20 Luglio 2024
Filosofia Idealismo Punte di Freccia

La contrapposizione dell’ Essere

di Mario M. Merlino


Sul retro di una cartolina, in fondo ad uno scatolone, trovo vergata da mano femminile una considerazione del Petrarca, tratta dal Secretum: ‘Sentio inexpletum quoddam in praecordiis meis semper’(confido nella capacità del lettore di tradurne il senso). E’ il Petrarca migliore, quello che s’è abbeverato alle Confessioni di Sant’Agostino, entrambi qui strattonati dal richiamo dello spirito e dal desiderio della carne, in cui l’errore e l’errare si insinuano quale dimensione della condizione umana, tolta la maschera del verso nitido e rasserenante, da certa arroganza dogmatica ex cathedra. Di quella inquietudine avviluppatasi e resasi tutt’una alla domanda, quel domandare a fondamento d’ogni ulteriore possibile interrogazione, Urfrage direbbero i tedeschi, tesa a dissolvere e mettere al bando l’ultimo orizzonte, un confine avvertito più quale gabbia limitativa e non arena aperta alla sfida alla scommessa al gioco e al contrasto.

Questa insoddisfazione, questo essere eterno dubbio e ricorrente interrogarsi, si ritrova ad esempio nel libro di Giuseppe Rensi La filosofia dell’assurdo, pubblicato nel 1937 e ristampato negli anni ’90 nella Piccola Biblioteca dell’Adelphi. C’è stato in quegli anni un momento di scoperta rinnovata e notorietà di breve durata. Un giovane camerata trasse da La filosofia dell’autorità ispirazione per la sua tesi di laurea. Libro, quello del Rensi, va subito riconosciuto, inficiato da alcuni assiomi perchè, pur volendosi collocare nell’alveo del pensiero denunciante, sottoscrivono un non so che di possesso della verità, una certa sdegnosa presunzione, che infastidiscono ed impongono cautela, un legittimo e doveroso irrigidirsi, quando il no si ammanta ed ammicca ad essere esso stesso premessa di un sì. Problema questo apertissimo: un sì e un no contrapposti e, al contempo, necessitanti l’uno dell’altro, a cui forse solo il silenzio potrebbe legalizzare i crismi della coerenza.
L’intesero bene gli scettici al volgere dei grandi sistemi di Platone ed Aristotele quando la polìs greca si preparava ad inchinarsi all’espansione dei macedoni. Non simile al volo dell’uccello caro ad Athena, come s’espresse Hegel, ma di pari intensità. Per questo i filosofi si stizzirono tanto, consapevoli che senza proposizioni affermative finivano per essere nudi, e li ricacciarono a fondo, al margine, simili ai parenti poveri che non possono negarsi di fronte all’anagrafe ma si può evitare la presenza al banchetto dei ‘saggi’. Si pensi a quell’odioso figuro del Cartesio, così vanesio e falsa modestia che si dilettò in ironia e giochi di prestigio contro lo scetticismo, donandoci una ragione onnivora, premessa della ghigliottina dei giacobini e di quella dea portata nelle piazze e strade di Parigi e identificata con l’assoluto bene.
Filosofo il Rensi che, vissuto in epoca d’imperante neo-idealismo e inviso al Gentile, si trovò alla periferia dell’ufficialità culturale ed accademica. E perse la cattedra e dovette emigrare in Svizzera, se non ricordo male, proprio perché il padre dell’attualismo gli scagliò contro anatemi ed ira funesta nonostante avesse coltivato alla sua corte di Pisa e dintorni figure notorie per il dissenso al Regime e favorito figuri, quali ad esempio il latinista Concetto Marchesi, che lo ripagarono mandanti del suo assassinio nell’aprile del ’44. Ciò lo colloca, limiti compresi, all’interno di quel pensiero ‘unzeitgemaess’, di cui è consapevole tanto da riportare un passo del figliolo prediletto, Zarathustra, del nichilista per eccellenza: ‘Libera dalla felicità degli schiavi, svincolata da dei e da adorazioni, impavida e formidabile, grande e solitaria: tale è la volontà del veritiero. Nel deserto dimorano sempre i veritieri, i liberi spiriti, come signori del deserto; ma nelle città dimorano i ben pasciuti illustri saggi – le bestie da tiro’.
Così egli recupera ‘la filosofia del sospetto’ di Schopenhauer e appunto di Nietzsche. Di due pensatori che, in quegli anni, venivano dispregiati ed esclusi dal novero dei filosofi perché non ‘sistematici’… Certo egli include anche dei positivisti, l’Ardigò, creando così una dubbia compagnia e rendendo ‘l’assurdo’ assurdo e premessa di ‘altre inquisizioni’, per citare l’Omero argentino. Ci piace, però, quando scrive ‘quando l’uomo vede che la sua idea è prostrata e trionfa quella contraria alle sue più profonde convinzioni (cioè l’assurdo), che il velo di maya gli si squarcia ed egli scorge che il mondo è irrazionale’. Senza fare una facile commedia sulla sconfitta nobile e solitaria – certe sconfitte sono mediocri meritate indecenti -, la condizione del vinto suggerisce l’oltrepassamento da ogni ordine costituito, cioè dal terreno del razionale del bene della felicità e d’ogni forma consolatoria in cielo e in terra.
Scrive ancora: ‘La storia non è che un continuo voler uscire dal presente ed uscire di fatto (…) C’è storia perché di fronte all’assurdo e al male presente balena innanzi agli uomini nell’avvenire un razionale ed un bene che vogliono rendere presente. Ma, appena reso presente, esso diventa ancora assurdo e male di fronte a un nuovo razionale e bene che sta ancora davanti, nell’avvenire. (…) O il mondo, così com’è, e sempre fu e sarà, o il nulla. O questo mondo, o il nulla’. La storia terreno aperto e disvelto alle contraddizioni in contrapposizione alla storia recinto protetto dal vero e dal bene. Sarà… ma, se questo vero è qui e questo bene è ora, perché avvertiamo l’impulso a metterci in cammino? La nostra inquietudine e il nostro interrogarci ci trasformano in viandanti,
dell’assurdo forse, e per questo osteggiati dalla sicumera di troppi viaggiatori… Noi con il rischio certo di finire su ‘sentieri interrotti’, gli altri nel deragliare. Attratti, sempre noi, dalla luce – in tedesco Lichtung equivale al contempo alla luminosità e alla radura – e avvinti sovente dalle ombre.

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