo stracciato ed in ottime condizioni); oltretutto è una delle ultime opere di “razziologia” classica prima che il termine cadesse in disgrazia per vicissitudini ben poco scientifiche. Parlare di “razze” ormai è diventato quasi una bestemmia. Teniamo duro….
    Michele Ruzzai

  • Marco.C 9 Maggio 2015

    Michele Ruzzai i suoi articoli come quelli di Fabio Calabrese sono sempre molto interessanti.
    Ho sempre pensato che la razza “Caucasica” sia quela più vicina al tipo Umano originario che in europa abbiamo trovato in due forme decisamente progressive,quella Cromagnoide e quella aurignacoide.

    A mio avviso ,la specializzazioni australoide , Mongoloide e congoide sono comparse molto tempo dopo la specializzazione caucasica.

    Congoidi ,mongoloidi ed australoidi risulterebbero essere “forme Ridotte e specializzate” ed io aggiungo “arcaicizzate” ,del tipo originale umano che era decisamente progressivo e molto simile al tipo Caucasico attuale.
    La dove l’elemento arcaico non è cronologicamente quello più antico bensi quello più recente.
    Constatando che è il tipo caucasico è quello che più di tutti presenta tratti progressivi mentre le altre forme umane come i negroidi e gli australoidi presentano tratti Arcaici e specializzati.
    Discorso analogo per il tipo mongoloide infantilizzato e dunque altamente specializzato.

  • Marco.C 9 Maggio 2015

    Michele Ruzzai i suoi articoli come quelli di Fabio Calabrese sono sempre molto interessanti.
    Ho sempre pensato che la razza “Caucasica” sia quela più vicina al tipo Umano originario che in europa abbiamo trovato in due forme decisamente progressive,quella Cromagnoide e quella aurignacoide.

    A mio avviso ,la specializzazioni australoide , Mongoloide e congoide sono comparse molto tempo dopo la specializzazione caucasica.

    Congoidi ,mongoloidi ed australoidi risulterebbero essere “forme Ridotte e specializzate” ed io aggiungo “arcaicizzate” ,del tipo originale umano che era decisamente progressivo e molto simile al tipo Caucasico attuale.
    La dove l’elemento arcaico non è cronologicamente quello più antico bensi quello più recente.
    Constatando che è il tipo caucasico è quello che più di tutti presenta tratti progressivi mentre le altre forme umane come i negroidi e gli australoidi presentano tratti Arcaici e specializzati.
    Discorso analogo per il tipo mongoloide infantilizzato e dunque altamente specializzato.

  • Michele Ruzzai 10 Maggio 2015

    Grazie per l’apprezzamento. E’ vero, rispetto alla base Paleo-Caucasoide di partenza i Congoidi ed i Mongoloidi sono chiaramente più specializzati e recenti (e così anche, a onor del vero, i Nordici leptomorfi), ma a mio modesto parere non tanto quanto gli Australoidi che forse si distaccarono dal tronco comune in tempi più antichi, magari attraverso passaggi intermedi di tipo Ainuide e/o Veddoide. Una separazione precoce che probabilmente generò anche i Pigmoidi (come ipotizzo nell’articolo “Nord-Sud: la prima dicotomia umana e la separazione del ramo australe”) i quali, a loro volta, attraverso una complessa dinamica meticciatoria dovettero entrare nella formazione dei Negridi sub sahariani (i “Congoidi” di Coon).
    Termini quali “progressivo” e “arcaico”, anche se correntemente utilizzati dall’antropologia classica, a mio avviso corrono il rischio di alimentare l’immagine di una direzione ascendente nel processo razziogenetico, mentre invece mi sembra più consona l’idea di uno “srotolamento” di possibilità morfologiche insite nel fenomeno umano, semmai non esenti da variegate spinte di tipo involutivo, commisurate al grado di allontanamento dall’iniziale Archetipo incorporeo e dalla prima forma che questo ricevette sul piano materiale (appunto, quella Paleo-Caucasoide). Un cordiale saluto.

  • Michele Ruzzai 10 Maggio 2015

    Grazie per l’apprezzamento. E’ vero, rispetto alla base Paleo-Caucasoide di partenza i Congoidi ed i Mongoloidi sono chiaramente più specializzati e recenti (e così anche, a onor del vero, i Nordici leptomorfi), ma a mio modesto parere non tanto quanto gli Australoidi che forse si distaccarono dal tronco comune in tempi più antichi, magari attraverso passaggi intermedi di tipo Ainuide e/o Veddoide. Una separazione precoce che probabilmente generò anche i Pigmoidi (come ipotizzo nell’articolo “Nord-Sud: la prima dicotomia umana e la separazione del ramo australe”) i quali, a loro volta, attraverso una complessa dinamica meticciatoria dovettero entrare nella formazione dei Negridi sub sahariani (i “Congoidi” di Coon).
    Termini quali “progressivo” e “arcaico”, anche se correntemente utilizzati dall’antropologia classica, a mio avviso corrono il rischio di alimentare l’immagine di una direzione ascendente nel processo razziogenetico, mentre invece mi sembra più consona l’idea di uno “srotolamento” di possibilità morfologiche insite nel fenomeno umano, semmai non esenti da variegate spinte di tipo involutivo, commisurate al grado di allontanamento dall’iniziale Archetipo incorporeo e dalla prima forma che questo ricevette sul piano materiale (appunto, quella Paleo-Caucasoide). Un cordiale saluto.

  • Giacomo 19 Agosto 2016

    Perdonate l’intervento ignorante. Quì sì sostiene che l’umanità originaria, più arcaica, fosse di tipo caucasoide/paleo-caucasoide? Se ho capito bene, faccio un’ulteriore osservazione molto ingenua. I congoidi moderni non sono quelli che assomigliano di più a gorilla, scimpanzé ed altri primati? Perciò i primi esemplari di Homo non dovrebbero essere stati di tipo congoide (negroide)? Grazie

    • Michele Ruzzai 19 Agosto 2016

      Salve, nessuna ignoranza anzi grazie per la domanda. Sì, le confermo che, dai dati che ho reperito su vari testi, quelle paleo-caucasoidi sembrerebbero essere caratteristiche morfologiche di estrema antichità, quanto meno sicuramente più di quelle congoidi e mongoloidi.
      Il fatto è che la prospettiva nella quale mi muovo non è quella “evolutiva-ascendente” (su questa stessa testata può trovare una mia sintesi con alcune riflessioni in merito al darwinismo nell’articolo “Quale Evoluzione ?” al quale, se le interessa, mi permetto di rimandarla) ma quella più legata ai dati tradizionali e mitici dei popoli, che è piuttosto “involutiva-discendente”. Ne consegue che all’origine non c’è stata una condizione subumana, vicina all’animalità, dalla quale l’uomo si sarebbe elevato, bensì uno stato sovrumano, vicino alla divinità, dal quale invece sarebbe caduto per acquisire le caratteristiche attuali. I vari primati, ed in misura minore anche le altre specie del genere Homo (Neanderthal, Erectus, Denisova…), invece costituirebbero delle linee “laterali” e più o meno oblique di questa caduta che solo nella sua verticale perpendicolare avrebbe generato il gruppo Sapiens, cioè noi. In questi termini, quindi, si ribalta completamente la prospettiva: le caratteristiche Sapiens più antiche corrispondono, se vogliamo, a quelle di eredità più diretta e modificate in misura relativamente bassa dai primordi fino ad oggi, mentre razze successive (come congoidi e mongoloidi) pur rappresentando gruppi più “giovani” sono anche quelle che in misura maggiore si sarebbero allontanate dalla struttura iniziale.
      Infine, la somiglianza degli attuali congoidi con alcuni primati africani potrebbe ridursi ad un maggiore prognatismo facciale, ma tali similitudini, a mio avviso, non sarebbero dovute ad un più diretto collegamento filogenetico negroide con quelle specie animali, quanto piuttosto ad una comune influenza ricevuta da entrambi i gruppi ad opera di fattori di ordine più sottile, involutivi e “sovrabiologici” in merito ai quali avrei intenzione a breve di proporre un articolo specifico alla Redazione, se concorderà con la pubblicazione.
      Un cordiale saluto.

  • Giacomo 19 Agosto 2016

    Perdonate l’intervento ignorante. Quì sì sostiene che l’umanità originaria, più arcaica, fosse di tipo caucasoide/paleo-caucasoide? Se ho capito bene, faccio un’ulteriore osservazione molto ingenua. I congoidi moderni non sono quelli che assomigliano di più a gorilla, scimpanzé ed altri primati? Perciò i primi esemplari di Homo non dovrebbero essere stati di tipo congoide (negroide)? Grazie

    • Michele Ruzzai 19 Agosto 2016

      Salve, nessuna ignoranza anzi grazie per la domanda. Sì, le confermo che, dai dati che ho reperito su vari testi, quelle paleo-caucasoidi sembrerebbero essere caratteristiche morfologiche di estrema antichità, quanto meno sicuramente più di quelle congoidi e mongoloidi.
      Il fatto è che la prospettiva nella quale mi muovo non è quella “evolutiva-ascendente” (su questa stessa testata può trovare una mia sintesi con alcune riflessioni in merito al darwinismo nell’articolo “Quale Evoluzione ?” al quale, se le interessa, mi permetto di rimandarla) ma quella più legata ai dati tradizionali e mitici dei popoli, che è piuttosto “involutiva-discendente”. Ne consegue che all’origine non c’è stata una condizione subumana, vicina all’animalità, dalla quale l’uomo si sarebbe elevato, bensì uno stato sovrumano, vicino alla divinità, dal quale invece sarebbe caduto per acquisire le caratteristiche attuali. I vari primati, ed in misura minore anche le altre specie del genere Homo (Neanderthal, Erectus, Denisova…), invece costituirebbero delle linee “laterali” e più o meno oblique di questa caduta che solo nella sua verticale perpendicolare avrebbe generato il gruppo Sapiens, cioè noi. In questi termini, quindi, si ribalta completamente la prospettiva: le caratteristiche Sapiens più antiche corrispondono, se vogliamo, a quelle di eredità più diretta e modificate in misura relativamente bassa dai primordi fino ad oggi, mentre razze successive (come congoidi e mongoloidi) pur rappresentando gruppi più “giovani” sono anche quelle che in misura maggiore si sarebbero allontanate dalla struttura iniziale.
      Infine, la somiglianza degli attuali congoidi con alcuni primati africani potrebbe ridursi ad un maggiore prognatismo facciale, ma tali similitudini, a mio avviso, non sarebbero dovute ad un più diretto collegamento filogenetico negroide con quelle specie animali, quanto piuttosto ad una comune influenza ricevuta da entrambi i gruppi ad opera di fattori di ordine più sottile, involutivi e “sovrabiologici” in merito ai quali avrei intenzione a breve di proporre un articolo specifico alla Redazione, se concorderà con la pubblicazione.
      Un cordiale saluto.

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