10 Aprile 2024
Archeostoria

L’ eredità degli antenati ottantacinquesima parte – Fabio Calabrese

Riprendiamo il nostro cammino alla metà di aprile, nel periodo pasquale, anche se a questo punto non oso fare previsioni su quando lo leggerete sulle pagine di “Ereticamente”, c’è però da dire che se “La forbice” tra le notizie e il momento in cui compaiono sulle nostre pagine elettroniche, negli ultimi tempi si è considerevolmente allargata, alla luce di una certa penuria di eventi che si è vista negli ultimi tempi, è verosimile che ora tenda a restringersi.

 Ricominciamo con una notizia che riguarda proprio la mia regione, il Friuli-Venezia Giulia. Un articolo del 7 aprile su ArcheoMedia.net (non firmato, ma che riporta la dicitura Ufficio Comunicazione e Promozione della Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia) ci racconta di una scoperta davvero singolare: il colle su cui sorge il castello di Udine sembrerebbe essere una struttura artificiale, un mound di età preistorica, e il più grande d’Europa. Si tratta di un tipo di struttura di cui nel nostro continente si trovano pochi esempi, fra cui Silbury Hill in Inghilterra, ma il monumento udinese sembra davvero qualcosa di unico.

Come spesso succede, la scoperta è avvenuta per caso, a partire da un’analisi stratigrafica in vista della realizzazione di due ascensori che avrebbero dovuto collegare l’abitato cittadino con la sommità del colle e il castello. Quest’ultima, condotta dal professor Sandro Veronese, ha evidenziato la presenza di varie strutture medioevali e rinascimentali al disotto del castello cinquecentesco, ma anche la natura totalmente artificiale della collina, che sarebbe un enorme tumulo eretto durante l’Età del Bronzo, tra 3.000 e 3.500 anni fa, con una tecnica costruttiva che ricorda quella degli aggeri, ossia delle mura create a protezione dei castellieri della pianura friulana durante l’Età del Bronzo e del Ferro.

La locale tradizione orale sembra aver conservato traccia dell’origine artificiale di questa collina, anche se riferendola a tempi considerevolmente posteriori, secondo una leggenda locale, infatti, essa sarebbe stata eretta dagli Unni per permettere ad Attila di vedere da lontano l’incendio di Aquileia, ma a quanto pare, le sue origini sono ben più antiche.

E’ un intero capitolo mancante della nostra storia che ora riemerge.

Un comunicato ANSA del 13 aprile ci informa che a Montorio vicino a Verona è emerso un mosaico pavimentale del VI secolo. Anche in questo caso la scoperta è avvenuta in modo casuale, durante lavori di scavo per la sostituzione di tubature del gas.

Il mosaico sembra aver fatto parte della pavimentazione di una grande villa su di un’area che sarebbe stata di proprietà del re Teodorico o di un funzionario della sua corte. Sebbene l’attribuzione non sia certa, l’area è subito stata ribattezzata “Villa di Teodorico”.

A quanto riferisce il comunicato ANSA, non si tratta dell’unico resto di strutture antico-altomedioevali rinvenute nella zona.

Frammenti di mosaico, impianti termali e complessi residenziali sono emersi in modo sparso a Montorio negli ultimi decenni ed è giunto il momento di sistematizzarli”, ha dichiarato Vincenzo Tinè, assessore ai beni culturali di Verona”.

Un articolo di “The Archaeology News Network” del 6 aprile, non firmato ma che cita: “Fonte, università di Lund”, ci racconta che ricercatori di questa università svedese hanno creato una ricostruzione virtuale di una villa pompeiana, la “casa degli epigrammi greci”, in cui è possibile muoversi altrettanto virtualmente per avere un’idea di come si vivesse in una casa romana.

I ricercatori dell’Università di Lund in Svezia”, spiega l’articolo, “hanno utilizzato la realtà virtuale e la tecnologia di tracciamento oculare 3D per esaminare ciò che ha attirato l’attenzione dei visitatori quando sono entrati nello splendido ambiente di un’antica casa romana. Il team ha ricreato la Casa degli Epigrammi Greci in 3D e ha monitorato lo sguardo dei partecipanti allo studio mentre guardavano la casa”.

La casa degli epigrammi greci, sepolta come l’intero abitato pompeiano nell’eruzione del 79 d. C. presenta un’intera stanza affrescata con pitture accompagnate da iscrizioni in greco, da cui il nome.

Sempre l’articolo riporta:

Monitorando il modo in cui le persone vedono la casa, possiamo avvicinarci per sbloccare ciò che era nella mente di coloro che l’hanno progettata. Quali messaggi vengono trasmessi, anche nei minimi dettagli? Abbiamo trovato molti modi in cui il proprietario trasmetteva un senso di potere e ricchezza ai visitatori”, afferma Giacomo Landeschi, ricercatore presso il Dipartimento di Archeologia e Storia Antica dell’Università di Lund”.

Questo ci porta a due considerazioni, la prima è che, come sempre gli stranieri sembrano interessarsi più di noi al ricco passato che abbiamo e del quale siamo spesso dimentichi, la seconda è che abbiamo qui la traccia dell’ennesimo ricercatore andato a cercare miglior fortuna all’estero, e una volta di più è impossibile non chiedersi quale futuro possa avere un Paese che fa fuggire cervelli e importa vu cumprà e spacciatori.

“L’arazzo del tempo”, l’interessante sito che vanta Felice Vinci fra i suoi collaboratori, in data 14 aprile presenta un articolo di Kalju Patustaja, I giganti, gli sciamani e il sistema di conteggio duodecimale.

L’articolo affronta una questione fra quelle che hanno suscitato i più accesi dibattiti fra coloro che hanno ai problemi storici un approccio non convenzionale.

Come sappiamo, in ogni parte del mondo presso la maggior parte delle culture, il metodo più diffuso di conteggio è quello basato sulla numerazione in base dieci, cosa evidentemente collegata al fatto che gli esseri umani hanno nelle due mani normalmente dieci dita. Vi sono delle eccezioni, gli antichi Celti, ad esempio usavano una numerazione in base venti (ne resta traccia nel francese dove ottanta è quatre vingt, quattro volte venti, e anche nella scala termometrica Reaumur, dove l’intervallo fra il congelamento e l’ebollizione dell’acqua è diviso, non in cento gradi come nella Celsius, ma in ottanta), qualche maligno ha osservato che questo dipenderebbe dal fatto che gli antichi Celti girassero perlopiù scalzi, e avessero quindi a disposizione anche le dita dei piedi per contare.

Patuskaja ci segnala che esiste anche qualche raro caso di numerazione in base 40. Tutto ciò potrebbe spiegarsi semplicemente come un raddoppiamento (o eccezionalmente quadruplicazione) dell’ordinaria base dieci.

Meno spiegabile è il fatto che abbiamo anche abbondanti tracce di un antico sistema di numerazione in base dodici, nei dodici mesi dell’anno, nei dodici segni dello zodiaco, nelle ventiquattro ore in cui è divisa la giornata, nei dodici numeri sul quadrante dell’orologio, nei trecentosessanta gradi il cui è divisa la rotazione di una circonferenza, in base ai quali misuriamo l’ampiezza di un angolo, e non contiamo il fatto che in alcune culture il dodici è un numero sacro (le dodici tribù di Israele, i dodici apostoli).

Nelle lingue germaniche, a differenza di quelle neolatine, si conserva traccia di un sistema duodecimale (in italiano, undici e dodici sono uno più dieci e due più dieci, ma elf e zwolf in tedesco ed eleven e twelve in inglese hanno radici autonome).

 La spiegazione classica che questo dipenderebbe dal fatto astronomico che in un anno ci sono dodici lunazioni, (e non contiamo il parallelismo fra le lunazioni e il ciclo femminile), non è molto convincente, perché in realtà esse sono tredici (un semplice calcolo: 28 x 13 + 1 = 365), anche se qui può essere rintracciata l’origine della settimana di sette giorni: una settimana è un quarto di lunazione.

La spiegazione di Patiskaja si collega al fatto che l’esadattilia, cioè l’avere sei dita per mano, è un fenomeno raro ma non rarissimo nella specie umana, cita la bibbia, che ci parla dei Nephelim, giganti a sei dita, e il caso di una famiglia brasiliana i cui membri sono esadattili, con sei dita per mano perfettamente funzionali. Il sistema numerico duodecimale sarebbe stato creato da un clan di sciamani esadattili.

Una spiegazione che però onestamente non mi convince, il sistema duodecimale può essere stato adottato semplicemente perché più comodo anche se meno immediato rispetto a quello in base dieci, infatti dodici si può dividere senza resto per due, per tre, per quattro, per sei.

L’abbiamo visto altre volte, “Vanilla Magazine” è un sito di curiosità, dove a volte compaiono articoli di argomento storico e archeologico, perlopiù mischiati a molto altro. Questa volta abbiamo un articolo di Matteo Rubboli che si chiede Cosa resta oggi di Sparta?

L’articolo si apre con una citazione di Tucidide:

Se la città degli Spartani restasse deserta e rimanessero i templi e le fondamenta degli edifici, penso che dopo molto tempo sorgerebbe nei posteri un’incredulità forte che la potenza spartana fosse adeguata alla sua fama. […] Se gli Ateniesi invece subissero la stessa sorte, la loro importanza, a dedurla dai resti visibili della città, si supporrebbe, credo, doppia di quella reale”.

Già ai tempi dello storico della guerra del Peloponneso era difficile cogliere negli edifici e nei monumenti i segni della grandezza della città che fu la principale rivale di Atene, grandezza affidata piuttosto al carattere inflessibile dei suoi cittadini e guerrieri che alle opere murarie.

Sparta, ad esempio, già all’epoca della guerra peloponnesiaca non aveva nemmeno mura. Le sue mura – si diceva – erano i petti dei suoi opliti.

Poi, il trascorrere del tempo e gli scempi dell’edilizia moderna hanno fatto il resto.

Per trovare i resti dell’antica Sparta, bisogna volgere gli occhi al suolo, ne restano le fondamenta di alcuni edifici e le tombe di alcuni re spartani, fra cui, veneratissima, una presunta tomba di Leonida. C’è poi il monumento moderno all’eroe delle Termopili, e ci sono i reperti conservati nel locale Museo Archeologico, fra cui spicca il celebre torso di oplita (ma anche qui l’attribuzione è tutt’altro che certa) considerato una raffigurazione di Leonida.

Tuttavia, ci dice Rubboli, l’eco dell’antica Sparta non va cercata tanto nelle tracce esteriori.

Chiudete gli occhi e immaginate un gruppo di guerrieri in marcia con i loro oplon e i loro elmi. Immaginateli mentre discutono democraticamente sul da farsi, immaginateli convinti di lottare per la loro libertà contro un invasore straniero. Un invasore che non parla Greco, un barbaro, come lo avrebbero definito loro, indegno anche solo di posare piede sul nobile suolo ellenico. Ci siete riusciti? Beh erano qui, soltanto 2500 anni fa, e per chi sa ascoltare oltre il muro del tempo le loro gesta riecheggiano in questa terra baciata dagli Dei”.

Al di là di tutte le devastazioni moderne, Sparta rimane un luogo dello spirito.

Da Sparta a Roma, sulle orme dei più valenti fra i nostri antenati dell’antica Europa precristiana. Ci sono coloro per i quali la romanità non è solo un ricordo storico erudito fatto di testi e vecchie pietre, ma una dimensione dello spirito da far rivivere. Sto parlando naturalmente dell’Associazione Pietas che ha dato seguito a una serie di iniziative in vista del 21 aprile, del 2775 anniversario dalla fondazione dell’Urbe.

Martedì 19 aprile, presso la sala “Laudato si” (già piccola promototeca) in Campidoglio, alle ore 12,45, la Conferenza Stampa di presentazione dei festeggiamenti del Natale di Roma, organizzati dal Gruppo Storico Romano e cui ha dato adesione l’associazione Pietas. La conferenza è stata organizzata dall’Assessorato ai Grandi Eventi, Turismo, Sport e Moda, di Roma Capitale, nella persona dell’Assessore Alessandro Onorato, dove è stato illustrato il programma dei quattro giorni di manifestazione in onore della fondazione della città eterna. Presente in qualità di testimonial della manifestazione l’attore Maurizio Battista.

Giovedì 21 aprile alle ore 12,00, rito in onore agli dei romani al Circo Massimo, che è poi il clou della manifestazione che, lo sottolineo, non è una rievocazione storica, ma un autentico rito religioso.

Io, a questo riguardo, non resisto alla tentazione di ricordare un episodio capitatomi anni fa. Fui coinvolto in una discussione con un tizio, fervente cristiano, che alla fine mi disse che avevo “una mentalità da antico romano”. Sono sicuro che la sua non volesse essere un’attestazione di stima: per lui gli antichi romani erano quei cattivoni che perseguitavano “immotivatamente” i “poveri” cristiani, e sono certo che non si rese conto del complimento che mi fece.

“Se voglio essere grande, anche le mie fatiche devono essere grandi”. Questo motto è attribuito all’imperatore Massimino il Trace. Si attaglia solo in parte al mio caso, prima di tutto perché non ho la pretesa di essere un grande, e perché stendere questi articoli non è una fatica ma un piacere, soprattutto da quando il pensionamento mi ha sottratto al babelico mondo della scuola italiana. Fatica magari no, ma continuità dell’impegno nell’esplorare ed elucidarvi il nostro passato, questo si.

NOTA: Nell’illustrazione, il castello di Udine. Il colle su cui sorge il castello cinquecentesco al disopra di resti antichi e medioevali, sembra essere un mound, una collina artificiale risalente all’Età del Bronzo, la più vasta d’Europa.

 

3 Comments

  • Renegado 21 Luglio 2022

    quest’anno terrà conferenze al triskel Professore?

  • Fabio Calabrese 23 Luglio 2022

    Renegado, assolutamente si!

    • Renegado 3 Agosto 2022

      a grazie purtroppo sono riuscito a essere presente solo al primo appuntamento

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