Roma era una società iniziatica? E’ questa la diatriba che coinvolge attualmente il mondo della Tradizione. Dalla lettura degli scritti dell’imperatore Giuliano si evincerebbe proprio questo! Egli impose la tolleranza religiosa all’interno dell’impero, ma vietò ai retori cristiani di insegnare nelle scuole pubbliche, spiegando la sua scelta con il fatto che i maestri cristiani insegnavano ai fanciulli che le opere di Omero e Virgilio non fossero sacre, ma che sacre erano solamente le scritture giudaico-cristiane. Giuliano fa intendere chiaramente, assieme a tutti i neoplatonici che difendevano la Tradizione Romana, che la società romana era ricca della iniziatura.
Ma come era possibile ciò? Nel calendario romano i fanciulli figli di cives (abitanti del territorio di Roma aventi diritti e doveri maggiori rispetto ai semplici uomini liberi), raggiunto il diciassettesimo anno di età, al 17 marzo (Liberalia) assumevano la toga virile: questo era l’abito col quale potevano svolgere le cerimonie religiose in maniera autonoma, divenendo così sacerdoti di se stessi, come in molte altre società indoeuropee. Nel momento in cui si sposavano divenivano sacerdoti anche della propria famiglia. Se poi decidevano di intraprendere la carriera politica allora dovevano affrontare anche alcuni sacerdozi, se non avevano la dignità per accedervi allora il loro cursus honorum si arrestava. Ma questo filone iniziatico quando sarebbe iniziato? Le fonti ci dicono che Romolo e Remo erano stati iniziati come auguri, pertanto avevano un potere iniziatico e regale. Dionigi di Alicarnasso in Antichità Romane I, 88, 1-3 racconta che ordinò alle persone acquisite come cittadini fondatori di accendere dei fuochi e di saltare in essi: il rito aveva finalità catartiche perché potessero iniziare un nuovo percorso igneo, ovvero spirituale (ricordiamo che in tutte le tradizioni il fuoco è simbolo dello spirito e, in quella Romana in particolare, manifestazione fisica della divinità).
A tutti coloro i quali dicono che non esistono fonti antiche che menzionino il valore iniziatico di Roma ne riportiamo un paio tra la marea di quelle che esistono: Plutarco, vita di Romolo: “Roma non avrebbe potuto assurgere a tanta potenza se non avesse avuto, in qualche modo, origine divina, tale da offrire agli occhi degli uomini qualcosa di grande e di inesplicabile”.
Ovviamente dovevano esistere delle pratiche “particolari” a questa “origine divina”, si comporta in maniera esplicita Giovanni Lido nel “De Mensibus” (IV, 73):
“Quanto a lui, postosi a capo dell’intera funzione sacra, presa una tromba sacra -… i Romani sono soliti chiamarla “lituus” da litè, “preghiera”- la fece risuonare sul nome della città. La città ebbe tre nomi, uno iniziatico, uno sacro ed uno politico: quello iniziatico è Amore, ossia Eros, in modo che tutti siano pervasi da un amore divino per la città, motivo per il quale il poeta nei carmi bucolici la chiama enigmaticamente “Amarillide”; quello sacro è Flora, cioè “fiorente”, da cui deriva la festa dei Floralia in suo onore; quello politico è Roma. Quello politico era noto a tutti e veniva pronunciato senza alcun timore, mentre evocare quello iniziatico era permesso soltanto ai Pontefici Massimi durante i riti sacri; e si dice che una volta un magistrato fu punito per aver osato rendere il nome iniziatico noto al popolo.”
Quest’ultima nota segnala la segretezza, riportata già da altre fonti, che poteva trasmettersi solo ad alcuni e non a tutti. Gli elementi misterici nel culto Romano sono infiniti e non sono riservati ad alcuni gruppi tra i cittadini, ma ai cittadini, che erano pochi rispetto alla popolazione, ciò fa di Roma una società iniziatica che viene snaturalizzata dalla Constitutio Antoniniana (ovvero l’ampliamento della cittadinanza a tutti gli abitanti dell’impero): quella che per la storia moderna è un grande passo per l’umanità nella direzione dei diritti è per Roma l’inizio del declino perché porta alla profanazione dei suoi misteri: infatti ogni abitante dell’impero poteva accedere ad un sistema rituale prima riservato ai discendenti di sangue, di chi lo aveva meritato e ad alcuni nuovi meritevoli.
dott. Giuseppe Barbera archeologo, presidente Associazione Tradizionale Pietas
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