20 Luglio 2024
Geopolitica

Geopolitica Angloamericana, Tedesca e Russa

Tre punti di vista nell’epoca della Weltpolitik

 

 

È solo un luogo comune quello che attribuisce alla Geopolitica una origine germanica e uno scopo funzionale al sogno di grandezza guglielmino (poi hitleriano). In realtà la Geopolitica nasce in Inghilterra ed è in origine una scienza ausiliaria del grande disegno imperiale britannico.

Alle origini, questa disciplina era anche alimentata da un’ansia, da un timore che attraversa tutta l’opera di Halford John Mackinder

 

  1. La geopolitica britannica

 

Secondo molti interpreti la Geopolitica nasce appunto con Mackinder (1861 –1947) geografo, politico, diplomatico inglese. Uomo di cultura e di azione che da un lato ebbe una netta coscienza di quelli che erano gli interessi particolari dell’impero britannico, dall’altra espresse concetti che possono avere un valore universale.

mackinde_w

Mackinder elaborò la teoria dell’Heartland (il Cuore della terra), un’area strategica fondamentale individuata al centro della grande massa eurasiatica. Sull’argomento pubblicò un articolo nel 1904: “The Geographical Pivot of History” (“Il perno geografico della storia”).

Mackinder era seriamente spaventato dalle dinamiche di espansione dell’impero russo: la Transiberiana aveva creato una via di comunicazione moderna tra Oriente e Occidente e metteva a diretta disposizione di Mosca le immense ricchezze della Siberia. La rapidità di spostamento in prospettiva poteva anche diventare uno strumento di straordinaria efficienza militare.

Mackinder interpretava quelli che erano gli interessi imperialistici della società britannica. Gli Inglesi già nei secoli precedenti avevano intuito le potenzialità naturali della Siberia e avevano mirato a trasformare la Russia in uno Stato vassallo, fornitore a basso prezzo di risorse energetiche. Questa aspirazione attraversa i secoli (trasmettendosi dagli inglesi agli americani) e non si è ancora conclusa…

Mackinder comprese che una vasta area continentale ben difesa e ben articolata in infrastrutture interne metteva a rischio la centralità delle dinamiche commerciali su mare e dunque il primato delle potenze talassocratiche. Il treno in particolare prevaleva sulla nave come strumento di collegamento.

Il senso di questa intuizione era che – dal punto di vista di una potenza navale come l’Inghilterra – occorreva boicottare i progetti di integrazione che avvenivano sulla terra ferma.

Le grandi infrastrutture continentali facevano e fanno paura…

Ieri la Transiberiana e l’Orient Express.

Oggi il Progetto Razvitie.

Il territorio per larga parte incluso nell’Impero zarista secondo l’analisi di Mackinder si evidenziava come il fulcro geopolitico mondiale: il Cuore della Terra. Chi controllava quel territorio controllava la grande massa intercontinentale, chi controllava quel blocco aveva un primato sul pianeta Terra.

Come spiegava la sconfitta russa nella guerra russo-giapponese? Con il fatto che Mosca non aveva ancora un controllo efficiente, moderno sul suo stesso territorio.

Dopo la I Guerra Mondiale Mackinder suggerì la creazione di una serie di Stati cuscinetti per isolare le due potenze di terra che davano più preoccupazione all’establishment anglofono: la Germania, pur sconfitta nella Grande Guerra, e la Russia, interessata da un cambiamento di vaste proporzioni come quello messo in atto dalla rivoluzione sovietica.

Nacquero sull’onda di questo disegno strategico – che Mackinder aveva l’onestà intellettuale di esplicitare – Stati compositi, artificiali quali

la Cecoslovacchia,

la Jugoslavia,

la stessa Polonia che includeva territori tedeschi a Ovest, territori russi a Est e che spezzava la continuità territoriale della Germania usufruendo del passaggio a mare di Danzica.

Nei confronti della Russia sovietica Mackinder anticipò quella dottrina di contentimento-accerchiamento che poi sarà sviluppata dagli USA dopo il 1945.

Quante vicende del presente possono essere chiarificate alla luce di questo progetto strategico coltivato per decenni dal mondo angloamericano?

Sicuramente il cambio di regime in Ucraina e la conseguente crisi del Donbass: si stacca l’Ucraina da quello che è il suo naturale retroterra storico. Si crea una fascia di paesi (quelli della cosiddetta “Nuova Europa”) che determina un arco di crisi e conflittualità che impedisce l’integrazione continentale.

Il mistero buffo è quello della Germania, che per effetto delle scelte della sua attuale cancelleria, è volenterosa collaboratrice di forze antagoniste rispetto a quella che è la sua ovvia e naturale vocazione geopolitica.

 

  1. La geopolitica americana.

 

Dall’Inghilterra all’America, la dottrina di Mackinder supera l’oceano e accomuna due popoli della stessa lingua ed origine in un unico intento: quello di consolidare l’egemonia mondiale della “potenza di mare” (capitalistica, speculativa) sulla “potenza di Terra” che può sorgere dall’infausta – per loro – unificazione del blocco intercontinentale euroasiatico.

Negli anni Trenta l’americano Nicholas John Spykman approfondisce i concetti di Mackinder e introduce uno sviluppo teorico: quello del Rimland, o meglio della sua importanza strategica.

Il Rimland è l’anello marittimo-costiero che circonda l’Eurasia.

Essa si articola in tre zone:

la zona europea,

la zona mediorientale,

la zona asiatica.

Se Mackinder si focalizza sulla importanza dell’Heartland (il nucleo-cuore del Eurasia) Spykman sposta l’attenzione sulla necessità di un controllo di queste tre zone esterne. Ma l’obiettivo è lo stesso: tenere in scacco e sudditanza ciò che si muove all’interno dell’ “Isola del Mondo”: l’immensa regione che va dall’Europa Occidentale all’Estremo Oriente, “da Lisbona a Vladivostok” per dirla altrimenti.

Se l’Heartland di Mackinder è territorio selvaggio, ma scrigno di immense risorse del sottosuolo, il Rimland di Spykman è puntellato dalla presenza di paesi ricchi, tecnologicamente avanzati, favoriti dal facile accesso alle vie di comunicazione marine e commercialmente vivaci come tutti i “porti di mare”!

Il Rimland con la sua particolare esposizione all’esterno ha anche una facile attaccabilità.

L’incubo della geopolitica degli anglofoni è quello della saldatura tra Cuore ed Anello: tra la potenza interna di Terra dell’Heartland e il ricco corollario del Rimland nelle sue tre declinazioni occidentali, mediorientali, estremorientali.

Non è questo il timore della nascita di una potenza aggressiva… l’Isola del Mondo sarebbe ricca e perfettamente autosufficiente, pertanto poco desiderosa di muovere ulteriore guerre. Il timore, in taluni casi, è che finisca l’egemonia che proprio una reiterata aggressività ha assicurato alle potenze talassocratiche o costiere.

Dopo il 1945 il Rimland europeo finisce nella sfera di influenza americano. Ma con la cacciata di Chang-Kai-Scek dalla Cina continentale e l’avvento della rivoluzione komeinista in Iran e lo sviluppo di una sempre maggiore autocoscienza nazionale nell’India post-coloniale i punti d’appiglio della potenza occidentale sul Rimland diminuiscono.

Scadenzate nel tempo le reazioni: il tentativo di ricucire con Pechino e di separarla da Mosca, la guerra mossa all’Iran per dieci anni a partire dal 1980, le guerre/guerriglie mosse a Irak, Afghanistan, poi a Libia, Siria nel corso del tempo. In ultimo la strategia della tensione con il colpo di Stato in Ucraina e la strategia della sanzione, volta a contrapporre Europa Occidentale e Russia. Infine il progetto vessatorio di inclusione di una stagnante Europa Occidentale in un Trattato Transatlantico che non ha alcuna corrispondenza con le esigenze delle economie europee ormai “orientate”, volte verso Est nelle loro dinamiche commerciali ed energetiche più intense.

Spikman raccomandava altresì agli americani di conservare, con ogni mezzo, una massiccia presenza militare sui vari punti di snodo del Rimland.

Il progetto anglo-americano di impedire lo sviluppo dell’Heartland nel clima ideologico della guerra fredda assume il significato di una crociata anticomunista e si concretizza nella politica del “containment” esplicitata dal diplomatico e storico George Frost Kennan (1904 –2005).

I suoi scritti della fine degli anni Quaranta influenzarono la politica estera del presidente Truman. Secondo Frost Kennan il regime sovietico era “espansionista” per natura e pertanto doveva essere contenuto. Strumenti di questo contenimento dovevano essere sia le armi della NATO che i dollari del Piano Marshall.

Come capo della missione diplomatica statunitense a Mosca quando la seconda guerra mondiale non era ancora terminata Kennan maturò le sue idee sui Russi:” al fondo del nevrotico punto di vista del Cremlino sulle vicende mondiali – scrisse Kennan – c’è la tradizionale ed istintiva insicurezza Russa”. Una notazione razziale-antropologica dunque: l’ “istintiva insicurezza del popolo russo”.

Questo atteggiamento si era mescolato secondo Kennan all’ideologia comunista ed era stato cavalcato da Stalin per legittimare – sulla base della ostilità del mondo esterno – il proprio dominio autocratico sul popolo russo. “Accerchiamento capitalistico” era la formula usata da Stalin per dare un nuovo connotato ideologico a una antica propensione del popolo russo.

Come si vede sono considerazioni, ma diciamo pure pregiudizi che ritornano anche oggi quando si tratta di descrivere, e anche un po’ mistificare, la dinamica politica russa e il consenso suscitato dalla presidenza Putin.

Da questo quadro Kennan derivava la necessità di una forte presenza armata NATO-americana sul territorio europeo e suggeriva una serie di misure anche unilaterali dell’esercito americano per realizzare il “contenimento” fino all’esito conclusivo che poi era la fine del potere sovietico e la dissoluzione dello stesso spazio politico-statuale russo (risultati abbastanza ambiziosi per un progetto che usava l’eufemismo di “contenimento” …). Per Kennan la tendenza isolazionista di ampie parti dell’opinione pubblica americana era l’atteggiamento da battere con una buona dose di “informazione”.

Tipico della dottrina di contenimento era anche quello di operare per una divisione all’interno del blocco sovietico. Questa prospettiva sembrò aprirsi nel momento in cui maturò lo “scisma jugoslavo” del maresciallo Tito. Non a caso Kennan, finito il suo momento di massima influenza intellettuale sulle scelte della Casa Bianca, finì proprio come ambasciatore in Jugoslavia. In effetti dopo il 1948 Kennan era divenuto così radicale nelle sue convinzioni che la Casa Bianca si trovò in imbarazzo nel seguire la sua dottrina e all’atto pratico lo emarginò.

Nel passaggio dalla guerra fredda “classica” alla fase successiva della “nuova guerra fredda” degli anni Settanta-Ottanta la geopolitica americana si fa più aggressiva e interventista: la sua mente strategica è rappresentata dal polacco-americano Brzezinski

Un punto fondamentale della strategia di Brzezinski è rappresentato dal finanziamento ai mujahideen in Afghanistan in funzione antisovietica. La nazione simbolo della modernità liberale-liberista-libertina si fa promotrice delle forze legate a quella particolare forma di Islam wahabita e ultrarigorista. I combattenti fondamentalisti islamici vengono inquadrati, finanziati, armati, dispiegati sul terreno. Il nome “al-Qaida” emerge in questo ambito appunto come una diretta emanazione dell’intervento americano: al-Qaida è un file nello schedario della CIA.

Gli anni d’oro di Zbigniew Brzezinski furono quelli della presidenza Carter, quando il politologo polacco naturalizzato statunitense fu consigliere per la sicurezza nazionale alla Casa Bianca, ma le idee di cui Brzezinski si fece portavoce divennero fondamentali per la strategia adottata dagli USA in tutti gli anni a venire. Rispetto alla dottrina di contenimento teorizzata da Kennan, la dottrina Brzezinski si rivelerà molto più invasiva: fondamento ideologico di tutta una serie di interventi nell’area euroasiatica per assicurarne la dipendenza rispetto al polo occidentale americano.

Brzezinski caldeggia la normalizzazione dei rapporti con la Cina, una politica di forte antagonismo nei confronti dell’Iran dopo la rivoluzione khomeinista, l’appoggio ai dissidenti russi e dunque l’accento posto sull’ideologia dei diritti umani per scardinare la potenza dell’URSS nell’era brezneviana.

Ma un punto fondamentale della strategia in questione è rappresentato dal finanziamento ai mujaheddin in Afghanistan in funzione antisovietica.

La nazione simbolo della modernità liberale-liberista-libertina si fa promotrice delle forze legate a quella particolare forma di Islam wahabita e ultrarigorista. I combattenti fondamentalisti islamici vengono inquadrati, finanziati, armati, dispiegati sul terreno. Il nome “al-Qaida” emerge in questo ambito appunto come una diretta emanazione dell’intervento americano: al-Qaida è un file nello schedario della CIA.

Probabilmente allo sceicco saudita bin Laden vengono fatte anche laute promesse per motivare il suo intervento in Afghanistan. La storia delle complesse relazioni tra i due soggetti internazionali: la Casa Bianca e al-Qaida è ancora tutta da scrivere.

Molte fonti e indizi concordano sul fatto che questa storia si sia ripetuta in tempi più recenti con la creazione pilotata dell’ISIS, principale agente di caos e terrore nell’area siriano-mesopotamica.

Per quanto riguarda la vecchia al-Qaida, alla sua origine si trova l’intervento congiunto di CIA, M16 (servizio segreto inglese) e ISI (i servizi segreti pakistani). Non a caso il personaggio abbastanza fantomatico di bin Laden conclude la sua onorata carriera di pensionato del terrore in una tranquilla villetta in … Pakistan. Il fatto che fosse un malato bisogno di dialisi esclude la possibilità che potesse vivere in maniera incognita. D’altra parte la sua uccisione segna un punto di svolta: dopo la “guerra al terrorismo” dei primi anni Duemila (che più che contro al-Qaida fu rivolta contro l’Irak…) comincia una nuova fase in cui i servizi americani tornano a utilizzare strumentalmente il fondamentalismo salafita, attraverso il nuovo strumento dell’ISIS.

Del polacco-americano Brzezinski si sa per certo che è membro della Commissione Trilateral, alcuni si spingono ad affermare che fu “grande elettore” laico del cardinale polacco Woytila al soglio di Pietro.

 

  1. La geopolitica tedesca.

 

La geopolitica germanica ha in Haushofer il suo interprete più lucido, e purtroppo Haushofer visse sulla sua pelle la contraddittorietà dei rapporti tra le potenze di cui pure aveva teorizzato la naturale correlazione.

Karl Haushofer nacque da una famiglia di artisti, ma l’arte che sempre preferì fu l’arte della guerra. Predilezione non proprio innocua se si ha la ventura di nascere nella Germania guglielmina. Haushofer era però un militare di pensiero e per tutta la sua vita al fucile o agli altri strumenti pratici di guerra preferì le mappe geografiche, dove dispiegare le sue intuizioni di strategia. Aveva del talento nella percezione dello spazio e per questo ancora giovane divenne professore in varie accademie militari. Nel frattempo sposava una ragazza ebrea-tedesca Martha Mayer Doss, dalla quale ebbe due figli.

L’ampiezza di vedute di Haushofer spaziava fino al Giappone: fu il primo ad intuire la crescente potenza dell’Estremo Oriente. A Tokio fu addetto militare e giunse fino alla corte dell’imperatore Mutsushito. Si rammaricò che l’Impero giapponese virasse verso l’alleanza con gli Inglesi, dal momento che riteneva fondamentale una intesa con quel paese.

Filosoficamente Haushofer fu discepolo di Arthur Schopenhauer e questo lo predispose ai misticismi dell’induismo e del buddhismo. Come cultore di Geopolitica i suoi punti di riferimento furono lo svedese Kjellen e il compatriota Ratzel. In realtà l’idea fondamentale della geopolitica di Haushofer derivava dalla concezione dell’inglese Mackinder. Fatto paradossale questo, dal momento che Haushofer odiava cordialmente inglesi e americani, colpevoli ai suoi occhi di voler soffocare l’ascesa dei tre grandi popoli del futuro: i Tedeschi, i Russi e i Giapponesi.

Germania-Russia-Giappone delineano appunto un grande blocco euroasiatico che saldandosi aveva tutte le carte in regola per realizzare uno spazio di prosperità sicuro e autosufficiente. Ma questa era appunto la concezione dell’Heartland già formalizzata qualche anno prima da Mackinder.

Per Haushofer dal cuore dell’Asia, nella regione di confine tra Russia, Persia, India, Tibet proveniva anche la remota origine dei popoli europei.

Qui drammaticamente la teoria di Haushofer si intreccia con la pratica nazista di Hitler. Il trait-d’union fu la figura di Rudolf Hess, contemporaneamente amico del geopolitico e delfino del dittatore.

Nella sua collusione col nazismo la prospettiva di Haushofer si capovolge: il teorico di una politica di alleanza euro-asiatica tra Germania, Russia e Giappone va a fornire armi intellettuali al disegno di un politico di chiara marca occidentalista come Hitler, intenzionato a trasformare l’Est in una landa di colonizzazione per i tedeschi dopo averne espulso le popolazioni originarie.

Nel corso degli anni il prestigio internazionale di Haushofer aumentava, nello stesso tempo il rapporto con i nazisti nel frattempo saliti al potere si caratterizzava per una strana tensione. Nel marzo 1933 una squadra nazista mise a soqquadro la casa di Haushofer, solo l’intervento di Hess impedì che l’intellettuale subisse altre conseguenze vessatorie.

La contraddizione del rapporto di Haushofer con il Terzo Reich esplose nel 1941. Nel momento in cui il suo amico Hess volava in Inghilterra per cercare una pace, Haushofer perdeva un protettore potente e veniva addirittura accusato di essere l’ispiratore di quella mossa. A questo punto la posizione del geopolitico, sposato con una ebrea-tedesca, si faceva rischiosa. D’altra parte Haushofer aveva condannato l’invasione dell’URSS, coerente con la sua posizione geopolitica che asseriva una integrazione con l’Est Europa non una invasione. Il figlio Albrecht, diplomatico di carriera, nel 1944 partecipava alla congiura del colonnello von Stauffenberg contro Hitler e veniva giustiziato. Haushofer e la moglie finivano a loro volta in campo di concentramento a Dachau.

La sorte si accanì contro i coniugi Haushofer: gli americani interrogarono e misero sotto processo il professore. Cosa li spingeva a un atteggiamento così duro contro un pensatore che dal 1940 in poi aveva assunto un rapporto sempre più conflittuale con il III Reich? Le venature nazionaliste del suo pensiero o forse proprio la sua vocazione conciliatoria tra Germania e Russia? Nel momento in cui gli Americani miravano a una egemonia diretta su larga parte del continente europeo questa concezione appariva forse più pericolosa della collusione con il nazismo (la stessa collusione non impedì agli americani di mettere a capo della NASA Werner von Braun…).

Al centro del pensiero di Haushofer era il naturale conflitto tra potenze continentali e marittime: Terra e Mare. Behemot e Leviathan, avrebbe detto un altro tedesco, Carl Schmitt.

Le potenze marittime Francia, Inghilterra, USA tendevano a costruire un anello di contenimento rispetto al cuore continentale d’Eurasia.

Per spezzare questo anello Germania, Russia, Turchia, Afghanistan, India avrebbero dovuto trovare una intesa estendendola anche al Giappone.

Haushofer intuì anche il crescente interesse degli USA ad espandersi nel Pacifico per impedire lo sviluppo di Russia e Cina ad Oriente.

E come se Haushofer fosse stato affetto da una sorta di presbiopia che gli faceva vedere bene in grandi lontananze e nello stesso tempo gli sfocava la percezione delle drammatiche degenerazioni che avvenivano attorno a lui in Germania. Ma Haushofer pagò amaramente di persona: fu imprigionato dai nazisti a Dachau, vide il figlio giustiziato, poi fu catturato e messo sotto inchiesta dagli Americani. Non resse a questa sequenza di eventi negativi, nel 1946 insieme alla moglie si suicidò con l’arsenico.

Si deve al filosofo del diritto tedesco Carl Schmitt una delle più organiche riflessioni su Terra e Mare, come due archetipi di organizzazioni sociali alternative. “La terra è madre del diritto” per Carl Schmitt, egli sottolinea il legame esistente tra terra e diritto fin nel linguaggio mitico. Si pensi al legame tra la parola latina Rex e il termina che indica il territorio: Regio. Il Re è appunto l’autorità che delimita i confini, che dà una forma al territorio. Per questo ricorda Schmitt nella sua opera Der Nomos der Erde “La terra è detta nel linguaggio mitico la madre del diritto”.

Radicalmente diversa è la situazione del mare dove non c’è confine, per questo “in mare non vale alcuna legge”. Il mare è il luogo dell’avventura, della dinamica commerciale, ma anche della pirateria.

L’età moderna è caratterizzata dall’affermarsi di potenti talassocrazie: prima l’Inghilterra, poi l’America. L’Inghilterra vale la pena di ricordarlo attacca i galeoni spagnoli con i pirati e aggredisce l’impero cinese attraverso la diffusione dell’oppio tra i giovani dell’aristocrazia, inganna gli arabi promettendo loro l’indipendenza dai Turchi in cambio della ribellione, nello stesso tempo in cui promette agli Ebrei la ricostituzione del focolare ebraico in Palestina. Ma gli esempi possono continuare…

L’ordine delle talassocrazie non è legato all’amore per la terra; le frontiere delle potenze di mare sono mobili, legate all’avventura commerciale. Osserva Tiberio Graziani in un suo studio su Schmitt: “la percezione del territorio subisce una radicale trasformazione concettuale: esso viene concepito “from the sea” come porto, approdo, base, in particolare come luogo nemico”.

Aggiungiamo noi: l’idea di un immediata assimilazione di clandestini sbarcati dal mare e presto trasformati in cittadini detentori di tutti i diritti può essere assimilata alla concezione “marittima” che non riconosce valore all’identità nazionale e trasforma lo Stato in un porto di mare o in un club mediterranee.

Gli USA sono oggi la classica potenza talassocratica, definita da Schmitt come il “continente senza misura” (Der maßlose Kontinent)”. Ad essa si può purtroppo imputare quella “geopolitica del caos” che è dilagata dopo il crollo dell’Unione Sovietica.geopolitica-mercator

La globalizzazione, l’abbattimento delle specificità dei popoli per imporre la legge suprema del mercato e l’interesse di pochi (oligarchie) è l’immediato effetto dell’affermarsi di questa potenza “oceanica”. Essa peraltro tende ad armare e sostenere gruppi che creano lacerazioni nel tessuto territoriale, lasciando uno strascico di odi profondi di carattere religioso o etnico-ideologico: si comprende in questa cornice l’appoggio dato ai fondamentalisti salafiti in Siria, Irak e ai banderisti in Ucraina.

La storia moderna dalla scoperta dell’America in poi è caratterizzata da uno spostamento degli interessi sull’Atlantico, verso Occidente. La Bolla di Papa Alessandro segna la divisione della sfera di interessi americani tra Spagna e Portogallo, ad esso succederà il trattato di Cateau-Cambrésis (1559) che regola gli equilibri tra Spagna e Francia e la definizione delle amity lines che regolano le sfere di influenza tra Francia e Inghilterra. In tal modo, l’espansione delle potenze europee in direzione trans-atlantica segna l’aurora della “Politica Mondiale” dell’età contemporanea.

Contemporaneamente sul continente europeo si assiste a una frammentazione in Stati, che il Trattato di Westfalia cerca di regolare civilmente. “La pace di Westfalia” scrive Bertrand Badie “trasforma l’Impero in una specie di stato federale in seno al quale coesistono ormai 343 stati sovrani: principati, città e vescovadi. […]. L’autorità è ormai inferita dal principio di territorialità e non più dalle insegne imperiali”.

Sacro Romano Impero, ma anche l’Impero Ottomano vanno incontro a una fatale frammentazione. Da queste dinamiche centrifughe risultano avvantaggiate le potenze marittime: la Gran Bretagna prima, gli USA poi.

Inutili saranno i tentativi di ricomposizione continentale come la Santa Alleanza (1815) successiva alla sconfitta di Napoleone. Scrive Schmitt in proposito: “Il destino della Santa Alleanza, dell’unico sistema generale europeo degli ultimi secoli, mostra meglio di ogni costruzione quali difficoltà politiche si oppongono ad un’unificazione europea. Infatti, non appena si affacciò un simile sistema europeo, subito apparve dall’altro lato anche il controraggruppamento. La dottrina Monroe proclamata nell’anno 1823 dagli Stati Uniti (con l’approvazione dell’Inghilterra) si rivolgeva proprio contro questa Santa Alleanza e contrapponeva al tentativo di una federazione europea il continente americano unitario, prima ancora che questo continente fosse completamente colonizzato e popolato. Un’unificazione politica dell’Europa sarebbe dal punto di vista della politica mondiale un evento inaudito”.

Mentre il Landmass continentale patisce la divisione interna, gli Statunitensi pongono le basi della loro potenza con la dottrina Monroe (egemonia sul continente americano) e con la dottrina della Porta Aperta (espansionismo in Cina e Giappone). Ma la vera affermazione mondiale degli USA si ha con la I Guerra Mondiale, quando le stesse nazioni vincitrice si ritrovano ad essere debitrici nei suoi confronti.

Dopo la seconda guerra mondiale gli USA si affermano come dominus dell’Europa Occidentale e dopo la caduta del Muro di Berlino pregustano la dilatazione della loro egemonia anche all’Est Europa.

Questa egemonia abbatte le regole della convivenza civile affermate con la Pace di Westfalia, si pensi alla conduzione della guerra in Irak: un misto di bugie conclamate, affermazioni ipocrite, con l’uccisione finale del leader nemico presentata al mondo come “processo penale”. Tutto questo viene compiuto nella cornice di una concezione messianica, per la quale gli USA percepiscono sé stessi come Popolo Eletto, in stile veterotestamentario, destinato a realizzare un dominio sulle genti, descritte come retrive, oscurantiste, manchevoli di “diritti civili”. Se la guerra viene giustificata con motivazioni umanitarie, il nemico viene descritto di volta in volta con connotati criminali, patologici (“il pazzo”) o con un misto di entrambi.

Ma nel momento in cui il Continente senza limiti pregusta il suo dominio mondiale (lo one way dell’unica Superpotenza) ecco che si consolidano le intese euroasiatiche tra Russia, Cina ed India. Queste nuove intese sembrano essere gli elementi cardine di un nuovo assetto geopolitico che, conseguentemente, introdurrà nuovi confini tra gli attori globali.

All’ordine unipolare della potenza del mare si oppone adesso un nuovo Nomos della Terra: euroasiatico e multipolare.

 

  1. La Geopolitika russa

 

Per lungo tempo in Unione Sovietica, la geopolitica fu guardata con sospetto: per associazione di idee, gli studi di geopolitica evocavano l’invasione hitleriana prima del 1945 e le strategie americane dopo il 1945. Peraltro le due linee di espansione, nella percezione che se ne aveva da Mosca, tendevano a coincidere

Sindrome da accerchiamento ed esagerazione difensiva? Qualche anno fa saremmo stati propensi a interpretare in tal modo l’equiparazione della strategia hitleriana con la strategia NATO; tuttavia dopo lo scoppio della crisi ucraina abbiamo assistito al dispiegarsi di un disegno NATO che comporta l’utilizzo di gruppi armati banderisti, la creazione di un governo locale votato più agli interessi della sfera NATO che non alle esigenze reali della popolazione ucraina; la stessa direzione di espansione del area americano-atlantica coincide con i vettori del Terzo Reich: Ucraina, Donbass, Caucaso. È curioso notarlo, ma anche il colore della bandiera NATO evoca il nome dell’operazione scatenata da Hitler nel Donbass dopo il fallimento dell’Operazione Barbarossa nell’autunno 1941: “Operazione Blu” …

La geopolitica sembrava il condensato di queste pulsioni e la sua rielaborazione teorica. Ovviamente la Geopolitica è un po’ come il timone della nave: dove la giri, va. Non è detto che il timone persegua le rotte del Lebensraum o del liberalcapitalismo occidentale.

Giusta era la critica che veniva da parte sovietica al determinismo che era implicito in molte analisi geopolitiche: non è la geografia da sola a determinare il destino di un popolo, “la natura non determina il comportamento, ma questo è determinato da profondi interessi di classe del capitalismo, che gode del monopolio statale” puntualizzava la Grande Enciclopedia Sovietica trattando l’argomento. Potremmo rielaborare la frase ai giorni nostri dicendo che la natura di un territorio deve essere interpretata, valorizzata da un popolo con i suoi valori, con i suoi equilibri sociali, con il livello di coscienza di sé sviluppato (oppure negato).

E tuttavia nonostante tutte queste titubanze, a partire dagli anni Cinquanta comincia a svilupparsi in ambienti militari una Geopolitika: una riflessione di fondo sulle coordinate geografiche dell’area sovietica. In questo ambito il generale Gorskov, nominato comandante in capo della marina, sviluppa un ragionamento strategico sulla necessità di estendere il raggio d’azione della flotta sovietica dalle acque costiere agli oceani; nello stesso tempo si mette a punto una strategia di intervento in aiuto dei vari movimenti di liberazione nazionale del Terzo Mondo. È questo secondo punto che in particolare diventerà un perno della “Dottrina Breznev”.

Osservatori stranieri notarono quello che a Mosca mai si sarebbe affermato ufficialmente: che i vettori della Geopolitika dell’URSS si muovevano in continuità con la tradizione imperiale zarista: espansione della sfera di influenza dalla Moscovia a un area euroasiatica sempre più vasta; accesso ai “mari caldi”.

 

Oggi la Geopolitika russa dell’era Putin, mutati i tempi, potrebbe riprende in maniera sinergica quegli spunti:

1)  Appoggio ai movimenti nazionali che vogliono sottrarsi al mondialismo e al turbo-capitalismo di marca occidentale.

2)  Integrazione euro-asiatica.

3)  Presenza negli scenari oceanici.

Concludiamo la nostra carrellata di concezioni geopolitiche facendo riferimento alla posizione eurasiatista di Aleksandr Dugin. La fine della guerra fredda, il crollo del Muro di Berlino, ma anche l’emergere dei colossi economici dell’Asia segnano lo sviluppo in Russia di un movimento neo-eurasiatista. Esso viene alimentato dalla profonda delusione per gli effetti delle politiche neo-liberiste degli anni Novanta: disoccupazione e impoverimento generalizzato, perdita di sovranità sostanziale, rischio che le risorse pubbliche del territorio russo siano svendute a privati e a oligarchie internazionali.

Principale esponente di questa corrente che riprende le riflessioni degli eurasiatisti di inizio Novecento (oltre che degli Slavofili degli anni precedenti) è Aleksandr Dugin, che rivendica una emancipazione innanzi tutto culturale della Russia dall’Occidente.

Il movimento euroasiatista reagisce al tentativo di porre la Russia in una condizione di sudditanza rispetto alla UE di stampo liberista e all’allargamento davvero esorbitante della NATO ad Est.

Dopo il 2000 Dugin, che pure aveva tentato l’avventura politica con un suo proprio partito, esprime un sostanziale apprezzamento nei confronti dell’azione politica di Vladimir Putin.

Il coronamento geopolitico dell’azione di Putin è senza dubbio la realizzazione del grande progetto della Unione EuroAsiatica. Dugin prospetta l’allargamento di questa area anche a Siria, Iran e addirittura Pakistan.

Eurasia non è solo uno spazio economico, ma anche una proposta culturale alternativa a quella dell’Occidente a guida americana. L’eurasiatismo da un lato fa riferimento alle radici tradizionali dei popoli, dall’altro insiste nella necessità della modernizzazione, appunto per garantire uno sviluppo e una proiezione nel futuro di quelle radici. Per realizzare questo modello armonico di tradizione-e-modernità è necessario che Europa e Asia si incontrino: la Russia per la sua posizione geografica e soprattutto per la sua storia può rappresentare il volano di questa grande prospettiva inter-continentale.

Dugin marca nettamente la distanza dalla pretesa universalistica che è tipica dell’american way of life: il mondo è vario e articolato, non si può imporre una medesima cultura o peggio ancora una retorica ideologica a tutto il pianeta. È necessario rispettare le differenze e le specificità dei popoli: questa è l’essenza del multipolarismo.

Alla concezione individualistica occidentale viene contrapposto il sentimento comunitario, al dominio assoluto del mercato viene contrapposto il senso di una nuova socialità. Vi sono settori che non si privatizzano (scuola, sanità, esercito, risorse del territorio) e soprattutto non si privatizza la politica e la gestione di uno Stato, come si rischiava che accadesse nel decennio degli oligarchi. O come è sostanzialmente accaduto nella sventurata Ucraina.

Tutte queste considerazioni hanno spinto Dugin a elaborare quella che – a suo avviso – è una “Quarta Teoria” politica, che supera il liberalismo, senza ricadere nelle formulazioni ideologiche del marxismo e del fascismo.

 

Alfonso Piscitelli

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *