10 Aprile 2024
Appunti di Storia Controstoria

Gli Arditi di Milano e il taglio della barba a Serrati (Milano 16 aprile 1920) – prima parte – A cura di Giacinto Reale

Il 1920 è l’anno della “minorità fascista”, che non può andar bene agli irrequieti ex Arditi di guerra. Molti partono per Fiume, quelli che restano si “inventano” ogni giorno qualcosa, come a Milano…

 

  1. Gli Arditi di Milano

Probabilmente, in nessuna città come a Milano c’è, tra i primi fascisti, una così significativa e importante componente arditesca.

Anche se a Torino un buon nucleo, guidato da Gino Covre e Silvio Maurano, fornisce a Mario Gioda il supporto attivistico necessario per affrontare la massa bolscevizzata, e a Roma la presenza di Mario Carli prima e di Giuseppe Bottai dopo testimoniano una intellettualità ardita di rilievo, è a Milano che gli ex componenti dei Reparti d’Assalto permeano, con la loro uniforme presenza, sia i vertici del movimento mussoliniano che la base presente nei primi abbozzi di “squadre d’azione”.

È proprio Carli a lanciare, su “Roma Futurista”, il 20 settembre e il 10 dicembre del 1918, i due “Appelli alle Fiamme”, con i quali chiama gli Arditi alla mobilitazione post bellica, come “continuazione della gloria conquistata sui campi insanguinati” , perché non vada perso il senso del sacrificio in grigioverde.

Ad essi farà seguito, il 30 marzo dell’anno dopo, il “Decalogo dell’Ardito in congedo”, che alterna toni deamicisiani (“Difendi i deboli dovunque. Ritieni altissimo onore questo compito arduo”) ad indicazioni di carattere squisitamente politico-organizzativo, che lasciano intravedere quello che sarà (“V’è tra noialtri un passato comune che non bisogna dimenticare. La nostra fratellanza spirituale l’ha sanzionata il pericolo, l’ha cementata la gloria”).

L’allontanamento dalla Capitale dello stesso Carli, che è ancora in servizio, e con il suo impegno politico sta violando gli obblighi di status, tanto da subire prima gli arresti di rigore e poi il trasferimento a Cremona, impone un cambiamento di rotta.

La sede centrale della Associazione fra gli Arditi d’Italia, che egli stesso ha costituito il 1° gennaio, trovando una sede in via del Corso 101, viene stabilita a Milano, dove ben presto le prospettive sembrano volgere al meglio.

Qui, a darsi da fare è principalmente Ferruccio Vecchi, ex Capitano del XXX Reparto d’Assalto, che il 19 gennaio ha costituito la locale Sezione dell’Associazione. Di lui resta memorabile la descrizione che ne farà Cancogni:

Poco più che ventenne, era già Capitano. Nel modo di fare e nell’aspetto somigliava a un moschettiere: continuava a credere che la vita fosse un campo di battaglia, nel quale, per vincere, bastassero l’entusiasmo e il coraggio.

Si raccontavano di lui cose straordinarie. Ogni suo atto era necessariamente eroico. (1)

Con questo biglietto da visita, non è difficile, per Vecchi, organizzare le prime riunioni tra reduci alla “Casa Rossa”, in Corso Venezia 65, di Filippo Tommaso Marinetti, che affettuosamente ha definito le Fiamme Nere “grandi signori della guerra e sbancatori della Montecarlo della morte”.

Il clima in città non è favorevole per Ufficiali, ex interventisti e quanti si ostinano ancora ad indossare l’uniforme, soprattutto se appartenenti ai Reparti d’Assalto. Prova ne è il fatto che il primo appello per la costituzione della Sezione, apparso su “Il Popolo d’Italia” del 18 gennaio, reca in calce una ventina di firme, con la provocatoria indicazione anche dell’indirizzo delle abitazioni, spesso situate in zone popolari, e quindi, facili obiettivi di un attacco che viene quasi sfidato.

Tra i nomi, ve ne sono alcuni, oltre al già citato Ferruccio Vecchi destinati a tornare spesso nella storia della vigilia fascista, come Renato Barabandi, Gino Svanoni, Carlo Meraviglia e Albino Volpi.

A riprova del ruolo leader ormai assunto da Milano, è proprio nel capoluogo lombardo che sarà pubblicato, l’11 maggio, il primo numero de “L’Ardito”, battagliero giornale portavoce delle Fiamme, al quale collaborano, oltre a Vecchi e Carli, pure firme prestigiose di autori che, in avvenire, dagli ambienti fiammeschi si allontaneranno, anche con atteggiamenti ostili, come De Ambris e Ambrosini.

Ma a Milano, soprattutto, c’è Mussolini, che agli Arditi ha sempre guardato con forte simpatia, considerandoli l’avanguardia della Nazione in guerra, e prefigurando per loro un ruolo anche in pace. Il 10 novembre 1918, montato su un camion di Fiamme Nere se n’è andato in giro per la città, per concludere poi, al Caffè Borsa:

Arditi! Commilitoni! Io vi ho difeso quando il vigliacco filisteo vi diffamava. Sento qualcosa di me in voi, e forse voi vi riconoscete in me. Rappresentate la mirabile giovinezza guerriera dell’Italia! Il balenio dei vostri pugnali e lo scrosciare delle vostre bombe farà giustizia di tutti i miserabili che vorrebbero impedire il cammino della più grande Italia! Essa è vostra! Voi la difenderete! La difenderemo insieme! Fiamme nere, rosse, di tutti i colori, a chi l’onore? A noi!” (2)

Quando, il 16 febbraio dell’anno dopo, vengono sciolti i Reparti Arditi, non sono pochi quelli che ricordano le sue parole, e la conseguenza inevitabile non può che essere un rinsaldamento dei reciproci rapporti.

In 23 marzo saranno gli Arditi a fare servizio di guardia all’ingresso e sullo scalone del palazzo in piazza San Sepolcro dove si svolge la riunione fondativa del fascismo, e toccherà a Ferruccio Vecchi presiedere la riunione stessa. Sempre lui, il carismatico ex Capitano, dalla “rozzissima pelle di Ardito selvaggio, che ha plasmato un po’ – non troppo – di vernice moderna, che lo rende… trattabile e simpatico”, sarà, nelle settimane a venire, una vera trottola in giro per l’Italia, a costituire insieme Sezioni dell’ANAI, Case di Mutuo Aiuto dell’Ardito e nuclei fascisti, forte del suo personale fascino e anche delle sue oratorie capacità trascinatrici.

La prova del fuoco avverrà il 15 aprile, con la distruzione dell’ “Avanti”, quando, tra le poche centinaia di presenti in piazza Duomo, insieme a studenti, futuristi e smobilitati, in prima fila ci saranno gli Arditi, con Vecchi e l’ex Sottufficiale del Primo Reparto d’Assalto Edmondo Mazzuccato.

Il secondo, in particolare, oltre allo sperimentato impeto di assaltatore, mostrato anche nell’attacco alla massa sovversiva, porterà all’azione le sue conoscenze “tecniche” (è stato tipografo) nella fase finale:

Nella baraonda infernale, un solo ricordo mi è rimasto preciso: nella tipografia Mazzuccato distribuiva ingiurie a degli Arditi che non riuscivano a rompere scientificamente le macchine. Egli stesso insegnò il trucco: una sbarra tra gli ingranaggi, e poi si metteva in marcia… In un attimo, della ricca tipografia dell’ Avanti non restava che un mucchio di rottami, mentre la redazione veniva incendiata. (3)

L’episodio è fin troppo noto, anche nei dettagli, per rifarne qui la storia. Varrà la pena di aggiungere, a riprova della sua “spontaneità”, che Marinetti, per esempio, che pure è tra i primi in piazza, non parteciperà alla devastazione del giornale, perché allontanatosi, e che, alla sera, i vincitori non daranno particolare significato all’avvenuto, se non per le prevedibili reazioni poliziesche:

Vecchi finalmente comincia ad avere qualche preoccupazione giuridica: pensa di mutare i connotati sacrificando il classico pizzetto. L’operazione avviene nell’ospitale camera di Mazzucato in via Fiamma. Mazzucato, dal volto glabro, riflette se non gli convenga compiere l’operazione inversa, utilizzando il pelo reciso di vecchi. Poi ha una scrollata di spalle: “Abbiamo lavorato bene; possiamo andarcene a mangiare al papardell sott”.

Si dice che quella sera ne mangiassero tre porzioni.

Albino Volpi si carica semplicemente le sue armi e torna a montare di servizio di guardia al Covo nr. 1. (4)

Seguono mesi di relativa calma, interrotti dall’incursione, sempre ad opera degli instancabili Vecchi e Marinetti, alla Camera dei Deputati, l’11 luglio, quando i due, ottenuto un biglietto di ingresso, si sistemano nella tribuna del pubblico. Tocca poi al fondatore del Futurismo prendere a male parole i “medagliettati”:

A nome dei Fasci di Combattimento, dei futuristi e degli intellettuali, protesto per la vostra politica e vi urlo: “Abbasso Nitti! Morte al giolittismo!

Dichiaro che non può sussistere il Ministero dei sabotatori della Vittoria, degli schiaffeggiatori degli Ufficiali, un Ministero che si difende con i Carabinieri e con i poliziotti!

La vostra viltà è lo scherno più grossolano ai sacrifici dei combattenti, che vi disprezzano e vi negano ogni diritto di rappresentarli più oltre.

Vergognatevi! La gioventù italiana, per bocca mia, vi urla: “Fate schifo, fate schifo!” (5)

Al rientro a Milano, li aspetta un clima che è comunque sempre di vigile attesa, e coinvolge la sede degli Arditi e quella de “Il Popolo d’Italia”, che di disputano allegramente l’appellativo di “Covo nr. 1” e “Covo nr. 2”. Al giornale mussoliniano, per esempio:

Non eravamo vicini comodi. Ogni secondo giorno, rincasando (gli abitanti degli stabili vicini ndr) trovavano i portoni sbarrati, abbassate le saracinesche, e gli sbocchi dell’angusta strada asserragliati di cavalli e sodati in elmetto, accampati sulla paglia per il rancio e l’addiaccio.

C’era uno sciopero, una dimostrazione, un corteo, le bandiere rosse sfilavano per il vicino Corso di Porta Romana o si inoltravano verso Piazza del Duomo, si temeva venissero a contatto con gli interventisti amici de “Il Popolo d’Italia” (i Fasci non c’erano ancora). (6)

Né molto diversamente vanno le cose alla sede che finalmente gli Arditi sono riusciti a trovare:

Creatasi l’Associazione Arditi con sede in casa Marinetti di Corso Venezia, cominciarono per il buon Marinetti i guai per aver dato ospitalità a gente così inquieta e rumorosa. Reclami da parte di inquilini, sia pure in forma un po’ melliflua, reclami di signore perché qualche Ardito motteggiava un po’ arditamente con qualche pulzella di servizio. Gruppetti di Arditi formicolavano sotto il portone di casa, con disperazione del portinaio. Occorreva ad ogni costo una sede.

Ma il trovarla era un ostacolo non indifferente. Chi avrebbe dato ospitalità a queste canaglie, avanzi di galera, come li dipingevano i giornali dell’epoca? Dopo affannose ricerche, furono trovati due locali nella vecchia via Cerva. Il padrone di casa, il signor Putato, fu veramente un padrone modello. Direi il San Francesco dei padroni di casa. Quante volte l’affitto gli venne pagato solo con la buona volontà di farlo! (7)

In prima linea gli Arditi torneranno durante la campagna elettorale di novembre, fornendo protezione agli oratori, garantendo affissione di manifesti e distribuzione di volantini, e scendendo in strada, quando necessario. Come in occasione dell’unico comizio fascista, a piazza Belgioioso, il 10 novembre, quando ce ne saranno anche provenienti da altre città, forse con un po’ di disappunto di Mazzucato, che ha organizzato, con i suoi uomini, la protezione della manifestazione :

Da via Cerva, incolonnati per via Durini – gagliardetto in testa – in Corso Vittorio Emanuele. La colonna procede a passo spedito, ordinatissima, fra lo stupore dei pochi passanti.

Per via San Paolo facciamo il nostro ingresso in piazza Belgioioso: è sinistramente deserta. Le tre vie che ad essa conducono sono bloccate dai miei uomini. A ridosso della casa manzoniana, il camion tribunizio.

Dopo qualche minuto, un gruppo rumoroso di Arditi si apre il varco attraverso il cordone di via San Paolo: sono Eugenio Pasini di Ravenna e gli Arditi di Forlì Colonnelli Antenore, Tonino Spazzoli, Santarelli Mario, Lolli Aurelio, Papi Aurelio, Miserocchi Mario, Giacometti Bruno e Balbini Aurelio, capitati improvvisamente dalla Romagna a prestar man forte. Quando c’è odor di polvere i romagnoli non mancano mai! (8)

Sul camion, di fianco agli oratori, campeggia “l’austera figura” del Maggiore Cristoforo Baseggio, il fondatore della “Compagnia della morte”, e il comizio viene aperto “trinceristicamente” con un razzo sparato con una pistola very dall’Ardito Eno Mecheri.

La lista fascista, su diciannove candidati, comprende, oltre a Mussolini e al già famoso Arturo Toscanini, tre Arditi: Il maggiore Cristoforo Baseggio, il Capitano Piero Bolzon e l’Aiutante di battaglia Mazzucato. Non è candidato Vecchi, che non ha l’età richiesta. Nonostante l’impegno dei fascisti, il risultato elettorale è però per loro negativo, anche otre le previsioni.

I festeggiamenti dei vincitori vanno anche oltre i limiti di una normale competizione politica. Un corteo con un fantoccio che vuole rappresentare Mussolini viene portato in giro per la città, fin sotto l’abitazione dell’oltraggiato. Non contenti, i vincitori maramaldeggiano, senza però che l’interessato si preoccupi più di tanto:

Per macabra invenzione del cronista Ippolito Bastiani – più tardi tesserato fascista e fatto commendatore durante il Regime – l’Avanti annunciò che il cadavere di un suicida era stato ripescato nel Naviglio in stato di putrefazione, e riconosciuto per quello di Benito Mussolini.

Quando lui, ben vivo, lesse la notizia e si incontrò con l’amico Dante Dini, gli disse: “Mi trattano come un cadavere ripescato nel Naviglio, ma vedrai che vincerò, e come vincerò!” (9)

Alla sera, dopo che quattro Arditi, guidati da Volpi, hanno lanciato alcune Thevenot, contro la folla riunita sotto l’ “Avanti” per ascoltare Serrati, provocando una fuga generale, incidenti si ripetono nei pressi della sede del Comitato elettorale fascista, con un bilancio complessivo di dieci feriti. Segue la tradizionale proclamazione di sciopero generale, alla quale si aggiunge, questa volta, un’inaspettata quanto violenta reazione poliziesca.

E’ lo stesso Nitti che da Roma telegrafa per sollecitare severi provvedimenti contro i perturbatori dell’ordine pubblico, contro chiunque detenga “armi e, soprattutto esplodenti”, contro i complottatori ed i sediziosi. Nella stessa notte del 17 viene perquisita la sede del Comitato elettorale fascista e sono arrestati una quindicina di Arditi e fascisti rimasti di presidio.

Il giorno dopo tocca al Popolo d’Italia, dove sono rinvenute, in una stufa, 15 pistole ed una Very da segnalazione, così che scatta l’arresto per Mussolini. Anche l’abitazione di Vecchi, la sede degli Arditi e quella del Fascio in via Silvio Pellico sono perquisite dai poliziotti ormai scatenati, che arrestano praticamente tutto lo Stato Maggiore interventista e non rinunciatario milanese: Vecchi, Marinetti, Pasella, Bolzon ed altri. Per tutti l’accusa è di detenere armi senza permesso.

A via Cerva si verifica un episodio, impensabile in un contesto fatto di violenza e minacce carcerarie:

Un esiguo numero di ricercati riesce a sfuggire all’accerchiamento della sede, nascondendo sotto la mantellina i distintivi di Reparto. Un gruppo, al comando di Volpi, tenta di resistere con le armi. Appreso però che i capi, tra cui Mussolini, Vecchi, Marinetti, Bolzon, erano stati arrestati nelle loro abitazioni, Albino con pochi camerati sfugge all’arresto attraverso i tetti salvando il glorioso gagliardetto, nonché il vecchio cane Raines, camerata fedele, ma sordo e quasi cieco come un Questore dell’epoca. (10)

 

Nelle settimane successive, gli Arditi milanesi si recheranno a frotte (in una nota foto si vede anche Albino Volpi circondato da legionari) a Fiume, irresistibilmente attratti dal “clima”, sovvertitore di ogni regola scritta, e dallo spirito d’avventura.

Non per tutti la permanenza sarà facile. Vecchi, arrivato in città, con Marinetti, già il 28 settembre, ripartirà presto, insieme al fondatore del Futurismo, forse per decisione di d’Annunzio che, in quel momento mal digerisce il suo repubblicanesimo o forse per la pressione esercitata sul Poeta da Pasella che vuole i due presenti al primo Congresso fascista di Firenze.

Carli, invece, resta in città, dove dirige “La Testa di ferro”, divertendosi quasi a provocar polemiche con tutti, che in qualche caso vanno oltre la pagina scritta, come quella col Tenente dei Carabinieri Ernesto Cabruna che sfocierà in un duello a maggio del 1920.

I rientrati a Milano, però, finita la campagna elettorale, oltre che delusi, sono anche annoiati, in una routine che non fa per loro. Anche da questo dipende la crisi che interessa l’Associazione, che nel capoluogo lombardo agli inizi del 1920 conta solo 14 iscritti ed ha le casse desolatamente vuote.

Una possibile via di uscita è individuata proprio da Vecchi, prima pensando alla possibilità di aprire le adesioni a tutti gli ex combattenti non Arditi, purchè abbiano servito con onore e non rinneghino le ragioni e il sacrificio della guerra, poi rivolgendosi anche ai giovanissimi che, nelle battaglie di strada sono abituali compagni nella contrapposizione a socialisti e neutralisti di ieri:

Il sentimento italiano lo dobbiamo cercare non più nemmeno nel giovane (20-30 anni), ma nel giovanissimo (15-20 anni). Scorgo nel monello di 15-18 anni d’oggi qualcosa di più impaziente o di più costruttivo che non scorgessi nel monello di prima della guerra e che questa ha stancato. Il monello d’oggi vuol fare qualcosa, assolutamente qualcosa, e i suoi occhi sono più chiari e vibranti di malcelata passione. Non gli si può rimproverare di non aver fatto la guerra, perché egli l’ha fatta con tutta la sua anima. E – ciò che disgraziatamente non è avvenuto nemmeno nei quattro milioni di combattenti forse per eccessiva stanchezza – L’HA CAPITA. (11)

 

Dopo le parole, occorre però qualche “fatto” che rilanci la fama degli Arditi, appannata da una inattività che porta all’oblio. L’occasione sarà offerta dall’anniversario di quel fatidico 15 aprile.

 

FOTO 1: rappresentazione dell’Ardito

FOTO 2: il “Covo”, sede de “Il Popolo d’Italia”

 

NOTE

 

  1. Manlio Cancogni, Storia dello squadrismo, Milano 1959, pag. 22
  2. (a cura di) Edoardo e Duilio Susmel, Opera Omnia di Benito Mussolini, Firenze 1953, vol. XI, pag. 477
  3. Silvio Maurano, Quando eravamo sovversivi, Como 1939, pag. 37
  4. Cesare Solari, Gli Arditi di Milano nella rivoluzione fascista (ristampa), Cusano Milanino 2008 pag. 65
  5. In: Filippo Tommaso Marinetti, Futurismo e fascismo, Foligno 1924, pag. 185
  6. Margherita Sarfatti, Dux (ristampa) Milano 2004, pag. 177
  7. Gino Svanoni, Mussolini e gli Arditi (ristampa), Cusano Milanino 2012, pag. 59
  8. Edmondo Mazzucato, Da Anarchico a Sansepolcrista, Milano 1934, pag. 135
  9. Giorgio Pini e Duilio Susmel, Mussolini l’uomo e l’opera, vol. II, Firenze 1954, pag. 45
  10. Cesare Solari, cit., pag. 78
  11. Ferruccio Vecchi, Arditismo civile, Milano 1920, pag. 78

 

 

 

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