La reazione più infantile: quella dei milioni di londinesi che hanno chiesto un nuovo referendum, la pretesa di rivotare fino a quando non si ottiene il risultato desiderato; ma del resto Londra è molto poco inglese col suo 55% di abitanti immigrati. La reazione più livida: quella di Beppe Severgnini che ha attaccato gli inglesi vecchi, ignoranti e campagnoli. La reazione più idiota: quella di Saviano che ha paragonato il popolo inglese favorevole alla Brexit ai fascisti e ai nazionalsocialisti. La reazione più rabbiosa: quella di Napolitano che ha definito quello di Cameron “un azzardo sciagurato” riaffermando che occorre, invece, avanzare verso l’integrazione. La reazione più odiosa: quella di Monti che ha altezzosamente definito il referendum inglese un eccesso, anzi un abuso di democrazia e ha affermato che i cittadini devono subire quello che viene deciso in tema di trattati internazionali. La reazione più stucchevole e sdolcinata: le recriminazioni di Mario Calabresi che ha scritto una lettera aperta ai giovani con questo incipit “Cari ragazzi europei, siete nati in un continente di pace, non avete mai visto la guerra sotto casa, siete cresciuti senza frontiere, progettando di studiare in un altro Paese, fidanzandovi durante l’Erasmus, scambiando messaggi con gli amici sulle occasioni per trovare lavoro o sui voli meno costosi per vedere un concerto.Non importa se siete nati a Cardiff, a Bologna, a Marsiglia a Barcellona o a Berlino, oggi le paure dei vostri genitori e dei vostri nonni hanno deciso che la Gran Bretagna tornasse ad essere un’isola, che voi diventaste stranieri dall’altra parte della Manica. I vostri nonni, che sanno cosa è stata la guerra, dovrebbero avere a cuore un futuro di libertà per voi, ma insieme ai vostri genitori si stanno lasciando incantare da chi racconta che rimettere muri, frontiere, filo spinato servirà a farci vivere più tranquilli, sicuri e sereni. Che tornare ad avere ognuno la propria moneta riporterà lavoro, prosperità e futuro”.
In queste reazioni, si condensa tutto il ciarpame buonista, mondialista e progressista che da 71 anni viene riversato sui popoli europei dalle élite politiche e culturali. C’è tutta l’ipocrisia di chi finge di ignorare che per quasi 50 anni l’Europa è stata divisa in blocchi contrapposti e che la pace in tutti quegli anni non l’ha garantita l’UE ma solo il terrore nucleare e il dispiegamento di formidabili armamenti missilistici contrapposti. C’è tutta la condiscendenza molliccia che ha forgiato generazioni di viziati cosmopoliti consumisti, gitanti culturali che attraverso l’Erasmus hanno forse acquisito qualche nozione ma hanno dismesso totalmente qualunque identità nazionale senza conseguirne una europea. C’è l’arroganza elitaria dell’establishment culturale e finanziario che, nel pronosticare sfracelli per il futuro dell’Inghilterra, condanna le generazioni più anziane, gli abitanti delle campagne e delle città operaie, accusandoli di ignoranza e di egoismo perché col loro voto hanno sconfitto i giovani borghesi delle fasce medio alte che vivono a Londra e nelle altre grandi città inglesi, contrari all’uscita dalla UE. C’è la banalizzazione degli idioti progressisti che in ogni contrapposizione individuano un nemico connotato da fascismo, xenofobia e omofobia, mentre loro rappresenterebbero il futuro e l’avvenire ovviamente democratici, accoglienti e tolleranti. C’è la supponenza boriosa dei tecnocrati gestori del potere che si ammantano di democrazia, ma sono pronti a invocare immediatamente censure e condanne e sanzioni quando le maggioranze si esprimono liberamente e in contrasto alle loro direttive. C’è l’indecente contrapposizione dei vecchi Scrooge (così li ha definiti Flavia Perina) contro i giovani immigrati, degli anziani legati al passato contro i giovani rampanti del futuro, dell’ignoranza contro la cultura, con la filippica finale della paura del diverso contro l’accoglienza e la multietnicità.
Ma nessuno ha voluto spiegare perché un ragazzino di vent’anni del programma Erasmus dovrebbe essere più titolato, responsabile e consapevole dell’operaio o del piccolo imprenditore di mezza età che mantengono la loro famiglia e sostengono il loro Paese con le loro tasse (e sono gli stessi che pagano la retta universitaria allo studente di cui sopra). Anzi, proprio il fatto che l’adesione alla Brexit sia venuta dalle fasce meno abbienti, dagli anziani, da quelle realtà operaie tradizionalmente orientate verso la sinistra laburista, dai ceti che più degli altri hanno patito e patiscono i morsi della crisi, è la dimostrazione che quel voto rappresenta una reazione alle disastrose politiche sociali e ai diktat economici della UE.
Troppe assurde riforme sono state imposte ai popoli europei in nome di un’Unione distante e distratta rispetto ai loro bisogni. Troppe volte sacrifici inutili e unilaterali sono stati accompagnati dalla giustificazione “ce lo chiede l’Europa!”. Un’Unione Europea i cui meccanismi decisionali sono opachi, in cui il processo di integrazione viene portato avanti da un’élite transnazionale, vero potere dominante dell’Europa, priva di qualunque legittimazione democratica e connessa a oligarchie finanziarie mondialiste, che ha ignorato o addirittura calpestato la volontà dei popoli, ogni volta che si è opposta ai suoi disegni. L’esempio della Grecia col suo referendum truffa gestito dalla sinistra di Alexīs Tsipras con le sue catastrofiche conseguenze, forse è stato un monito per indurre gli inglesi a non lasciarsi irretire, visto come la Troika e l’UE hanno ridotto gli ellenici.
E anche visto com’è stato modificato il ruolo economico dello Stato verso i privati; visto come sono state trascurate le necessarie politiche di redistribuzione del reddito; visto com’è stato gestito il problema dell’occupazione giovanile; visto come sono state incoraggiate le politiche consumistiche d’importazione a scapito della produzione interna; visto com’è stato ignorato il problema del risparmio; visto com’è stato favorito il mondo bancario e finanziario a scapito dell’economia produttiva; visto come sono lievitati i costi della burocrazia e tagliati quelli dell’istruzione e della sanità; visto come viene ossessivamente imposto il tema del debito, ma come siano soffocate famiglie e imprese con un’altissima e improduttiva tassazione; visto come sono state assunte decisioni di portata generale solo per garantire alcuni partner europei forti e influenti; vista l’assurdità dei troppi regolamenti europei e l’assurda espansione di un’invadente euro burocrazia.
C’era insomma in questo referendum un forte richiamo identitario, c’era la volontà di difendere l’autenticità delle proprie istituzioni, la sovranità del voto popolare e della propria democrazia, c’era dunque la volontà di riaffermare la propria sovranità.
C’è stato in ultimo, ma non ultimo, il problema dell’immigrazione, ma non è stato un voto razzista, semmai la prova che l’immigrazione è salutare e bene accetta se regolata, ma provoca comprensibili reazioni di rigetto quando diventa accoglienza di massa, eversione culturale, disconoscimento dei diritti dei nativi e tentativo di sostituzione etnica.
Ora si aprono scenari impensabili e ancora non definibili, ma sicuramente è il momento di far sentire alta e forte la voce dei popoli per riaffermare che una costruzione unitaria, se vuole continuare a esistere, dev’essere ripensata ed edificata sulla base di una prospettiva economica e di un progetto sociale completamente differenti da quelli sostenuti dalle oligarchie mondialiste finanziarie e progressiste dell’Europa e in assoluta contrapposizione ai loro propositi di ibridazione etnica.
Enrico Marino
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