13 Aprile 2024
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Oltre destra e sinistra… socialismo fascista

E’ di prossima uscita il saggio di Roberto Mancini dal titolo Oltre destra e sinistra: socialismo fascista, edito dalla Lucarini. Qui, su Ereticamente, con qualche annotazione in più, propongo la breve introduzione che mi è stata richiesta dall’autore stesso. (Ricordo che con Roberto abbiamo pubblicato il romanzo La guerra è finita, pubblicatoci dalla Ritter). Anche Roberto s’è piccato d’essere (modesto) docente di storia e filosofia come il (geniale) sottoscritto. E, con breve invasione nel campo della narrativa, è ritornato al saggio, che lo considera più congeniale ai termini della sua formazione culturale e professionale. Io, al contrario, ne ho le palle piene di affermazioni citazioni bibliografie, mentre sempre più mi immergo nel ‘cantar’ storie… Le idee, scriveva Robert Brasillach dal carcere di Fresnes, nascono dal contatto con la realtà, sono il frutto di valori quali l’amicizia (il cameratismo). Il saggio, dunque, di Roberto è il senso di frustrazione (in lui acuto particolarmente e, sovente in eccesso) che caratterizza tutti coloro, me compreso, che del Fascismo si sono fatti bandiera per gettare al vento una canzone e di innalzare al sole una bandiera dove la giustizia sociale e il senso eroico dell’esistenza trovino reciproco conforto.

‘Che cos’è il fascismo?’, così s’intitolava un fortunato libro di Maurice Bardéche, riedito da poco dopo la sua prima uscita in Italia nel lontano 1965. E la domanda non appaia peregrina. Per alcuni decenni – ed il vizio permane tuttora quale facile j’accuse – quanto a sinistra era motivo di dileggio e offesa e demonizzazione, fino alla definizione tout-cout di ‘male assoluto’, finiva per essere all’ombra mefitica e malefica del fascismo di ieri di oggi e, chissà, per il futuro prossimo. Parafrasando il Nietzsche, padre dello Zarathustra, dunque, un marchio d’abominio ‘per tutti e per nessuno’. Renzo De Felice, che se n’intendeva, era arrivato al paradosso (?) di chiederne l’abolizione e di circoscriverlo, semmai, fra rigorosi paletti di ricerca storica. Se la richiesta era in sé quale legittima cautela, data l’inflazione del termine, però, cosa resta allora di quella esperienza ventennale? Dei suoi antecedenti presunti o reali? Della nostalgia e richiami e rimandi che pervadono il nostro Paese e l’Europa e altre aree del mondo là dove i conflitti non si tacitano con le bombe o la propaganda? Un contenitore vuoto, secondo lo stesso De Felice, un contenitore utilizzato da Mussolini quando e se si necessitava… Sarà, poi, vero?

Crediamo di no, semmai vi fu troppo e di tanto. Siamo stati educati a pensare la storia come complessità, rigettando quelle interpretazioni provvidenziali idealistiche o economicistiche quando vorrebbero imporsi risposta a una dimensione. Questo, dunque, vale anche per il fascismo. Cosa e quanto trarre da questo contenitore, il tempo e le circostanze lo delineano di volta in volta e, sovente, tutte con pretesa d’essere l’unica e veritiera. E’ che, uomini d’oggi, figli comunque del presente, sta a noi preservare ciò che conta e lasciare alle spalle quanto oramai non è altro che scorie.

Così l’amico Roberto Mancini seleziona distingue sceglie, mai con arbitrio, sempre con l’ausilio dei testi e appropriate citazioni da buon professore di storia ma anche con la passione e la veemenza di chi ha sposato una causa e ad essa intende restare fedele. E’, in qualità di discepolo di Renzo De Felice e della sua scuola (ad esempio, leggasi di Giuseppe Parlato ‘La sinistra fascista’) quel ‘fascismo di sinistra’ che egli rende punto di riferimento, la bussola per tenere diritta la barra della sua ricerca. Sebbene non condivida la definizione, trovandola prigioniera di linguistiche inadeguate e di visioni da scranno parlamentare (essere di destra o di sinistra, sosteneva il filosofo spagnolo Ortega y Gasset, sono varianti per un imbecille di riconoscersi tale), ne apprezzo il contenuto e l’esigenza dichiarata di sottrarlo storicamente e idealmente, nonostante i troppi compromessi e i tatticismi inutili durante il Ventennio ( Monarchia e Chiesa e Finanza gli voltarono le spalle con il 25 luglio e con l’abominio dell’8 settembre ’43, quando si resero conto essere non più funzionale ai propri interessi), con il mondo borghese, le tentazioni reazionarie, le ritrosie conservatrici…

E’ l’Italia ‘proletaria e fascista’, come ebbe Mussolini stesso a dichiarare dal balcone di piazza Venezia il 10 giugno del ’40, che piace all’autore di questo saggio, scritto con mente da storico e cuore di militante, libro che si esplicita più quale manifesto d’intenti che ‘sine ira et studio’ come da Tacito in poi si richiede. E’ una colpa, un limite imperdonabile? Per i saccenti, i dotti, gli estremi propugnatori della cattedra e del registro, in difesa del dato oggettivo quale alibi per non essere là dove spirano venti di bufera, può darsi. Che lo si sappia, almeno ognuno si sceglie la compagnia secondo i propri gusti! C’è chi si schiera, sempre e ovunque, dalla parte del tintinnare di manette toghe codici e chi si gioca tutto, salvo l’onore, tra bastoni e barricate. Insomma c’è un fascismo, che per il Mancini fascismo non è, che si protegge si ovatta si attesta su posizioni di retroguardia, ostile ad ogni cambiamento avventura sfida – e che fu, purtroppo, tanto e troppo della sua storia – ed un fascismo anticonformista irriverente ‘immenso e rosso’ che scalpita osa si rende insofferente là dove ogni orizzonte gli appare confine di un universo concentrazionario.

Un fascismo libertario, e il pensiero si volge a Berto Ricci; un fascismo capace di rappresentare una visione del mondo, pensando alla Scuola di Mistica Fascista e a Niccolò Giani e a Guido Pallotta; un fascismo teso a risolvere giustizia sociale e diritti ai lavoratori, all’ombra del socialismo ed oltre, dove spiccano figure quali Nicola Bombacci o Giuseppe Solaro, ultimo federale di Torino nella R.S.I.. E Giovanni Gentile, il filosofo di Genesi e struttura della società, opera sua ultima ed edita postuma, dove lo Stato nella sua eticità si rende non più solo al cittadino ma eleva il lavoratore a centro della sua essenza. Se questi sono alcuni dei richiami a cui l’autore di questo libro dichiara esplicita filiazione, s’intende quale – o quali – è l’alveo ove colloca la sua interpretazione e se stesso. E, ancor prima, nel percorso d’avvicinamento all’evento in sé, a quel 28 ottobre del ’22, il richiamo va a quel Risorgimento ove non c’è posto per i Savoia e l’opera del Cavour, ma giganteggiano Giuseppe Mazzini Carlo Pisacane e le loro idee…

V’è, poi, una attenzione a quel fascismo – termine, qui, ormai depauperato e inadeguato – che prosegue senza più Mussolini e, come si usa dire, simile alle patate vide il meglio di sè sotto terra. Siamo alla fine del conflitto, alla macelleria messicana delle giornate d’aprile del ’45, dei mesi successivi. Chi si salva, chi esce dalle carceri, dalla latitanza ha due sole scelte: accettare d’essere ‘esule in patria’, scivolare nell’anonimato cercarsi un lavoro costruirsi una famiglia riporre nella dimenticanza i sogni gli ideali in camicia nera oppure divenire presenza politica, di fatto adeguandosi al clima nuovo ove sono i partiti le elezioni gli accordi le lusinghe e i compromessi l’ossatura formale della democrazia, quella sostanziale nella finanza e nei rapporti internazionali, in un mondo diviso in due blocchi e in – apparente – conflitto fra loro. Solo proponendosi a zoccolo duro dell’anticomunismo, difensore acritico della borghesia asfittica ed esangue, delle scelte filo-atlantiche garantirsi la sopravvivenza e, se non una propria autonoma agibilità politica, partecipare sotto-banco alla spartizione della torta… (Di queste vicende fummo testimoni, ad altro pensammo e cercammo di realizzare, ma non è questa la sede per riesumarne fasti e nefandezze). E che il Mancini l’intenda quale tradimento, va da sé, e l’attesta la costante emorragia dal partito di riferimento di quanti furono sensibili alle origini socialiste di San Sepolcro e, nel tramonto, ai 18 punti programmatici di Verona.

Scriveva il filosofo Nietzsche d’aver messo in ogni sua opera qualcosa di sé. Diffidare, dunque, sempre da chi si proclama ‘obiettivo’, da chi offre quale mercanzia l’oggettività. Altra cosa, si badi bene, è l’onestà intellettuale. Quando, poi, la storia è di uomini, a maggior ragione. Così Roberto Mancini entra in questa storia, s’è detto, con un se stesso coinvolto ed irato, a volte incapace di domare. Però ci propone un angolo di visuale, una interpretazione, lo spirito inquieto dell’età dei Titani, per dirla con lo scrittore Ernst Juenger dove, come in un lavacro, si sono date appuntamento componenti sovente dissimili ma animate dalla medesima passione, atte a divenire ‘il fascio di forze’… E, come in un lavacro, la nobiltà del gesto, il rito, l’intento purificatore si mescolano con quanto sa d’impuro, d’inadeguato, di volgare. Il tempo le circostanze sono la spiegazione ma non giustificano. E questo fascismo sempre rinnovato e sempre compresso vive appieno le contraddizioni, le porta con sé e non le risolve. Se non si può alterarne il destino, si può gridare altresì forte ciò che poteva doveva voleva essere. Quell’’Oltre destra e sinistra’, che dà titolo al libro, con eco al ‘Socialismo fascista’ di Drieu la Rochelle che, negli anni ’60 ci educò a divenire ciò che siamo. Un grido che emerge da ogni pagina di questo libro. Personale dell’autore, che si fa quasi portavoce di un’area di dissenso che fu nobile storia, sconfitta e mai doma. Non è poca cosa, pur se non è sufficiente a deviare il percorso degli eventi. O forse no.

Oltre destra e sinistra: socialismo fascista… libertari nei diritti, fascisti nei valori e, va da sé, faccia al sole e in culo al mondo!

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