9 Aprile 2024
Tradizione Primordiale

STRADE DEL NORD. Il tema delle Origini Boreali in Herman Wirth e negli altri – Parte 14 – Michele Ruzzai

(alla fine dell’articolo, prima delle Note, è presente il link dell’articolo precedente)

 

7.5 – Il concetto di “Ariano”

 

Eccoci dunque arrivati al termine “ariano”, da Herman Wirth spesso utilizzato e per il quale pare evidente, come già notato in relazione a Tilak, che nella sua prospettiva rivesta un significato di carattere più prettamente razziale che linguistico o culturale.

L’utilizzo di tale denominazione – derivata appunto dal sanscrito “Arya”, ovvero “nobile” (573) – si riscontra già nel XVIII secolo con il filosofo Christoph Meiners (574) a fianco delle prime osservazioni di carattere linguistico che, sempre nel ‘700, Ludwig von Schlözer propose in un primo abbozzo di classificazione/separazione, peraltro già anticipata da Leibniz, tra le lingue semitiche e quelle “jafetiche” (575). Il riferimento al testo biblico e alla progenie di Noè è evidente, ma non va dimenticata l’assonanza/corrispondenza di Jafet con l’ellenico Giapeto (576) quale Titano che fu “pilastro dell’ovest” – e padre di Atlante (577), nonché nonno di Deucalione – per una denominazione che almeno aveva il vantaggio di conferire all’espressione “lingue giapetiche” (578), visto il riferimento occidentale, una dimensione geografica altrimenti piuttosto indefinita. Ma con il tempo fu il termine “ariano” che, in relazione a quest’insieme di parlate, venne progressivamente a prevalere, consolidandosi nelle elaborazioni della prima indoeuropeistica di inizio ‘800 soprattutto con Friedrich von Schlegel che ne ampliò il significato iniziale, limitato alle sole popolazioni indoiraniche del settentrione indiano (579), approccio poi seguito da studiosi quali Jakob Grimm, August Friedrich Pott, Adolphe Pictet e Max Muller (580): in particolare fu quest’ultimo ad insistere perché tale termine venisse preferito a quello, parallelo, di “indo-germanico” proposto da Julius von Klaproth (581), o di “indo-europeo” che era stato invece coniato dal britannico Thomas Young (582) ed utilizzato anche da Franz Bopp (583).

Comunque, al di là delle diverse denominazioni adottate, ben presto si consolidò l’idea di un antico popolo unitario, un “Urvolk” – concetto in verità nato già con Fichte (584) – che a suo tempo aveva parlato una lingua unitaria, una “Ursprache”, in una patria primordiale e condivisa, una “Urheimat”: e questa, nelle prime teorie glottogenetiche, veniva ipotizzata in area Himalaya-Pamir (585) anche in ragione della particolare posizione di preminenza e primordialità che, nell’ambito delle lingue indoeuropee, era stata inizialmente assegnata proprio al Sanscrito.

Ma in un secondo momento, verso la metà del XIX secolo, Robert Gordon Latham per primo mise in dubbio la provenienza asiatica dei Proto-Indoeuropei (586) proponendo una localizzazione originaria molto più nordoccidentale, ovvero in Europa: una ridefinizione che venne ben presto seguita da diversi altri studiosi, come Theodor Poesche, Karl Penka, Ludwig Wilser, Herman Hirt, Isaac Taylor, Gerald H. Rendall, Gustav Kossinna (587), i quali ipotizzarono, fondamentalmente, un’Urheimat iniziale posta in area scandinava o baltica, cioè in un settore che avrebbe anche giustificato l’attribuzione del relativo tipo umano ad una popolazione bionda e tendenzialmente dolicocefala.

Altri punti relativi al tema dell’indice cefalico verranno ripresi più avanti, ma già da ora possiamo comunque rilevare come, a nostro avviso, l’opposizione dolicocefali/brachicefali rappresentò un irrigidimento ideologico che, in un certo periodo storico, polarizzò notevolmente il dibattito sulle origini indoeuropee trascinandosi dietro delle tendenze eccessivamente semplificanti a spese di una ricostruzione più articolata delle nostre origini remote: a tal fine, accanto ai ricercatori soprattutto di scuola germanica che consideravano il dato della dolicocefalia come assolutamente caratterizzante il popolo protoario, è utile menzionare anche altri studiosi, quali ad esempio De Quatrefages ed il già incontrato Virchow, che invece sostenevano la coesistenza, in esso, sia di tipi dolicocefali che brachicefali (588). Ciò, quindi, in un contesto razziale da essi ipotizzato come non perfettamente omogeneo (589) e che avrebbe implicato, a partire da un fondo dolicocefalo di antichissimo popolamento europeo (590), lo sviluppo delle caratteristiche brachicefaliche in modo del tutto endogeno e non necessariamente per effetto di influenze asiatiche (591): il tutto, con Isaac Taylor, verificatosi anche in contesti nordici (592) e sostenuto dalla massiccia presenza odierna di tale tratto tra Finni e Lapponi (593).

E dunque fu secondo questi percorsi concettuali che la questione linguistica indoeuropea venne gradualmente a sovrapporsi a quella, in chiave evidentemente razziale, dei tipo umano nordico-depigmentato, che, fino a quando la patria primordiale ariana era stata immaginata in Asia centrale, non aveva avuto alcuna ragione di essere coinvolta nel discorso (594). Si può dire quindi che Herman Wirth assunse questo particolare elemento in modo nettamente prevalente, di fatto relegando, come vedremo, la questione della genesi delle lingue indoeuropee ad una fase successiva e di importanza secondaria. In questo modo venne a confermarsi anche in lui, come peraltro era divenuto ormai usuale in ambito germanico, la sinonimia tra i termini “nordico” e “ariano”, ma quest’ultimo secondo un’accezione nella quale prevaleva decisamente l’elemento razziale a discapito di quello glottologico.

Va rilevato che questo specifico snodo, oltre che da Tilak e dalla relativa impostazione prevalentemente mitica e culturale, distanzia Herman Wirth anche da René Guénon. Per il metafisico francese, infatti, se al termine “Arya” è errato associare un significato linguistico – ritenendo tale operazione un costrutto del tutto artificioso degli eruditi tedeschi ricordati sopra (595) – è scorretto proporne anche un’interpretazione in ottica riduttivamente razziale: e dunque si potrebbe dire che se nell’approccio verso la questione linguistica  Wirth e Guénon sembrano quasi concordare, non così è rilevabile sul secondo punto. Ciò, perché del termine “Arya” il francese non manca di sottolineare l’accezione eminentemente spirituale e sociale, in quanto identificante gli uomini appartenenti alle prime tre caste a prescindere dalla loro identità etnica (596): e, se consideriamo un altro concetto spesso correlatovi, cioè quello di “varṇa”, Guénon evidenzia come lo stesso rechi con sé non solo il significato letterale di “colore” (che potrebbe far pensare all’indicazione di diverse pigmentazioni cutanee) ma anche quello di “qualità”, nel senso della manifestazione di una varietà di attitudini interiori e di modalità di approccio verso il sovrasensibile (597). Nella stessa direzione, A.K. Coomaraswamy osserva come infatti non sia infrequente incontrare brahmana fenotipicamente anche molto scuri e, d’altro canto, shudra piuttosto chiari, a dimostrazione del fatto che la suddivisione castale non sembra essere inderogabilmente legata ad una rigida compartimentazione di tipo etno-razziale (598). Ma, a ben vedere, è anche lo stesso Evola, che pur molto più di Guénon e Coomaraswamy fu attento osservatore delle indagini razziologiche anteguerra, a riconoscere come il termine “Arya”, più che al significato di stirpe in senso etnico e moderno, rimandi soprattutto al tema di una qualificazione “di casta”, eminentemente spirituale e sovraordinata al piano naturalistico (599); ed ovviamente il derivato termine “ariano” non può non trascinarsi dietro quest’ambiguità di fondo.

Davanti a questa pluralità, e problematicità, di significati, a nostro avviso il terreno concettuale diventa più solido quando si parla di “Razza Bianca”; ciò anche perché è soprattutto in rapporto alle varie Razze tradizionali che riteniamo si possa spendere qualche considerazione, come aveva provato a fare anche Gaston Georgel, sulla corrispondenza di queste con i Grandi Anni del Manvantara, ciascuno dei quali avrebbe visto predominare una particolare Stirpe. E la nostra idea è che proprio nel Quarto Grande Anno del Manvantara dovette risiedere il momento “apicale” della Razza Bianca: ciò anche per tutta quella serie di movimenti espansivi ad ampio raggio che, come vedremo meglio più avanti, vennero innescati dall’Ultimo Massimo Glaciale (LGM) di 20-22.000 anni fa. Un passaggio così cruciale che induce Nicholas Wade addirittura ad avanzare un’ipotesi secondo la quale tutti i caucasoidi odierni (ma ci aggiunge anche gli asiatici orientali) discenderebbero dai popoli che 20.000 anni fa vivevano nelle regioni settentrionali dell’Europa e della Siberia, spinti verso sud dall’avanzata dell’LGM (600); una prospettiva che in effetti potrebbe avere una sua plausibilità anche alla luce del fatto che oggi più della metà della popolazione mondiale deve fra il 5 ed il 40% del proprio patrimonio genetico dall’antica popolazione ANE (Antichi Nord Eurasiatici) (601).

In ogni caso, tutto ciò non significa che la Razza Bianca non possa essere sorta anche prima (e rimasta “in stasi”), o che non sia esistita dopo (noi, oggi, ne siamo chiaramente la testimonianza); ma piuttosto che il Quarto Grande Anno sia stato cosmologicamente il “suo” periodo, cioè la fase nella quale forse l’appartenenza del corpo a quella data Razza poteva accompagnarsi, più saldamente che in altri momenti, al possesso di qualità spirituali di un certo tipo, compatibilmente con la situazione generale del Manvantara (ma questo è un tema che esula dal presente scritto).

Beninteso, questo è un discorso – ovviamente del tutto congetturale, buttato lì più che altro come “cantiere aperto” – che in ogni caso riguarda tutte le Razze ed i rispettivi periodi “apicali”, ciascuna per il Grande Anno di propria specifica competenza.

Ebbene, come abbiamo già notato, le cinque generazioni esiodee presentano delle caratteristiche eminentemente mitico-simboliche e le loro denominazioni metalliche – che, ad eccezione degli Eroi, sono infatti legate all’Oro, all’Argento, al Bronzo ed al Ferro – chiaramente non richiamano le categorie cromatiche – Rossa, Nera, Bianca, Gialla – che descrivono le tradizionali Stirpi corporee: quindi riteniamo sia oggettivamente azzardato operare una rigida identificazione tra le due classi di entità. Tuttavia non ci sentiremmo nemmeno di escludere che tra queste vi possa essere, piuttosto, una sorta di analogia, un viaggio in comune su due piani diversi, come se una fosse “controparte” dell’altra: in quest’ottica, le generazioni esiodee potrebbero esprimere delle tendenze “sottili” e delle inclinazioni animiche predominanti nei rispettivi periodi di competenza, in qualche modo collegate alla logica cosmica dei Grandi Anni. Ecco perché si potrebbe forse affermare che la Razza Bianca è analoga – non identica – alla generazione eroica; e se, come dicevamo, gli Heroes coincidono con gli Arya, allora i Bianchi e gli “Ariani” nel corso del tempo hanno finito con l’essere concepiti come un tutt’uno, però appunto attraverso un’estensione logica non del tutto precisa (602).

Dunque, volendo adottare questa chiave di lettura, il termine “ariano” andrebbe assunto anche e soprattutto in chiave ideale, come “compito” al quale tendere, cioè nella prospettiva evoliana delle “razze dello spirito” (anche se, ci ricorda Romualdi – 603 – tale assunto non è scevro da una sua problematicità, essendo la “razza” un dato innanzitutto psico-fisico) e non solo nella prospettiva naturalistica del “sangue e suolo” (604) o come mera denominazione etnica (605). Denominazione che invece potrebbe, in termini biologici, mantenersi appunto al classico “Razza Bianca”, oggi però dal significato alquanto vasto e sfumato – per De Gobineau, ad esempio, gli Arii rappresentano il gruppo rimasto più “puro” nel vasto contesto di una Razza Bianca largamente meticciata (606) – o, in termini più prettamente linguistici, abbandonare le artificiose denominazioni “indo-europeo” o “indo-germanico” e tornare al Mito ellenico con il vecchio concetto di stirpi “giapetiche”.

Anche perché, in verità, un certo collegamento con i temi riferiti al biblico Jafet sembrano piuttosto coerenti con tale idea, dal momento che a quest’ultimo, significativamente, per dimora era stata donata l’immensità (607) – ed infatti il suo stesso nome allude al concetto di “espansione, diffusione” – oltre ad evidenziare un maggior numero di figli rispetto ai due fratelli Sem e Cam. Questi, inoltre, rispetto a Jafet appaiono chiaramente più vicini tra loro sia da un punto di vista glottologico – la famiglia “camito-semitica”, oggi ridenominata “afroasiatica”, è un’unità linguistica acclarata – sia dal punto di vista geografico – dal momento che condividono entrambi la costa meridionale del Mediterraneo, lasciando al solo Jafet/Giapeto quella settentrionale e tutto l’entroterra europeo: fino alla Svezia, secondo le elucubrazioni seicentesche di Olof Rudbeck (608).

Il tutto senza comunque dimenticare che lo stesso padre comune dei tre fratelli, Noè, viene descritto, almeno da bambino, con delle caratteristiche fenotipiche chiaramente nordiche (609), cosa che peraltro smentirebbe anche alcune erronee interpretazioni del testo biblico secondo le quali Sem, Cam e Jafet sarebbero i capostipiti rispettivamente delle razze Gialla, Nera e Bianca (610) e, secondo Acerbi, potrebbe addirittura far corrispondere l’intera discendenza noaica agli “Heroes” esiodei (611); anche se ciò – lo vedremo in seguito, ma lo anticipiamo fin d’ora – non senza un marcato processo di divergenza che il ramo “camito-semitico” dovette intraprendere rispetto a quello euro-giapetico, probabilmente causato da almeno due diversi episodi.

Ma, di ciò, più avanti.

 

 

7.6 – La razza nordica

 

La generazione esiodea degli Eroi potrebbe quindi rappresentare l’espressione, sul piano mitico/simbolico, di quello stesso impulso “sottile” che, a livello fisico, implicò dei processi formanti uno o forse più fenotipi caucasoidi dall’aspetto maggiormente depigmentato: stirpi che, come ci ricorda Julius Evola (612), a livello culturale iniziarono a delineare una propria specificità, reagendo e diversificandosi rispetto al mondo ginecocraticamente orientato del Gravettiano.

Forse la “Razza Bianca” in senso stretto nacque così, in qualche area settentrionale del nostro continente, come “idiovariazione” di una meta-popolazione più antica, artica ed “ecumenica”, e con la quale di sicuro non dev’essere confusa, esattamente come non vanno confuse tra loro le diverse generazioni esiodee: probabilmente era a questo punto che si riferiva Evola, quando sottolineava la non sovrapponibilità fra la razza boreale dei primordi e le razze nordiche più recenti (613) o, ancora più precisamente, quando definiva le genti indogermaniche come già derivate ed, in una certa misura, meno pure dei più antichi ed originari ceppi iperborei (614). Un concetto che, in definitiva, ricalca la differenza che dovette intercorrere tra l’originaria “Luce del Nord” del primo Yuga del nostro Manvantara e l’impulso portato dal “ciclo eroico”, quale sua ultima, ma già parzialmente oscurata, reminiscenza (615).

In tutto questo processo, comunque, la parte recitata dal nostro continente forse fu molto maggiore di quanto contemplato nella prospettiva, di marca prevalentemente oceanica e nordoccidentale, seguita da Herman Wirth.

Infatti, per dirla con Adriano Romualdi (616), quella che comunemente viene definita “Razza Nordica” rappresenta l’umanità “bianca” per eccellenza ed andrebbe definita “Homo Europeus” nel senso più compiuto del termine: e ciò, si badi bene, non tanto per valutazioni di carattere estetico, che spesso possono essere alquanto soggettive, ma soprattutto in virtù della sua profonda “autoctonia”, essendo la stirpe europea che meno di altre sembra aver ricevuto influenze esterne, sviluppando integralmente entro i confini del nostro continente i suoi specifici tratti morfologici (617). Tratti nei quali andrebbe considerato anche il gruppo sanguigno A, che statisticamente appare associato in prevalenza a fenotipi depigmentati ed agli occhi azzurri, e ciò anche in contesti geografici distanti dal quadrante europeo – come nel caso delle mummie regali egizie ed incaiche – dove è invece il gruppo O quello ad essere prevalente (618).

Sennonchè, riteniamo sia comunque opportuno fare attenzione a non semplificarne oltre misura il quadro di formazione, considerando che la relativa genesi dovette seguire percorsi piuttosto articolati.

Come detto, infatti, quello di “Razza Nordica” è un concetto che – almeno nella comune accezione, basata soprattutto sul colore dell’epidermide, dell’iride e dei capelli – finisce con l’associarsi a gruppi umani che però non sono perfettamente sovrapponibili tra loro, quindi non ci sentiremmo di escludere che le caratteristiche evidenziate possano essere riconducibili ad un complesso di fattori e di modalità di origine. Ad esempio, la già menzionata mutazione per la pelle chiara ha probabilmente avuto un’origine unica ma, proprio nel quadro di quella “meta-popolazione” boreale della quale si è già detto, potrebbe essersi diffusa dapprima come tratto eterozigota in vari contesti, per essere poi sottoposta ad un certo grado di selezione soprattutto in quelli – ad esempio in aree peri-glaciali e povere di irradiazione ultravioletta (619) – dove tale caratteristica poteva presentare un effettivo vantaggio in relazione alla sintesi della vitamina D. Un vantaggio ma non una stringente necessità, se pensiamo che vi sono popolazioni boreali non così fortemente depigmentate come il classico tipo nordico, ma che risultano comunque ben adattate alle alte latitudini, tra i quali ad esempio proprio i Lapponi e gli Eschimesi (620).

Il ridotto irraggiamento solare, forse anche in associazione con particolari regimi alimentari, può al limite aver costituito una condizione “necessaria ma non sufficiente”, ma in definitiva diversi fattori possono essersi verificati “a scacchiera” e nelle più varie aree geografiche per giungere alla fine, in alcuni casi, a fissare alcune frequenze molecolari a livello omozigota. Tale potrebbe essere il motivo per il quale la “leucodermizzazione”, spesso associata anche al biondismo, dovette interessare una compagine piuttosto ampia di cacciatori-raccoglitori paleolitici. Oggi infatti tali tratti sono riscontrabili tra i nordici leptomorfi nordoccidentali, tra i falici più massici, tra i baltici più brevilinei e brachicefali (621), ma in maniera più moderata anche tra gli stessi Lapponi, i Finni, i Voguli e gli Ostjaki  (622), fino addirittura a sporadici casi presenti tra i pre-mongolici Samoiedi della Siberia nord-occidentale (623): tutti, in varia misura, discendenti dei diversi gruppi umani che possono aver popolato le aree limitrofe alla calotta wurmiana – molto probabilmente, il minimo comun denominatore nella formazione almeno della radice basale del tipo nordico-depigmentato (624) – coltre glaciale che nel corso dei millenni registrò infatti varie espansioni e contrazioni, dal Doggerland alla costa scandinava, dal Baltico alla Carelia, fino al Mar di Barents e gli Urali settentrionali. Non è infatti un caso se si registra un certo ventaglio di opinioni in merito alle modalità di origine della Razza Nordica e nei pesi in essa riconducibili, come ricordato da Kossinna (625) alle due componenti fondamentali del quadro paleolitico europeo, cioè quella leggera-capelloide e quella pesante-cromagnoide; come già visto, la distanza morfologica tra i due tipi non è trascurabile e, seppure tra i nordici leptomorfi e i massicci falici diverse caratteristiche appaiano condivise (626), è anche vero che sussistono alcune differenze piuttosto nette, come ad esempio nella forma del volto (627), che pongono la non semplice questione delle intricate modalità di transizione dai tratti cromagnoidi a quelli più fini e snelli dei Nordici (628).

Hans F.K. Gunther distingue nettamente le due compagini depigmentate, associandole rispettivamente alle due linee preistoriche: ritiene la variante nordico-classica molto prossima alla morfologia capelloide (629) tanto da considerarla quasi una mera modalità “chiara” del tipo mediterraneo-occidentale (630). Una posizione, quest’ultima, certamente interessante e degna di attenta nota, ma a nostro avviso non scevra dal pericolo di suggerire la genesi dei tipi nordici in un quadro potenzialmente fin troppo recente, di fatto post-pleistocenico. Su questo particolare aspetto, ci sembra dunque più che opportuna la sottolineatura di Herman Wirth sulle caratteristiche fenotipiche nordiche le quali, apparendo ben consolidate ormai da almeno 10.000 anni, difficilmente possono essere sorte solo in tempi postglaciali a seguito di una secca e rapida depigmentazione di una popolazione precedente: questa, piuttosto, potrebbe essere una prospettiva più simile a quella adottata da Carleton Coon, secondo il quale (631) gli attuali nordeuropei non deriverebbero direttamente dalle più antiche razze paleolitiche, ma si ridurrebbero a dei mediterranei di età appena neolitica adattatisi a situazioni ambientali più fredde e di minor irraggiamento solare.

Tuttavia, una visuale più “profonda” ed alternativa a questa non ci obbliga necessariamente a cercare l’origine delle attuali caratteristiche nordeuropee fino nei Prenordici wirthiani di 35-40.000 anni fa – che, come già sottolineato, dovettero al contrario presentare un fenotipo non eccessivamente depigmentato in quanto derivante da una “Eterna Primavera” da poco conclusa – ma potrebbe essere sufficiente fermarsi più o meno a metà strada: ad esempio negli ultimi millenni del Treta Yuga secondo la cronologia “Guénon/Georgel” e cioè, appunto, attorno a 20-25.000 anni fa. Una datazione che infatti pare più coerente con l’idea di un’arcaica compagine “protonordica” suggerita a suo tempo da Montandon (632), probabilmente molto diffusa nel Paleolitico in tutta l’area euro-russa (633); popolazione, secondo Haddon, estesa addirittura fino all’Oriente siberiano (634) e che ad esempio oggi troverebbe conferma nel reperto risalente a 17.000 anni fa rinvenuto nella regione del lago Bajkal, il cui genoma presenta già la classica mutazione collegata al biondismo (635).

Sono tutte evidenze le quali potrebbero spiegare l’odierna dispersione delle caratteristiche “nordiche” su un’area eurasiatica molto vasta, ad esempio anche tra le genti caucasiche dove si intravedono con molta facilità, ma senza dover per forza postulare una problematica derivazione diretta di queste dagli attuali nordeuropei occidentali; più plausibilmente, invece, potrebbe esservi un nesso con la recente individuazione genetica di un’antica popolazione formatasi nell’oriente europeo, probabilmente a partire dal substrato BE / WHG (ma forse connessa anche con il gruppo ANE e gli stessi EHG) che proprio nei sicuri anfratti del Caucaso trovò rifugio durante l’Ultimo Massimo Glaciale (LGM) di 20.000 anni fa, arrivando così ad enucleare un’ulteriore componente autosomica indipendente – i cacciatori-raccoglitori caucasici (“CHG”) – portatrice di una variante omozigote del summenzionato gene SLC24A5 associato ad una pigmentazione cutanea particolarmente chiara (636).

 

 

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Parte 13

 

 

 

NOTE

 

573.  Edoardo Castagna – Ariani. Origine, storia e redenzione di un mito che ha insanguinato il Novecento – Edizioni Medusa – 2012 – pag. 18

 

574.  Leon Poliakov – Il mito ariano. Le radici del razzismo e dei nazionalismi – Editori Riuniti – 1999 – pag. 203

 

575.  Leon Poliakov – Il mito ariano. Le radici del razzismo e dei nazionalismi – Editori Riuniti – 1999 – pag. 214

 

576.  Giancarlo Bolognesi – La parola di un linguista – in: AA.VV. (a cura di Giovanni Rinaldi), Secoli sul mondo, Marietti, 1957, pag. 118; Felice Vinci – I segreti di Omero nel Baltico. Nuove storie della preistoria – Leg Edizioni – 2021 – pag. 406

 

577.  Fabio Ragno – Iniziazione ai Miti della Storia. Frammenti di una storia perduta – Edizioni Mediterranee – 1999 – pag. 96

 

578.  Onorato Bucci – Gli Indoeuropei: il percorso della dottrina – in: AA.VV. (a cura di Onorato Bucci), Antichi popoli europei. Dall’unità alla diversificazione, Editrice Universitaria di Roma-La Goliardica, 1993, pag. 14

 

579.  Francesca Castradori – Le radici dell’odio. Il conte de Gobineau e le origini del razzismo – Xenia Edizioni – 1991 – pag. 54; Marco Marsilio – Razzismo, un’origine illuminista – Vallecchi – 2006 – pag. 68; Carlo Arrigo Pedretti – Mito polare e polarità di un mito nella Germania nazionalsocialista – RITTER – 2019 – pag. 55; Leon Poliakov – Il mito ariano. Le radici del razzismo e dei nazionalismi – Editori Riuniti – 1999 – pag. 219; Heather Pringle – Il piano occulto. La setta segreta delle SS e la ricerca della razza ariana – Lindau – 2007 – pag. 56

 

580.  Edoardo Castagna – Ariani. Origine, storia e redenzione di un mito che ha insanguinato il Novecento – Edizioni Medusa – 2012 – pag. 19; Julius Evola – Il mito del sangue – Edizioni di Ar – 1978 – pag. 3

 

581.  Joscelyn Godwin – Il mito polare. L’Archetipo dei Poli nella scienza, nel simbolismo e nell’occultismo – Edizioni Mediterranee – 1993 – pag. 44; Carlo Arrigo Pedretti – Mito polare e polarità di un mito nella Germania nazionalsocialista – RITTER – 2019 – pag. 56; Leon Poliakov – Il mito ariano. Le radici del razzismo e dei nazionalismi – Editori Riuniti – 1999 – pag. 219

 

582.  Harald Haarmann – Sulle tracce degli Indoeuropei. Dai nomadi neolitici alle prime civiltà avanzate – Bollati Boringhieri – 2022 – pag. 15; Marco Marsilio – Razzismo, un’origine illuminista – Vallecchi – 2006 – pag. 68; Leon Poliakov – Il mito ariano. Le radici del razzismo e dei nazionalismi – Editori Riuniti – 1999 – pag. 219; Francisco Villar – Gli Indoeuropei e le origini dell’Europa. Lingua e storia – Il Mulino – 1997 – pagg. 20, 21; Marco Zagni – La svastica e la runa. Cultura e esoterismo nella SS Ahnenerbe – Mursia – 2017 – pag. 15

 

583.  Harald Haarmann – Storia universale delle lingue. Dalle origini all’era digitale – Bollati Boringhieri – 2021 – pag. 181

 

584.  Julius Evola – Il mito del sangue – Edizioni di Ar – 1978 – pag. 5

 

585.  Adriano Romualdi – Gli Indoeuropei. Origini e migrazioni – Edizioni di Ar – 1978 – pag. 27

 

586.  Leon Poliakov – Il mito ariano. Le radici del razzismo e dei nazionalismi – Editori Riuniti – 1999 – pag. 239

 

587.  Edoardo Castagna – Ariani. Origine, storia e redenzione di un mito che ha insanguinato il Novecento – Edizioni Medusa – 2012 – pagg. 29, 30; Alain de Benoist – Visto da destra. Antologia critica delle idee contemporanee – Akropolis – 1981 – pag. 33; Julius Evola – Il mito del sangue – Edizioni di Ar – 1978 – pag. 37; Joscelyn Godwin – Il mito polare. L’Archetipo dei Poli nella scienza, nel simbolismo e nell’occultismo – Edizioni Mediterranee – 1993 – pag. 49; Giovanni Monastra – Rileggere l’antropologia della preistoria europea – in: Julius Evola, Il mistero dell’Occidente. Scritti su archeologia, preistoria e Indoeuropei 1934-1970, a cura di Alberto Lombardo, postfazione di Giovanni Monastra, Quaderni di testi evoliani n. 53, Fondazione Julius Evola, 2020, pag. 172; Carlo Arrigo Pedretti – Mito polare e polarità di un mito nella Germania nazionalsocialista – RITTER – 2019 – pagg. 57, 58; Francisco Villar – Gli Indoeuropei e le origini dell’Europa. Lingua e storia – Il Mulino – 1997 – pagg. 122, 123

 

588.  Eurialo De Michelis – L’origine degli indo-europei – Fratelli Bocca Editori – 1903 – pag. 386

 

589.  Eurialo De Michelis – L’origine degli indo-europei – Fratelli Bocca Editori – 1903 – pag. 620

 

590.  Madison Grant – Il tramonto della grande razza – Editrice Thule Italia – 2020 – pag. 121

 

591.  Franz Weidenreich – Scimmie, giganti e uomini – Casa Editrice Renzo Cortina – 1956 – pag. 120

 

592.  Leon Poliakov – Il mito ariano. Le radici del razzismo e dei nazionalismi – Editori Riuniti – 1999 – pag. 303

 

593.  Eurialo De Michelis – L’origine degli indo-europei – Fratelli Bocca Editori – 1903 – pag. 322

 

594.  Julius Evola – Il mito del sangue – Edizioni di Ar – 1978 – pag. 4

 

595.  René Guénon – Introduzione generale allo studio delle dottrine indù – Adelphi Edizioni – 1989 – pag. 219; Piero Di Vona – Evola, Guénon, De Giorgio – SeaR Edizioni – 1993 – pag. 75

 

596.  René Guénon – Introduzione generale allo studio delle dottrine indù – Adelphi Edizioni – 1989 – pag. 60; Dario Giansanti – Gli invasori d’Irlanda in un’ottica funzionale – Centro Studi La Runa – 01/01/2000 –http://www.centrostudilaruna.it/invasionidirlanda.html

 

597.  René Guénon – Introduzione generale allo studio delle dottrine indù – Adelphi Edizioni – 1989 – pag. 155

 

598.  Giovanni Monastra – Sull’origine e il significato delle caste. Dati storico-religiosi e interpretazioni – in: Vie della Tradizione, n. 178-179, Gennaio-Dicembre 2020, pagg. 2, 3

 

599.  Julius Evola – Dottrina della razza – in: Julius Evola, Esplorazioni e Disamine, gli scritti di “Bibliografia Fascista” (volume primo: 1934-1939), Edizioni all’insegna del Veltro, 1994, pag. 214; Julius Evola – Sulla tradizione nordico-aria (Razze – Simboli – Preistoria mediterranea) – in: Julius Evola, Esplorazioni e Disamine, gli scritti di “Bibliografia Fascista” (volume primo: 1934-1939), Edizioni all’insegna del Veltro, 1994, pag. 191; Julius Evola – Superamento del razzismo – in: Julius Evola, Esplorazioni e Disamine. Gli scritti di “Bibliografia Fascista” (volume primo), Edizioni all’insegna del Veltro, 1994, pag. 39

 

600.  Nicholas Wade – All’alba dell’Uomo. Viaggio nelle origini della nostra specie – Cairo Editore – 2006 – pag. 252

 

601.  David Reich – Chi siamo e come siamo arrivati fin qui. Il DNA antico e la nuova scienza del passato dell’umanità – Raffaello Cortina Editore – 2019 (copia in pdf) – pag. 116

 

602.  Adriano Romualdi – Gli Indoeuropei. Origini e migrazioni – Edizioni di Ar – 1978 – pag. 15 (N.d.C.)

 

603.  Francesco Germinario – Razza del Sangue, Razza dello Spirito – Bollati Boringhieri – 2001 – pag. 21; Adriano Romualdi – Su Evola – Fondazione Julius Evola – 1998 – pag. 86

 

604.  Francesco Germinario – Razza del Sangue, Razza dello Spirito – Bollati Boringhieri – 2001 – pag. 79

 

605.  Julius Evola – Rivolta contro il mondo moderno – Edizioni Mediterranee – 1988 – pagg. 282, 283

 

606.  Edoardo Castagna – Ariani. Origine, storia e redenzione di un mito che ha insanguinato il Novecento – Edizioni Medusa – 2012 – pag. 87;  Julius Evola – Il mito del sangue – Edizioni di Ar – 1978 – pag. 22

 

607.  Georges Vacher De Lapouge – Definizione dell’Ariano – Centro Studi La Runa – 1999 – pag. 12

 

608.  Davide Bigalli – Il mito della terra perduta. Da Atlantide a Thule – Bevivino Editore – 2010 – pag. 154

 

609.  Paul Le Cour – L’Atlantide. Origine delle Civiltà – Settimo Sigillo – 2021 – pag. 50; Felice Vinci – I segreti di Omero nel Baltico. Nuove storie della preistoria – Leg Edizioni – 2021 – pag. 421; Felice Vinci – Omero nel Baltico. Saggio sulla geografia omerica – Fratelli Palombi Editori – 1998 – pag. 393

 

610.  Enrico Galbiati – Alle soglie della storia – in: AA.VV. (a cura di Giovanni Rinaldi), Secoli sul mondo, Marietti, 1957, pag. 106

 

611.  Giuseppe Acerbi – L’Isola Bianca e l’Isola Verde – Simmetria Associazione Culturale – pag. 12 –http://www.simmetria.org/images/simmetria3/pdf/Rivista_41_2016_A5_booklet.pdf

 

612.  Julius Evola – Rivolta contro il mondo moderno – Edizioni Mediterranee – 1988 – pag. 278

 

613.  Piero Di Vona – L’alchimia della razza. Julius Evola e la razza dello spirito – Ar – 2010 – pag. 25

 

614.  Julius Evola – Thule (in “Corriere Padano – 13/1/1934) – in Julius Evola, I testi del Corriere Padano, Edizioni di Ar, 2002, pag. 116

 

615. Marco Fraquelli – Il filosofo proibito. Tradizione e reazione nell’opera di Julius Evola – Terziaria – 1994 – pagg. 112, 113

 

616.  Adriano Romualdi – Gli Indoeuropei. Origini e migrazioni – Edizioni di Ar – 1978 – pag. 135

 

617.  Eurialo De Michelis – L’origine degli indo-europei – Fratelli Bocca Editori – 1903 – pag. 301; Madison Grant – Il tramonto della grande razza – Editrice Thule Italia – 2020 – pagg. 58, 159

 

618.  Antonio Bonifacio – L’Egitto dono di Atlantide – Edizioni Agpha Press – 1998 – pag. 20

 

619.  Iaroslav Lebedynsky – Gli Indoeuropei: fatti, dibattiti, soluzioni – Jaca Book –  Milano – 2011 – pag. 129

 

620.  Giovanni Monastra – Rileggere l’antropologia della preistoria europea – in: Julius Evola, Il mistero dell’Occidente. Scritti su archeologia, preistoria e Indoeuropei 1934-1970, a cura di Alberto Lombardo, postfazione di Giovanni Monastra, Quaderni di testi evoliani n. 53, Fondazione Julius Evola, 2020, pag. 143

 

621.  Edoardo Castagna – Ariani. Origine, storia e redenzione di un mito che ha insanguinato il Novecento – Edizioni Medusa – 2012 – pag. 37; Eurialo De Michelis – L’origine degli indo-europei – Fratelli Bocca Editori – 1903 – pag. 636

 

622.  Renato Biasutti – Razze e Popoli della terra – UTET – 1967 – vol. 1 – pag. 230; Renato Biasutti – Razze e Popoli della terra – UTET – 1967 – vol. 2 – pagg. 42, 43, 427, 428; Raffaello Parenti – Lezioni di antropologia fisica – Libreria Scientifica Giordano Pellegrini – 1973 – pag. 259

 

623.  Renato Biasutti – Razze e Popoli della terra – UTET – 1967 – vol. 2 – pag. 422

 

624.  Wilhelm Stapel – La teoria razziale – in: AA.VV., Orizzonti del razzismo europeo, Editrice il Corallo, 1981, pag. 43

 

625.  Mario Giannitrapani – Paletnologia delle antichità indoeuropee. Le radici di un comune sentire (parte 1) – in: I Quaderni del Veliero, n. 2/3, 1998, pag. 257; Adriano Romualdi – Gli Indoeuropei. Origini e migrazioni – Edizioni di Ar – 1978 – pag. 145

 

626. Raffaello Parenti – Lezioni di antropologia fisica – Libreria Scientifica Giordano Pellegrini – 1973 – pag 213

 

627.  Jean Haudry – Gli Indoeuropei – Ar – 1999 – pagg. 167, 167; Raffaello Parenti – Lezioni di antropologia fisica – Libreria Scientifica Giordano Pellegrini – 1973 – pag. 213

 

628.  Adriano Romualdi – Gli Indoeuropei. Origini e migrazioni – Edizioni di Ar – 1978 – pag. 144

 

629.  Adriano Romualdi – Gli Indoeuropei. Origini e migrazioni – Edizioni di Ar – 1978 – pag. 145

 

630.  Hans F.K. Gunther – Tipologia razziale dell’Europa – Edizioni Ghénos – 2003 – pag. 97

 

631.  Romano Olivieri – Le razze europee – Alkaest – 1980 – pag. 113

 

632.  Mario F. Canella – Razze umane estinte e viventi – Sansoni – 1940 – pag. 164

 

633.  Madison Grant – Il tramonto della grande razza – Editrice Thule Italia – 2020 – pagg. 84, 161

 

634.  Raffaello Parenti – Lezioni di antropologia fisica – Libreria Scientifica Giordano Pellegrini – 1973 – pag. 213

 

635.  David Reich – Chi siamo e come siamo arrivati fin qui. Il DNA antico e la nuova scienza del passato dell’umanità – Raffaello Cortina Editore – 2019 (copia in pdf) – pag. 133

 

636.  AA.VV. – Upper Palaeolithic genomes reveal deep roots of modern Eurasians – Nature.com – 16/11/2015 –https://www.nature.com/articles/ncomms9912?fbclid=IwAR2v4vygGBGmQVsY79Rzo50gtkc4nL_cSGr9xAZ7-lt5Q8oal8hUr68HQRI#MOESM1131

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