11 Dicembre 2024
Banditismo rosso Controstoria

“Pagine di Gloria” del biennio rosso: gli stupri di Ottobiano (13 MAGGIO 1920) – Pietro Cappellari

In Italia, oggi, ben poco si conosce del cosiddetto Biennio Rosso, ossia il periodo storico compreso tra il 1919 e il 1920 in cui si scatenò, per la prima volta su scala nazionale, una violenta stagione di tensioni politiche e sociali. Violenze generate dalla crisi economica cui fu costretta l’Italia dopo la conclusione del conflitto mondiale, dall’incapacità del Governo di dare risposte concrete sul piano della politica interna ed internazionale, da una radicata e sentita necessità di una più equa giustizia sociale e, soprattutto, dalla predicazione rivoluzionaria socialista ed anarchica che annunciava prossimo l’avvento della dittatura del proletariato ed aizzava le folle “a fare come in Russia”.

Questo periodo rivoluzionario, scandito da sommosse, insurrezioni locali, linciaggi, boicottaggi, prevaricazioni, offese ai valori nazionali e alla religione, condito di morti e feriti, di stragi di Stato – ci si passi il termine – è stato cancellato dai libri di scuola. Questo per una semplice è naturale constatazione, non dare nessuna giustificazione alla successiva reazione fascista che stroncò ogni mira rivoluzionaria bolscevica in Italia. No. Lo squadrismo doveva essere solo un’anomalia del sistema, una “masnada di barbari” calati sul bel Paese che, dopo due anni di selvaggia violenza generalizzata, avevano conquistato il potere. Il fascismo doveva essere l’unica espressione della violenza politica organizzata nella storia.

Non è questa l’occasione per fare la storia del Biennio Rosso ed analizzare come la reazione fascista venne accettata da molti come naturale conseguenza e rimedio alle violenze rosse che avevano sconvolto per due anni l’intera Nazione. Bastino le parole di Alcide De Gasperi, sul cui profilo politico non occorre indugiare:

 

Il fascismo fu sugli inizi un impeto di reazione all’internazionalismo comunista che negava la libertà della Nazione […]. Noi non condividiamo il parere di coloro i quali intendono condannare ogni azione fascista sotto la generica condanna della violenza. Ci sono delle situazioni in cui la violenza, anche se assume l’apparenza di aggressione, è in realtà una violenza difensiva, cioè legittima[1].

 

Ripetiamo, il discorso sul Biennio Rosso e la reazione fascista è un argomento complesso e qui intendiamo solo ricordare un evento cancellato dalla memoria collettiva, un singolo fatto che, nella sua drammaticità e gravità, ci permette di tornare a parlare della violenza massimalista e dell’odio politico gratuito che da questa violenza scaturì. Un odio cieco, bestiale, barbaro, che ritroveremo ogni qual volta il comunismo si appresterà a passare all’azione: dalla guerra civile del 1943-1945 agli anni di piombo, solo per limitarci alla nostra storia nazionale.

La disumanizzazione del nemico, la sua eliminazione fisica, la mistificazione della realtà storica, visti come strumenti altamente morali per il trionfo della propria fazione.

Come abbiamo detto, tra il 1919 e il 1920 l’Italia venne percorsa da una spirale di violenza politica come mai si era registrata nella sua storia, violenza fomentata da un PSI massimalista che, sebbene vincitore delle elezioni del Novembre ’19, si trovò impossibilitato a governare la Nazione, come a scatenare la tanto annunciata rivoluzione bolscevica. In questo caos di violenze generalizzate e conseguenti repressioni di Stato si verificheranno degli episodi agghiaccianti sui quali vogliamo fare un piccolo approfondimento. In particolare, ci soffermeremo sugli stupri di Ottobiano del 13 Maggio 1920.

Erano mesi che la violenza massimalista sfogava il suo odio contro la religione in attacchi diretti al clero e ai fedeli. Nelle Parrocchie si viveva un clima di terrore e le stesse processioni, fatte oggetto di oscene e volgari invettive dai socialisti ufficiali ed anarchici vari, se non assaltate a colpi di pietra e bastoni, erano praticamente scomparse dai luoghi pubblici. Il tutto in un crescendo, che avrebbe dovuto portare all’instaurazione della dittatura del proletariato, dove non ci sarebbe stato più posto per la religione “oppio dei popoli” e per i suoi ministri… “fare come in Russia”.

La conflittualità permanente vedeva due grandi protagonisti in lotta: i sovversivi da un lato e le forze dell’ordine dell’altro. I fascisti, minoritari e senza un seguito apprezzabile, osservavano gli eventi, cercando di ritagliarsi una più che problematica agibilità politica in un mondo che sembrava scivolare drammaticamente, quanto velocemente, nel baratro della rivoluzione bolscevica.

Il 2 Maggio 1920, ad esempio, a S. Agata (Firenze), i sovversivi avevano invaso una chiesa durante una festa religiosa e negli incidenti che ne seguirono erano stati feriti alcuni esponenti del PPI: “Venivano esplosi colpi anche contro il Sacramento”[2]. Scene di ordinario clima preinsurrezionale…

Era da alcuni giorni passato il 1° Maggio, festa socialista dei lavoratori, durante il quale il PSI aveva scatenato incidenti su vasta scala. In quel giorno di “gloria” erano rimaste uccise una decina di persone durante gli interventi repressivi delle forze dell’ordine (dello Stato liberale e democratico), che non avevano esitato a sparare contro la folla in tumulto per spegnere sul nascere ogni sommossa.

Il 5 Maggio 1920, dalle colonne dell’“Avanti!” il Direttore Giacinto Menotti Serrati evidenziò come il regno della borghesia stesse ormai crollando e le radiose giornate di Maggio appena trascorse segnavano finalmente “l’inizio dell’insurrezione armata del proletariato contro il regime dominante”[3].

Tra le contrade dove più dominavano le Leghe rosse vi era certamente la Lomellina, con epicentro Mortara, vero e proprio “feudo massimalista”. Le Guardie Rosse si facevano garanti del nuovo ordine rivoluzionario che era sorto nelle campagne, dove occupazioni di terre, imponenti scioperi, intimidazioni e violenze generalizzate, boicottaggi e minacce contro la borghesia e tutti coloro che non si allineavano erano all’ordine del giorno:

 

[Nel] territorio della Lomellina, in provincia di Pavia, vengono messi a tacere liberali, popolari, agrari, combattenti.

I socialisti li bollano come lerciume borghese, clericale, guerrafondaio. La piazza rossa li obbliga al silenzio e alla fuga. La borghesia comincia a temere di perdere la libertà. Dice: i socialisti vogliono fare come nella Russia di Lenin. Dunque il bolscevismo va fermato prima che trasformi l’Italia in un Soviet. […] Il giornale socialista lomellino “Il Proletario” scrive: “La rivoluzione sarà a breve scadenza. Avverrà come un fenomeno naturale, come avviene una burrasca”.

Nel 1920 la previsione sembra avverarsi. Nelle campagne padane emerge lo strapotere dispotico delle Leghe rosse, associazioni sindacali di mestiere che reggono le Camere del Lavoro. Chi non obbedisce alla Lega, padrone o bracciante che sia, è punito con il boicottaggio e non campa più. A volte gli ordini della Lega rossa rasentano la follia: “Il socio X.Y. sa ben poco del socialismo. Dovrà imparare a memoria questi dieci articoli dell’‘Avanti!’ e poi verrà a farsi interrogare nella sede della Lega”.

Nel Marzo 1920 il sindacato rosso prepara il ko per la borghesia agraria. È il nuovo concordato agricolo, un contratto con tre richieste. La prima impone alle aziende l’assunzione di un uomo e una donna ogni tante pertiche di terreno coltivato. La seconda stabilisce che gli agricoltori, quando hanno bisogno di braccianti o salariati, devono rivolgersi soltanto alle Leghe della Federterra. La terza richiesta è di istituire in ogni cascina il fiduciario d’azienda, un controllore del sindacato che vigili sull’applicazione del nuovo contratto.

Gli agricoltori dicono di no. Sono pronti a trattare sugli aumenti di paga, ma non accettano di veder limitati il diritto di proprietà e la libertà d’impresa. La replica della Federterra e delle Leghe è immediata: un grande sciopero agricolo dal 5 Marzo 1920, nell’area di Pavia, Vercelli, Novara e del Monferrato casalese. Migliaia di braccianti e salariati sospendono di colpo il lavoro. S’inizia una lunga fase di violenze, devastazioni, assalti alle cascine, bastonature di padroni e fittavoli, incendi dolosi, pestaggi di crumiri, blocchi stradali per impedire i trasporti di foraggio destinato al bestiame.

Dopo un mese, per piegare la resistenza delle aziende, il sindacato rosso ingiunge ai bovari di non occuparsi più del bestiame. Devono smettere di governarlo, di nutrirlo e, soprattutto, di mungere le mucche da latte. Il divieto scatta dal 5 Aprile e ha una conseguenza estrema: lasciar morire stalle intere di buoi e di vacche. Ogni sera le Leghe timbrano le mani dei bovari. E ogni mattina il Capolega controlla le palme dei mungitori per accertarsi che non abbiamo lavorato di nascosto durante la notte.

La decisione di non mungere le vacche si rivelerà un boomerang. Il 21 Aprile 1920, gli agricoltori sono obbligati ad accettare tutte le richieste e firmano il nuovo concordato. Ma lo sciopero agrario, con i suoi eccessi, provoca un odio di classe potente. Sarà questo il concime che, neppure un anno dopo, farà spuntare la pianta dello squadrismo[4].

 

In questo scenario di violenze insurrezionali si verificarono i cosiddetti “stupri di Ottobiano”, un evento del quale si conosce pochissimo, eppure rappresenta un episodio-simbolo del Biennio Rosso.

 

Ottobiano (Pavia)

 

Prima che questo episodio criminale scomparisse dalle cronache, Giorgio Vecchio, in un suo dimenticato studio del 1982, annotò:

 

Ma, al di là di un bilancio globale di tali fatti — che suppone un esame particolareggiato del socialismo, e soprattutto del massimalismo e delle cause che lo condussero al drammatico isolamento di quegli anni — resta la considera zione che proprio lo stillicidio di violenze, fra l’altro non sempre gravissime, finì per consolidare il mondo cattolico nel suo antisocialismo.

A Milano, gli scontri tra socialisti e cattolici conobbero un crescendo a partire dalla Primavera 1919, per toccare il culmine nel primo semestre dell’anno seguente ed iniziare poi una fase di graduale attenuazione.

Nell’aprile 1919 si ebbero le prime avvisaglie: i socialisti decisero di organizzare comizi domenicali davanti alle chiese, in concomitanza con gli orari delle messe; nella parrocchia di s. Luigi [a Milano], però, i giovani cattolici occuparono il sagrato per impedirlo. Ne nacquero tumulti, sassate, successive aggressioni a giovani trovati isolati. Altre violenze si ebbero a S. Eustorgio e la Giunta diocesana indisse un’adunanza di ferma protesta, non tacendo anche le supposte connivenze dell’Autorità pubblica. In Luglio, Giovanni Valota, Segretario della Lega cattolica di Sesto S. Giovanni e noto organizzatore “bianco” venne sorpreso da un gruppo di socialisti sul tram che lo riportava a casa: il tram fu bloccato, il giovane aggredito e ridotto in fin di vita; l’impressione dei cattolici fu enorme. In Agosto Don Tettamanti, dell’Ufficio del Lavoro, fu percosso a Bruzzano; in Settembre il Parroco di Brugherio fu aggredito in casa; nello stesso mese si verificarono scontri e violenze alla Cagnola, al momento dell’inaugurazione del Circolo popolare cattolico. In Novembre, durante la campagna elettorale, Stefano Conio venne fatto rotolare giù dai gradini della chiesa di Rho. Con la Primavera 1920 poi la violenza toccò i suoi punti più alti. Continuarono e si fecero anzi più gravi le aggressioni isolate o di gruppo, sulla falsa riga di quelle già ricordate per l’anno precedente: il 1° Maggio a Desio fu aggredito Mario Longoni; il 10 dello stesso mese una manifestazione cattolica a Crescenzago fu disturbata dai socialisti, che cercarono di strappare il vessillo dell’Unione giovani, bastonando anche delle donne e commettendo atti di violenza contro coloro che stavano tornando a casa. La settimana successiva, “centinaia” di socialisti calarono da Milano a Melegnano, dove erano programmate manifestazioni pubbliche dei cattolici, emisero a soqquadro la cittadina con azioni di vera e propria guerriglia urbana. Gravissimi i fatti di Ottobiano, in Lomellina, negli stessi giorni: la folla socialista aggredì un gruppo di ragazze dell’oratorio femminile di Lomello. [Un fatto simile si verificò ad Azzago, in provincia di Milano, ma per opera di un singolo esaltato][5].

 

Questo evento fu censito da Giorgio Alberto Chiurco nella sua monumentale opera sulla Rivoluzione fascista che, sebbene imprecisa, rappresenta una fedele lettura del clima che si viveva all’epoca:

 

A S. Giorgio in Lomellina (Mortara), 200 educande accompagnate da religiose che ritornavano da una festa, venivano aggredite dai sovversivi; tre monache erano ferite gravemente, ed alcune fanciulle sfuggivano a stento alla violenza dei sovversivi, mercé l’intervento dei Carabinieri e dei fascisti, che si recavano sul posto da Pavia, Mortara, Vigevano, guidati da Cesare Forni, da Magnaghi e dal Capitano Tizzi[6].

 

In realtà – come abbiamo visto – i fatti non avvennero a San Giorgio in Lomellina, ma più precisamente ad Ottobiano, un piccolo Comune di 2.500 anime, distante quattro chilometri, e come ricordò Padre Pietro Gilardi fu un evento di ben altra portata, terminato con lo stupro di alcune giovinette. Giova evidenziare altresì che – nonostante la solita “licenza” di Chiurco – né i Carabinieri Reali, né i fascisti intervennero a difesa delle sventurate. Per vedere nella Lomellina i primi squadristi dovranno passare ancora diversi mesi: le prime azioni fasciste si fanno risalire al Marzo 1921…

Era la sera del 13 Maggio 1920, quando rientravano in paese da un pellegrinaggio a Vigevano un gruppo di ragazze cattoliche. Appena arrivate furono subito ingiuriate da una folla di sovversivi che le circondarono. Sicché le giovani, impaurite, cercarono rifugio nell’oratorio femminile, rincorse subito da “una turba indemoniata di forse duecento giovinastri” della locale Lega socialista[7]. Quello che avvenne successivamente rasenta l’incredibile, se non si ha presente cosa rappresentò per l’Italia il Biennio Rosso: un gruppo di ragazze di S. Giorgio, accompagnate dal Parroco Don Gerosa e da tre Suore salesiane di Lomello, nel mentre si apprestava a salire sul tram che le avrebbe riportate a casa, fu raggiunto da un “manipolo di forsennati”. Tutte vennero aggredite e malmenate e a quelle che tentarono la fuga per le campagne il destino riservò sorte peggiore.

Padre Gilardi, che scrisse queste note agli inizi del 1960 e, quindi, nel tesissimo clima dell’apertura a sinistra della DC, in un tempo in cui il Concilio Vaticano II non aveva esplicato i suoi effetti, evidenziò:

 

Una pagina di storia tristissima ed ammonitrice, attuale penso tutt’oggi, specialmente a certi amoreggiatori di alleanze o aperture, per ricordare che il socialismo, prima e assai più che un sistema politico, è concezione morale che investe tutta la vita e ha ben poco in comune col cristianesimo.

Ad Ottobiano non ci fu, dunque, lo scontro di due partiti, ma di due moralità, o meglio della moralità e della immoralità, della civiltà e della barbarie.

A leggere le pagine infiammate di quei giorni par di respirare ancora l’atmosfera pesante e torbida, l’affanno convulso in cui la folla imbestialita ruppe anche i limiti più vasti di ogni umano controllo. Sono fatti che esplodono, come una montagna che si spacca e diventa vulcano.

[…] La piazza di Ottobiano, verso le diciotto, era di paese abbandonato: un’anima sola non c’era, ma tutto invece quel silenzio. Come un ventaglio che si apre a corone e a svolazzi sempre più netti e festosi giungevano gli echi dei canti religiosi, precedevano di gran lunga l’ansimante sferragliamento del tram, che riportava da Vigevano una fitta schiera di oratoriane. A volte il vento dell’uragano gioca un poco coi fiori prima di abbatterli!

Furono le donne! Tre o quattro entrarono nella Lega socialista al centro della piazza e rimproverarono gli uomini di star a giocare a carte ed a bere, anziché uscire e dare una lezione alle fanciulle del tram, del resto già preparate a ricevere una sonora bordata di fischi e parolacce, ciò che era avvenuto negli altri paesi attraversati.

Quando il tram svoltò sulla grande curva che dalla strada per Tromello immette sulla piazza, i primi manipoli di forsennati irrompevano dalla Lega.

Il fuggi fuggi fu generale entro la provvidenziale porta dell’oratorio femminile, che resistette, puntellata dal di entro dalle Suore e dalle ragazze, alla violenza degli urti. Restarono sul tram le ragazze di S. Giorgio, guidate dal Parroco Don Gerosa e dalle Suore salesiane.

Anche il tram era socialista, in quel giorno, che a spingerlo a braccia avrebbe impiegato meno tempo a percorrere quelle poche centinaia di metri che lo separavano dalla stazione. Durante il tragitto e nella sosta forzata vicino la chiesetta di S. Rocco avvennero le prime scenate disgustose, le percosse, i ferimenti. Non ebbero rispetto neppure di Don Gerosa, che pure era compaesano.

Ricordo la mia casa, proprio dirimpetto la stazione, tutta invasa di gemiti, di lettucci improvvisati e fuori le urla dei forsennati che volevano abbattere il portone d’ingresso e i miei familiari a consolare le povere Suore e fanciulle doloranti o terrorizzate.

Poi, d’improvviso, piombò fitto il silenzio, con la pesantezza del vuoto che incombe sul cielo, dopo il furioso scoppio dell’ultimo tuono.

Altre donne (!!!) erano corse ad avvertire gli uomini che le Suore e le ragazze di Lomello, pensando scongiurato il pericolo, erano uscite dall’oratorio e si incamminavano frettolose verso il loro paese. La masnada si mise al galoppo, le raggiunse in piena campagna.

Ciò che avvenne è sommariamente disgustoso narrarlo, anche a quarant’anni di distanza. Spogliate dei loro abiti religiosi le Suore, buttate a terra e ferite. Le ragazze, disperse nei campi e sugli argini delle risaie, denudate e violentate. Un forsennato col bastone dello stendardo di Maria Ausiliatrice ferì profondamente l’occhio di una di esse. Lo stendardo fu poi bruciato sulla piazza.

Le vittime

Don Gerosa: percosso.

Suor Maria Scolari, di S. Giorgio, percossa.

Bova Margherita, di S. Giorgio, ricoverata all’ospedale di Pavia.

Suor Caterina e Suor Amalia, di Lomello. Tennero alcuni giorni il letto per percosse.

Cartolari Teresa, di Lomello. Ferita gravemente ad un occhio. Degente per molto tempo all’ospedale di Pavia.

Ottobiano e la Lomellina ebbero l’onore e l’onta della cronaca nazionale. Il telegramma di Don Sturzo diede l’avvio a moltissimi altri da ogni parte d’Italia. Anche la stampa di partito si mobilitò a gonfiare ed a sgonfiare, secondo i casi.

Il Maresciallo di S. Giorgio, da cui dipende Ottobiano, arrivò alla Sottoprefettura di Mortara placidamente dopo ben tre giorni dall’accaduto col suo verbale (socialista anche lui, come il tram del pomeriggio dell’Ascensione?).

“L’Araldo Lomellino” commentava (21 Maggio 1920): “L’episodio di Ottobiano ha portato la Lomellina un grado al di sopra del Ravennate e del Bolognese, che pure erano un grado al disopra dei Pellirosse!”.

Per l’On. Prof. Morini, mandato in loco dai capoccioni a fare un’inchiesta ad uso socialista, invece non era successo nulla di speciale, se addirittura non fossero da ritenersi responsabili di provocazione (!!!) quelle quattro Suore e le loro ragazze inermi (“Avanti!”, 30.5.1920).

La Presidenza della Fed. della Gioventù Cattolica della Lomellina, in data 1 Giugno 1920, rispondeva punto per punto con una lettera aperta all’inchiesta Morini, pubblicata su “L’Araldo Lomellino”, mettendo in rilievo efficacemente tutte le menzogne di cui era farcita (4.6.1920)[8].

 

Il 13 Giugno 1920, si tenne ad Ottobiano una “giornata di riparazione” presieduta dal Vescovo Berrutti, cui partecipò una folla di cattolici e l’On. Ursi, inviato appositamente dalla Direzione del Partito Popolare Italiano. Terminata la cerimonia, un corteo si snodò lungo la strada che portava a Lomello, sostando sul luogo degli stupri, ove parlò tale Pianzola.

Se Ottobiano i socialisti non si erano fatti vedere, a Lomello i sovversivi tentarono di disturbare la manifestazione cattolica, scatenando qualche pugilato. Come al solito, i socialisti attesero lo scioglimento dell’adunata per compiere le loro aggressioni. Così avvenne a Semiana, dove furono malmenati quelli del gruppo di Langosco. A Gambolò, invece, i manifestanti che rincasavano vennero accolti con il lancio di sterco animale[9].

Rarissime sono le testimonianze su questo episodio. Lo stesso archivio comunale di Ottobiano non conserva nessun documento in proposito e lo stesso Giampaolo Pansa nel suo lavoro sullo squadrismo nella Lomellina non ne fa cenno[10]. Un richiamo al barbaro evento, invece, compare nel tomo di Pierangelo Lombardi dove si dice: “Una ragazza è spogliata e violentata, un’altra gravemente ferita e nei confronti di due Suore si tenta di usar violenza”[11].

Una ricerca mirata presso l’Archivio di Stato di Pavia potrebbe portare alla luce qualche relazione scritta dalle Autorità sui fatti suaccennati o, magari, rintracciare le carte del processo che fu intentato contro gli autori di tali barbari misfatti. Di certo, ci furono degli arresti e di questo ne fa menzione l’On. Luigi Montemartini (1869-1952) in un suo “garantista”, quanto vergognoso, intervento alla Camera dei Deputati del 24 Giugno 1920: «Il sottoscritto chiede di interrogare il Ministro della Giustizia e degli Affari di Culto, per sapere le ragioni o il pretesto del lungo carcere preventivo di cui devono soffrire alcuni lavoratori indiziati come colpevoli di un fatto doloroso avvenuto ad Ottobiano, deplorevole, ma esageratamente deplorato per mire di parte».

Esageratamente?

Come sempre, quando a commettere crimini bestiali sono i “compagni”, si alza in cattedra il coro del “soccorso rosso”, delle protezioni ad alto livello che si trasformano in complicità diffusa; sempre pronti a negare, giustificare, comprendere. Alla sinistra tutto deve essere permesso. E se si “sbaglia”, si sbaglia sempre a fin di bene. Qualcosa che, come l’odio militante per la propria Nazione, è impresso nel DNA stesso della sinistra italiana, dalle sue origini fino ai nostri giorni. E, si badi bene, l’On. Montemartini non era certo un massimalista plebeo e violento, ma uno stimato socialista riformista, un illustre scienziato i cui meriti furono riconosciuti anche durante il Regime fascista che, nonostante il suo antifascismo, gli diede la cattedra di Botanica all’Università di Palermo, la direzione dell’Orto Botanico di Palermo e della “Rivista di Patologia Vegetale”… L’inumanità del Regime verrebbe da dire!

Il 21 Luglio 1920, rispondeva a Montemartini, chiaramente, Dello Sbarra, Sottosegretario di Stato per la Giustizia e gli Affari di Culto:

 

«Cioccala Luigi, Pagani Carlo, Arlerghi Regina, Colombani Vincenzo, Noielli Ercole, Gatti Pietro, Vaccari Luigi, detenuti dal 18 Maggio, sono imputati, con altri 57, questi sotto mandato di cattura, di violenza privata a senso dell’articolo 154, capitolo 1° Codice Penale, per i noti fatti verificatisi in Ottobiano la sera del 13 Maggio 1920. “L’istruttoria, malgrado il numero considerevole di testimoni, che si dovettero sentire per identificare tutti gli imputati, è al suo termine. Gli atti furono già comunicati per la requisitoria del Pubblico Ministero che richiese alcuni altri dati assolutamente necessari e però il giorno 5 corrente furono restituiti al Giudice Istruttore. Fra giorni anche per questo processo potrà essere fissato il dibattimento».

 

Rimane agli atti, perenne atto di accusa contro la violenza dei socialisti-massimalisti, la cronaca de “La Civiltà Cattolica” che descrisse bene cosa avvenne in quelle ore di follia ad Ottobiano. Pagine che sembrano preannunciare la turpe barbarie in odium fidei che i “rossi” vanteranno come decorazioni al valore durante la guerra civile spagnola 1936-1939:

 

Quale sia la cara libertà che ci prepara l’avvento del regno socialista, lo cominciamo a vedere dalle violenze bestiali che quei bruti già fin d’ora tentano qua e là a sfogo della loro settaria prepotenza. Il 16 [sic; leggasi “13”] Maggio vi era stato a Vigevano un bel convegno di oratorii femminili: nel pomeriggio Suore e fanciulle tornavano tranquille e contente alle varie terre dei dintorni, quando ad Ottobiano Lomellina, nel discendere dal tram, furono assalite da un branco di quei teppisti appartenenti alla Lega locale dei lavoratori, che si avventò contro alle innocenti, percotendole e ingiuriandole, come è costume di tali vigliacchi. È facile immaginare lo spavento delle disgraziate che corsero a rifugiarsi dentro le mura dell’asilo, e furono le più fortunate. Ma quel fiore di canaglia rossa non si tenne pago dell’impresa. Due Suore e sedici fanciulle di Lomello, invece di aspettare il tram si incamminarono lungo lo stradale per rincasare. Lasciatele uscire di paese, una tuba indemoniata di forse duecento giovinastri le rincorsero, strapparono il vessillo della Congregazione di mano alle fanciulle servendosi dell’asta per percuoterle, tolsero il crocefisso alle due Suore, lacerarono loro le vesti, le trascinarono nelle risaie calpestandole e facendone scempio, tra le grida e i pianti delle giovinette che invano si sforzavano di difendere le loro maestre: una delle fanciulle ebbe a riportare una ferita profonda alla fronte con perdita dell’occhio; altre altri oltraggi e maltrattamenti.

Pare che dinanzi a tali vergogne si sia commossa anche l’Autorità e nonostante la protezione della bandiera socialista, una cinquantina di quei mascalzoni sia stata messa in prigione. Il Partito Popolare ha protestato: protestarono le buone popolazioni della Lomellina, dove si sollevò l’indignazione profonda di tutti gli onesti; ma ciò non importa nulla agli energumeni del partito, che anzi ne inviperiscono sempre più cercando tutte le occasioni di sfogare la loro bestiale malvagità. E difatti una scena simile a quella di Lomello avvenne in provincia di Milano, dove di ritorno da una festa religiosa, ad Azzago, un gruppo di giovinette e bambine guidate da alcune Suore con la loro Superiora traversavano la cascina Robiolo, dirette a Corsico. Le fanciulle cantavano Bandiera bianca per studiare il passo: ma quel canto diede ai nervi di un cotale Angelo Barbieri di 29 anni che si scagliò furente contro la Superiora maltrattandola rabbiosamente, stracciandole le vesti, minacciandola con un’arma che trasse di tasca. A quella vista le piccole si sbandarono urlando, le maggiori si strinsero a difesa della Suora e furono percosse barbaramente dal forsennato e una gravemente ferita: finché come Dio volle le lasciò proseguire la loro strada.

Ecco “l’elevazione del proletariato” declamata dai ciarlatani. Del resto è evidente da un certo tempo nelle masnade dei rossi il proposito deliberato di spargere lo sgomento tra le file degli avversari sicché non osino più uscire di casa e mostrarsi all’aperto. Per riuscirvi non esitano neppure di passare alle opere di sangue, tentando di assassinare qua e là quello che osano resistere alle loro prepotenze e ai loro soprusi. A Crescenzago, per esempio, dove era andato il Cardinale arcivescovo di Milano per l’inaugurazione dei circoli cattolici locali, i socialisti si riunirono per fischiare il venerato Pastore, poi assalirono a colpi di bastone il corteggio giovanile che seppe pagarli di buona moneta. Ma quando i giovani dopo la festa tornavano alle loro case furono affrontati dai teppisti con colpi di rivoltella e due ne rimasero feriti, benché non gravemente. Altre aggressioni si ebbero in diversi paesi del Biellese (Novara), altre a Forlì, altre a Milano, a Roma ed altrove. In questi ultimi giorni un povero giovane padre di famiglia, reduce dalla guerra, ascritto al Partito Popolare, venne assassinato proditoriamente da un socialista a Marino solo per feroce rivalità di partito. E questi casi vanno moltiplicandosi ogni giorno più, perché non v’è belva più sanguinaria dell’uomo senza morale e senza religione[12].

 

L’anno successivo, quando l’offensiva squadrista pose fine al Biennio Rosso e la sinistra si spaccava tra socialisti e comunisti in continua polemica e lotta tra loro, il giornale bolscevico di Mortara “Il Proletario” tornava sugli stupri di Ottobiano, definiti ora “fattacci”:

 

Accaddero appunto per opera di quegli scalmanati che noi allora – per quel senso di affettuosa solidarietà che si ha anche verso i figli ingrati – cercammo di scusare, di proteggere e di salvare, salvando con essi il buon nome e la onestà irreprensibile del Partito Socialista. Non possiamo negare che i suddetti fattacci valsero non poco a scuotere la nostra solida posizione in paese[13].

 

Chiara ammissione di responsabilità nella copertura dei crimini, nella più classica tradizione della sinistra italiana. Un atteggiamento dettato dalla falsa convinzione di possedere una “superiorità morale” che tutto giustifica e permette, giunta inalterata fino ai nostri giorni.

Sugli stupri di Ottobiano, del resto solo una delle tante “pagine di gloria” del massimalismo italiano, si è stesa una fitta coltre di nebbia, nella speranza di far dimenticare la violenza politica di sinistra nell’Italia del dopoguerra, anni in cui i fascisti nemmeno esistevano o, se c’erano, erano solo piccole frange di attivisti ai margini della lotta politica di alcune città del Nord Italia. Il Biennio Rosso, invece, fu una realtà che incise profondamente sugli animi degli Italiani, nell’uno e nell’altro campo. In chi vedeva il sorgere l’alba di una profonda rivoluzione sociale che avrebbe spazzato via – nel sangue – la borghesia e chi vedeva, invece, solo l’avvento di una barbara dittatura del proletariato con il suo strascico di violenze bestiali e plebee, come gli stupri di Ottobiano dimostrano ampiamente.

Se per due anni i sovversivi avranno carta bianca nello scatenare le folle alla sommossa, al vilipendio dei valori della Tradizione, della Patria, della religione, ben presto sorgeranno “spiriti nuovi” che, nel 1921, travolgeranno i massimalisti, ponendo fine al Biennio Rosso, nato nella violenza, vissuto nella violenza, stroncato dalla violenza.

La traumatica sconfitta dei massimalisti in quell’allucinante 1921, incapaci di scatenare la rivoluzione tanto annunciata e rispondere alla reazione dei fascisti, non deve far dimenticare le loro violenze e le vittime della loro barbarie che nessuna ideologia, nessun fine, può giustificare. “Gendarmi della memoria” permettendo.

 

Pietro Cappellari

 

 

NOTE

 

[1] “Il Nuovo Trentino”, 7 Aprile 1921, cit. in P. Cappellari (a cura di), Marciare su Roma, Herald Editore, Roma 2013, pag. 81.

[2] G.A. Chiurco, Storia della Rivoluzione fascista 1919-1922, Vallecchi, Firenze 1929-VII, vol. II, pag. 51.

[3] (G.M. Serrati), La loro incoscienza, “Avanti!”, 5 Maggio 1920.

[4] G. Pansa, Vi ricordo la lezione fatale della Marcia su Roma, “Libero”, 28 Ottobre 2012.

[5] G. Vecchio, I cattolici milanesi e la politica. L’esperienza del Partito Popolare 1919-1926, Vita e Pensiero, Milano 1982, pagg. 133-135.

[6] G.A. Chiurco, Storia della Rivoluzione fascista, cit., pag. 58.

[7] Cfr. F. Fabbri, Le origini della guerra civile, UTET, Torino 2009, pag. 214.

[8] P. Gilardi, La presenza dei cattolici lomellini negli ultimi cinquant’anni di storia, Tip. Artigianelli, Pavia 1961, pagg. 60-62.

[9] Cfr. Ibidem, pag. 63.

[10] Cfr. G. Pansa, Le notti dei fuochi, Sperling & Kupfer, 2001.

[11] P. Lombardi, Il Ras e il dissidente. Cesare Forni e il fascismo pavese dallo squadrismo alla dissidenza, Bonacci, Roma 1998, pag. 110 nota.

[12] Cronaca contemporanea, “La Civiltà Cattolica”, 19 Giugno 1920 [Civiltà Cattolica, 1920, vol. 2, quad. 1680, 12 Giugno 1920, pagg. 565-567].

[13] “Il Proletario”, 23 Febbraio 1921, cit. in P. Gilardi, La presenza dei cattolici lomellini, cit., pag. 63.

1 Comment

  • roberto 29 Luglio 2020

    Una vergognosa pagina di Storia : grazie per avercela ricordata!

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