12 Aprile 2024
Cavalleria

Asceti armati: Riccardo Scarpa e l’esegesi sull’archetipo marziale – Luca Valentini

Recentemente per le Edizioni Pisa University Press è stato pubblicato un poderoso volume di Riccardo Scarpa, avvocato e conosciuto ed affermato docente in diverse facoltà italiane, con una preziosa prefazione di Davide Bigalli, presidente della Scuola Romana di Filosofia Politica e già docente di Storia della Filosofia dell’Università degli studi Statale di Milano, sulla radice ancestrale di ciò che possiamo definire la Confraternita Cavalleresca ovvero l’animo profondo degli Eroi insito nella sapienzialità occidentale. E’ un testo molto particolare, che non risulta essere di mera natura compilativa, circa quelli che sono state le varie espressioni nella storia dell’animo cavalleresco, da Oriente ad Occidente: vi è molto di più. Al lettore si presenta un tomo dalle dimensione scolastiche ed universitarie, insuperabile per le sue oltre 600 pagine per molti saccenti virtuali, che quasi sempre non sanno andare oltre l’indice e la quarta di copertina: è un testo che va meditato, che va riletto più volte, come abbiamo voluto fare noi, anche solo per onorare il dono prezioso che l’autore in sincera fraternità ha voluto farci.

Qualcosa si intuisce già nella presentazione del Bigalli, già si presagisce che le pagine che seguiranno non potranno avere dei riferimenti semplicemente documentali, se in essa si accenna alla multiformità del Nume di Delfi, Apollo, quale divinità taumaturgica ma allo stesso tempo, come ce la tratteggia Omero nell’Iliade, nella sua variante “febica”, cioè oscura, distruttrice, vendicatrice, nell’espressione non – duale di un’espressione trasmutatoria che non elide le polarità organiche, ma le assume in un percorso univoco di palingenesi. Non casualmente, infatti, si ritrova il simbolismo del cavallo, tipico degli Equites di tutte le ere e di tutte le latitudini.

Riprendendo gli insegnamenti di un Gurdjieff (I racconti di Belzebù a suo nipote), similmente al mito della Biga Alata nel Fedro in Platone, la dimensione corporale può essere paragonata ad una carrozza, quella lunare e sottile legata all’umida emozionalità può essere paragonata alla funzione del cavallo, quella mercuriale e marziale legata al pensiero può essere ricollegata alla Sapienza che dirige magistralmente l’eroica impresa, la dimensione solare, infine, l’Intelligenza Minervale, demiurgo di un’Opera di riconversione e riconoscimento dell’Io umano che ridesta che incarna l’Io Assoluto:

L’altra dimensione, nella quale la valenza magica dello sciamanesimo trascorre nell’esperienza del cavaliere, riguarda le armi. Non tanto il loro uso, quanto il loro significato simbolico” (Davide Bigalli, prefazione, p. 11).

La Tradizione Eroica ivi viene tratteggiata come un consapevole itinerario interiore in cui un vero e proprio equilibrio si viene a costituire, di azione magica umida e secca, di ritualità e di ascesi, quasi a limitare gli eccessi di entrambi, affinchè solo ciò che giova effettivamente alla realizzazione marziale possa emergere. Un esempio luminoso l’autore lo delinea nell’iniziazione eroica nell’Impero del Sol Levante, indicando la via dello Shinto, quale pratica inesauribile di purificazione, intendendo la stessa non come una prassi propedeutica, ma come l’Opera stessa da realizzare. Tramite i riti e gli esorcismi dell’Harae o del Misogi o dell’Imi, i lavacri, digiuni e mantica assumono la valenza di strumenti essenziali per acquisire quella purità che solo consente al guerriero shinto di conquistare “il paese degli Dei, governato da un Dio vivente, sorgente prima della sovranità e d’ogni potere. Da qui il mikadosimo, la via dell’Imperatore…” (p. 66).

Questo è il punto di cruciale dove la Libertà rispetto alla catabasi può realmente manifestarsi in tutta la sua pienezza, perché ogni vincolo, di qualsiasi genere, può essere infranto. Quando il nostro governo interiore, l’Io –Testimone riprende il governo della barra del timone, o almeno compie i primi passi per farlo, divenendo indipendente dall’Automa, cioè l’individualità che come una maschera oscura il nostro vero Essere, tale trasfigurazione non è assolutamente indolore né tale separazione si compie senza colpo ferire e per tale motivo l’impresa ascetica si ammanta di una alta valenza eroica. Si prefigura la virtù della Nobilitas, come nell’Ordine Equestre romano, in cui le valenze delle Deità si caratterizzano per una precipua prospettiva esoterica che, a nostro avviso, Riccardo Scarpa, coglie meravigliosamente:

Azione volta a trasformare l’essere in un portatore di luce. L’elmo di Marte è l’elmo di Minerva, e la sua saggezza s’esprime nella consapevolezza dell’apparenza della morte, e nell’alleviare le sofferenza di commilitoni, degli avversari, dei civili, soprattutto donne e bambini, coinvolti nelle operazioni belliche e nel fare, sino in fondo, il proprio dovere nel combattimento col più assoluto sprezzo del pericolo, in quanto è tutto illusorio. I romani, in sé, furono la Nazione dell’iniziazione marziale” ( p. 151 – 2).

L’autore ci riconsegna l’immagine gloriosa di un popolo che con la sua Potenza, con i suoi riti, con il suo Ius seppe condizionare, comandare e ordinare il Fas degli Dei, la loro volontà, cioè Roma e la sua “eterna presenza eroica”. Ed a questa eroicità, scevra da ogni formalismo neopagano e neospiritualista, da ogni settarismo abramitico mascherato d’arcaicità, che fu comune nell’antichità anche alla Grecia Dorica ed a tutta l’ecumene indoeuropea, che bisogna modellare il proprio modus vivendi, rifacendosi ai “isti sunt potentes a saeculo viri famosi”, riscoprendo la visione del mondo che promana dalle pagine che recensiamo, che unicamente si esplicita da una pratica ascetica prima, misterica successivamente, per riaffermare la centralità della persona, in una senatoria fermezza d’animo nei confronti di ogni accadimento dell’esistenza umana. L’impassibilità e l’imperturbabilità, pertanto, forgiano l’ideale stile di vita del Sapiente, che “androginicamente” ha la capacità di coniugare l’Azione e la Contemplazione, come un maschio ed una femmina, la copula di Marte e Venere, che alchimicamente guidati da Mercurio, conquistano le vette di Minerva e di Padre Giove.

Si rileva una prassi metodica, continua, instancabile di riconoscimento noetico di se stessi, di irriducibile ostinazione nella liberazione delle proprie facoltà sottili, nelle varie espressioni della Cavalleria, che lo Scarpa con una poderosa documentazione e con un’ermeneutica non limitatamente letterale, coglie dall’India Vedica, al ghibellinismo medievale, fino al Templarismo e negli Ordini moderni delle costanti, non ideali, ma di stretta e rigorosa pratica militaresca. Si manifesta la presenza dell’Io-Testimone, che nella letteratura esoterica è identificato nel primo Guardiano della Soglia, come che lui che è il vegliante del guado, cioè il limite che non vuole farsi superare e che tende le più astute imboscate pur di assolvere al proprio ruolo, pur di ostacolare il nostro percorso di realizzazione. In tal senso, più l’ascesi e la pratica diventano assidue e profonde, più la separazione diviene lacerante e le componenti che andiamo a trasmutare cercano di opporsi a tale cambiamento tramite la magniloquenza del nostro ego, il serpente che striscia dentro il nostro corpo sottile. Merito, in tal senso, di quest’opera è anche di aver fatto riecheggiare le splendide pagine di Giambattista Vico, in cui l’iniziazione marziale e cavalleresca diviene la condicio sine qua non della fondazione della Patria ideale e terrena, quale dimora inattaccabile degli Eroi e della Sapienza: “l’ingegnoso pittore fa comparire un fascio romano, una spada ed una borsa appoggiata al fascio, una bilancia e ‘l caduceo di Mercurio” (p. 433).

Per l’autore, si evince tramite il Vico, quella naturale contiguità tra dimora dei Numi e dimensione dell’Eroico, tra Sacro e Magia nell’Urbe, nei suoi sacerdozi, nella sua storia, nel valore dei suoi militi, quale storia e protagonisti di una trama volta alla trasfigurazione teurgica di un Popolo e di un’Idea. Rivive, infatti, una precisa epica del Combattimento e della Vittoria, così come interpretata da molti esponenti della letteratura italiana ed europea, come Junger, Tolkien o Carducci, ma che diviene Estetiva del Bello e del Vissuto nel Vate del ‘900 d’Italia, cioè in Gabriele D’Annunzio, che nel suo nome iniziatico, Ariel, aveva sigillato l’impresa della vita:

E’ quell’operazione teurgica che già il primo sciamano compì nell’iniziazione del primo guerriero, ma attraverso l’invocazione di Dioniso e Venere invece che per mezzo di quella forza distruttiva del mondo delle forme che è Ares – Marte << O notte in cui viver mi parve / figurato nel violento mito / che divennemi un sogno sacro … >>” (p. 581).

Il volume termina con un’interessante postfazione a cura di Giovanni Sessa, Segretario generale della Scuola Romana di Filosofia Politica, in cui riecheggia una precisa metafisica delle guerra di matrice evoliana, in l’Asceta Armato viene dipinto per quello che è e che non potrebbe diversamente essere, cioè un Maestro d’Armi e di Sapienza, un fiero rappresentante della Tradizione d’Occidente, quale variente eroico – ermetica della Tradizione Primordiale. Di tutto ciò, si renda il sincero e profondo plauso a Riccardo Scarpa, per il dono prezioso offerto ai suoi attenti lettori.

Luca Valentini

2 Comments

  • Carlo 4 Marzo 2018

    Il cuore di ogni discorso sull’epica è uno solo: la vita è una guerra cui occorre essere preparati.
    Non guerra contro persone, ma contro accadimenti, incidenti, eventi di ogni tipo, che ci COSTRINGONO al consueto dilemma: vincere o morire.
    Anche fuggire è morire ed è quindi a combattere, fino alla morte corporale, dobbiamo essere preparati.
    Così cantiamo dunque l’INNO:
    CON CUORE FORTE E INTREPIDO
    GIAMMAI MI ARRENDERO’
    CONTRO I DESTINO PERFIDO
    SEMPRE COMBATTERO’
    OLTRE QUALUNQUE OSTACOLO
    IL CUORE SCAGLIERO’
    E SEMPRE AVANTI, SENZA RIMPIANTI
    IO COMBATTENDO MARCIERO’
    POI SCIOLTE L’ALI DELLA VITTORIA
    NEL VANTO VOLERO’
    TAMA’

  • Carlo 4 Marzo 2018

    Il cuore di ogni discorso sull’epica è uno solo: la vita è una guerra cui occorre essere preparati.
    Non guerra contro persone, ma contro accadimenti, incidenti, eventi di ogni tipo, che ci COSTRINGONO al consueto dilemma: vincere o morire.
    Anche fuggire è morire ed è quindi a combattere, fino alla morte corporale, dobbiamo essere preparati.
    Così cantiamo dunque l’INNO:
    CON CUORE FORTE E INTREPIDO
    GIAMMAI MI ARRENDERO’
    CONTRO I DESTINO PERFIDO
    SEMPRE COMBATTERO’
    OLTRE QUALUNQUE OSTACOLO
    IL CUORE SCAGLIERO’
    E SEMPRE AVANTI, SENZA RIMPIANTI
    IO COMBATTENDO MARCIERO’
    POI SCIOLTE L’ALI DELLA VITTORIA
    NEL VANTO VOLERO’
    TAMA’

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