12 Aprile 2024
Tradizione Tradizione Romana

Nuovi studi sulla Romanità – Terza Parte – La Spiritualità Indoeuropea di Roma e il Mediterraneo – a cura di Luca Valentini

Con questo articolo, la Redazione di Ereticamente ha intenzione di proseguire nella stesura della nuova sezione di approfondimento dedicata ai nuovi studi romanologici, che negli ultimi tempi hanno interessato campi d’analisi scientifici, come quelli dell’archeologia, dell’antropologia, della filologia, della semantica, oltre a quelli prettamente di natura tradizionalistica, come nel caso della presente esposizione.

Abbiamo in questo caso volutamente ripreso, come titolo della nostra disamina, il medesimo dell’ultima pubblicazione dell’amico Giandomenico Casalino, appunto “La Spiritualità Indoeuropea di Roma e il Mediterraneo”, per Libreria Editrice Aseq di Roma, in quanto, a nostro parere, tale studio si inserisce in un filone interpretativo della Tradizione Classica, che codesta Redazione ha voluto perseguire sin dal famoso simposio romano dell’8 Novembre 2014, cioè quello che concepisce il mondo romano quale parte fondamentale di una ecumene mediterranea, che, con l’affermarsi nei secoli dell’Impero, diverrà essa stessa romana.

Il testo, che rappresenta la trasposizione stenografica della conferenza tenuta a Roma il XIV Marzo MMDCCLXVIII a.U.c. presso la sede del Rotaract Club Roma Mediterraneo, la cui introduzione è curata da Paolo Bianchi, presidente dello stesso, fornisce immediatamente al lettore la chiave di lettura del discorso che poi ivi si espliciterà, nel primissimo riferimento, nelCa 2la premessa, al Divino Platone, quale collante filosofico (in guisa arcaica e non sistematico – modernista) tra una Sapienza del Divino, come espressa nel mondo ellenico e pre – socratico, e la sua affermazione nella storia, cioè Roma che rende manifesta la Politeia dello stesso Platone, così come espressa anche nel De Re Publica, quale realizzazione primariamente sapienziale prima che civica e giuridica, nel capitolo finale dedicato al Somnium Scipionis (VIII,18) :

Sappi dunque che tu sei un Dio, dal momento che è un Dio che regge la vita, chi è senziente, chi ricorda, chi prevede, chi governa e regola, muove quel corpo a cui è preposto, così come regge questo mondo quel Dio Supremo; e come se quello stesso Dio eterno, governa il mondo per una parte mortale, così come un animo eterno muove il fragile corpo“.

Casalino riaccende il proprio intuito ermetico, che lo aveva ispirato per la stesura de “Il nome segreto di Roma. Metafisica della Romanità”, concependo la nascita e la genesi dell’Urbe quale manifestazione in piena Età Oscura di un Omphalos del Mediterraneo e dell’ Europa, tematizzando sulla dimensione simbolica della storia romana, quale manifestazione di un preciso processo maieutico di natura marziale, che configura il Romano quale l’Eroe della Tradizione Ermetica. La storia di Roma, antimitica per eccellenza come ci ricorda spesso un Carandini in piena e misteriosa sintonia (per i percorsi personali assolutamente differenti) con Evola, si sviluppa, posta l’immutabilità dell’ Essere quale origine archetipale di Giano, come una palingenesi simultanea del Civis e della Civitas, indi platonicamente del cittadino e dello Stato, verso il ritorno autocosciente del Sacro al Sacro, del Divino al Divino, che realizza il mito nel divenire storico, essendo la storia di Roma un mito eternizzante:

“…questa è la forza immensa ed Eterna di questa Civiltà e questo ha consentito il governo pacifico e giusto del Mondo per oltre un millennio, governo a cui hanno partecipato tutti i Popoli dell’Ecumene romano… “ (p. 11).

In questa preziosa ed appassionata conferenza, il Casalino ha saputo mirabilmente intuire come la Metafisica della Romanità non possa essere ben intesa se non relazionata al Sapere Filosofico dell’Evo Antico e all’Ars Magna: Roma come espressione della “Tradizione Occidentale” e  della “Via Eroica al Sacro” rappresenta l’irrinunciabile dimensione iniziatica che in essa si palesa magicamente. A tale proposito, reputiamo non sia superfluo inserire un piccolo inciso per coloro che si scandalizzano quando sentono accostare il termine “Magia” alla Romanità, quale determinazione prettamente orientale e per nulla italica. In tale maldestra opera di “reductio ad dogmaticos”, ove il romano è abitualmente sminuito ad un credente timoroso e superstizioso (a tal proposito illuminante risulta essere il capitolo “Pietas et Religio – sive Superstitio”, contenuto nel testo “Aspetti esoterici nella Tradizione Romana Gentile”, a firma di Elio Ermete, per le Edizioni Primordia), spesso si citano le Leggi delle XII Tavole ed il decreto del tribuno militare Gneo Cornelio Scipione Ispano, decemviro, pretore sotto il consolato di Marco Pompilio Lenate e Lucio Calpurnio, con cui ordinò ai Caldei di andarsene in dieci giorni da Roma e dall’Italia, ma come sempre la faziosità nasconde sempre il suo punto debole, cioè l’irriducibile avversione per lo studio e le ricerche rettamente condotte. Solo per citare alcuni testi fondamentali, ci si potrebbe rifare a “Italia Magica – La Magia nella Tradizione Italica” (Biblioteca di Storia Patra) di Maurilio Adriani, in cui un intero capitolo è dedicato ai “Bona e Mala Carmina”, in cui si specifica come fosse decretata la pena capitale per il “malum carmen incantare” quale azione nefasta contro terzi, quale riferimento ad una bassa e volgare dimensione magica, legata ai sortilegi ed alle maledizioni. L’uso di un aggettivo come “Mala” determina una qualificazione di merito nell’ambito di una disciplina, in cui vi sono aspetti anche di nobilità, la “validam artem” (p. 23), che si riferisce a Numa, quale pratica augurale di natura sapienziale che nulla c’entra con le pratiche degli astrologici Caldei, che a Roma non designavano la grande tradizione magica delle terre di Ur, ma appunto i praticanti dei Mala Carmina, i fattucchieri, di cui si occupa anche Orazio nelle sue Satire (II, 1, 82ss):

Si mala condiderit in quem quis carmina, ius est iudiciumque? Esto, si quis mala; sed bona si quis? Solventur risu tabulae, tu missus abibis”.

Al lettore, su tali argomenti, rimandiamo alle pagina auree di un Pietro De Francisci che, in quell’opera fondamentale quale è Primordia Civitatis, nella disamina della cosiddetta “credenza nella potenza” specifica l’ambito “magico” insito nella Tradizione di Roma, oltre che agli scritti di uno studioso – sciamano dell’identità italica ed etrusca quale è stato Mario Signorelli.

Tornando al testo di Casalino, il tema non cambia. La via realizzativa romana è essenzialmente – al di là della mera celebrazione religiosa e privata – una via eroica, guerriera, ermeticamente marziale, essendo il Nume la qualità interiore che determina la Grande Opera, cioè la riconquista dell’Oro autunnale in Saturno, indi una via magica, cioè attiva, in cui l’orante, come nelle figure dei FlamCa 3ini o degli altri Pontefici, è appunto ponte col Divino, in quanto il Divino lo incarna, è egli stesso teurgicamente il Divino, come riporta Plutarco. In tale direzione sarebbe interessante condurre uno studio sul significato anagogico e iniziatico del Calendario Romano, al di là del suo riferimento meramente liturgico: opera meritoria che in parte è già stata svolta da Paolo Galiano (“Il Tempo di Roma” per le Edizioni Simmetria), serio studioso e caro amico di questa Redazione.

A Roma, pertanto, è stato assegnato un ruolo centrale nell’ambito della Tradizione Europa e dell’intero bacino del Mediterraneo, quale reintegrazione in spirito della Saturnia Tellus, indi della Tradizione Primordiale, nel suo nucleo più esoterico corrispondente agli insegnamenti dell’ ermetismo alchimico, come enunciati in tutte le forme tradizionali  dell’ umanità:

…la spiritualità Romana è di natura attiva e magica, <<magica>> nel significato attribuito al termine da J. Evola: essere qualificato da un atteggiamento spirituale attivo nei confronti del Mondo, attivo nei confronti delle Potenze stesse del Mondo, sia nella dimensione visibile che in quella invisibile…” (p. 31).

La nuova pubblicazione di Casalino risulta essere un lavoro imprescindibile per coloro che siano sulla via della riscoperta delle radici metafisiche della Tradizione Patria, quale doppia operazione palingenetica, interna ed esterna, che tramite lo spirito uranico indoeuropeo ha la straordinaria possibilità di  trasmutazione interiore dei metalli, in sincronica anagogia con le fasi celesti ed il sorgere di un vero Ordine politico e civile in terra. La rigenerazione animica , il “Mysterium Magnum”, vissuto e praticato sub specie interioritatis, è l’atto rigenerativo costituente e marzialmente inteso della Tradizione di Roma:

Si edifica ciò che dura nel tempo (Perennitas) solo associando i Popoli al Destino di una idea che esprima un Principio metafisico ed una Libertà spirituale nel viverlo ed assumerlo; che sia un’Idea comune a tutti e superiore a tutte le loro Culture e Tradizioni, senza annullarle ma integrandole e sublimandole con Giustizia che è proporzione e misura…” (p. 46).

Infine, quanto tutto questo si debba ricollegare necessariamente  col mondo filosofale del Platonismo (arcaico, medio e nuovo) ed a un riferimento sapienziale che si è espresso in personalità come quelle di Macrobio, di Pretestato o del Divo Giuliano, l’amico Giandomenico lo indica magistralmente nei saggi in appendice, che sono apparsi primariamente su EreticaMente, e della cui citazione in Premessa non possiamo che essere grati all’autore.

Chi volesse partecipare e contribuire a questa nuova rubrica tematica sulla Romanità, può scriverci a redazione@alicedemo.net/ereticamente .

Luca Valentini

 

 

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