12 Maggio 2024
Filosofia

Moto, mutameto e meta – Vittorio Varano

Il collegio dei custodi delle cisterne ha il controllo dell’acqua stagnante contenuta in esse, ne stabilisce le condizioni di accessibilità per gli assetati, gli orari di apertura dei cancelli dei recinti in cui sono racchiuse e dei rubinetti delle fontane, il prezzo a litro, le sanzioni per i trasgressori del regolamento, le riduzioni tariffarie per i poveri fino all’esenzione totale per i nullatenenti, eccetera. Questo monopolio è una situazione di fatto, constatata e riconosciuta senza che gli sia stata mai rivolta un’obiezione, senza che si sia trovata mai neppure per un attimo ad essere oggetto di contestazione da parte di qualcuno dei membri delle popolazioni stanziali che vi si vanno ad abbeverare. Il motivo per cui la funzione dei custodi delle cisterne è sempre stata data per scontata e non è mai stata messa in discussione, è che nessuno ne conosce l’origine, nessuno sa da chi e quando e perché fu istituito il collegio dei custodi delle cisterne, nessuno sa da chi e quando e perché fu presa la decisione di affidargli il controllo dell’acqua stagnante contenuta in esse. Infatti, le cisterne esistevano già prima delle città, e nessuno sa da chi e quando e perché sono state costruite ; infatti, quando sono arrivati i costruttori delle città, le cisterne erano già là, ed erano già là anche i custodi ( potrebbero essere stati loro a costruirle, ma potrebbero anche non essere stati loro a costruirle ) ; nessuno sa da chi e quando e perché sono state costruite le cisterne, ma tutti sanno da chi e quando e perché sono state costruite le città : dai costruttori delle città ; e tutti sanno che i costruttori delle città scelgono una cisterna come centro, e poi ci costruiscono intorno una città ( e tutti sanno che tutte le città sono state costruite così : intorno a una cisterna ). Ma tra gli abitanti delle città c’è anche qualche insoddisfatto che sostiene che l’acqua che stagna che toglie la sete ; questi individui inidonei a trascorrere una comoda esistenza sedentaria, sono costretti ad attraversare le porte d’ingresso delle città, però utilizzandole in modo improprio, non come normali punti d’accesso allo spazio interno, ma come se fossero uscite di sicurezza per casi di emergenza ( come se fossero, ma non lo sono, perché le città sono state progettate dai loro costruttori come luoghi in cui entrare, non come luoghi da cui uscire ), e dopo averle attraversate in senso inverso rispetto alla destinazione d’uso, lasciarsi alle spalle le mura perimetrali, per inoltrarsi nello spazio esterno, aperto in ogni direzione, senza nessun punto di riferimento, senza nessuna indicazione, alla ricerca di quell’acqua che disseta.

Ma quale è ? Quale acqua disseta ? Secondo i cercatori d’acqua, siccome l’acqua che non toglie la sete è l’acqua che stagna, è sicuro che l’acqua che toglie la sete è l’acqua che non stagna – cioè l’acqua che scorre ! Invece non è così : infatti, tutta l’acqua che scorre lo fa verso il basso, tutta l’acqua che scorre è acqua che scende, e questo vuol dire che l’acqua che scorre non è acqua che si muove, non è acqua attiva che muove se stessa, non ha in sé la ragion sufficiente e la forza motrice del proprio moto, per cui non si potrebbe a rigor di termini parlare a proposito suo di moto proprio ma di moto provocato, non di moto movente ma di moto mosso, risultato della spinta esercitata sopra una sostanza inerte da una forza esterna. Insomma, in ultima analisi, anche l’acqua che scorre è una sostanza inerte, esattamente come l’acqua che stagna, né più né meno, con la sola differenza che l’acqua che scorre è acqua che sembra dinamica ma è statica, acqua che sembra viva ma è morta. L’acqua che scorre andrebbe chiamata “acqua-che-sembra”. La sola differenza è questa. Ma questa differenza, pur essendo una differenza esclusivamente apparente ( anzi, non “pur essendo”, ma “appunto per questo” ) è la massima differenza possibile : quella che c’è tra l’essere-così-autenticamente e l’essere-così-apparentemente. L’acqua stagnante è acqua rimasta nella sua autenticità, mentre l’acqua che scorre è acqua sottratta alla sua autenticità e allontanata dalla sua autenticità, scivolata via, trascinata via, travolta dal vortice del tempo che è durata, ma lo è in un senso ben diverso da quello inteso da Bergson, perché la durata è come la distanza : sono ambedue abbreviazioni che andrebbero scritte per esteso, e per esteso sarebbero scritte così : durata-da e distanza-da ; e nelle loro rispettive dimensioni, ognuna delle due è quel che l’altra è nella propria ( la durata è “distanza temporale” e la distanza è “durata spaziale” ) ; come non può esserci distanza che non sia a partire da un primo punto ( o “istante spaziale” ) così non può esserci durata che non sia a partire da un primo istante ( o “punto temporale” ). Come tutta l’acqua che scorre è un’acqua che scende, così ogni durata è una caduta, un venir-meno, un venire-a-mancare, uno smettere-di. Mentre l’acqua stagnante è rimasta attaccata alla sorgente, l’acqua che scorre ha smesso di stare attaccata alla sorgente ; l’acqua che scorre è acqua staccata dalla sorgente. La sorgente è il segreto del dissetamento. L’acqua che toglie la sete non è l’acqua che stagna né l’acqua che scorre ma l’acqua che sgorga. L’acqua che sgorga non è una sostanza come l’acqua che stagna e l’acqua che scorre, ma un atto – l’atto della sorgente. L’acqua che sgorga è acqua sgorgante – non acqua sgorgata ; perché subito appena sgorgata è scomparsa ; perché non può avere durata ; perché la durata è doppiezza, dovuta allo scorrimento, allo slittare della superficie sulla sostanza, rispetto alla quale è sempre più sfasata. L’atto della sorgente, essendo un tutt’uno con la sorgente, è privo di doppiezza, atto che accade e non appare, atto profondo non affiorante in superficie. La sorgente è sotto la superficie, e l’acqua che sgorga non si allontana dalla sorgente. L’acqua delle cisterne non toglie la sete, non perché è acqua stagnante, ma perché è acqua superficiale. L’acqua stagnante è l’aspetto esteriore dell’acqua sgorgante. L’acqua che disseta è la stessa che non disseta, ma da dentro. Chi beve dalla cisterna non si disseta, perché beve come se la cisterna fosse un bicchiere : appoggiando la bocca sul bordo. Chi si disseta non è chi beve un’altra acqua, ma chi beve quell’acqua, in altro modo : buttandocisi dentro. Chi si disseta non è chi va a bere l’acqua che scorre, ma chi si fa bere dall’acqua che stagna, dall’acqua che resta nella cisterna, attaccata alla sorgente in fondo alla cisterna. Chi beve l’acqua che stagna, muore ; chi beve l’acqua che scorre, vive. Ma il contrario di morire non è vivere – è nascere. Chi beve l’acqua che stagna, muore ; chi beve l’acqua che scorre, vive ; chi beve l’acqua che sgorga, nasce.

Bere l’acqua che stagna non serve, perché è acqua superficiale, che si mette sopra la sete, come uno strato che ne copre un altro, e lo nasconde alla vista, ma senza cambiarlo. Bere l’acqua che scorre non serve, perché è acqua che entra nell’assetato, ma gli scorre attraverso, passa e se ne va. Mentre invece l’acqua che sgorga non è acqua che si sposta ma acqua che sposta, che esercita una forza-su, che spinge via la sete e la sostituisce, e trasforma l’assetato in un attributo dell’acqua, in un accessorio dell’acqua, cioè nel custode di una cisterna. Quando sono arrivati i costruttori delle città, le cisterne erano già là, ed erano già là anche i custodi, perché i custodi sono nati dalle cisterne, anfibi immortali emersi da quelle profondità, dopo esserci annegati per dissetarsi, definitivamente. Coloro che siccome in città si sentivano chiusi, carcerati, schiavi, sono evasi, emigrati, erranti, in marcia attraverso il deserto, in viaggio verso la terra dove scorrono latte e miele ( che non sono dissetanti ), dicono che solo ciò che è morto è definitivo, che niente di vivo può essere definitivo, perché tutto ciò che è vivo scorre, scorre sempre, non smette mai di scorrere, e, quindi, i definitivamente dissetati, sono morti, morti viventi, portatori di morte, distributori di morte. Ma la fine non è la sola cosa che non scorre : anche l’inizio non scorre ; a scorrere è ciò che sta in mezzo, è quel segmento che non può essere percorso da un estremo all’altro, perché infinitamente divisibile. L’acqua che stagna non è acqua che ha smesso di scorrere ; l’acqua che scorre non è acqua che ha smesso di sgorgare. L’acqua che sgorga, sgorga da sempre e per sempre ; l’acqua che scorre, scorre da sempre e per sempre ; l’acqua che stagna, stagna da sempre e per sempre. I custodi delle cisterne non custodiscono l’acqua stagnante, ma l’atto originario che ci si nasconde. I definitivamente dissetati non sono i morti viventi, portatori di morte, distributori di morte, ma le personificazioni del principio, le sorgenti abbigliate da individui, sgorgando in singoli corpi e volti, nell’assumere figure di soggetti. Gli apolidi cosmopoliti, ex-cittadini incivili, divenuti per libera scelta nomadi esterni, imbarbariti e dis-urbanizzati, vagabondi senza fissa dimora e senza una meta prestabilita ( poiché l’acqua di cui vanno in cerca, quella viva che disseta, non sanno dove si trovi ) sono convinti che siano stati i costruttori di città a costruire le cisterne e a nominarne i custodi ; credono quindi che il rapporto tra i custodi di cisterne e i costruttori di città sia un rapporto di sottomissione ai costruttori di città da parte dei custodi di cisterne, e di sfruttamento dei custodi di cisterne da parte dei costruttori di città ; costoro ( codesti contestatori vigliacchi, che scappano per non sentirsene complici ) insorgono contro un’ingiustizia illusoria : infatti, i costruttori di città e i custodi di cisterne, si ignorano reciprocamente ; ai costruttori di città non importa nulla dei custodi cisterne, e i custodi di cisterne ne ricambiano l’indifferenza. A tenere insieme i custodi di cisterne e i costruttori di città non è certo il fatto che siano interessanti gli uni per gli altri, ma che sono, gli uni e gli altri, interessati allo stesso oggetto : l’acqua ; solo apparentemente, però, l’acqua a cui sono interessati i custodi di cisterne e i costruttori di città è la stessa, mentre quella a cui sono interessati i cercatori d’acqua sarebbe un’altra. La triplice tipologia dell’uomo corrisponde alla triplice tipologia dell’acqua : i custodi di cisterne sono gli uomini dell’acqua che sgorga, i cercatori d’acqua sono gli uomini dell’acqua che scorre, i costruttori di città sono gli uomini dell’acqua che stagna. Quella che interessa ai cercatori d’acqua è un acqua assente. Quella che interessa ai costruttori di città è un’acqua presente ma astratta, un’acqua che sfugge anche se non scorre, un’acqua che non disseta perché non riempe, e non riempe perché è essa stessa vuota, perché non ha volume ma soltanto superficie, è un’acqua che si può afferrare ma non accumulare, perché non ha spessore, e si potrebbe bere a oltranza senza smettere, ma non diminuerebbe mai la quantità contenuta nella cisterna, e non aumenterebbe mai la quantità contenuta nello stomaco dell’assetato. Alla convivenza della comunità cittadina costituita dai custodi di cisterne e dai costruttori di città ( tenuti insieme dall’illusione di essere interessati alla stessa acqua ) si contrappone l’esilio volontario dei cercatori d’acqua, conseguenza della convinzione ( altrettanto ingannevole ) che in un luogo lontano ci sia un’acqua riservata a loro, il luogo di una grande bevuta da cui tutto il resto dell’umanità sarebbe esclusa.

Quando i cercatori d’acqua hanno scelto di staccarsi dalla madrepatria e di tagliare il cordone ombelicale che ad essa li legava, la decisione presa è penetrata così profondamente dentro di loro da diventare la loro ragion d’essere, e gli si è abbattuta addosso la maledizione della divisione, lo spirito separatore si è impossessato di loro, e li conduce e li accompagna, come una nemesi, facendoli andare dispersi per il mondo, ciascuno per suo conto, ciascuno interessato soltanto alla propria sete e alla propria porzione d’acqua, un’acqua che per essi ha smesso di essere acqua-da-bere, ed è stata ridotta ad acqua-da-avere, astratta unità di misura, che ha massimo valore di scambio, e minimo valore d’uso, la cui unica funzione è come termine di paragone, per dire “io più di te, più di lui, più di lei, più di voi, più di tutti”. Se un uomo cammina coi piedi immersi in acqua e un pesce s’imbatte in uno d’essi, lo prende per un suo simile ( esemplare di una specie particolare, ma pur sempre un abitante del suo stesso elemento ) ; in ugual modo, se un essere sovrannaturale ( un angelo, un dio, etc. – lo puoi chiamare come ti pare e piace, perché l’importante non è il nome ) cammina coi piedi immersi in questo mondo e uno di noi ci si trova davanti, quel che gli appare in forma d’uomo non è una persona in senso vero e proprio, ma solo l’estremità inferiore di un individuo intero che si estende in verticale ben oltre la cima del più alto monte, ed è tanto poco un animale terrestre quanto il pescepiede un organismo acquatico. Ma il caso di questi “Giganti” non è l’unico in cui la dimensione apparente di un essere è diversa dalla sua dimensione reale ; la dimensione apparente di un essere è la sua misura relativa, la sua dimensione reale ne è la Misura Assoluta. Ma secondo la definizione da dizionario, la misura è il “rapporto tra una grandezza e un’altra” ( dal Vocabolario della lingua italiana di Nicola Zingarelli ), il che esclude automaticamente e aprioristicamente la possibilità di concepire qualcosa come una Misura Assoluta. Per affrontare un discorso sulla differenza fra la dimensione apparente di un essere e la sua dimensione reale, è perciò necessario innanzitutto ( anteriormente ad ogni analisi dell’argomento in questione ) riconsiderare la nostra idea ingenua di misura, ed introdurne una che modificando il concetto precedentemente citato di misura come “rapporto tra una grandezza e un’altra”, lo trasformi in quello di grandezza come “misura del rapporto tra un essere e se stesso”. Il rapporto che un essere ha con se stesso è la sua divisibilità, che è dunque la sua dimensione reale. Quest’affermazione può sembrare strana, perché siamo abituati a pensare che tutto sia infinitamente divisibile, a oltranza ; invece non è così. Ogni essere ha una sua divisibilità determinata, che può eventualmente modificarsi col trascorrere del tempo ( aumentando o diminuendo ) ma ciò non significa che sia fluttuante e sospesa nel vuoto come la nube di probabilità di cui parla la meccanica quantistica : impossibile-da-fissare non è sinonimo di “indefinito”, come fraintende l’interpretazione ontologica del principio di indeterminazione di Heisenberg, che non è affatto ambiguo nella sua formulazione esplicita, il cui ambito di applicazione è inequivocabilmente e in modo esclusivo quello gnoseologico, che non riguarda un’ipotetica lacuna della realtà concreta ( una mancanza di contorni chiari e netti ) ma soltanto i limiti della sua conoscibilità sperimentale. Ma lasciamo stare sia la realtà concreta sia la sua conoscibilità sperimentale : infatti, impercettibilmente, smettendo di osservare la dimensione apparente di un essere e spostando il nostro sguardo alla sua dimensione reale, senza accorgercene siamo passati dal mondo fisico al mondo dello spirito, e, filosoficamente, da Leucippo a Leibniz.

La dimensione reale di un essere non è la grandezza oggettiva che attiene ad un corpo. L’unico attributo dello spazio materiale che per la sufficiente somiglianza la può suggerire in modo abbastanza soddisfacente è lo spessore, per la ragione e nel significato per cui si fa riferimento ad esso a proposito delle persone : lo spessore personale è qualcosa che si sviluppa in profondità, un peso specifico che dipende da quanto un essere è denso, perché più è denso al proprio interno e più “se ne può tirare fuori”. La divisibilità di un essere ( e dunque la sua dimensione reale ) coincide con la sua densità, perché la densità è pienezza, e la pienezza è potenzialità di partizione. Ma si può parlare di spessore anche in un altro senso, contrapponendolo cioè alla piattezza, ed essendo la piattezza monodimensionalità, lo spessore è bidimensionalità, e rappresenta quindi la doppiezza. Anche in questo caso ( come in quello del rapporto tra la dimensione apparente e la dimensione reale ) abbiamo a che fare con la differenza fra qualcosa di esteriore e qualcosa di invisibile, ma manca una caratteristica fondamentale della precedente : l’inevitabilità. La doppiezza è una differenza volontaria, dovuta alla decisione di indossare una maschera dietro la quale nascondersi. Le due invisibilità ( quella che è implicita nello spessore spirituale, e quella che è invece in effetti non una vera e propria invisibilità, quanto piuttosto una “visibilità impedita”, ostacolata dall’occultamento, coperta sotto uno spessore spettacolare ) sono alternative, e si trovano l’una rispetto all’altra in un rapporto di reciproca esclusione : dov’è la seconda non può esservi la prima, come l’evidenza e l’esibizione. Il più diffuso fra gli esseri umani è lo spessore del secondo tipo, che è per essi, più che una seconda natura, se non addirittura la natura umana in quanto tale, almeno la condizione umana abituale ( almeno nella nostra situazione attuale, che è quella dei discendenti non dell’Adamo Autonomo Anteriore, ma della Coppia Adamo-ed-Eva, cioè generati dopo la cacciata dal Giardino ). Eppure, ciononostante, camminando fra quei mentitori seriali che sono gli esseri umani, è possibile a volte avere la buona ventura di imbattersi in un caso limite, che ( come il pescepiede incontrato all’inizio di questo vagabondaggio ) è un uomo “solo in parte, e fino ad un certo punto” : l’uomo-senza-schiena. É egli un uomo piatto, ma in senso positivo : cioè, non privo di quello spessore che è altezza d’animo, bensì di quello prodotto dalla sovrapposizione dei successivi molteplici livelli di falsità che si accumula stratificandosi ; e perciò è tutto-facciata-frontale, non ha un lato B posteriore. Costui non può venire colto di sorpresa, non può essere mai raggirato/aggirato, perché non può essere preso alle spalle : per quanto chiunque si possa sforzare nel tentativo di girargli intorno, prova invano, e si ritrova sempre di fronte al suo volto, compreso nel suo campo visivo, messo a fuoco sotto il suo sguardo a cui nulla sfugge. Il processo di crescita a cipolla è come la formazione di un cristallo, che ha inizio a partire dal cuore, quando questo comincia a secernere il pus dell’illusione e dell’inganno, trasformandosi in una sorta di sorgente d’acqua gelida che gli s’indurisce intorno subito dopo esserne sgorgata, inglobandolo in un blocco di ghiaccio. È quel che avvenne agli angeli ribelli, che durante la caduta si solidificarono in corpi celesti. L’incontro di Dante con Lucifero al centro della terra non è invenzione letteraria ma verità teologica : il primo grande condannato sconta la sua pena imprigionato all’interno del pianeta ( estensione della sua stessa carne, escrescenza cutanea callosa ), come un albero sepolto di cui in superficie emergono solo le punte dei rami, che sembrano singoli tronchi separati indipendenti, ma sono le estremità esterne di un unico organismo. Questi siamo noi, convinti di avere cinque arti ( una testa, due braccia, due gambe ) che invece sono cinque dita : ognuno di noi è una mano, parte terminale di quella Piovra pluri-tentacolare. Ma qualcuno riesce a spezzare il cordone ombelicale che lo collega e lo incatena alla madre terra che nasconde in sé la Scimmia del Signore ( Madre Mostro che è la parodia, caricatura grottesca del Padre Nostro che è nei Cieli ), e da burattino ( pupazzo in cui la volontà movente s’infila dal basso come in un guanto ) si trasforma in una marionetta, che è fantoccio, ma non maschera carnevalesca, perché non è in simbiosi con l’indossatore ( al quale dovrebbe adattarsi fin nei minimi dettagli, perché se ne veste come di un abito attillato ), ma l’elasticità dei fili lungo cui si trasmettono le vibrazioni causate dai gesti del Direttore d’Orchestra, lascia ad essa un certo margine di libertà, grazie a cui lo strumento che suona non è esclusivamente un esecutore ma anche un interprete, attivamente partecipe dell’opera a cui contribuisce come collaboratore subordinato, occupando la posizione che gli compete e svolgendo la funzione corrispondente, non secondo il capriccio ( né il suo né quello di chi sta lassù ) ma la capacità. Ma la capacità cos’è ? È la capienza, cioè la facoltà di contenere, la profondità, lo spessore spirituale che di ciascuna entità vivente, a qualunque regno naturale ( umano, animale e vegetale ) o sovrannaturale ( divino, angelico o demoniaco ) appartenga, è la Misura Assoluta. L’uomo-clessidra ha una disfunzione cardiaca, a causa di cui la parte superiore del suo organismo soffre di insufficiente irrigazione sanguigna, perché il debole pompaggio fatica a vincere la forza di gravità ; ma lui risolve il problema così : aspetta che l’ossigeno nella sua testa sia prossimo all’esaurimento, e subito prima che le cellule cerebrali comincino a morirgli, si ribalta di botto, e si mette a camminare con le mani, fino allo svuotamento dei piedi e al riempimento della calotta cranica ; a quel punto assume di nuovo la posizione umana usuale, e la mantiene fino allo svuotamento della calotta cranica e al riempimento dei piedi. L’uomo-clessidra considera patologica soltanto la fase acuta della sua malattia, ma lo è la condizione complessiva, cronica. L’uomo-clessidra è un’anima in pena, senza pace, e trova riposo soltanto nel sonno, perché in posizione orizzontale, essendo provvisoriamente poste sullo stesso piano la parte superiore e quella inferiore del suo organismo, la forza di gravità agisce uniformemente, non c’è differenza di energia potenziale ad interferire con il corretto funzionamento del meccanismo circolatorio. L’uomo-clessidra, indotto in errore dalla concomitanza dei due fatti, fraintende il senso di benessere provato durante il dormiveglia, lo associa allo scivolamento verso il basso della soglia percettiva, e identifica così l’inconscio con il buono. Compiuta questa scoperta ( sbagliata ma creduta con forza ) l’uomo-clessidra diventa uomo-campana, passando dal moto oscillatorio del pendolo, che silenziosamente scandisce il tempo, a quello del batacchio, che lo fa sonoramente. Sbattere la testa per stordirsi è l’obiettivo di tutte le attività “dionisiache” a cui si dedica in questo periodo l’ uomo-campana : divertirsi, distrarsi, drogarsi, danzare, etc. ; questa fase della sua esistenza può avere come esito l’autodistruzione ( materiale o mentale o morale ) oppure una conclusione non catastrofica ma conveniente e costruttiva : la comprensione del fatto che la beatitudine non è abbinata all’alterazione arbitraria dello stato di coscienza, ma all’abbandono della postura da primate, bipede, eretto. Deve stare sempre steso, ma senza dormire ; perché altrimenti, se distendersi significasse addormentarsi per sempre, significherebbe morire. Ma l’unico modo per vivere sdraiato, è strisciando.

L’uomo-scimpanzè ( a questa specie appartengono entrambi, sia l’uomo-clessidra che l’uomo-campana ) diventa uomo-serpente, punto di congiunzione tra i due regni della natura organica : animale-pianta ; essere ctonio e solare simultaneamente. Infatti, pur spostandosi, poiché non si stacca da terra, somiglia a un filo d’erba, a un albero, o un fiore. E come la vegetazione ha la sintesi clorofilliana per rigenerare la sua linfa, anche l’uomo-serpente, essendo un animale a sangue freddo, è fotofago, perché per la conservazione della sua temperatura corporea dipende dall’energia irraggiata dall’astro che ci riscalda, al quale è legato più strettamente in qualità di uomo-rettile di quanto non lo fosse da uomo-mammifero, la cui relativa autonomia fu parziale separazione. Lentamente luce liquida e leggera sostituisce quel sangue che era pesante, e scuro, e denso, come la sabbia di una clessidra ; non però in una rete molteplice e ramificata di arterie e di vene, ma, insieme al midollo spinale, lungo lo stesso condotto che scorre come un fiume carsico chiuso dentro la cavità cilindrica della colonna vertebrale, dove si attua la fusione tra i sistemi nervoso e circolatorio in uno solo, che svolge ambedue le funzioni. Il serpente cambia pelle ; il vetro ( pelle della clessidra ) s’infrange ; la sabbia si rovescia al di fuori e si sparge sul mondo. L’uomo-serpente si muove sulla sabbia che gli si muoveva dentro, e muovendosi vi traccia sopra segni ( lettere alfabetiche, cifre, geroglifici, rune, ideogrammi, caratteri cuneiformi, ) ; l’uomo-serpente è come una penna che dalla bocca spalancata sgocciola inchiostro. L’uomo-serpente, strumento di scrittura celeste. Come un marchio di metallo arroventato fino all’incandescenza dall’esposizione prolungata alla pioggia di fuoco diurno che quotidianamente c’innaffia dall’alba al tramonto, sulla crosta tellurica grinzosa ma solo superficialmente graffiata e molto difficilmente ferita in profondità, pachidermica cute del globo terracqueo ( capo di bestiame pascolante fra miriadi di spazivore mandrie planetarie nella sconfinata prateria dell’universo ) imprime il sigillo del suo proprietario. La spoliazione rende l’uomo esploratore. Ma la spoliazione che rende l’uomo esploratore non è la semplice svestizione, ma quella che è contemporaneamente svestizione e spellamento, quella che facendo cadere tutti gli abiti ( reazioni abituali, riflessi condizionati, schemi di comportamento e di pensiero, eccetera ) mette a nudo la carne viva dell’anima, determinando uno spostamento dalla sensibilità alla suscettibilità, cioè a quello stato di esasperazione sensoriale in cui tutte le impressioni sono amplificate, ed è sufficiente un lieve sfioramento a provocare l’effetto che, in condizioni ordinarie, richiederebbe, per essere ottenuto, un forte sfregamento. Lasciatasi alle spalle, al di sotto e fuori di sé, la sicurezza soporifera dell’uomo comune ( coperto e protetto ) egli è ora un uomo esposto ( a tutti gli agenti atmosferici, a tutte le intemperie e a tutti i pericoli ) e perciò in uno stato di preoccupazione, di preparazione, di prontezza, di sospetto, di paura ( di allarme, di allerta, di attenzione permanente ). Sovraccaricata dall’eccessiva stimolazione a cui si trova sottoposta, la parete periferica ( lo strato superficiale della psiche, che nell’uomo scorticato sostituisce l’epidermide ) si elettrizza, e genera un campo magnetico, che orienta, allineandole su direzioni parallele, tutte le sue particelle, e così lo polarizza, come l’ago di una bussola, che però non punta ad un nord geografico fisso, ma come un rilevatore di radioattività indirizza gli spostamenti dell’esploratore verso ammassi mobili dai quali viene attratto, agglomerati ad alta densità dei tre elementi non aerei presenti in sospensione nell’atmosfera terrestre. Gli animali aerei sono quelli che vivono nell’aria ; gli animali acquatici sono quelli che vivono nell’acqua ; gli animali terrestri sono quelli che vivono nella terra. Dunque l’uomo non è un animale terrestre ma un animale aereo, perché non vive nella terra ma sulla terra, ossia nell’aria ; il suo corpo congenito è un corpo aereo, non un corpo terreo ; gli elementi mancanti al corpo umano sono dunque i tre elementi non aerei mescolati all’atmosfera in alcune aree che sono come macchie colorate sulla sua trasparenza.

L’esploratore ne va in cerca in quanto depositi dei materiali necessari per la costruzione dei corpi ulteriori, da aggiungere al corpo congenito, adatto soltanto al mondo aereo, senza cui non è possibile uscirne. Il mondo aereo è un mondo di apparenze, occupato da esseri viventi privi di realtà propria, mero luogo geometrico d’intersezione tra gli altri tre mondi elementali ( mondo terreo, mondo acqueo, mondo igneo ) dei cui abitanti, quelli del mondo aereo non sono che riflessi, raffigurazioni, rappresentazioni, proiezioni ; ma proprio per questo è il solo mondo che può essere utilizzato come base d’appoggio da cui compiere il salto verso il sovramondo ( o mondo quintessenziale ) perché l’aria è troppo rarefatta per risultare appiccicosa, mentre gli altri, più consistenti, offrono una resistenza maggiore al movimento, e ci si rimane invischiati ; è ciò che nel linguaggio religioso viene indicato dall’idea del “finire all’inferno”, in quanto l’inferno non è uno dei mondi in particolare, ma uno qualunque dei mondi assume carattere infernale agli occhi di chi ci rimane invischiato, a prescindere dal fatto che sia il mondo igneo, che è quello più solitamente associato all’immagine dell’inferno, oppure un altro ( ciò è del tutto secondario ; ad esempio : il mondo acqueo può trasformarsi, intorno a chi ne è prigioniero, in mondo glaciale, altro aspetto sotto cui l’inferno appare spesso nella fenomenologia visionaria ; a sua volta, il mondo terreo può seccare e inaridire fino a ridursi a un immenso deserto ). Gli spigoli/speroni d’altri mondi incuneati in questo, sono zone d’aria opaca ; ne esistono tre tipi : turbini di polvere ( aria impregnata di terra ), nuvole di fumo ( aria impregnata di fuoco ), banchi di nebbia ( aria impregnata d’acqua ) ; l’uomo comune li attraversa ogni volta che gli capita di incontrarne uno, ma senza riconoscerli, e senza ricavarne niente, perché non tutti i turbini di polvere sono intersezioni tra il mondo aereo e il mondo terreo, non tutte le nuvole di fumo sono intersezioni tra il mondo aereo e il mondo igneo, non tutti i banchi di nebbia sono intersezioni tra il mondo aereo e il mondo acqueo. I cinque sensi dell’uomo comune non sono in grado di distinguere un turbine di polvere-sporcizia da un turbine di polvere-sporgenza ( che è una propaggine del mondo terreo che si spinge per un certo tratto di spazio fin dentro il mondo aereo, come un promontorio che è un prolungamento della terraferma in altomare ), non sono in grado di distinguere una nuvola di fumo-sporcizia da una nuvola di fumo-sporgenza ( che è una propaggine del mondo igneo nel mondo aereo ), né un banco di nebbia-sporcizia da uno di nebbia-sporgenza ( che è una propaggine del mondo acqueo ) ; ma quel che non sono in grado di fare i cinque sensi dell’uomo comune, lo può la corporeità captante dell’uomo esposto, la cui concentrazione causa l’estrazione dell’elemento estraneo disciolto nella zona d’aria opaca attraversata, compiendo così una doppia operazione, di depurazione dell’aria ( che viene riportata alla sua condizione originaria ) e di acquisizione di una materia prima preziosa, che sottoposta a un processo di condensazione messo in moto dall’alto peso specifico ( e la conseguentemente elevata forza di gravità personale ) dell’esploratore, diventa utilizzabile come materiale da costruzione per lo sviluppo degli altri corpi, che non sono stati necessari per nascere, ma lo saranno per non morire, perché quello aereo è come l’impalcatura su cui si arrampicano gli operai di un cantiere durante l’attività di edificazione di un fabbricato, destinata ad essere smontata a lavori ultimati. Appena si forma uno dei 3 corpi immortali, il mondo corrispondente comincia ad esercitare un’attrazione quasi irresistibile, e tutti quelli che fino ad un attimo prima erano blocchi ( di polvere, di nebbia, di fumo ) diventano sbocchi : se il corpo formato è quello terreo, dove c’erano turbini-di si spalancano aperture affacciate sul mondo terreo ; se il corpo formato è quello acqueo, dove c’erano banchi-di si spalancano aperture affacciate sul mondo acqueo ; se il corpo formato è quello igneo, dove c’erano nuvole-di si spalancano aperture affacciate sul mondo igneo. Ma mentre l’uomo monosomatico poteva penetrare in una di tali masse solo fino al verificarsi di una reazione di rigetto da parte di essa ( come fosse un organismo vivente che ha subito un trapianto e respinge l’organo che ha ricevuto da un donatore con caratteristiche non compatibili con le sue ) il raddoppiato si trova ancora nella stessa situazione rispetto a 2 dei 3 mondi, ma è ormai omogeneo al terzo, di cui, se per metterci piede facesse un passo o un salto o un tuffo, diventerebbe definitivamente un abitante, perché una volta varcata la soglia, sarebbe come un oggetto bagnato, che, introdotto in un ambiente caldo, si asciuga ( il corpo aereo svanirebbe, dissolvendosi, come se evaporasse ), e rimasto soltanto il secondo ( composto dello stesso elemento costitutivo del mondo in cui quel passo o quel salto o quel tuffo l’ha portato ), sarebbe ridotto come un organismo disidratato, che senza più la flessibilità dovuta alla presenza di sostanze fluide nelle fibre dei tessuti muscolari, s’irrigidisce, rallenta i suoi movimenti, si restringe il suo campo d’azione, e dietro di lui si richiude la porta del mondo in cui s’è addentrato, e dal quale non potrà più uscire. A meno che non lo venga a prelevare uno dei soccorritori membri della squadra di salvataggio, volontari liberi di recarsi dovunque, a recuperare chi è rimasto intrappolato in uno dei 3 mondi-carcere ; ma quest’operazione ( intervento d’emergenza richiesto solo in caso di avvenuto incidente di percorso, se l’esploratore s’incastra in uno dei mondi, perché s’inoltra nel primo che incontra col suo nuovo corpo ) può riuscire solo a condizione che il prigioniero sia disposto a collaborare, accettando il solo modo in cui chi accorre in suo aiuto può tirarlo fuori : fondersi con esso. Infatti, costui non è il conducente di un veicolo per viaggi interplanetari, in cui l’uomo possa prendere comodamente posto come passeggero, ma è egli stesso il mezzo di trasporto. Se invece fa lo slalom come una nave-slitta in discesa su un mar niveo disseminato di maelstrom che rischiano di risucchiarlo, riesce a proseguire il pellegrinaggio, e visita sepolcri e santuari che sono miniere di cellule inorganiche ; la loro ingestione in grande quantità è infatti necessaria a dare nutrimento agli altri 2 embrioni in gestazione nel suo grembo gassoso, fino a che non siano cresciuti sufficientemente da andarsi a collocare accanto al fratello già nato. La formazione dei corpi supplementari si conclude con l’esplosione dell’esploratore, che sprigiona luce, fusione dei 4 elementi base, che costituisce la carne dell’ultimo corpo, quello in cui culmina l’intero processo, quello che riassume tutte le fasi precedenti, e perciò non si aggiunge ai risultati intermedi, prodotti parziali e provvisori, ma li sostituisce. Lo sbocciare di questi fotonici fiori ( consecutivamente coincidenti con il big-bang ) è lo stesso in tutti i casi, non cambia se è un oggetto di conquista o l’effetto di una sconfitta ; non essendo un’esperienza psicologica, che avvenga secondo una modalità passiva oppure attiva è qualcosa di irrilevante, perché il vissuto interiore che accompagna la trasformazione sostanziale sparisce insieme alla personalità particolare dell’uomo che ( o in cui si ) compie la fusione finale ; e quel che rimane è il risultato ottenuto ( ossia l’esistenza oggettiva del corpo di luce ) non la sensazione provata durante lo svolgimento del fenomeno ; a prescindere che sia la gratificazione del realizzato o la gratitudine del redento. La meta raggiunta cancella il cammino percorso ; ma non sempre la meta viene raggiunta.

Nel caso della modalità attiva, l’esploratore potrebbe protrarre indefinitamente la ricerca, senza imbattersi nei giacimenti di cui ha bisogno ; o senza individuarne in numero sufficiente ; o senza identificarli correttamente, classificandoli secondo gli elementi contenuti, per poter scegliere quelli che gli servono, e dirigersi verso di essi ; o senza riuscire a spingersi avanti, scavando, in modo tale da poterne prelevare il necessario, ma al contempo evitando però di sprofondare e perdercisi dentro ; o senza riuscire a raccogliere ed accumulare la giusta misura di minerali ( nel senso di provenienti-da-miniera ), nella dovuta proporzione tra le parti ; insomma, senza riuscire, per un motivo o per un altro, ad arrivare alla quadruplicità somatica, indispensabile ai fini dell’opera in corso, perché nella successione numerica il 4 è il punto d’arresto in cui si può invertire lo sviluppo progressivo e ritornare fino all’1, ma su un piano superiore : non più l’1 aereo iniziale, ma l’1 luminoso infinito. Ciò non può essere fatto prima di aver trovato il quadrifoglio portafortuna, perché è questa la molteplicità minima, la più piccola pluralità unitaria perché autonoma, perché poggiante unicamente su se stessa. Una volta che l’uomo sia diventato un ente quaternario, i suoi corpi ( o aspetti parziali del suo essere ) possono assumere disposizione a tetraedro, retti in equilibrio dal reciproco bilanciamento delle forze attrattive e repulsive, equidistanti da un comune baricentro gravitazionale, che assicura stabilità alla figura ; l’uomo tetragono non teme nulla perché ha una struttura che nulla può smontare. L’ultimo passaggio della somma è sottrarre spazio interno ( soggettività ) dal suo volume, e l’impossibilità del vuoto provoca la compressione del solido fino alla compenetrazione delle sue facce ( volto di aria + volto di acqua + volto di fuoco + volto di terra – cervello = volto di luce ). Altrimenti vanno le cose per l’uomo impacciato nei suoi movimenti, inciampato nei suoi stessi piedi per mancanza di agilità, perché non fu repentino a imparare a gestire il bisomatismo acquisito di recente, coordinando i suoi arti vecchi e nuovi : finito in un mondo chiuso, stordito dal colpo e sotto shock, non si rende conto che dopo l’impatto si rialzò azzoppato dalla caduta, e brancola ottenebrato in un ambiente angusto e buio, ormai organismo non più ossigenato, perché il suo corpo aereo ( che in quello quadrimaterico, se non se ne fosse interrotta la formazione per lo schianto che ne ha disarticolato lo scheletro, avrebbe svolto funzione polmonare ) ne è stato soffiato fuori come da una spugna schiacciata. Nel ripiegamento può prevalere una connotazione di passività o di pietrificazione, e secondo che prenda il sopravvento una coloritura piuttosto che l’altra, al bivio, l’uomo ( che nel suo precipitare ha precedentemente abbandonato la strada principale, scartando di lato fuori la via della perfezione, a seguito di uno sbandamento per eccesso di velocità su una curva stretta nella corsia centrale, in un testacoda dopo il quale si ritrova rivoltato, o da ricerca a richiesta, o da ricerca a rinuncia ) svolta a destra oppure a sinistra, e imbocca la via della penitenza o della perdizione ; può rannicchiarsi in atteggiamento ricettivo, come un feto, o di rifiuto, come un riccio. Alla prima caduta ( quella dell’uomo iniziale dal mondo aereo, consistente in una perdita dello spazio ) corrisponde quella dell’uomo intermedio, che non è propriamente una caduta ma una cronocontrazione, cioè una cessazione dello scorrere del tempo ; l’uomo caduto soltanto una volta non ha più l’opzione dell’attività, ma gli viene offerta una seconda ed ultima occasione : l’attesa, in cui il tempo non si perde, anzi, si mette da parte ed aumenta, e insieme ad esso, nella materia umana aumenta la morbidezza, perché la morbidezza è malleabilità, e malleabilità vuol dire temporalità, perché temporalità significa trasformazione. Ma se la struttura portante non è soffice a sufficienza può essere spezzata a furia di subire ; allora, alla fiducia subentra lo spavento, alla speranza subentra la stanchezza, alla sofferenza subentra l’insensibilità, e alla duttilità subentra la durezza. Ed essa durerà.

D’ora innanzi, alla prima avvisaglia dell’avvicinarsi di un organismo animato qualsivoglia apparso in lontananza, avvertirà la semicosciente impressione di essere il bersaglio di un’aggressiva minaccia incombente, come potrebbe provare uno che non crede all’esistenza degli ufo, in caso di avvistamento di un oggetto volante non identificato in moto veloce all’orizzonte, che al minimo accenno a farglisi accosto attirerà su di sé un’avversione simile o persino superiore a quella che si avrebbe nei confronti di un alieno appena atterrato e sbarcato dalla sua astronave, indipendentemente da ogni manifestazione esteriore delle sue intenzioni ( ogni intelligibile comportamento dalla cui interpretazione si possano indurre o indovinare ) dando per scontato che il modo migliore per affrontare un incontro ravvicinato di qualunque tipo sia sempre e comunque assumere un atteggiamento scontroso ; e sarà accolto con il dispiegamento di forze e armi di difesa che una fortezza sotto assedio opporrebbe a oltranza all’attacco sferrato dall’esercito nemico, consumando tutte le proprie energie, fino a che non ne esaurisce pure l’ultimo residuo. Così sfuma anche la possibilità di quella possessione angelica in cui l’anima, entrata in simbiosi con un’entità luminosa, ne sarebbe lentamente assimilata. La perdita della spazialità è una metamorfosi in due fasi : inizialmente si toglie di mezzo lo spazio considerato sotto l’aspetto di spazio geometrico, sistema di riferimento, croce cubica delle coordinate, quadrante degli spostamenti ; poi, alla paralisi segue l’accecamento, si ha cioè il venire a mancare dello spazio considerato sotto l’aspetto di spazio scenico : non potendo più partecipare alla rappresentazione in qualità di personaggio ma solo come elemento del paesaggio, l’uomo-pianta in un primo momento passa dal ricoprire un ruolo ( di attore ) all’occupare un posto ( di spettatore ), ma dopo un periodo più o meno lungo, poiché la sorte non ha per lui più niente in serbo, la storia, che non lo riguarda, non gl’interessa, e smette di osservarla. Così giunge a termine ( attraverso il passaggio intermedio dall’io-agisco all’io-assisto ) la trasformazione dell’essere-agente nell’essere-assente. L’uomo-sasso cola a picco in se stesso come in uno stagno, e scambia la realtà col sogno. Ultimo atto del dramma : alla fine della discesa tocca il fondo, e adagiatocisi sopra s’addormenta ; ed entra in un sonno da cui non esiste risveglio. Questa è la seconda morte, la morte dell’anima, l’inizio della dannazione eterna, la sentenza di condanna che può essere pronunciata a prescindere dal giorno del giudizio universale, che riguarda la fine di questo mondo, e tutti quelli che appartengono ancora a questo mondo ( vivi o morti che siano, perché non è sufficiente morire per lasciare questo mondo ), mentre il giudizio personale anticipato è riservato a coloro che non appartengono più a questo mondo ( morti o vivi che siano, perché non è necessario morire per lasciare questo mondo ) ma si sono trasferiti e stabiliti su uno degli altri. Gli altri mondi non sono altri pianeti o altre stelle o altri sistemi solari o altre galassie, perché qualunque altro pianeta e qualunque altra stella e qualunque altro sistema solare e qualunque altra galassia farebbe pur sempre parte di questo stesso universo fisico, di questo stesso livello di realtà, di questa stessa modalità di manifestazione materiale. Gli altri mondi sono adiacenti a questo ma non sono a contatto con esso, perché separati da intervalli di inesistenza simili ad intercapedini indeterminate secondo una legge di autoesclusione che li fa funzionare o da isolanti termici o da insonorizzatori ; simili a filtri che trattengono le impurità e le interferenze, ma o coprono solo la fascia mediana dello spettro dei fenomeni ( del suono, della luce, etc. ) e si lasciano sfuggire sia quella superiore ( “rumori” ultrasuoni e “colori” ultravioletti ) sia quella inferiore ( “rumori” infrasuoni e “colori” infrarossi ), oppure, se per coprirlo interamente si allargano a ventaglio aumentando la propria estensione fino ad abbracciare la sua dall’uno all’altro estremo, intercettano svariate vibrazioni ondulatorie e più d’un genere di radiazioni elettromagnetiche, ma non tutte quelle comprese tra i due, non tutte restano impigliate nella rete, perché come se ad aprirsi fossero mani, alcune frequenze, infilandosi negli interstizi tra le dita divaricate, non vengono afferrate ; come una merce di contrabbando non sottoposta a controllo doganale, oltrepassano la linea di confine, e disseminano il territorio al di qua della frontiera di segni, di tracce, di orme, di impronte, di indizi di quello che c’è al di là.

Gli oggetti ostruenti asportabili sono come tappi di sughero infilati nel collo delle bottiglie così profondamente da non lasciar sporgere nemmeno un sottile dischetto rotondo in rilievo, nessun dislivello rispetto al perimetro del bordo di vetro che lo circonda, con cui forma una superficie continua piatta e liscia, in cui né la pupilla né il polpastrello percepisce interruzione, differenza e passaggio. Gli oggetti ostruenti asportabili occupano come elementi ornamentali e riempitivi gli spazi che restano vuoti nei punti in cui non combaciano completamente e s’incastrano male i mattoni del muro del mondo. Il mondo è un arazzo ricamato con filo di lana grezza su pannelli di stoffa tessuta a grana grossa, un paesaggio dipinto ad affresco sulle pareti interne del palazzo dove l’uomo è imprigionato, costruite come le mura ciclopiche che le civiltà arcaiche edificavano in epoche remote con blocchi e lastroni di pietra di forme irregolari, senza calce e malta a cementarli. Nel palazzo ( che più che un palazzo è un castello ( che più che un castello è una reggia )) si susseguono ambienti diversi : camere, cantine, corridoi, cortili, giardini, locali, saloni, sgabuzzini, stanze e vani vari, etc. ma non s’incontra neppure una porta. Il groviglio intricato in cui si snoda la loro sequenza disegna sul pavimento del palazzo il tracciato di un labirinto pieno di vicoli ciechi, in agguato dietro ogni angolo, dopo ogni svolta una strada interrotta, la fine di una direzione, una barriera naturale oppure una barricata artificiale che blocca il cammino. La difficoltà di muoversi nei suoi cunicoli spinge alcuni a sedersi a gambe incrociate e chiudere gli occhi, non rendendosi conto che la ricerca di un rifugio personale in cella d’isolamento è un ripiego rispetto al progetto di fuga dal carcere : non si tratta di ignorare il mondo ma di uscirne, di incedere fuori dei suoi confini inoltrandosi realmente all’esterno ; attenuarne l’evidenza non è attuare l’evasione : la presa di coscienza del carattere illusorio del mondo ha un’efficacia limitata al livello cognitivo, e neanche l’eventuale conseguente ( ammesso e non concesso che il nesso ci sia ) venir meno dell’attaccamento emozionale nei suoi confronti, costituisce un effettivo risveglio salvifico, ma tutt’al più una liberazione esclusivamente affettiva. La conoscenza concreta del mondo è condizione per poter avere i punti di riferimento e il relativo senso dell’orientamento, necessari a indirizzare i propri passi fino a individuare gli sportelli che sigillano gli sfiatatoi dei condotti d’aerazione, in cui è possibile introdursi, e percorrerne tutta la lunghezza fino all’estremità opposta, che sbocca sull’atmosfera da cui il palazzo, come fosse il polmone di un fumatore, pompa il poco ossigeno che filtrando attraverso il catrame da cui le sue cellule sono incrostate, arriva a noi ( che saremmo i globuli rossi in attesa negli alveoli cancerosi ) soffocati dalla sua insufficienza. I coperchi in questione sono gli oggetti ostruenti asportabili, che sembrano a volte cose ( reliquie, suppellettili liturgiche, accessori consacrati nel corso di cerimonie religiose o benedetti per essere usati in pratiche devozionali come i rosari, strumenti magici magnetizzati come amuleti e talismani, libri come testi sacri, poemi epici, trattati filosofici e teologici, opere d’arte che siano capolavori destinati ad avere una durata millenaria, etc. ) a volte persone ( sacerdoti, confessori, mistici, individui illuminati, conservatori di tesori e depositari di segreti e di misteri, guardiani della soglia con enigmi da far risolvere e parole d’ordine da chiedere e prove a cui sottoporre, combattenti della guerra santa, maestri di verità ed esempi di virtù, architetti, musicisti, pittori, poeti, scultori, che siano stati scelti dalle Muse per svolgere la propria attività al Loro servizio, etc. ) a volte luoghi ( tombe di martiri, santi ed eroi ; chiese, eremi, conventi, monasteri, logge e templi ; sedi di organizzazioni iniziatiche, di confraternite e scuole di perfezione e di sapienza, etc. ) ma non sono mai né cose né persone né luoghi, perché ( contrariamente alla maggior parte delle cose, che sembrano cose e sono cose ; contrariamente alla maggior parte delle persone, che sembrano persone e sono persone ; contrariamente alla maggior parte dei luoghi, sembrano luoghi e sono luoghi ) non formano un tutt’uno con lo sfondo, non sono fusi ad esso – lo erano, prima che fossero, da forbici nei cui anelli non sono infilate dita, ritagliati dal grande foglio di carta del cosmo, e resi simili a pezzi mancanti di un puzzle o tessere staccate da un mosaico a martellate – ed anche qui in assenza di mani impugnanti. Gli osservatori del cielo ( Pitagora, Parmenide, Platone, Plotino, etc. ) e i coltivatori della terra ( Anassimene, Anassimandro, Anassagora, Aristotele, etc. ) non sono due corporazioni in competizione, perché per raggiungere una meta ci vogliono due cose : una bussola e una mappa ; gli osservatori del cielo ci forniscono la bussola, i coltivatori della terra ci forniscono la mappa. Ma dalle due corporazioni di cui stiamo parlando ( osservatori del cielo e coltivatori della terra ) riportiamo il discorso a quella con cui lo abbiamo cominciato : il collegio dei custodi delle cisterne.

I custodi delle cisterne ( quelli di cui abbiamo parlato all’inizio ) sono oggetti ostruenti asportabili ( quelli di cui abbiamo parlato appena adesso ) e le cisterne ( quelle di cui abbiamo parlato all’inizio ) sono sfiatatoi dei condotti d’aerazione ( quelli di cui abbiamo parlato appena adesso ). Il cerchio si è chiuso, ma non abbiamo girato a vuoto. Infatti, muoversi in tondo provoca un avvitamento, e scava, trasformando il girovago in punta di trapano, un buco sempre più profondo ad ogni ripetizione del percorso, e quando il pozzo prodotto finisce per sfociare al largo in mare aperto ( in quel mare d’aria dove sta sospesa l’isola-palazzo ) assume la funzione del condotto d’aerazione, e la sua imboccatura svolge il ruolo dello sfiatatoio, oggetto ostruente asportabile ( o come l’ho definito descrivendo la metamorfosi dei costruttori di città in custodi delle cisterne : ), attributo dell’acqua, accessorio dell’acqua, sorgente abbigliata da individuo. É l’ennesimo sviato cercatore d’acqua tornato alla base, ravvedutosi ( giunto a “conoscer chiaramente che quanto piace al mondo è breve sogno” ) dopo lo smarrimento di un lungo periodo ( “primo giovenile errore quand’era in parte altr’uom” ) trascorso invano a andar ramingo all’inseguimento di un fantasma, “mesurando a passi tardi e lenti”, come Francesco Petrarca, “solo e pensoso i più deserti campi”, e “monti, valli, paludi, e mari, e fiumi” ; figura opposta a quella di Josef Knecht, il protagonista del Gioco delle Perle di Vetro di Hermann Hesse, che scappa dall’ordine/casta di sapienti/sacerdoti/scribi, e va incontro allo stesso destino di Phlebas il Fenicio ( la morte per acqua, titolo della quarta sezione della Terra Desolata di Thomas Eliot ), entrambi annegati nell’acqua sbagliata ( o l’acqua che stagna nel lago in cui si tuffa in cerca di godimento l’ex-contemplatore Josef Knecht, o l’acqua che scorre nel mare in cui naviga in cerca di guadagno il commerciante Phlebas il Fenicio ).

Vittorio Varano

2 Comments

  • Ghio 5 Agosto 2018

    È deplorevole che Guenon scrivesse in modo chiaro e diretto, evitando miti e allegorie, rivelando così le verità a tutti e non ai soli eletti

  • Ghio 5 Agosto 2018

    È deplorevole che Guenon scrivesse in modo chiaro e diretto, evitando miti e allegorie, rivelando così le verità a tutti e non ai soli eletti

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