12 Maggio 2024
Tradizione

Alcune osservazioni sul concetto di Tradizione – Fabio Calabrese

Sicuramente, per alcuni lettori il fatto che anni fa sia apparso su “Ereticamente” un mio articolo intitolato in termini – credo – molto espliciti Il cristianesimo non è tradizione, sarà stato fonte di perplessità, infatti per molti il cristianesimo, la Chiesa cattolica, ciò che essa ha tramandato attraverso i secoli, coincidono esattamente con il concetto di tradizione. Noi possiamo non essere d’accordo con loro, ma il fatto stesso che costoro esistono e non sono pochi, ci dimostra che il concetto di tradizione può essere inteso  in più di una maniera, e il modo in cui lo intendono alcuni è connotato da una forte ambiguità. È forse il caso di spingere la riflessione un poco più oltre e cercare di chiarire ciò che esso può realmente significare dal nostro punto di vista. Naturalmente, ciascuno di noi fa riferimento alla propria esperienza, al proprio orizzonte esistenziale, potremmo dire. Io appartengo alla generazione nata nei primi anni ’50 e che proprio adesso sta entrando in quella che anagraficamente è considerata la terza età, ma non credo che tutto sommato il percorso esistenziale dei ragazzi venuti dopo, sia stato granché diverso.

Se, spinto probabilmente da motivi genericamente patriottici e anticomunisti all’inizio degli anni ’70 (quella era l’epoca della contestazione, e un gran vento di sovversione spirava sulla società, sulla politica, sulla cultura, ispirando a molti di noi una comprensibile reazione), uno di noi approdava a una sede di quella che era allora la Giovane Italia divenuta poi Fronte della Gioventù, il primo testo che si trovava probabilmente fra le mani, che fungeva un po’ da ABC di una formazione politica, era Orientamenti di Julius Evola, non si potevano nutrire dubbi in proposito, una questione come quella che sto proponendo io adesso non avrebbe avuto nemmeno motivo di essere posta. In realtà le cose non erano così semplici, ma occorreva masticare qualche chilo di sale per accorgersene. A esaminare le cose un po’ da vicino, le perplessità che si potevano nutrire non erano poche. Prima di tutto la tendenza di molti “tradizionalisti integrali” (usando questa terminologia nel senso datovi da Julius Evola e René Guenon) a ricadere verso “tradizioni” storicamente definite, cioè nella situazione storica della realtà odierna, quelle di matrice abramitica, cristiana o islamica, cosa di cui diede l’esempio lo stesso Guenon con la sua conversione all’islam, ma quanti “evoliani” abbiamo conosciuto che una bella mattina si sono riscoperti “cattolici tradizionalisti”, magari nella convinzione di avere semplicemente approfondito il loro punto di vista! Una cosa che non può non dare l’impressione che in questo modo di considerare le cose ci sia una falla piuttosto imponente da qualche parte.

Poi, innegabilmente, non era in ogni caso possibile sfuggire alla domanda se fosse davvero realistica e credibile una condanna totalizzante del mondo contemporaneo in tutti i suoi aspetti a cominciare – cosa che come italiani ci riguarda molto da vicino – della nostra unità nazionale. Certo, lo stato liberal-massonico nato come effetto collaterale della sovversione liberale in Europa rimaneva qualcosa di inaccettabile, e la sedicente democrazia che ci governa da tre quarti di secolo non è così perfetta come ce la decantano, ma da qui a rimpiangere gli staterelli pre-unitari e le dominazioni straniere che abbiamo subito per un lunghissimo arco di secoli, ce ne corre non poco!

Altro aspetto difficile da sottacere: un rifiuto globale della modernità che comportasse la rinuncia allo sviluppo scientifico-tecnologico metterebbe una qualsiasi nazione in una condizione di pesante inferiorità rispetto alle altre, nel confronto su scala globale, planetaria, si sarebbe inevitabilmente battuti in partenza. Diciamo tuttavia che questi erano aspetti che nella situazione di allora era bello sottacere, evitare di soffermarvisi. Ridotta all’osso la questione, la nostra auto-rappresentazione era quella di una trincea o di una fortezza assediata, la difesa di certi valori imprescindibili (ancorché – ammettiamolo – non sempre facili da definire) circondata dalla marea montante della sovversione cui cercavamo di fare argine.

Devo dire poi che, almeno per quanto riguarda me personalmente si aggiungeva ancora un altro problema a tutto ciò, un problema che riguarda quella dimensione filosofica che certamente i più trascurano. Io credo che tutti noi siamo persone dotate di un certo spirito critico: “Non sono disposto a crederti perché ti presenti ammantato di autorità, sono disposto a crederti solo se mi dimostri quello che dici”, altrimenti non si spiegherebbe come ci siamo accostati a una visione del mondo calunniata e demonizzata da un periodo così lungo. Tuttavia è vero che nella maggior parte delle persone, specie se non hanno una cultura filosofica, lo spirito critico arriva fino a un certo punto. Che la politica si colleghi all’etica, questo è un fatto indubbio. Se si fa politica, o si hanno degli ideali, delle finalità che trascendono il nostro interesse personale, oppure non se ne hanno, ma questo non è certamente il nostro caso, perché se lo fosse avremmo certamente potuto trovare ben altre appartenenze politiche più comode e promettenti.

Ciò che invece si può porre seriamente in dubbio, è la connessione tra etica-politica e religione. Questo è tipico della mentalità abramitica, ci si comporta “bene” (si fa quella che si ritiene la volontà di Dio, il che potrebbe comprendere benissimo lo sterminio “degli infedeli” o l’approfittarsi bassamente dei gojm subumani) per evitare la punizione e per ricevere il premio ultraterreno, il che riduce la morale a un basso mercanteggiamento (e non è verosimilmente un caso che questa concezione sia stata creata dal popolo più “mercantile” che esista). L’uomo non abramitico, l’uomo spiritualmente indoeuropeo non si comporta bene in vista di un premio ultraterreno, ma perché ciò è conforme alla sua dignità personale, al suo rispetto di se stesso. E’ il caso qui di riportare un’osservazione di Silvano Lorenzoni secondo cui un uomo abramitico, specialmente se appartenente alle culture medio-orientali, può essere affetto da un pesante moralismo e contemporaneamente del tutto privo di etica in senso indoeuropeo, considerando ad esempio la doppiezza verso i non appartenenti alla sua comunità una virtù.

Il tradizionalismo integrale come lo intendono Evola e Guenon potrebbe essere considerato appunto una sorta di religione, ma allora varrebbe la pena di sostituire un dogmatismo come quello cattolico nel quale perlopiù siamo stati allevati, con un altro? Oltre tutto, mi sembra assai arduo voler indicare un’epoca, vuoi storica, vuoi preistorica nella quale la tradizione primordiale da cui tutte le altre deriverebbero, sarebbe stata in pieno vigore. Non si deve probabilmente pensare alla tradizione come qualcosa di storico, collegato a un momento temporale definito, sia pure estremamente remoto, ma piuttosto a qualcosa di metastorico, atemporale, che può occasionalmente concretizzarsi in emersioni, o meglio discese sul piano storico.

Julius Evola propone un’etimologia scorretta della parola “gerarchia” come “potere del sacro”. In realtà, questo termine non deriva dal greco “ieros”, sacro, ma da “geros”, vecchio, e indica semplicemente un’organizzazione nella quale gli anziani hanno il comando in ragione della loro maggiore esperienza. Si parla di sacro, di spiritualità, ma in concreto perlopiù non si va oltre le enunciazioni verbali a prescindere dall’ubi consistam della politica. Che molti in conseguenza di ciò abbiano cercato una risposta a questa indeterminatezza nei dogmi e nei rituali del cattolicesimo, di certo è l’ultima cosa che possa stupire.

Il concetto di tradizionalismo così come lo intendono ad esempio i cattolici, finisce per essere un autentico boomerang, porta a perdere di vista la sostanza delle cose, la sostanza etnica. Se quello che ci si propone è semplicemente riportare indietro le lancette dell’orologio della storia, non si troverà nulla da obiettare all’adozione di culture pre-moderne tutte incentrate sul dogmatismo religioso come quella islamica, cioè sostanzialmente culture non-europee, e così si spiega ad esempio la scelta di Guenon, seguita, bisogna dirlo, anche da diversi suoi discepoli. Ugualmente, non possiamo neppure fare nostra un’interpretazione del concetto di tradizione che la porti a farla coincidere con una visione di passatismo, di conservazione dell’esistente, di classismo sociale, considerando il fatto che nelle società nelle quali viviamo le differenze di classe non coincidono con nessuna differenza di qualità umana, ma esclusivamente con la logica del denaro, per quanto abietta essa spesso si dimostri.

Fa testo al riguardo un esemplare brano di Benito Mussolini nel quale spiega che la grande novità del XX secolo è stata l’irruzione delle classi lavoratrici sulla scena politica, cioè in senso pieno la nazione, il popolo, irruzione che si era concretizzata in particolare sui campi di battaglia della prima guerra mondiale con il suo terribile costo di sangue, segnando una differenza netta rispetto a un passato a cui il fascismo non ha avuto intenzione di tornare:

Le negazioni del socialismo, della democrazia, del liberalismo, non devono tuttavia far credere che il fascismo voglia respingere il mondo a quello che era prima del 1789 (…) Non si torna indietro. La Dottrina Fascista non ha eletto a suo profeta De Maistre, l’assolutismo monarchico fu, e così pure ogni ecclesia. Così furono i privilegi feudali, e la divisione in caste impenetrabili e non comunicabili fra loro”.

Joseph De Maistre era un pensatore del XIX secolo appartenente appunto all’area del pensiero cattolico tradizionalista, ma non possiamo escludere che anche i tradizionalisti “integrali” potrebbero cadere sotto la stessa reprimenda, qualora si facessero portatori di una visione di classismo anacronistico e conservazione sociale. Siamo sinceri, per un lungo periodo ci siamo portati dietro un fascio di contraddizioni ma adesso non dobbiamo rammaricarcene, abbiamo passato in maniera obbligata le forche caudine della Guerra Fredda. Il crollo dei regimi comunisti dell’Europa dell’est e dell’Unione Sovietica tra 1989 e 1991 ha cambiato completamente le carte in tavola, soprattutto perché ha evidenziato il fallimento dell’ideologia “socialista” rossa.

Oggi, quelle che un tempo erano le sinistre in Europa si sono “riciclate”, da un lato aderendo a un’ideologia liberista che lascia mano libera al grande capitale finanziario, dall’altro insistendo su di una visione cosmopolita utopica che si traduce in una sottomissione ai progetti mondialisti. In maniera analoga alle Chiese che cercano nell’immigrazione dal Terzo Mondo un “gregge” alternativo a un’Europa sempre più laica e secolarizzata, così le sinistre vi cercano un “proletariato” alternativo alla crescente disaffezione delle classi lavoratrici europee. Questa “mutazione genetica” è stata notevolmente agevolata dal fatto che con la contestazione del 1968 le sinistre europee hanno imbarcato nelle loro file un consistente strato di rampolli dell’alta borghesia e pseudo-intellettuali professionisti, e “smarcato” sempre di più proprio i ceti lavoratori.

Non dobbiamo neppure scegliere, i nostri avversari hanno già scelto per noi. Sebbene sia evidente che, per la legge della domanda e dell’offerta, l’immissione incontrollata sul mercato del lavoro di una quantità enorme di braccia a bassissimo costo danneggia in primo luogo le classi lavoratrici europee, qualunque movimento identitario e anti-immigrazione è automaticamente definito e avversato dalle sinistre e dai democratici come “fascista”. Si comprende dunque quanto sia sterile oggi rinchiudersi in un classismo e in un “destrismo” anacronistici, anche perché oggi in Europa non esiste più nessuna traccia di una reale nobiltà di sangue, non solo, ma i membri delle classi alte e parassitarie sono perlopiù “schierati a sinistra”.

 Sono proprio le classi lavoratrici quelle verso cui la sinistra manifesta un divorzio e un’ostilità sempre più vistosa, e sono proprio queste ultime che hanno maggiormente da perderci nell’avvento di una società multietnica e mondialista. Siamo ancora una fortezza assediata, ma in un senso più ampio: oggi sotto assedio sono l’Europa e i suoi popoli nativi che il potere mondialista vuole portare all’estinzione attraverso la sostituzione etnica. C’è un altro aspetto della questione in qualche modo analogo per il quale mi sembra che riguardo all’approccio perlopiù prevalente fra i tradizionalisti si possono esprimere consistenti riserve, ma anche in questo caso l’aspetto politico rimanda a una dimensione filosofica.

Se noi osserviamo come si presentavano la cultura e la “scienza” imposte dalla fine della seconda guerra mondiale a, diciamo, la metà degli anni ’70, è difficile resistere alla sensazione che esse rappresentassero un arsenale di armi puntate contro di noi. Alla “scienza” economica e sociologica di Marx si univano la psicanalisi freudiana, l’antropologia culturale di Levi Strauss, le elaborazioni a cavallo tra sociologia e psicanalisi della Scuola di Francoforte, la “teoria” antropologica di Richard Lewontin che avrebbe “dimostrato” l’inesistenza delle razze umane, l’ “Out of Africa”, eccetera, eccetera.

Da qui un atteggiamento di forte anti-scientismo, l’idea della ricerca di un sapere sopra-razionale, la tendenza all’esoterismo dove “fa gioco” l’interpretazione del concetto di tradizione in senso para-religioso. Pretendere che si possa dare una dimostrazione razionale dell’esistenza di forme di sapere che per definizione esulano dalla ragione cartesiana, è certamente contraddittorio, in compenso, con il trascorrere degli anni, è diventato sempre più evidente che quella che potremmo, per intenderci, chiamare “scienza democratica”, non è niente altro che imbroglio, fuffa, falsità a volte grossolana.

La falsità della “scienza” economica e sociologica di Marx è dimostrata dal fallimento a cui sono andati incontro tutti i suoi tentativi di applicazione pratica: ogni volta che le sue “ricette” sono state applicate, non hanno prodotto altro che tirannide e miseria. Sigmund Freud era semplicemente un ciarlatano e nella sua opera non c’è un briciolo di scientificità. Il libro di Michel Onfray Il crepuscolo di un idolo, smascherare le favole freudiane, ne dà una dimostrazione impressionante. La Scuola di Francoforte e del resto Wilhelm Reich o, su di un altro livello, le elucubrazioni di gran parte dei nouveau philosophes francesi, in definitiva non hanno fatto altro che cercare di salvare due ideologie moribonde, il marxismo e la psicanalisi, miscelandole. L’aborto politico e sociale che è stata la “mancata rivoluzione” del 1968, ispirata alle idee di Herbert Marcuse, il più noto degli esponenti di Francoforte, che è servito solo a permettere a un gran numero di rampanti rampolli della borghesia europea di arruolarsi nelle file “rosse” e riutilizzare a loro uso e consumo quelli che pretendevano e pretendono ancora di essere movimenti “dei lavoratori”, lo dimostra in maniera lampante.

L’antropologia culturale di Levi Strauss si basa su di un presupposto che di scientifico non ha nulla, “il rifiuto di distinguere tra le conoscenze e gli usi”, in altre parole l’equivalenza stabilita a priori tra quello che l’uomo europeo e “occidentale” è riuscito a creare in termini di filosofia, scienza e tecnologia con le superstizioni e i vaneggiamenti di uno stregone africano. La “teoria” antropologica di Richard Lewontin che nega l’esistenza delle razze umane, è una ciarlataneria di livello talmente basso che se le cose fossero considerate con obiettività, la si giudicherebbe addirittura puerile, si basa sulla constatazione che i geni che compongono il DNA umano si trovano sparsi fra tutte le popolazioni del pianeta, ma senza tenere conto né delle frequenze relative né delle correlazioni fra i geni, che sono presenti in “costellazioni” definite, il che è come dire che considerando solo un albero alla volta, si può anche evitare di vedere la foresta. Sebbene si tratti di una cosa che non sta in piedi in nessun modo, l’ortodossia democratica l’ha fatta subito propria facendone un dogma che è proibito mettere in discussione; non si trova quasi un testo sedicente “scientifico” che si occupa di queste problematiche che non asserisca che “gli scienziati hanno dimostrato che le razze non esistono”, il che è completamente falso.

Una ciarlataneria dello stesso bassissimo livello è l’Out of Africa, cioè “la teoria” dell’origine africana della nostra specie, essa si basa su di un grossolano equivoco, confondendo l’origine degli ominidi primitivi MILIONI di anni fa con quella della specie umana DECINE DI MIGLIAIA di anni fa. La famosa Lucy e gli altri fossili di ominidi africani, in realtà non ci dicono nulla sulla localizzazione geografica dell’origine della nostra specie, per il semplice fatto che essa è sorta PIU’ DI QUATTRO MILIONI DI ANNI dopo l’epoca in cui questi sono vissuti. Sicuramente, nei nostri ambienti vi sono molti che respingono la concezione evoluzionista di Darwin, ma questo avviene perché la concezione darwiniana è stata stravolta facendole dire tutto il contrario di quel che realmente significa.

Quando fu formulata questa teoria a metà ottocento, se ne colse soprattutto l’elemento del conflitto con la dottrina creazionista del testo biblico, con la religione cristiana, e le sinistre si affrettarono a “incorporarla” in modo più o meno forzato nella propria ideologia, a considerarla un equivalente del suo concetto di progresso, interpretandola come la tendenza delle cose ad andare sempre e comunque per il meglio in futuro, come se fosse possibile stabilire un’equivalenza fra un’interpretazione della vita su di un arco temporale di miliardi di anni e una dubbia estrapolazione di un discutibile fenomeno che riguarderebbe al massimo alcuni secoli di una parte delle società umane, per di più interpretando una teoria scientifica in termini moralistici.

Ciò che veramente significa la teoria di Darwin, che per certi lati possiamo considerare l’interpretazione fondamentale dei fenomeni viventi, in realtà è la totale e bruciante sconfessione delle idee “democratiche” e di sinistra. I concetti di lotta per la vita e selezione naturale si conciliano piuttosto con una visione della società aristocratica ed elitaria. La tendenza insita in ogni vivente a trasmettere alle generazioni future amplificandola quanto più possibile la propria impronta genetica, è la base di quelle “brutte cose” (per la democrazia) che possiamo chiamare “nazionalismo” e “razzismo” e spezza impietosamente le gambe a qualsiasi utopia cosmopolita. Se le vogliamo attribuire un significato politico, possiamo solo concludere che la concezione darwiniana dimostra che le idee (le utopie) “democratiche”, di sinistra, marxiste sono in contrasto con le leggi fondamentali della vita.

Si comprende dunque che l’atteggiamento di ostilità della maggior parte dei tradizionalisti nei confronti di questa teoria (che andrebbe comunque ripensata per evitare che si trasformi in una pura e semplice esaltazione di ciò che viene temporalmente in epoche successive, concepito automaticamente come “migliore”), non ha in realtà ragione d’essere, ma è basato su di un concetto falsato e distorto di essa creato da quel miscuglio di utopie e menzogne che possiamo considerare la concezione “democratica”.

C’è poi una circostanza davvero bizzarra che andrebbe considerata: tutti i personaggi che abbiamo considerato, “i padri” dell’ideologia “democratica”, di sinistra, antirazzista, eccetera, eccetera, Karl Marx, Sigmund Freud, Claude Levi Strauss, Herbert Marcuse, Richard Lewontin appartengono tutti senza eccezione a un preciso cultura. Cultura che rappresenta all’incirca lo 0,2% dell’umanità influenza il 100% delle idee di sinistra e della cosiddetta democrazia.

Non è tutto, perché queste idee sono per costoro un prodotto di esportazione, come già lo è stato il cristianesimo, assolutamente non impiegato per il “consumo interno”, per costoro il restante 99,8% della specie umana è costituita da “gojm”, subumani inferiori da raggirare e sfruttare senza pietà. In ogni caso, in ciò che possiamo riconoscere come “nostra” tradizione non può essere incluso né il cristianesimo né tanto meno l’islam caro ai guenoniani, né alcuna forma di pensiero abramitico che abbia origine nel cosiddetto “popolo eletto”.

Vi invito a riflettere su queste parole scritte da Rudolf Steiner in Principi di formazione del carattere:

La salute dell’anima si consegue purificando il pensiero da fantasticherie che sono come virus distruttivi e dalla immaginazione si trasmettono al corpo. Alcune di queste fantasie assumono la forma di superstizioni fanatiche e lentamente, nel corso dei secoli, divorano la psiche dei popoli che ad esse si sottomettono (…).

La fantasia che esista un popolo scelto da un dio, superiore a ogni altro, e che ad esso ci si debba inchinare con deferenza. Questa idea è falsa ed offende le grandi civiltà che dimostrarono la loro grandezza con i frutti e con gli effetti, non con l’arroganza di una pretesa. La fantasia che i nostri antenati siano vissuti nelle tenebre prima di sottomettersi ad una fede venuta da un’altra parte del mondo. Questa fantasia è falsa e offende i nostri antenati che vissero nella luce”.

La concezione di una tradizione non biblica, realmente ‘indoeuropea’ non può prescindere dalla eredità degli europei, oltre che dal ripudio totale e assoluto di qualsiasi dottrina che abbia origine nel popolo eletto: cristianesimo, democrazia, marxismo, islam. Se la parola “tradizione” ha davvero un significato, non può essere che nell’ascoltare la voce del vero sangue indoeuropeo. Io vi invito a riflettere anche sulle parole di questo brano di Helmut Stellrecht, che certamente rispecchia il clima di un’epoca in cui almeno una parte dell’Europa si era liberata dalla peste abramitica e l’ha pagata cara, con la guerra più distruttiva della storia umana, scatenata dalle forze della distruzione, ma che non hanno minimamente perso di validità perché rappresentano una verità eterna, a condizione di non interpretarle in senso puramente biologico, ma di tenere sempre presente che “razza” è anima vista dall’esterno:

«Tu porti nel tuo Sangue la santa eredità dei tuoi Padri e dei tuoi Antenati. Tu non conosci coloro che sono scomparsi in file interminabili
nell’oscurità del passato. Ma tutti loro vivono in te e nel tuo Sangue, camminano sulla Terra che li ha logorati nelle battaglie e nelle fatiche e in cui i loro corpi da tempo si consumano. Perciò il tuo Sangue è qualcosa di sacro. Con esso i tuoi genitori non ti hanno dato solo un corpo, bensì la tua Specie. Ripudiare il tuo Sangue equivale a rinnegare te stesso (…).

Tu non solo hai il diritto, ma anche il dovere di trasmettere il tuo Sangue ai tuoi Figli, perché sei membro di una catena di generazioni che giungono dal passato e proseguono verso l’eternità, e questo anello della catena che tu rappresenti deve compiere la propria parte cosicché il vincolo non si spezzi mai”.

Fabio Calabrese

 

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