11 Aprile 2024
Punte di Freccia

Europa, Europae… – Mario Michele Merlino

Franco, 94 anni, mi rinnova il racconto di come, dopo l’esperienza esaltante nel btg. Lupo-XMAS, si fosse arruolato nella Legione Straniera, partecipando alla battaglia di Dien Bien Fu in Indocina e alla guerra di Algeria. Per spirito ardito e ricerca di lavoro e un vago sentore di quel ‘fardello dell’uomo bianco’, a dirla con Kipling, in giro per il mondo. Gli chiedo se, nei suoi pensieri, vi fosse l’Europa. Mi fa un gesto con la mano e, con voce fattasi ormai roca e stanca, mi ricorda che erano soprattutto permeati di Patria e di reazione all’ignominia dell’8 settembre. Non fu per tutti. Penso a Franco Aschieri, di anni 19, nuotatore-paracadutista, fra i sabotatori della RSI fucilati nella primavera del ’44 a Sant’Angelo in Formis, alla lettera scritta, la notte prima dell’esecuzione, alla madre ove conclude ‘Viva l’Europa! Viva il Fascismo!’.

E la memoria corre ad una sera in pizzeria, con Pierpaolo Tonino e Maurizio, parole alla buona, innata riservatezza, questo è Mario Coen, d’origine ebraica e, 18 anni da poco compiuti, volontario nella RSI. Racconta: ‘Un posto di ristoro dietro le linee per bere un bicchiere incontrare camerati d’altre formazioni in armi soldati tedeschi ed italiani. Al tavolo accanto un gruppo di Waffen SS, misto di curiosità e timore. Sulla manica della giubba lo scudetto con i colori del tricolore francese. Stupore, poi si fa comunella. Tiene banco un ufficiale, da civile professore di storia (lo immagino con gli occhialetti tondi alla Robert Brasillach)’. Riflette, commenta se stesso. ‘Eravamo giovani sprovveduti strafottenti. Dopo la batosta del ’40 ci sembra assurdo che dei francesi indossino il feldgrau germanico. La risposta è asciutta, lapidaria. Avremmo certo voluto combattere sotto le nostre bandiere con la nostra divisa. Oggi, però, questa è l’uniforme, l’unica, per difendere l’Europa per dare all’Europa un ordine nuovo. Questa abbiamo questa indossiamo’… La storia di quei ultimi giorni tragici ci insegna come furono consegnati, i sopravvissuti, alle autorità gaulliste e fucilati con processi farsa e sommari.

Era metà ottobre ’60. Con Roberto e Girolamo ci iscriviamo alla Giovane Italia, in via Quattro Fontane, dopo aver partecipato in più mattinate allo sciopero degli studenti contro gli accordi del governo con quello austriaco a favore della minoranza altoatesina. Ancora preda di nazionalismo de ‘il Piave mormorava’ (nulla da rinnegare, va da sé, ché da quelle trincee si generò il Fascismo) di sacri confini… Pochi anni dopo e Girolamo se ne andò in Belgio ad arruolarsi fra i mercenari in partenza per il Congo. Spirito d’avventura, inquietudine esistenziale, (erronea) difesa in Africa della civiltà europea (nel medesimo periodo alcuni di noi si nutrivano di Che cos’è il Fascismo? di Maurice Bardèche che ci educò ad andare oltre). Trascrivo una sua considerazione,: ‘… una foresta africana, una pozza d’acqua salmastra per dissetarci, una logora divisa kaki che rappresenti qualcosa di nostro’. Un nuovo e pur archetipo di legionario di un’Europa impastata di sogni, d’Impero, amara oggi?

Poche righe sotto – il libro di memorie e annotazioni, titolo Il bottino del mercenario è stato edito nel 1987 – aggiungeva: ‘fermamente determinati nel lasciare, quanto prima, questo pianeta da cui ci sentiamo estranei’. E così, di libera decisione, è stato. Venne a trovarci, ero in vacanza in Calabria, nell’agosto del ’90. Asciutto nel fisico e parco di parole. In procinto di tornare in Argentina dove risiedeva da anni. Si tenne in sé la consapevolezza di portarsi dentro un male incurabile e, determinato come l’imperatore Adriano, di ‘entrare nella morte ad occhi aperti’. Erede di quella meglio gioventù di cui l’Europa può essere degna e incapace di farne ormai vanto.

Fra i libri, in scaffali ove ogni criterio d’ordine è andato soffocato da troppe aggiunte i romanzi (?) di Jean Lartéguy – I Centurioni Morte senza paga Saigon addio – storie di ufficiali francesi che, dalla sconfitta e prigionia in Indocina, tornano consapevoli di essere testimoni della nascita della ‘guerra rivoluzionaria’, liberi da vecchie strategie accademie militari pifferi e nastrini. Il soldato politico, erede di quelle divisioni con le mostrine nere e i simboli antichi che s’erano battute, estrema difesa, fra le macerie di Berlino in fiamme, aprile ’45. ‘…la torre della nostra – disperazione e del nostro orgoglio’, come poetava P. Drieu la Rochelle, dopo essere tornato da quella fornace ardente che fu la Grande Guerra. Come allora uomini, pochi, a sognare un’altra e più robusta Europa – ed, oggi, ne sentiamo prepotenti la necessità, forse questa l’ultima essendo la chiamata.

E, fra i medesimi libri, il saggio su Drieu (anno 1965), scritto a più mani e dai titoli eloquenti, quali Battaglia per l’Europa e Una visione del mondo. A ben vedere l’una all’altra complementare. Solo in questo modo – battersi per una Idea e questa idea, al contempo, nella storia e nell’uomo che l’incarna attraverso uno stile. Perché solo lo stile – il senso della bellezza interiore e nel gesto a salvarci – ci rende non servi di una idea ma suoi alfieri. Intellettuali come Drieu, appunto, Brasillach Berto Ricci – e l’elenco sarebbe ben lungo, per nostra fortuna – sono stati il viatico del nostro peregrinare faccia al sole e in culo al mondo.

E i libri di Adriano Romualdi, pubblicati postumi, che mi fu amico prima che si bisticciasse sulle scalinate di Piazza di Spagna, la mattina di Valle Giulia (1 marzo del ’68). Egli, discepolo prediletto di Evola (l’unico a cui desse del ‘tu’) non poteva condividere l’inquietudine esistenziale e il voler essere parte dei venti del cambiamento con cui affrontammo la contestazione giovanile. Come, del resto, fu contro PierPaolo Pasolini. Suo tramite una più chiara coscienza, maggiore comprensione di quella Europa forgiata sangue e spirito dalle sue Nazioni, divise e sovente in conflitto fra loro, pur sempre però da una cultura e da una civiltà, premesse di ‘una patria… – compatta come un blocco d’acciaio – come una calamita’ (sempre Drieu che parla). Nella mente e nel cuore, in quella prima metà degli anni ’60, nasceva in noi l’idea d’Europa. Oggi ad essa ancora fedeli.

Ognuno ha tanta storia, sfruttando il titolo di un libro di Carlo Mazzantini. Forse non sarà sovente da manuale cippo epigrafe e, il più delle volte, in ombra ignorata poca cosa nel tempo e nello spazio. Cosa importa (nonostante la conclamata vanità non me ne vergogno di ammetterlo) se la inseriamo in un sistema di valori dove s’accompagna la fierezza con l’irriverenza, ad esempio. Pietruzza a diga contro gli indecenti e servili che troppo spesso – guitti e saltimbanchi – ci hanno ‘sporcato’ della presenza. Combattevamo per la Patria europea e alcuni finivano ad onorare la bandiera stelle e strisce. Non per loro scrivo. Osservo e vivo di un’Europa amara, quella d’oggi, a cui contrappongo i sogni che ci imposero il cammino…

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