10 Aprile 2024
Cultura & Società

Due esempi di decadenza della cultura occidentale – Gianfranco de Turris

Due episodi apparentemente slegati fra loro stanno a confermare su vari piani quella che appare come una inarrestabile e decadenza della cultura europea e occidentale. Il primo riguarda il presidente del consiglio Mario Draghi che, come dicono alcuni con sospetto, sarebbe il rappresentante dei cosiddetti “poteri forti”, ma che secondo me sta avendo atteggiamenti non conformi e molto condivisibili. Ad esempio , il 12 marzo 2021, interrompendo un suo discorso dopo la visita al centro vaccinazioni dell’aeroporto di Fiumicino, ha lasciato cadere en passant: “Chissà perché dobbiamo sempre usare tutte queste parole inglesi…”, riferendosi a hub, baby sitter e smart working, termini in precedenza da lui stesso usati (a parte il fatto che smart working non è un a locuzione del linguaggio inglese, ma inventata non si sa da chi in Italia). Il secondo è la decisione dei musei francesi di eliminare i numeri romani e sostituirli con quelli arabi per cui, ad esempio, Luigi XIV diventerà Luigi 14. Mario Draghi è una personalità di livello internazionale e in quanto tale deve saper parlare un perfetto inglese, fluente e corretto, anche di tipo specialistico e tecnico, essendo stato presidente della Banca Centrale Europea, e lo si è sentito in viva voce. Potrebbe sembrare assurdo, quindi, che si stato lui ad esprimere tali perplessità. Ma non è così, perché proprio conoscendo l’inglese come l’italiano si è reso conto che la lingua franca internazionale come oggi è l’inglese e duemila anni fa era il latino, non può e non deve supplire le lingue nazionali, O meglio deve essere usato a proposito e non a sproposito. Tutte le lingue sono permeabili ad altre e noi abbiamo ornai parole straniere entrate nell’uso comune da secoli o anche solo decenni e nemmeno ce e rendiamo conto, ma questo avviene quando esse servono a indicare qualcosa che non era contemplato nelle nostra (si pensi ai termini dell’elettronica e del digitale, anche se in teoria potrebbero essere tradotti come avviene infatti in Francia e Spagna). Oggi invece succede che per pigrizia e conformismo entrino nel lessico comune (e non solo in quello specialistico) termini perfettamente inutili: tanto per capirci, uno tra gli ultimi casi è fake news, balla, bufala, fandonia, falsità, falsa notizia, usato dalla nostra stampa solo da quattro anni dopo l’elezione del presidente Trump e le relative polemiche; e lockdown, chiusura, confinamento, quarantena, usato dalla stampa da quando è stato nominato dai corrispondente Rai a Londra. All’improvviso vengono utilizzati soltanto questi termini al posto dei relativi italiani, senza alcuna apparente necessità. E la colpa è appunto della stampa, giornali e tv, quindi dalla categoria giornalistica che, usandoli insistentemente sempre, li hanno imposti alla gente comune che li ha inseriti nel parlare quotidiano. Non c’è dunque alcun motivo per farne uso se non la ripetitività conformistica, la pigrizia mentale dei giornalisti. Mario Draghi lo sa benissimo, se ne è accorto e lo ha segnalato con una battuta, ma invano: dopo un primo stupore positivo, tutto è restato come prima e sui giornali di qualsiasi tendenza, anche i più autorevoli, non si è fatto alcuno sforzo per porvi un minimo rimedio e soprattutto nei titoli degli articoli non è cambiato nulla, figuriamoci poi nei testi.

Paradossalmente Beppe Severgnini, che l’inglese lo conosce benissimo, spalleggiando l’uscita di Draghi proprio su uno di questi giornaloni conformisti come il Corriere della Sera del 14 marzo, ha dato questa risposta al “perché” del presidente del Consiglio; “Be’, semplice: per necessità, per convenienza, per sudditanza, per astuzia, per moda, per alzare il prezzo, per ignavia, per pigrizia, per imprudenza, per consolazione”, portando poi degli esempi per ognuna di queste categorie e concludendone che in fondo tutto si potrebbe evitare, ma non è stato così. Articolo condivisibilissimo, che però purtroppo non accenna alle responsabilità lessicali dei mass media (termine metà inglese e metà latino), cioè della categoria cui lui stesso appartiene, ma prendendosela con altre (i politici, i commercianti ecc.). Bella critica, ma monca, dato che non ci sono proposte per risolvere il problema. Il “perché” di Draghi resta così sostanzialmente irrisolto. Tutto questo dimostra un appiattimento della lingua e della cultura occidentali su un unico modello, quello anglosassone. Mentre in passato la ricchezza culturale era dimostrata dalla diversità linguistica (un particolare su cui insisteva un linguista famosissimo come J.R.R. Tolkien che condannava il predominio dell’inglese, il suo stesso idioma), oggi essa passa in secondo piano, non è considerata importante, anzi viene ridicolizzato chi la difende, come se l’omogeneizzazione fosse un pregio. Soltanto la Francia, definita sciovinista, continua a tenerci e quando all’orizzonte si profila l’ingresso nel parlare comune di un termine straniero, una autorità preposta indica la versione in frane se. E’ appunto il caso di lockdown per cui si deve usare confinement. In Italia potrebbe esserci l’Accademia della Crusca che, a parte i suoi rari interventi pubblici in materia, non ha l’autorevolezza per farlo perché nessuno gliela ha attribuita nel tempo e sembra ormai un rudere culturale, anzi se lo facesse verrebbe sbeffeggiata come retrograda e fuori dalla realtà, magari pure accusata di “fascismo”… Ci si sarebbe dovuto pensare molto, ma molto prima.

Ma anche la Francia, visto che abbiamo citata in positivo, ormai sta cedendo il passo. Ed è appunto la decisione di usare i numeri arabi al posto dei romani a dimostrarlo. Il motivo deriverebbe dal fatto che, è stato detto, ormai quasi nessuno li capisce Ah! Questo vuol semplicemente dire che nella scuola francese certe cose non si insegnano più, oppure che il livello culturale di base dei giovani francesi è sceso così in basso per cui si deve usare 14 invece4 di XIV, altrimenti lo si legge come x, i, vu… Il depauperamento delle lingue nazionali a favore di un linguaggio franco internazionale comprensibile teoricamente da tutti in tutto il mondo, non è una vittoria dell’Occidente ma una sua sconfitta perché fa perdere e disconoscere le radici di ogni singola nazione a favore di una idea da Basso Impero che certo non si può paragonare, come qualche incompetente culturale fece anni fa, con l’ecumene dell’Impero Romano che, pur avendo avuto imperatori africani, non cedette sulle basi del suo potere temporale e spirituale.

Gianfranco de Turris

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