12 Maggio 2024
Politica

Il mito della democrazia diretta – Gianfranco de Turris

Ogni forza politica ha i sui propri ”miti” o forse utopie, e uno dei principali del Movimento 5 Stelle è quello della democrazia diretta che si è estrinsecato, grazie alle teorizzazioni di Casaleggio padre e poi del di lui figlio, attraverso la loro piattaforma Rousseau (il nome dice tutto), vale a dire attraverso la Rete. Realizzare una utopica democrazia “dal basso” che superi e oltrepassi la democrazia rappresentativa, mediata, parlamentare, quale manifestazione di idealismo, purezza, semplicità. Alcune importanti decisioni interne, come ad esempio la scelta dei candidati a sindaco nelle elezioni comunali, o la scelta di chi presentare alle elezioni politiche nazionali è stata effettuata attraverso votazioni degli aderenti al Movimento grazie al voto elettronico. Non ci sono quorum: è sufficiente che un candidato raggiunga la maggiorana dei voti indipendentemente da quanti in complesso lo esprimono, per minimi che siano rispetto agli iscritti. Il che porta a casi paradossali di persone candidate con poche decine di preferenze e relative contestazioni degli esclusi (si veda il caso della indicazione com

e sindaco di Rona di Virginia Raggi, sostenuta da Grillo, che venne messa pesantemente in dubbio dagli sconfitti). La manipolazione dei voti in Rete è facile ed è assodata, come è stato spesso dimostrato. Ma qui si tratta di una scelta all’interno del M5S e le regole se le scelgono loro direttamente. Anche se gli iscritti sono decine di migliaia e i votanti poche centinaia, e la maggioranza che prevale bassissima, il risultato è sempre valido. Insomma, la dittatura della minoranza.

E’ appunto il mito della democrazia diretta: si applica ad una platea enorme lo stesso concetto che si applicava nella antica Grecia quando a decidere per tutti su questioni capitali per una città erano i maggiorenti, o i capifamiglia, riuniti nella agorà. Si pretende che oggi valga lo sesso concetto, non considerando non soltanto la diversa quantità, ma anche la possibilità di manipolare le scelte grazie proprio agli strumenti della moderna tecnologia digitale. Internet come una agorà elettronica. Ma il Movimento è tale perché si ritiene “populista” e quindi le decisioni vengono prese “dal baso”. Naturalmente quando questo fa comodo, perché in casi diversi non è che ogni e qualsiasi scelta viene delegata al popolo dei militanti elettronici, ma viene presa dai maggiorenti, o dal “capo politico”, con relativi mugugni e proteste della “base” sulle Reti Sociali, come ci viene poi raccontato dalla stampa. Mugugni e proteste regolarmente ignorati, o di cui si tiene relativamente conto. La prova è quel che stanno facendo i pentastellati nell’attuale governo gialloverde. Il problema diventa grave quando si passa dal particolare al generale, dal partito alla nazione, dai soli grillini a tutti gli italiani. Cioè, quando si apprende che il M5S vuole intervenire sulla legge dei referendum nazionali propositivi intervenendo sul quorum. Come si sa un referendum è oggi valido se vota il 50% più uno degli aventi diritto al voto, e i grillini avrebbero voluto inizialmente eliminare il quorum per poi passare a più miti consigli abbassandolo al 20% che un emendamento del PD ha alzato al 25%. La maggiorana di questo quarto degli iscritti al voto deciderebbe in senso positivo su tutta la popolazione italiana. Insomma, pochissimi decidono per tutti. Consideriamo quale sia ornai il grado di disaffezione al voto imperante riferendoci al voto supplettivo di gennaio in Sardegna. Qui ha votato appena il 15% degli iscritti, e il vincitore del PD ha ottenuto il 40% del 15%, vale a die che questo piddino siede alla Camera per aver ottenuto il 6% di gradimento dell’intero corpo elettorale, o se si vuole il 12% di metà di esso. Evviva la democrazia! Se non ci fosse quorum ad un referendum nazionale o locale sullo stile dei referendum grill ini in Rete, potrebbe accadere lo stesso per qualche decisione veramente importante per tuti noi.

Esiste nell’attuale governo un ministro preposto ai Rapporti con il Parlamento e alla Democrazia diretta che è un certo Riccardo Fraccaro promotore della bella idea di cui sopra. Rispondendo alle critiche in merito del Corriere della Sera (17 gennaio 2019) in una lettera di precisazioni pubblicata il 21 gennaio spiega che l’intenzione è supportare il Parlamento con “leggi di iniziative popolare” e che per passare esse dovrebbero avere il voto di almeno 12 milioni di italiani che sono però appena un terzo del corpo dei votanti, che attualmente è di quasi 32 milioni, e non certo la metà più uno. Ma esiste già un istituto, quello appunto della legge di iniziatica popolare per la quale basta raccogliere 50mila firme, ma poi deve passare al vaglio della Corte costituzionale, e quindi approdare in Parlamento che la mette in votazione e quindi può anche respingerla. Non è allora un esempio di quella ”democrazia diretta” amata dai pentastellati i quali vorrebbero invece che essa, una volta approvata dalla maggioranza raggiunta nel quorum da loro deciso, diventasse subito una legge dello Stato senza passare per Camera e Senato.

Ora noi non siano la Svizzera, la nazione che ha i referendum nei suoi geni da secoli e che li vota spessissimo non solo a livello generale ma anche a livello cantonale e comunale. Vi sono insomma abituati, mentre per noi è sempre stata una eccezione. Nella confederazione non esiste il quorum, ma è innato il concetto che chi non va a votare delega effettivamente la decisione a chi ci va ed eventualmente vince. Da noi non è così, purtroppo: qui non si va a votare per noia, menefreghismo, disillusone, senso di inutilità, disgusto, e non perché ci si fida di coloro che votano e di chi eventualmente prevale. Inoltre in Svizzera gli abitanti sono 8 milioni e non 60 milioni come i n Italia. Il confronto è impossibile. Noi non ci possiamo permettere fregature di alcun genere. In Svizzera oggettivamente il “popolo è sovrano” perché il concetto di democrazia è nel suo DNA, da noi no: da noi vige la demagogia di chi è più e meglio organizzato ed ha una solda base di militanti. Vallo a far capire a chi poi si potrebbe lamentare di certi eventuali risultati!

L’applicazione del concetto di referendum nazionale senza quorum o con un quorum bassissimo ci espone a veri pericoli, ed è quasi ovvio che un PD sia invece favorevole dato che conta sempre su una base solida e organizzata ancorché ridotta: basti penare che dalle elezioni del marzo 2018 che lo fecero crollare dal 40% delle precedenti elezioni europee nell’epoca Renzi al 18%, oggi tutti i sondaggi lo danno sempre intorno al 16-17%, nonostante tutte le batoste subite. Certamente, il referendum potrebbe essere un deterrente nei confronti dello strapotere e l’arroganza dei politici che, se pur ”rappresentanti del popolo”, spesso e volentieri da noi del “popolo” se ne fregano. Ma questo varrebbe soltanto se il referendum fosse una cosa seria e seriamente gestita, e non invece, considerando la mentalità dei grillini, come pura demagogia per imporre, in base ad una netta minoranza, le loro peculiari fisime. Basti pensare alla “politica del no” che attuano ad ogni livello attualmente. Se fosse una cosa seria e questa idea entrasse nel nostro modo di pensare i governi starebbero attenti alle proprie decisioni se all’orizzonte ci fosse la possibilità di un referendum abrogativo o propositivo. Ma così non è. Perché non siamo la Confederazione confinante. E se un referendum vince, la classe politica trova un inghippo per evitarne le conseguenze, come è successo in passato.

Le cose dunque non sono così semplici, o semplicistiche, come i fautori della democrazia mediatica vorrebbero. E bisogna stare attenti a certe derive che porterebbero ad un paradosso: coloro che se la prendono con le élites e ricorrono per combatterle alla “volontà popolare”, alla fine imporrebbero le decisioni di una minoranza, magari infima, al resto di una nazione menefreghista o distratta.

Gianfranco de Turris

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