10 Aprile 2024
Ecologia

Terrore verde – Rita Remagnino

Siamo negli Anni Settanta, la paura del pericolo atomico minacciato dalla guerra fredda tra Usa e Urss sta allentando la sua presa e il pubblico mondiale si appassiona alla letteratura d’anticipazione che critica il presente per raccontare il futuro. Appaiono in libreria e sugli schermi molti titoli epocali tra cui la vicenda del cosmonauta George Taylor, ibernato con i colleghi Landon, Dodge e la signorina Stewart nell’astronave Icarus, dove l’equipaggio dovrà rimanere 700 anni terrestri, ovvero il tempo necessario per trovare un nuovo mondo da colonizzare.
La navicella viene però catturata dall’orbita di un pianeta desolato e precipita in un lago. Il sistema di rianimazione si attiva automaticamente, e risvegliandosi gli astronauti scoprono che la Stewart è morta a causa di un guasto tecnico alla cabina di crioconservazione che la conteneva. Taylor ne prende atto annotando sul calendario di bordo la data (anno 3978 d.C.), dopo di che si allontana dai rottami del velivolo con i compagni.
Camminano per chilometri in una specie di deserto. Giunti a un’oasi si concedono un bagno ristoratore, ma quando escono dall’acqua scoprono che i loro vestiti sono stati rubati da un gruppo di selvaggi. Li inseguono fino a un campo di granturco, dove vengono assaliti e catturati da un’orda di Gorilla Sapiens a cavallo armati di tutto punto.
Condotti in una città popolata da altre scimmie antropomorfe che parlano e agiscono come esseri umani intelligenti, gli astronauti scoprono un giorno dopo l’altro quella strana ed evoluta società divisa in caste. Nel frattempo, alcuni scienziati scimmieschi li studiano come se fossero cavie da laboratorio. Finché Taylor riesce a fuggire con l’aiuto di un «ribelle» che lo porta nella «zona proibita», un luogo abbastanza lontano dalla città dove sono riemersi da una caverna dei misteriosi «manufatti» nei quali il cosmonauta riconosce una dentiera, un paio di occhiali, una protesi cardiaca e una bambola parlante.
Incalzati dai soldati, i fuggiaschi vengono presto raggiunti. C’è una colluttazione. Taylor prende un ostaggio e minaccia il comandante scimmiesco, che messo alle strette gli rivela la verità: sul pianeta viveva in un’epoca remota una civiltà umana molto evoluta e la «zona proibita» era stata una città gradevole prima che gli esseri umani la trasformassero in un arido deserto.
Il cosmonauta non gli crede. Fugge fino a una spiaggia, dove si ferma attonito: davanti a lui ci sono i ruderi della Statua della Libertà parzialmente sepolta dalla sabbia. L’orango diceva dunque la verità. Il pianeta «alieno» e inospitale abitato dalle scimmie è la Terra distrutta dalla specie umana. “Voi uomini l’avete distrutta!”, grida furioso. “Maledetti, maledetti per l’eternità, tutti!

 

L’umanità è dunque destinata a distruggere il proprio habitat? E’ quello che vorrebbero farci credere. Da un terrore all’altro, ormai funziona così. Il terrorismo dei millenaristi del clima (entro il 2050 il pianeta collasserà per colpa nostra!) sta già spazzando via la sindemia da Covid, che ormai ha raggiunto il suo obiettivo: introdurre in maniera surrettizia nelle democrazie occidentali, che altrimenti non avrebbero ceduto, un sistema di credito sociale in grado di premiare gli obbedienti e punire i disallineati con la scusa dell’inoculazione di un farmaco dagli esiti sconosciuti.
Mettendo le mani avanti Google, Facebook e Instagram hanno già stanziato investimenti miliardari per contrastare le notizie bufala sulla crisi ambientale, ovvero per oscurare le informazioni che minimizzano la portata della minaccia incombente. Ciò che possiamo fare fin da ora, comunica al mondo Mark Zuckerberg in veste di sacerdote e veggente, è contribuire alla stabilizzazione dell’aumento delle temperature. Un proposito che detto altrimenti suona così: serve al più presto un travaso di capitali dalle tasche della classe media occidentale, costretta ad acquistare le cosiddette rinnovabili, ai forzieri delle grandi società finanziarie.
Per questo motivo nei prossimi anni la parte industrializzata del pianeta (dove girano i soldi) verrà ridipinta di green, perché non piace neppure ai predatori di Wall Street immaginare un mondo in bianco e nero. Il colore condensa gli stati d’animo e rivitalizza le funzioni vitali, rappresenta e incarna i sentimenti, le emozioni, le paure. Più ancora della forma il colore auspica il cambiamento, annuncia trasformazioni epocali, rende qualcosa/qualcuno ciò che non è. E quale paura è superiore al timore della scomparsa del verde, il colore del cuore? L’Uomo della Fine, il più pauroso in assoluto, quello che teme ogni alito di vento contrario, non osa nemmeno pensarlo.

 

Ma proviamo per un momento ad osservare la situazione con il filtro dell’ironia anziché con quello della paura. Se davvero i premurosi Onnipotenti fossero interessati allo stato di salute della Terra, perché, ad esempio, l’Unione Europea esporta ogni anno in Africa e Asia più di 20 milioni di tonnellate di rifiuti tossici e vende ai Paesi più poveri pesticidi altamente pericolosi il cui uso è vietato in Europa? Cambia qualcosa se gli inquinanti vengono sparsi in Sudamerica anziché in Nordamerica, o in Etiopia anziché in Germania? L’inquinamento dell’aria e delle acque non riguarda tutti, ovvero l’intero pianeta?
Il fatto che ciascuno abbia il dovere morale e civile di avere cura della casa terrestre non significa affatto prendere per buoni tutti i modelli climatici presentati come il futuro della climatologia. Nessuno ha la certezza del clima che verrà, nonostante gli istituti di ricerca finanziati dalle multinazionali che producono le cosiddette «rinnovabili» lavorino alacremente per convincere la gente dell’ineccepibilità dei loro postulati. Una pretesa risibile quando i presunti depositari della verità si accapigliano continuamente in pubblico, quando le loro affermazioni si smentiscono puntualmente le une con le altre, quando parte un rutto colossale durante la diretta televisiva dello «scienziato» del momento. Ascoltando le parole di certi personaggi impregnati di dotta ignoranza si ha spesso l’impressione di avere a che fare con la patafisica di Alfred Jarry, cioè con la scienza delle soluzioni immaginarie (la definizione è sua) che “accorda simbolicamente ai lineamenti le proprietà degli oggetti descritti per la loro virtualità.

 

Gli avversari scientifici dei catastrofisti affermano che stiamo attraversando un periodo stabile della Storia del Clima. Delle due l’una. Quindi, chi ha ragione? Se la comunità scientifica fosse immune dalle risse tra tifosi delle diverse consorterie si potrebbe ragionarci su, ma le derive della politicizzazione della scienza sono talmente importanti che districarsi nella selva delle opinioni è quasi impossibile.
Ciò nonostante appare chiaro che il mito indimostrato del riscaldamento globale di origine antropica terrà banco nei prossimi anni, essendo uno spauracchio eccellente per terrorizzare la massa. In realtà le due variabilità si sovrappongono, ma non vi sono dubbi che l’enfasi narrativa verrà posta solo sull’origine antropica del cambiamento perché puntando sull’origine naturale la strategia della colpevolizzazione andrebbe in fumo.

Le responsabilità dell’uomo sull’attuale degrado dell’ambiente sono senz’altro gravi, ma le distruzioni più devastanti degli ultimi centomila anni sono il risultato di un equilibrio cosmico in perenne assestamento. Per costituzione il pianeta Terra è soggetto a glaciazioni e surriscaldamenti, diluvi e siccità, terremoti e passaggi di corpi celesti in prossimità della sua orbita, spostamenti dell’asse terrestre determinati dall’attrazione lunisolare e via dicendo.
Formatosi attraverso una serie di posizionamenti, scontri, definizioni di traiettorie e mutamenti anche drammatici delle stesse, il Sistema Solare ha al suo attivo un lungo e violento susseguirsi di eventi cosmici che hanno messo i singoli pianeti con i relativi satelliti nelle posizioni che oggi vediamo. Ne consegue che le nostre azioni talvolta intelligenti e talaltra folli possono rallentare e/o accelerare fenomeni che comunque sono inevitabili. Saremo anche creature fatte a immagine e somiglianza di dio, come da secoli si vocifera, ma non diamoci troppe arie!
Se ne facciano una ragione gli organi di divulgazione asserviti al regime globale che deve vendere le cosiddette «rinnovabili», armamentari tecnologici il cui smaltimento presenterà ai nostri nipoti e pronipoti un conto salatissimo. Non usciremo dalle sabbie mobili in cui siamo sprofondati grazie a questa fune, e il motivo per cui non abbiamo ancora messo a punto un piano B è lo stesso di sempre: la paura di scandagliare il fondo di noi stessi, delle cose, della memoria, del cosmo.

 

Numeri alla mano, dal 1880 ad oggi l’incremento effettivo della temperatura media globale è stato di circa 1 grado. In compenso le immagini dei satelliti mostrano un aumento delle foreste in Europa del 43% (in Italia del 31%) a partire dal 1981. Qualcosa è stato fatto e molto c’è ancora da fare. L’obbligo etico e morale che chiama in causa la coscienza di ciascuno tuttavia non ha nulla a che vedere con le predicazioni dei nuovi profeti di sventura, scientemente imbeccati da chi li finanzia. La paura del collasso climatico è irrazionale, e comunque riguarda principalmente gli abitanti dei paesi industrializzati, sgomenti davanti all’ipotesi di essere trascinati fuori dal limbo illusorio delle proprie certezze in un attimo.
Eppure basterebbe avere la memoria un po’ più lunga per sconfiggere i fantasmi verdi che turbano anche i sonni più tranquilli. Molte cicatrici geologiche sono ancora visibili sulla scorza coriacea della Terra, dato che l’ultima catena di catastrofi ha iniziato ad inanellarsi appena 20mila anni fa, sul finire dell’ultima Era Glaciale.
In concomitanza con la scomparsa dei ghiacciai wurmiani, rappresentati in Eurasia dalla grande calotta glaciale scandinava e in Nordamerica dalla Laurentide, vi fu un rialzo delle temperature disomogeneo che si alternò ad almeno tre episodi di temporaneo raffreddamento, detti Dryas: il primo antichissimo (18-15mila anni fa), il secondo antico (14-13.700 anni fa), il terzo recente (12.900-11.500 anni fa).

Durante l’ultima fase, innescata forse dal passaggio ravvicinato di una cometa, o di un grosso asteroide, la temperatura globale salì in mezzo secolo di una decina di gradi Celsius, o forse più, fino a raggiungere i livelli attuali. Riversandosi improvvisamente nell’Atlantico il lago glaciale texano Livingston fece salire il livello dei mari di 13-14 metri in soli 300 anni. Poco dopo crollarono anche gli argini del lago glaciale del Baltico, e intorno al 9.500 a.C. vi fu l’epoca delle «atlantidi» sommerse.
Il botto lo fece comunque la riorganizzazione del drenaggio del lago Agassiz, il più grande di tutti. Alla sua precipitosa discesa si associò lo straripamento del lago Ojibway, posto nell’attuale Ontario settentrionale e nel Quebec canadese. Milioni di metri cubi di fango scesero giù per la valle del Mississippi devastandola e percorrendola tutta fino al Golfo del Messico, che crebbe di 7,5 metri in soli 160 anni. La specie umana si è estinta?

 

Per non farsi mancare niente, accanto all’acqua c’era il fuoco. Un’intensa attività vulcanica, tettonica e sismica, accompagnò lo scioglimento delle coltri glaciali e il conseguente alleggerimento dei carichi sulle regioni prima gravate dal peso dei ghiacci. La crosta terrestre doveva ribilanciarsi e riassestarsi, per cui i millenni successivi furono coinvolti da quello che gli studiosi moderni chiamano «il rimbalzo post-glaciale», o «l’isostasia post-glaciale», un processo geologico che avviene alla fine di ogni Era Glaciale, quando le regioni che si trovano ad essere alleggerite dal peso del ghiaccio si sollevano mentre quelle circostanti scendono per conservare l’equilibrio isostatico delle masse crostali galleggianti sul semifluido mantello magmatico sottostante.
Anche i terremoti erano all’ordine del giorno, non mancando di aprire fratture improvvise e violente, come la scarpata di roccia alta 10 metri e lunga 150 chilometri formatasi circa 8.000 anni fa nel nord della Svezia e chiamata dai lapponi «pärvie», che significa «onda nel terreno». Enormi colate di detriti fangosi si riversarono negli oceani, generando nel Mare del Nord un importante fenomeno catastrofico noto come «frana di Storegga», dall’antica parola norvegese «grande bordo», ampia ben 2500 kmq (come l’intera Islanda!). Scivolando dalla piattaforma continentale norvegese e viaggiando in direzione nord-ovest per circa 800 km la colata produsse una catena di tsunami che flagellarono le coste.
Grandi estensioni di territori attualmente costieri si trovarono sott’acqua e due millenni di caldo-umido, più o meno simile a quello monsonico dei giorni nostri, tra gli 8-6mila anni fa fecero crescere le temperature di 2-3 gradi rispetto a quelle di oggi. A dover fronteggiare i pericoli non furono chiamati gruppi sparsi di trogloditi con la clava in mano e la pelle di pecora sulle spalle bensì importanti civiltà, ragione per cui le ansie e le paure della società moderna riguardo ai cambiamenti climatici sono in buona parte immotivate.

 

Sulla base della datazione al radiocarbonio del materiale vegetale recuperato nei sedimenti, le ultime inondazioni catastrofiche sarebbero avvenute intorno al 6.100 a.C., in concomitanza con il crollo americano della Laurentide, anche se nel bacino di Montrose, in Scozia, sono state trovate tracce di uno tsunami ancora successivo.
La situazione sembrava in via di miglioramento quando il Mar Nero, posto fino al 5.000 a.C. in una condizione «lacustre» ad almeno 100 metri al di sotto di quello dei mari salati del pianeta, subì un’imprevista pressione che fece cadere la diga del Bosforo. Il Mediterraneo si rovesciò sui territori circostanti, che ne vennero investiti con violenza. Le montagne della Tessaglia furono fatte a pezzi e l’intera regione, fino all’Istmo e al Peloponneso, fu trasformata in un’unica distesa d’acqua.
Anche il Golfo Persico si alzò di tre metri penetrando nell’entroterra per circa 70 chilometri ed andando ad allagare la piana di Sumer, già erosa da episodi alluvionali precedenti. Le acque mediterranee esondate nel Mar Nero attraverso il Bosforo si erano ormai ritirate e le temperature (come abbiamo detto superiori rispetto a quelle attuali) stavano risalendo, quando quella stessa area fu sconvolta da una nuova catastrofe: l’eruzione di Thera (1600-1525 a.C. circa), oggi Santorini, così che il cielo ricoperto per un lungo periodo di una spessa coltre fuligginosa raffreddò l’aria, favorendo la ri-discesa in picchiata delle temperature.

 

Basta tutto questo per sedare la paura del «riscaldamento globale»? Il clima terrestre non è stabile, né mai lo è stato. Perché la società umana se ne occupa proprio adesso? Abbiamo acquistato di colpo il senno che prima non avevamo?
Dunque, ricapitoliamo. Negli Anni Settanta del secolo scorso l’Onu ha inaugurato in pompa magna la “Giornata della Terra”, che poi è passata al “Earth Day Network”, che poi si è associato alla “Marcia per la Scienza” (leggasi «scientismo»), che poi ha reclutato nelle scuole adolescenti e bambini, che poi è diventata una gigantesca maratona virtuale, cioè una staffetta digitale attiva h24 sull’intero globo per raccogliere testimonianze di buone azioni a favore di Madre Terra, che infine si è risolta nel solito modo: un’applicazione disponibile in 11 lingue per giovani marmotte aspiranti al titolo di «sentinelle ambientali».
Sarà anche vero che oggi fa più caldo rispetto al 1880, anno in cui si iniziò a registrare le temperature sul pianeta, ma i numeri sono semplicemente dei numeri se non è chiaro il termine di paragone. Da dove sono partiti a contare? Dalla Piccola Era Glaciale comparsa tra il XIV e il XIX secolo, con punte massime verso la fine XVIII secolo? Le temperature odierne sarebbero aumentate rispetto a quel periodo? Significa che i secoli e i millenni precedenti non rientrano nella media?
Realisticamente tutto fa pensare che la prossima puntata della pantomima «verde» sarà l’alleanza tra l’attuale paradigma totalitarista e l’ecologismo neoliberale promosso da istituzioni sovranazionali come il FMI. Sapendolo per tempo, tuttavia, si può anche ironizzare sulle strategie di convincimento di massa, non mancando le manovre fantozziane che fanno sorridere, e il sorriso cancella automaticamente la paura.

 

Guarda caso non rientra nella campagna pubblicità-progresso l’andamento delle macchie solari che influisce sul global warming seguendo un ciclo undecennale, forse perché essendo indipendente dall’uomo il fenomeno non costituisce un buon combustibile per alimentare i sensi di colpa e la paura. Il fenomeno ha un’intensità variabile, alcuni cicli sono caratterizzati da migliaia di macchie mentre altri da poche decine. Sempre, comunque, l’attività solare si manifesta in un «vento» di particelle atomiche che investe l’alta atmosfera terrestre. Quando le macchie sono tante il clima sulla Terra si riscalda, se le macchie sono poche si raffredda. Nel caso scompaiano, è persino possibile il manifestarsi di una «piccola era glaciale».
Secondo alcuni recenti studi dell’Università del Wisconsin la tendenza attuale sarebbe indirizzata verso un periodo di forte siccità, e l’aumento degli incendi naturali ne sarebbe la conferma. La prossima umanità godrà dunque di un ritorno al clima tiepido e asciutto dell’era neoboreale? Non si sa. In altri ambienti si parla con insistenza di un raffreddamento globale, e tra i sostenitori di questa teoria c’è l’ormai famoso rapporto della CIA del 1974 (che sembra uscito dalla segreteria del Club di Roma) che predice il ritorno del freddo intenso e con esso la penuria di risorse alimentari. Fame e disoccupazione colpiranno anche le nazioni più ricche, e via a snocciolare il rosario la paura.
Su questa linea c’era anche quel famoso direttore del Cru dell’Università dell’East Anglia a cui nel 2009 «rubarono» le mail che documentavano i trucchi dei climatologi per «addomesticare» le temperature. In effetti dagli Anni Settanta del secolo scorso ad oggi le precipitazioni nevose hanno registrato un aumento fino al 15%. In Canada e Groenlandia si sono susseguiti 19 mesi di temperature sotto la media e ogni nazione è stata attraversata da problemi di questo tipo.
Quindi, cosa accadrà? Ci aspetta un surriscaldamento o un raffreddamento? Dobbiamo credere ai maghi della climatologia che prevedono il caldo, o a quelli che prevedono il freddo? Ma soprattutto, quanti fautori della Green Economy sono indipendenti dalle multinazionali? Chi più sa è immune dalla manipolazione dei fatti, o anche l’«esperto» è schiavo delle proprie emozioni e attento al proprio conto in banca? Come tutti, del resto.

 

Rita Remagnino

Ricercatrice indipendente, scrittrice e saggista, Rita Remagnino proviene da una formazione di indirizzo politico-internazionale e si dedica da tempo agli studi storici e tradizionali. Ha scritto per cataloghi d’arte contemporanea e curato la pubblicazione di varie antologie poetiche tra cui “Velari” (ed. Con-Tatto), “Rane”, “Meridiana”, “L’uomo il pesce e l’elefante” (ed. Quaderni di Correnti). E’ stata fondatrice e redattrice della rivista “Correnti”. Ha pubblicato la raccolta di fiabe e leggende “Avventure impossibili di spiriti e spiritelli della natura” e il testo multimediale “Circolazione” (ed. Quaderni di Correnti), la graphic novel “Visionaria” (eBook version), il saggio “Cronache della Peste Nera” (ed. Caffè Filosofico Crema), lo studio “Un laboratorio per la città” (ed. CremAscolta), la raccolta di haiku “Il taccuino del viandante” (tiratura numerata indipendente), il romanzo “Il viaggio di Emma” (ed. Sefer Books). Ha vinto il Premio Divoc 2023 con il saggio “Il suicidio dell’Europa” (ed. Audax Editrice). Attualmente è impegnata in ricerche di antropogeografia della preistoria e scienza della civiltà.

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