14 Maggio 2024
Appunti di Storia

1919: turbolento, diabolico e glorioso (5^ parte)

I preparativi – Sansepolcristi

 

 

9. I PREPARATIVI

La nascita del fascismo data al 23 marzo 1919, giorno in cui l’assemblea di un centinaio di lettori del Popolo d’Italia, riunita nei locali concessi dal Circolo degli interessi industriali e commerciali, in piazza San Sepolcro, a Milano, in una “congiura di santi pazzi” delibera la costituzione dei Fasci di combattimento.

In effetti, ciò che sicuramente accomuna tutti i presenti, aldilà delle diversità di orientamento e provenienza che esistono fra loro, ciò che crea per tutti un minimo comune denominatore, è soprattutto l’adesione alle tesi ed alla campagna politica del quotidiano mussoliniano.

Il ruolo del Popolo d’Italia in questi mesi è rilevantissimo e molteplice: indica una linea politica, suggerisce obiettivi da raggiungere, coordina sforzi organizzativi, fa da portavoce e propagatore di istanze diverse e non sempre coerenti fra di loro. Funge anche da “centro di assistenza” per smobilitati e reduci che in continuazione, e non sempre con discrezione, vengono a battere cassa al “loro” giornale che “deve” aiutarli; dieci lire di sussidio non si negano a nessuno, anche se Arnaldo Mussolini, che è l’amministratore del giornale, borbotta per le conseguenze disastrose di quella prodigalità indiscriminata sulle già lacunose risorse economiche di cui dispone.

E’ proprio il Popolo d’Italia che il 2 marzo ha dato l’annuncio della prossima riunione:

“I corrispondenti, collaboratori, lettori, seguaci del Popolo d’Italia, combattenti, ex combattenti, cittadini e rappresentanti dei Fasci della “Nuova Italia” e del resto della Nazione, sono invitati ad intervenire all’adunanza privata, che sarà tenuta a Milano il prossimo 23 marzo. Gli amici che interverranno personalmente o in rappresentanza di gruppi sono pregati di avvertire senza indugio. Si terrà conto anche delle adesioni mandate per lettera. L’adunata sarà importantissima.”

 

La riunione è preceduta dalla costituzione, il 21 del Fascio milanese, e, in pratica, si inserisce tra le molte iniziative che agitano l’ambiente interventista ed antisocialista del capoluogo lombardo e ne fanno un punto di riferimento obbligato per tutta l’Italia.

Mussolini, per esempio, il 20 marzo è stato chiamato a Dalmine, tra gli operai che hanno occupato con il tricolore lo stabilimento Franchi e Gregorini e si sono impegnati nell’originalissimo “sciopero produttivo”, proseguendo, cioè nel lavoro: viene accolto da un operaio che indossa ancora “la completa tenuta da soldato, salvo le stellette”, e loda l’iniziativa con accenti inequivocabili:

“Voi vi siete messi sul terreno della classe, ma non avete dimenticato la Nazione. Avete parlato di popolo italiano, non soltanto della vostra categoria di metallurgici. Per gli interessi immediati della vostra categoria voi potevate fare lo sciopero vecchio stile, lo sciopero negativo e distruttivo, ma, pensando agli interessi del popolo, voi avete inaugurato lo sciopero creativo, che non interrompe la produzione… Voi insegnate a certi industriali, a quelli specialmente che ignorano tutto ciò che in questi ultimi quattro anni è avvenuto nel mondo, che la figura del vecchio industriale esoso e vampiro deve sostituirsi con quella del capitano della sua industria, da cui può chiedere il necessario per sé, non già per imporre la miseria per gli altri creatori della ricchezza… Il divenire del proletariato è problema di volontà e di capacità, non di sola volontà, non di sola capacità, ma di capacità e volontà insieme. Voi vi siete sottratti al gioco delle influenze politiche… Per i vostri diritti, che sono equi e sacrosanti, sono con voi. Distinguerò sempre la massa che lavora dal Partito che si arroga, non si sa perché, il diritto di volerla rappresentare.”

 

Concetti chiari e chiaramente espressi, che anche lessicalmente si collegano all’esperienza di guerra (l’industriale che diventa “capitano d’industria”) e prendono contemporaneamente le distanze sia da certo padronato chiuso ed arcigno che da quel PSI che vuole “scimmiescamente” importare in Italia l’esperienza russa; fra i due poli contrapposti è la massa operaia, alla quale va l’appoggio incondizionato e la simpatia dell’oratore, in questi giorni impegnato allo spasimo nell’organizzazione dell’assemblea del 23.

In previsione di tale riunione, il Popolo d’Italia pubblica, spesso però con i tagli imposti dall’occhiuta censura governativa, messaggi di simpatizzanti che, impossibilitati ad intervenire di persona, inviano telegrammi di solidarietà, personali ed a nome di varie associazioni, in genere però di scarsa consistenza numerica. Alcune adesioni sono “politiche”, provengono cioè da elementi già interessati da precedenti esperienze di politica attiva, ma molte sono quelle di uomini e gruppi fino allora estranei alla politica vera e propria, come alcuni Ufficiali e soldati del 14^ Reggimento fanteria, che scrivono da Foggia: “Impossibilitati presenziare all’adunata, mandiamo la nostra adesione. Abbiamo fatto l’Italia, ne vogliamo ora le redini.”

Simile il contributo di tale Leone Lombardi, di Montevarchi:

“…Sono un umile fante volontario di guerra. Ho creduto sempre e credo anche adesso che i grigio verde debbano imporsi ai rossi e ai neri. Siamo la parte migliore del Paese perché abbiamo adempiuto a doveri grandissimi; così ci si devono riconoscere diritti corrispondenti. Spero che l’adunata del 23 alla quale aderisco sia la prima squilla in tal senso.”

 

Il giornale, dal canto suo, alimenta con indubbia efficacia l’aspettativa per l’avvenimento: parla di nascita dell’ “antipartito” che si contrapporrà contemporaneamente a due pericoli “quello misoneista di destra e quello distruttivo di sinistra”, chiama a raccolta tutti i protagonisti delle battaglie interventiste, per la formazione di un blocco unico che si contrapponga al nemico interno ed eviti il sabotaggio della pace, che può venire da due parti, dall’imbecillità governativa come dall’incoscienza tesserata. Contro tutto questo nascono i Fasci di combattimento:

 

“Noi ci permettiamo il lusso di essere aristocratici e democratici, conservatori e progressisti, reazionari e rivoluzionari, legalisti ed illegalisti, a seconda delle circostanze di tempo, di luogo di ambiente nelle quali siamo costretti a vivere ed agire.”

10. SANSEPOLCRISTI

Alla fine, le adesioni saranno 430: 400 quelle individuali e 30 le collettive; in effetti, la domenica mattina, nei locali al primo piano del numero 9 di piazza San Sepolcro, i presenti sono circa un centinaio.

E diciamo circa, perché sul numero esatto le informazioni sono assai discordi: l’elenco fornito dal Chiurco è di 112 nominativi; ma, contro la sua completezza sta, per esempio, la testimonianza di Ernesto Daquanno che pure è presente e non sarà incluso nell’elenco.

Accade infatti che, l’ Ufficiale degli Arditi che passa tra i convenuti per prendere i nomi e annotare in rappresentanza di quale Circolo o Associazione i presenti siano lì, “salta” Daquanno, che non rappresenta altri che se stesso, senza che l’intervenuto, che certamente non può prevedere la “storicità” dell’avvenimento, insista granché:

 

“Mentre gli oratori parlano, il Tenente degli Arditi Renato Barabandi ha circolato tra gli intervenuti raccogliendone nomi e attributi… Mi chiede cosa rappresento “Non rappresento nessuno” –dico- “Allora non ti ci metto” –fa lui- “E tu non mi ci mettere” –replico alzando le spalle- Così il mio nome non passa nel resoconto pubblicato all’indomani sul Popolo d’Italia. In compenso passano altri nomi, più illustri certo del mio, ma noti soprattutto come quelli di framassoni, di trentatre, di diavoli verdi, gente venuta a curiosare, se non pure a intorbidare le acque, e che il fascismo vedrà sempre dall’altra parte. Ma io c’ero, ah se c’ero”

Cesare Rossi conferma il dato dell’approssimatività, e si attribuisce la responsabilità dell’arbitraria inclusione nell’elenco del Senatore Luigi Mangiagalli, illustre ostetrico di provenienza democratico-radicale; in effetti, costui, che non si sognerà mai di smentire la sua partecipazione, è assente, e solo la somiglianza con uno sconosciuto affacciatosi per caso alla sala durante la riunione ne farà un “sansepolcrista”.

Si deve pensare, quindi, che l’elenco dei presenti, da passare al giornale il giorno dopo, sia stato compilato in maniera un po’ superficiale, come spesso accade in queste occasioni; da una scorsa a tali nomi si nota subito come manchino nell’elenco la gran parte di quelli che poi saranno, nel periodo successivo, i maggiori esponenti del movimento e vi siano, viceversa, alcuni che nel quadriennio successivo si staccheremo dal fascismo per dissapori ideologici, motivi personali o per varie altre cause di incompatibilità.

Molti infine sono e saranno degli sconosciuti che, nei mesi a venire, passato l’entusiasmo del primissimo dopoguerra, si defileranno, sottratti all’impegno politico dai mille problemi della sopravvivenza quotidiana.

Se si guarda alla composizione sociale ed alla provenienza ideologica dei sansepolcristi, ritroviamo le categorie e i gruppi già visti: futuristi, arditi, sindacalisti rivoluzionari, interventisti, trinceristi e combattenti.

Della riunione, che si svolge tranquillamente, nonostante alcune larvate minacce socialiste, che giustificano la presenza di alcuni gruppi di Arditi, guidati da Edmondo Mazzuccato, di guardia sullo scalone ed ai lati dell’ingresso del palazzo, sappiamo quasi tutto, dal resoconto che ne fa il giorno dopo il Popolo d’Italia e dal resoconto che ne faranno, negli anni successivi, i maggiori protagonisti.

Presiede Ferruccio Vecchi, a riprova della preminenza “morale”, se non numerica degli Arditi, e vi sono vari interventi: Marinetti, Vecchi, Carli, Michele Bianchi e molti altri; l’intervento più importante, come ovvio, è quello di Mussolini, che propone una dichiarazione in tre punti, approvata dall’assemblea.

Al primo punto c’è il saluto ai caduti, ai combattenti, ai mutilati e la riaffermazione della disponibilità a sostenere le rivendicazioni dei reduci; al secondo è inserita un’allocuzione contro ogni imperialismo, per la Società delle Nazioni e per le rivendicazioni italiane su Fiume e la Dalmazia; al terzo punto si impegna il neonato movimento a sabotare le candidature neutraliste in tutti i Partiti alle elezioni.

Dopo un aggiornamento dei lavori per il pranzo, la riunione continua al pomeriggio, a ranghi più ristretti; se la sono squagliata “gli uomini d’ordine, i borghesi, i posapiano, i galantuomini per definizione e i patriottardi per partito preso”. Mussolini interviene di nuovo e ribadisce i concetti già espressi a Dalmine, per il sindacalismo nazionale e contro l’ingerenza dello Stato in economia; poi si spinge più oltre, e si pronuncia per l’abolizione del Senato, per il suffragio universale esteso anche alle donne e, soprattutto, per la scelta repubblicana e democratica:

“Dalle nuove elezioni uscirà un’Assemblea nazionale alla quale noi chiederemo che decida sulla forma di governo dello Stato italiano. Essa dirà: repubblica o monarchia, e noi che siamo stati sempre tendenzialmente repubblicani, diciamo fin da questo momento: repubblica!… Noi siamo decisamente contro tutte le forme di dittatura, da quella della sciabola a quella del tricorno, da quella del denaro a quella del numero; noi conosciamo soltanto la dittatura della volontà e dell’intelligenza.”

 

Il generale consenso dell’assemblea, trascinata anche dalle grandi capacità oratorie del direttore del Popolo d’Italia, accompagna queste parole e sancisce la fine della riunione, al termine della quale viene anche nominato un Comitato centrale , di cui però si ignora la composizione esatta, anche se certamente ne dovevano fare parte Mussolini, Vecchi, Marinetti, e Bianchi. L’impegno più importante è, come logico, quello per lo sviluppo del movimento ed il proselitismo: il Popolo d’Italia scrive il giorno 24, nel dare il resoconto della riunione:

Ogni amico e lettore nostro deve farsi iniziatore del Fascio. Non importa di essere in molti. Oserei dire che è preferibile, se non necessario, essere in pochi. Cinque, dieci individui bastano per costituire un Fascio: ora che la strada è segnata, si tratta di camminare audacemente innanzi. Fra due mesi, un migliaio di Fasci saranno sorti in tutta Italia.

 

E, in effetti, vengono ben presto costituiti i primi Fasci: Torino, Verona, Bergamo, Treviso, Padova, l’appello mussoliniano trova adesioni e simpatie; proprio sul tema dell’organizzazione dei Fasci tornerà, perciò, il giornale qualche giorno dopo:

 

“Non c’è bisogno di ripetere che la loro vita interna è assolutamente autonoma. Statuti, regolamenti, etc… Tutto ciò è roba di Partiti. Ogni Fascio munirà i suoi soci di una tessera per il riconoscimento personale e farà un regolamento con un solo articolo: il socio che manca tre volte consecutive all’adunata è automaticamente dimesso.”

 

Come si vede, il fascismo tende da subito differenziarsi dalle organizzazioni esistenti: ha intuito, forse più che consapevolmente individuato, nella mastodonticità del Partito socialista uno dei motivi della sua burocratizzazione e della sua stessa impotenza; tende, di conseguenza, a darsi un’organizzazione forse un pò elitaria, ma solida, di gente seriamente e costantemente impegnata, pena il dimissionamento automatico.

Quella di preferire la qualità alla quantità è una scelta programmatica, ma è spesso anche un’opzione necessaria; ancora nel gennaio del ’20, a Pasella che gli rinnova le consuete raccomandazioni, lo studente pisano Paolo Isola, iniziatore del Fascio nella sua città, risponde con un po’ di malinconia: “date le condizioni di ambiente, sarà purtroppo necessario curare più la qualità della quantità”.

Per ora, comunque, le cose procedono bene: Fasci destinati a diventare molto importanti nascono a Bologna, Napoli, Brescia, Cremona e Firenze; ciò, nonostante che la riunione del 23 marzo sia stata praticamente ignorata da tutta la stampa liberale e democratica; gli unici ad accorgersi di quella che forse voleva essere una “dichiarazione di guerra” al vecchio mondo, sono i nazionalisti dell’ Idea Nazionale, diretta da Luigi Federzoni. Il 25 su questo giornale viene infatti pubblicato un articolo di Orazio Pedrazzi riferito alla riunione; il tono generale è comunque di critica per le caratteristiche “di sinistra” del nuovo movimento, che non possono essere evidentemente condivise dai conservatori nazionalisti.

Si può quindi dire che la riunione di piazza San Sepolcro si colloca tra due avvenimenti di ben maggiore rilevanza, sia per le immediate conseguenze politiche e organizzative che determinano, sia per la risonanza che hanno sulla stampa e nel Paese.

Del primo di tali avvenimenti, la contestazione a Bissolati, si è già detto, il secondo è la distruzione dell’Avanti, il giornale “sovversivissimo”, il 15 aprile a Milano.

Per ora, tutto è affidato alla sintesi poetica di Marinetti:

“Noi soldateschi bicchieri pieni di generosa rivolta tinnire traboccare spaccarsi alla gloria di Vittorio Veneto

Bruciata l’ultima parola nella seduta pomeridiana rimanemmo fra noi violenti e molto criticati dai discutitori questi malinconicamente rincasare nella Milano di tonde lune elettriche traffico nebbia benzina rotaie e stridori di tram

Nessuno sogna il potere mentre noi tutti ricacciare ricacciare giù fino nei loro calcagni la convinzione che era quasi impossibile vincere in meno di cento la smisurata flaccida pancia del socialcomunismo balena non mediterranea

Come in tutte le assemblee italiane si pensava anche alle donne anzi ad una Donna snella amorosa salire ai suoi pensili frutteti grandi occhi liquidi fra lunghe ciglia di palme e giovane bocca da morirvi di fuoco baciandola Italia

Italia Poesia armata”

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