23 Aprile 2024
Appunti di Storia Controstoria

Firenze Ottobre 1920: dopo Montespertoli, tocca a San Piero a Sieve… Il Fascismo cittadino comincia a farsi conoscere anche in provincia (Terza Parte) – Giacinto Reale

Piazza Ottaviani ribolle e rigurgita nervosa. A un tratto tre motori alzano la voce tutti insieme. Latte di benzina vengono versate metà nei serbatoi e metà per terra… Pirro Nenciolini disputa a Bruno Frullini un fucile austriaco.

(Alessandro Pavolini, Giro d’Italia, 1928)

 

 

 

Tornando a Montespertoli, è indubbio che ciò che lì avviene ha un gran clamore in città, e non solo negli ambienti fascisti o comunque vicini al Fascio. Aderiscono ufficialmente al movimento mussoliniano, in questo periodo, il Capitano Luigi Zamboni e Guido Carbonai, e il primo, a metà ottobre, sarà il nuovo Segretario provvisorio, perché Ezio Lascialfare abbandonerà, per ragioni mai ben chiarite.

Sembra giunta anche l’ora, per il capoluogo di Regione, di assumere il compito di coordinare le prime iniziative sul territorio. A questo scopo viene indetta una riunione per il 5 novembre, alla quale partecipano, però, i soli rappresentanti di Pisa e Siena, anche se altre realtà si vanno formando qua e là nell’intera Toscana.

Il giorno precedente, a testimonianza dell’alto valore simbolico della data che ricorda la Vittoria, esce il primo numero della “Sassaiola fiorentina”, il giornale che Dumini si è “inventato”, e che nel sottotitolo reca la scritta “giornale di guerriglia ardita”. In poche righe iniziali, orgogliosamente firmate “Noi”, viene lanciata la sfida a tutto tondo:

Questo libero foglio di battaglia – che vede oggi per la prima volta la luce – continua, intensificandola, la campagna di pura italianità e di epurazione politica iniziata da qualcuno di noi nelle colonne del giornale “L’Ardito”.

Si tratta, per ora, di un numero straordinario, destinato a mettere nella loro vera luce certi fatti e certi uomini che oggi alzano la testa, e nella loro mania di piazzarsi aspirano – essi che sono l’espressione del nullismo più vuoto – a reggere le sorti della città che già conobbe le glorie di Francesco Ferruccio e di Michele di Lando.

Si tratta, per ora, di un numero straordinario, anche perché noi, che non siamo foraggiati da nessuno, dobbiamo dar vita a questo foglio con le nostre forze, ahimè molto modeste.

Dunque, il giornale uscirà quando e come potrà. Ma se la nostra buona battaglia troverà non solo incoraggiamenti verbali, ma anche…incoraggiamenti di altro genere, questa bandiera continuerà a sventolare sulla marea montante dei rossi e dei neri, egualmente tutti nemici d’Italia! (1)

 

In realtà, il giornale si distingue, da subito, per i violenti attacchi nominativi ai candidati socialisti e a Spartaco Lavagnini in particolare, con una tale personalizzazione della lotta politica cittadina che, a fine anno, si renderà necessario trovare una giustificazione con un elaborato richiamo a personaggi della sinistra “storica”, come Rochefort, Zola e Hugo. E non potrà mancare il riferimento a Marx stesso, perché:

E’ una teoria da vecchiardi quella che sostiene che bisogna curare le malattie politiche e sociali senza occuparsi delle persone che le diffondono. Anche il padreterno del socialismo internazionale non è stato poi così rispettoso come lo hanno mostrato poi i suoi masturbatori.

Carlo Marx è stato uno dei massimi politici del suo tempo. Egli ha aggredito i personaggi del suo tempo più di tutti i Rochefort dei cicli perturbati. Marx ha preso la gente per il collo e l’ha sdraiata sul suo tavolo operativo.

Così facciamo noi. (2)

Per una di quelle curiose coincidenze che a volte si verificano, lo stesso giorno viene pubblicato a Bologna il primo numero de “L’Assalto”.

I due giornali, insieme, anche se su posizioni non sempre concordanti, saranno la migliore espressione dell’intransigentismo fascista nei mesi a venire.

E, per chi ami cercare simili combinazioni, va aggiunto che, anche “L’Assalto” è stato preceduto da un episodio proto-squadrista, quello – già accennato – avvenuto a San Lazzaro il 25 ottobre, che testimonia, come Montespertoli per Firenze e la Toscana tutta, dell’effervescenza dell’ ambiente “nazionale”, che intorno al movimento mussoliniano comincia a coagularsi sempre più vigorosamente.

Sono le prime apparizioni di due tra i più forti Fasci della vigilia fascista, che però, fin dall’inizio, si propongono (e si rappresentano) in maniera diversa.

A San Lazzaro, infatti, gli squadristi si recano non per fare una provocazione ed una beffa (come sostanzialmente è a Montespertoli), ma per portare sostegno ai lavoratori già boicottati dai leghisti. Nanni Castelli, tra i primi fascisti del capoluogo emiliano, lo racconterà in due diverse occasioni. Prima, sul numero 39 del 1920 de “Il Fascio”, con una accentuazione dell’aspetto “militare” della spedizione:

Formate le squadre in camion, i fascisti si recarono nelle campagne del Comune di San Lazzaro, ove maggiormente imperversava la dittatura bolscevica…Come in guerra. La notte, poi, i Carabinieri, inoltrando nell’oscurità, sentirono un secco: “Chi va là?” che però non li fece fermare, credendo ad uno scherzo. Invece, dovettero arrestarsi e declinare il loro…mestiere, quando i fascisti, manovrando militarmente, fecero scattare metallicamente le loro armi. (3)

E poi, in altro articolo, con una speciale sottolineatura del contenuto politico dell’azione fascista:

E’ bastato un pugno di giovani animosi, il Fascio di combattimento, per imporre il basta ad una corsa verso la rovina completa di tutti, borghesi e proletari.

E’ bastato far comprendere che il bolscevismo non è poi una cosa tanto facile da attuarsi, perché ci siamo noi che non lo vogliamo assolutamente, e che per esso non basta vociare nelle piazze, ma occorre rischiare pure la pelle, per fare allontanare dalla lotta tutti gli animosi ed eccessivamente fautori di un regime che è desiderato perchè non è conosciuto nelle sue brutture, degne solo d’un popolo incivile e retrogrado.

E così il proletariato, pel quale lottammo negli anni nostri migliori, è rimasto disorientato. Non sa prendere una via da seguire.

Nelle campagne di San Lazzaro, qualche settimana fa, quando una trentina di fascisti si avventurarono tra i coloni e i contadini, restituendo ai legittimi proprietari le macchine requisite dai leghisti rossi, facendo iniziare la battitura del grano, strappando la bandiera rossa, cantando gli inni della Patria, i lavoratori pallidi e miseri ben ci dissero che la loro era una vita di sofferenza e che erano soggetti ai “rossi” non avendo chi si interessasse dei loro interessi. (4)

Mentre, quindi, il fascismo gigliato mostra subito il suo volto guascone, la sua passione per la beffa e la provocazione, la sua propensione ad agire in piccoli numeri, di sorpresa e velocemente, quello petroniano, si manifesta serio, volto alla conquista delle masse, consapevole di un’azione di redenzione verso la comunità nazionale.

Evidente l’influenza che su tale diversità di intenti e comportamenti ha la presenza, in posizione di vertice, di uomini diversissimi tra loro. “Politici” come Leandro Arpinati (e poi Dino Grandi) a Bologna “d’azione” come Amerigo Dumini e gli altri che gli fanno corona a Firenze.

Sono loro che, il 29 ottobre, in occasione della partenza per Roma, per la cerimonia della traslazione della salma del Milite Ignoto, dei vessilli dei Reggimenti di stanza in Firenze, “occupano” le strade cittadine nelle quali passa il militaresco corteo, e impongono, con maniere anche brusche, la loro presenza:

Alla partenza delle bandiere dei Reggimenti, nel 1920, stabilimmo di precedere il corteo e di imporre ai cittadini il saluto alla bandiera. Da via Tripoli, la gloriosa, lacera bandiera dell’84° Reggimento Fanteria, con la musica in testa, e il generale De Marchi, passava proprio come una sconosciuta forestiera.

Con la famosa ed ormai nota frase “Giù il cappello”, imponemmo con la forza il rispetto al glorioso simbolo della Patria. Alla nostra imposizione, molti facevano da sordi, ma certi schiaffi sonori fecero comprendere come noi non conoscevamo sordità alcuna.

Diversi tranvieri che non vollero levarsi il berretto furono un po’ sciupacchiati, tanto che, non sapendo cosa fare di meglio, proclamarono, in segno di protesta, uno dei soliti ridicoli scioperi. (5)

 

Episodio di scarsa rilevanza, se vogliamo, ma che merita una menzione perché questa abitudine – che a Firenze ha il suo apice – di intimare il “Giù il cappello” al passaggio delle bandiere o dei vessilli di fazione, provocherà, un anno dopo, al Congresso di Roma, un increscioso incidente,

Infatti, durante lo sfilamento finale dei congressisti, nasce qualche alterco con chi indugia un pò troppo a scoprirsi, finchè non avviene il “fattaccio”. Due schiaffi raggiungono uno che non si leva il berretto, ma che solo dopo si scoprirà essere il Tenente Pellegrini, Presidente dell’Associazione romana dei mutilati di guerra, privo di ambedue le braccia.

Episodio sgradevole – anche se è certo che gli aggressori non si rendano conto della mutilazione – che costringe Bottai, Grandi e Caradonna a recarsi, il giorno dopo, all’Associazione, a chiedere scusa.

Della cosa si parlerà per alcuni giorni su tutti i quotidiani nazionali, arricchendo l’accaduto via via di particolari nuovi, quali il fatto che Pellegrini avrebbe risposto all’intimazione: “Anche se lo volessi non potrei”, e poi, per la rabbia, avrebbe buttato a terra le sue protesi, calpestandole.

E’ lecito pensare che i responsabili della bravata siano fiorentini, perché – unico caso, a quanto si sa – al rientro ci penserà Dino Perrone Compagni a richiamare i suoi agli ordini:

A Roma l’iniziativa di alcune squadre di far togliere il cappello ai cittadini, senza tener conto né della stagione né della lunga durata dello sfilamento, ha crato al Partito Nazionale Fascista seri imbarazzi, per la qualità delle persone colpite, e per la reazione giustissima dei cittadini, che non intendono togliersi il cappello a dei gagaliardetti sui quali è scritto “Me ne frego”.

Ho dovuto io stesso vedere come alcuni squadristi non diano retta ad alcun comando e intendano fare quello che vogliono, facendo del fascismo solo uno strumento di violenza. Bisogna comprendere e far comprendere che oggi il Partito Nazionale Fascista non può essere compromesso da azioni simili”. (6)

Comunque, rispetto agli “scappellamenti” imposti a Firenze città il 29 ottobre, è certamente ben più grave quel che avviene in provincia il 10 dicembre. Episodio che, dopo Montespertoli, e con conseguenze più rilevanti, perchè ci sarà un Caduto, è destinato a segnare la rotta, nei mesi a venire, di un fascismo che dai centri maggiori si irradia nei paesi e nelle campagne.

Tutto succede a San Piero a Sieve, al termine del pranzo che, nella villa Schifanoia della Contessa Cambray Digny ha visto ospite Francesco Giunta, in visita da Trieste, dove ormai si è stabilito e si è messo in luce con l’incendio dell’hotel Balkan, noto “covo slavofilo e sovversivo” in città, accompagnato da alcuni camerati fiorentini.

Giunta è originario del luogo e amico di famiglia della proprietaria, per cui “normale” appare il fatto che, di passaggio a San Piero, onusto di tanta gloria, venga invitato a pranzo, insieme ai suoi fratelli, da quella che per loro “era come una mamma”.

Li accompagnano alcuni fiorentini (sono dodici in tutto), tra i quali oltre a Luigi Zamboni e Bruno Frullini, dei quali già si è detto, si cono personaggi destinati a futura fama, come Manfredo Chiostri e Italo Capanni.

Dopo la tragica conclusione della giornata, si autodenunceranno inoltre, come partecipanti alla spedizione, anche Pier Antonio e Bruno Rosai, Massimo Escard, Carlo Nobili, Baldi Delle Rose, Mario Nerbini, Pasquale Lazzeri, Angiolo Massa e Corrado Mieli.

Il piccolo numero e lo stesso “assortimento” del gruppo, non solo “manesco“, ma con una forte presenza politica” (Giunta è ormai un leader nazionale, Zamboni è il Segretario politico cittadino, Chiostri e Capanni saranno eletti Parlamentari di qui a qualche mese) autorizza a pensare che gli intenti fossero pacifici…naturalmente quanto potevano esserlo in quel periodo tempestoso e in una zona agricola interessata, come tutte le campagne circostanti, dalle agitazioni dei contadini in corso.

Nel Mugello, in particolare, i “consigli di cascina”, pallida imitazione agreste dei “consigli di fabbrica” la fanno da padroni, e sui tetti sventolano artigianali bandiere bianche, a testimoniare la prevalenza delle leghe collegate in qualche modo al PPI su quelle tradizionalmente sovversive.

Prevalenza che va difesa giorno per giorno, sia nelle trattative con i “padroni” che nella capacità di opporsi, ove occorra, alle iniziative che i fascisti – come ha dimostrato l’episodio di Montespertoli – cominciano a prendere in Provincia.

Nasce anche da questa rivalità (la cascina di Scarperia, dalla quale sarà aperto il fuoco contro i fascisti è una roccaforte “bianca”) la reazione di cui diremo, mentre la “spedizione” (e meglio sarebbe dire, mai come in questo caso, la “gita”) fascista deriva dalla coincidente volontà dei partecipanti di fare insieme un giro fuori città (e infatti, alcuni sono disarmati, e gli altri risulteranno armati solo di revolver, cosa “normale” in quei tempi, ma senza nè moschetti nè SIPE), coronare l’uscita con un bel pranzo, e dare una mano – senza inutili e controproducenti sfoggi di violenza, ma provando piuttosto il dialogo – ad una amica dei Giunta e simpatizzante della causa, alla quale i sovversivi stanno creando più di un problema.

Sta di fatto, però che – a conferma di quanto dicevamo prima – la sola presenza del gruppo fascista mette in allarme:

La voce doveva essere corsa: le aie erano deserte, le case sprangate e neanche c’era da avvicinarsi troppo, perché dagli archi della scaletta che “dà in casa”, come dicono i contadini (cioè in cucina) o dalla torretta su in alto poteva piovere una impallinata. Vedendo che non c’era da far nulla, se non sgolarsi a gridare inutili ingiunzioni che si perdevano entro il pomeridiano ozio delle aie, i pacificatori (sarebbero i fascisti ndr) si innervosirono. (7)

Finito il pranzo, sulla strada del ritorno, nei pressi di Scarperia, nasce un piccolo conflitto, a causa del fuoco di fucileria (Capanni e Frullini resteranno lievemente feriti) aperto contro il camion fascista che sta rientrando a Firenze. Come sempre avviene ed avverrà nel caso di questi aggressioni improvvise, gli occupanti cercano solo di allontanarsi, con una sparatoria disordinata (“i fascisti imprecando e bestemmiando sfogarono la rabbia scaricando le rivoltelle contro la porta chiusa”) che, però fa una vittima, senza che nemmeno i neroteschiati se ne accorgano.

Niente di voluto e niente di epico. Lo confermerà, qualche anno dopo, il racconto della stesso Frullini, che pure, quando può, non manca di eroicizzare anche modeste zuffe stradaiole:

Al ritorno, fra S. Pietro e Vaglia fummo aggrediti da una folla minacciosa che sparava dalle case e dai lati della strada.

Sul nostro camion si udiva il ticchettio dei pallini da caccia che era una musica davvero poco incoraggiante.

Fumo costretti a rispondere. Ma intendiamoci. All’aria.

I colpi si susseguivano ai colpi, ma finalmente potemmo farci largo e ritornare tranquillamente a Firenze. (8)

Lo testimonia, infine, pressocchè in contemporanea ai fatti, il commento della “Sassaiola fiorentina”:

Arrivati a Firenze, essi hanno saputo che c’era stata una vittima: un povero vecchio che forse avrà in cuor suo deplorato l’aggressione inconsulta che si consumava dalla sua casa.

Le vittime, da qualunque parte esse siano, sono sempre da piangersi; specialmente quando, come nel caso del vecchio Sitrialli (è il nome della vittima ndr), esse non hanno preso parte alla mischia.

Ma il dolore per l’eccidio non deve farci dimenticare che i fascisti hanno usato del sacro e più legittimo diritto sancito dalla legge scritta e da quella morale: la difesa della vita minacciata. (9)

Seguiranno polemiche a non finire (anche con interrogazioni parlamentari) sul preteso ruolo di “guardia bianca” dei fiorentini presenti a San Piero, nonostante la sdegnata smentita di Pasella a “La Nazione”: “L’accusa è semplicemente ridicola. Non c’è nessuna Agraria che possa mobilitarci…Noi non siamo i difensori degli interessi della borghesia….La vertenza colonica non è che una questione di bottega tra “rossi” e “bianchi”, e noi difendiamo l’interesse nazionale”.

Non è un segnale incoraggiante per l’anno che verrà, e che sembra non promettere niente di buono anche per le vicende che interessano il Fascio fiorentino alla fine del 1920, perché appaiono essere anticipatrici di ciò che avverrà nei mesi – e poi, con la crescita del movimento, negli anni- successivi.

 

FOTO 5: manifesto elettorale fascista

FOTO 6: Pavolini (il quinto da sinistra in alto) giovane squadrista

 

NOTE

  1. “Sassaiola Fiorentina”, nr 1 del 4 novembre 1920, articolo in prima pagina: “I redattori della “Sigaretta” foraggiati dal PUS
  2. “Sassaiola fiorentina”, numero 9, del 25 dicembre 1920, articolo intitolato “Sassaiola fiorentina nel 1921”, in prima pagina
  3. in: Nazario Sauro Onofri, La strage di Palazzo D’Accursio, Milano 1980, pag. 199
  4. “L’Assalto”, numero saggio del 4 novembre 1920: “Italiani avanti!”, in prima pagina
  5. Bruno Frullini, Squadrismo fiorentino, Firenze 1933, pag. 35
  6. Circolare datata 17 novembre 1921, in: Giorgio Alberto Chiurco, Storia della rivoluzione fascista, vol III, Vallecchi 1929, pag. 610
  7. Roberto Cantagalli, Storia del fascismo fiorentino 1919-25, Firenze 1972, pag. 135
  8. Bruno Frullini, cit., pag. 62
  9. “Sassaiola fiorentina”, nr 8 del 18 dicembre 1920, articolo intitolato “Sangue”, sulla seconda pagina

 

 

 

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