9 Aprile 2024
Segnali di Luce

Messaggio in bottiglia – Rita Remagnino

La dottrina celeste esposta da Dante nel Paradiso non corrisponde al racconto biblico, nel quale non si parla di Intelligenze Angeliche, né di materia, né di virtù informante. Creati direttamente da dio i cieli danteschi sono inoltre immortali mentre le Scritture affermano «i cieli periranno», «i cieli si dissolveranno». Più che attingere dal cattolicesimo la visione dantesca sembra dunque rifarsi al sistema meccanicistico di derivazione aristotelica che vedeva l’universo come un insieme di otto sfere (sette collegate ai pianeti e una alle stelle fisse) attorno al mondo sublunare costituito dalla Terra e dai quattro elementi (acqua, terra, fuoco, aria).
Il moto dei corpi celesti, e non dunque la volontà divina, influiva sui cambiamenti mondani e di conseguenza sui terrestri, ciascuno dei quali nascendo portava in dote un tema natale diverso da qualsiasi altro. La teoria non era del tutto nuova bensì una rimodulazione della divinazione mesopotamica con cui il mondo greco venne in contatto a partire dal IV secolo a.C. A sua volta la concezione mediorientale attingeva acqua da fonti ben più lontane nel tempo e nello spazio, risentiva cioè dei metodi già in uso da secoli presso la classe dirigente cino-indiana, la quale non muoveva un dito senza il benestare dell’astrologia/astronomia.
E’ dunque grazie alle comuni conoscenze eurasiatiche che Dante viene attraversato come un parafulmine dall’influenza delle Intelligenze celesti. Arriva sulla Luna, sperimenta Mercurio e Venere, viene vivificato dal Sole, vede l’immagine grandiosa della croce di Marte a cui seguono quelle altrettanto spettacolari dell’argentea aquila di Giove e dello scalone-simbolo della vita contemplativa di Saturno. Fino a raggiungere la visione della “luce etterna” capace di rilegare con amore in un unico volume ciò che appare slegato come tanti fascicoli sparsi per l’universo. “Nel suo profondo vidi che s’interna, / legato con amore in un volume, / ciò che per l’universo si squaderna” (Paradiso, canto XXXIII, 85-87).
Il volumen (l’ὁλκός pitagorico della sfera) che racchiude il mondo squadernato nei quattro elementi viene rappresentato dal simbolismo aritmetico, temporale, musicale, ritmico. Penetrandolo si percepisce il suono che fa del mondo un cosmo, permettendo al Tutto di vivere all’unisono con l’armonia delle sfere.
Sottolineando l’incompetenza di quanti hanno approcciato e commentato il viaggio dantesco in un modo del tutto «profano», René Guénon sostiene nella sua opera “L’esoterismo di Dante” che i cieli danteschi sono di fatto «gerarchie spirituali», vale a dire altrettanti gradi d’iniziazione. Le vesti bianche degli Eletti, o Perfetti, sarebbero un’allusione all’abito dei Templari mentre lo scopo reale del percorso iniziatico mirerebbe al compimento totale dell’essere, cioè alla conquista attiva degli stati «super-umani» in vista dell’Unità.

 

Il grande mistero del Molteplice nell’Uno era già stato affrontato nel passo della Bhagavad Gītā dove Krishna fornisce ad Arjuna un «occhio divino» per permettergli di vedere la sua «forma»: “Guarda ora, Arjuna, l’intero universo, con tutto ciò che si muove e non si muove, riunito insieme nella Mia forma universale. Qualunque altra cosa desideri vedere, osservala tutta all’interno di questa forma universale” (BG XI, 7).
La terzina dantesca che celebra la “somma luce” non si discosta molto dall’originale: o luce eterna che risiedi solo in te stessa, e compresa da te e comprendendoti, ami e sorridi! “O luce etterna che sola in te sidi, / sola t’intendi, e da te intelletta / e intendente te ami e arridi!” (Pd XXXIII 124-126). Al di là di queste parole già perfette c’è la geometria, ovvero il punto e il cerchio che essendo impossibili da misurare sono i simboli più adatti a rappresentare il Divino. L’alchimia ne fece il simbolo dell’oro: il punto centrale rappresentava la Volontà originaria, prima Ipostasi dell’Uno, mentre l’estensione della circonferenza raffigurava la totalità del generato.
Secondo il pensiero orientale, che gli Europei hanno condiviso e valorizzato prima di votarsi alla struttura e ai meccanicismi, esiste una sostanza universale, fonte di tutto, così sublimata e sottile da superare qualsiasi possibile comprensione intellettiva. Si tratta di un «tessuto di luce» formato da un’infinità di elementi che però costituiscono un unicum, un punto, ovvero il «sempre identico» che “tal qual è sempre qual s’era davante” (Pd XXXIII 111).
In esso Dante vede tre cerchi di tre colori ma di uguale circonferenza, e, come iride da iride, uno pare riflesso dall’altro, mentre il terzo sembra un fuoco che spira ugualmente da entrambi. Fin qui i versi corrispondono alla definizione teologica della Trinità; sennonché nel secondo cerchio che rappresenta il Figlio, il poeta vede un volto umano (Pd XXXIII 127-131). Ma chi è la “nostra [umana] effige”, Cristo o il poeta stesso? Com’è noto il ricercatore finisce sempre per identificarsi con quanto ricerca, quindi chi trova dio trova se stesso. Vedendo dio, vede se stesso.

 

Anche nella visione indiana il Cosmo è concepito come un «tessuto» invisibile, un’enorme «trama lucente» fatta d’aria (vāyu) che tiene insieme i mondi legandoli all’universo con i suoi fili (Brhadaranyaka Upanisad III 7,2); è scontato che questa «legatura» cosmica è interamente nelle mani del Signore. La dicotomia «incatenato-liberato», «legato-slegato», domina il pensiero indiano, rimbalza nella cultura indoeuropea, ricorre nella caverna di Platone, passa per Plotino ed infine incontra Dante confermando la vitalità di un archetipo che testimonia l’intima consapevolezza dell’uomo riguardo alla sua posizione nel cosmo.
Altrettanto collaudata appare l’architettura dantesca dei tre mondi, la cui fonte ispiratrice fu probabilmente Rivelazioni della Mecca di Mohyiddin ibn Arabi, un grande Maestro spirituale (cioè un Esh-Sheikh el-akbar) prestato alla letteratura. A sua volta costui aveva attinto all’Arda Viraf Nameh, un testo mazdeiano ispirato dal Brahamanesimo e dal Buddhismo.
Ormai giunti alla fine del cammino non ci sarebbe neppure bisogno di esibire ulteriori «prove» a conferma della caleidoscopica multiculturalità del pensiero dantesco, ma tanto vale ripeterlo: l’unità della dottrina contenuta in tutte le tradizioni euroasiatiche ha sostenuto per millenni una grande Civiltà che fino al Medioevo ha visto la partecipazione attiva del sub-continente europeo. L’avvento del modernismo industriale di matrice anglosassone ha trasformato quindi l’universalismo produttivo in sterile provincialismo, facendo sprofondare nel nulla i popoli «occidentali», così detti per il loro posizionamento geografico nella parte occidentale dell’Eurasia. Qualcuno se lo ricorda?
Purtroppo la società unipolare odia tutto ciò che riguarda lo Spirito, che notoriamente non è una fonte di reddito. Come uscendo dal lungo inverno glaciale il Sapiens si è mostrato responsabilmente considerante [cum-sidera], cioè «immerso negli astri», così l’umanità altamente desiderante dell’Occidente imbarbarito ignora le Forze che la circondano. Neppure s’accorge di muoversi al buio, ignorando che il termine «desiderio» deriva dal latino «mancanza [de] di stelle [sidera, da sidus, sideris]».

 

Per sua fortuna lontano dalle follie moderniste e transumaniste Dante procede invece «all’antica» sobbarcandosi un viaggio epico di cui spiegherà le motivazioni solo alla fine, in Paradiso, quando il «mandato ufficiale» gli verrà confermato dal trisavolo Cacciaguida. Teme di non riuscire a sopportare la fatica della scrittura, e, in effetti, non è facile descrivere gli stati che riguardano l’immateriale, l’Anima e lo Spirito. Lungo il cammino lo abbiamo visto spesso lottare contro l’insufficienza della parola, e nell’ultimo canto la sua ansia si manifesta per ben tre volte: quando il “parlar […] a tal vista cede” (v.56), mentre la “favella è corta” (v.106) e per il “corto il dire” (v.121).
Nonostante tutto riesce nell’intento, aveva una missione da compiere (per conto di dio) e l’ha compiuta. Tant’è vero che ancora ci parla, e probabilmente continuerà a farlo: se anche la maggioranza oggi legge la Commedia poco e male perché l’uomo tecnologico è terrorizzato dalla profondità, la nostra natura fisica non è cambiata rispetto al Medioevo o al paleolitico.
Volenti o nolenti siamo sempre gli stessi, e dunque il visibile continua ad essere il risultato dell’attività spirituale di Forze interne ed esterne che attualmente ignoriamo, ma non sarà così per sempre. Indipendentemente da noi la materia è energia, o spirito, nella sua forma più densa, mentre lo spirito è materia nel suo aspetto più sublimato.
Ogni forma interpenetrata di etere possiede un corpo eterico e l’uomo non può chiamarsene fuori. Come l’atomo ha un nucleo positivo ed elementi negativi, così ogni corpo eterico ha centri positivi di forza immersi in sostanza negativa. Ne consegue che il corpo eterico è positivo mentre il corpo fisico è negativo, ma siccome il secondo mette in movimento e mantiene in vita il primo si qualifica come forza di coesione. Dante dice infatti che le cose immateriali (spirituali) sono state create da dio mentre quelle materiali (il mondo) sono opera dell’anti-dio.
Il dualismo dantesco, come del resto quello tradizionale, non si limita a separare il Bene dal Male ma riguarda opposizioni fondamentali quali l’eterno e il transitorio, il vero e l’illusorio, l’inalterabile e il corruttibile, l’essere e il nulla. Conoscenze ben note agli Antichi che oggi vengono spiegate dai fisici attraverso l’alternanza di luci ed ombre: i neuroni del cervello dei mammiferi, umani e non, sono in grado di produrre fotoni di luce misurabile, i cosiddetti «biofotoni», fasci di energia elettromagnetica tramite cui il cervello comunica sia con lo stato fisico del corpo, sia con lo stato cosciente, cioè con la coscienza. Più biofotoni (luce) si producono e più aumentano le possibilità di risvegliare lo Spirito poiché il cervello genera energia quantica. Per questa ragione salendo di cielo in cielo il poeta viene investito da un crescendo di fasci di luce, ovvero di consapevolezza.

 

Benché inafferrabile la sostanza universale sarebbe addirittura più densa della materia, e, relativamente all’entità emotivo-energetica chiamata «essere umano», nell’acquistare densità attraverserebbe sette centri principali di energia collegati al sistema cerebro-spinale. Il nome indù di questi «agenti dell’anima» è chakra: quattro centri si trovano sopra il diaframma e tre sotto, l’attività di ognuno di essi varia con lo stato evolutivo dell’individuo.
Al momento il Sapiens manifesta solo i tre inferiori: ha un corpo fisico, uno emotivo e uno mentale. Per questa ragione i beati del Primo Cielo, la Luna, hanno ancora un’immagine vagamente umana, visibile come un riflesso nell’acqua; i beati del Secondo Cielo, Mercurio, sono figure avvolte da una luce intermittente che aumenta con la gioia; i beati del Terzo Cielo, Venere, «s’accendono ad amore, secondo la loro disposizione» e sembrano faville attorno a una fiamma, o una voce variabile che regola il tono su un’altra che resta ferma.
Centrando per l’ennesima volta il bersaglio Dante incontra il vero Spirito solo nel Quarto Cielo, il Sole. Quassù il poeta vede i beati come luci sfolgoranti mentre formano una corona (hanno ritrovato la capacità di agire insieme) e cantano con voce melodiosa qualcosa d’indescrivibile a parole (usano cioè un linguaggio oggi inesistente). Dobbiamo dedurne che la prossima tappa del Sapiens sarà «solare»? O prendendo coscienza dell’Anima, il Sé sperimenterà una sintonia inedita?
Per il momento solo pochi rari soggetti, che si sappia almeno, sono riusciti nell’impresa di attivare i centri della testa e del cuore, la cui fusione può essere considerata espressione di dio (spirito, anima e corpo riuniti). In costoro il corpo è il veicolo dell’Anima, che a sua volta anela ad esprimere la volontà e il proposito dello Spirito.
Eccezioni a parte la maggioranza di noi vive «sotto il diaframma», nel senso che la forza vitale che ci pervade è concentrata nella vita sensoriale, la quale ha comunque un ruolo importante poiché i sensi riforniscono il corpo di energia in modo che l’apparato digerente, il sistema riproduttivo e certi aspetti del meccanismo nervoso adempiano i loro compiti.
A mano a mano che il Sapiens passa da un cerchio all’altro della spirale evolutiva la direzione delle forze che lo percorrono cambia. La parte vitale (il sangue) continua a svolgere la sua funzione di vivificare tutti gli organi e le strutture del corpo, mentre la forza dell’anima (il sistema nervoso) dalla base della colonna vertebrale sale lungo il midollo spinale e strada facendo accumula energia.

 

Supportato dalla letteratura e sulla scorta delle conoscenze maturate presso le maggiori civiltà del continente eurasiatico, Dante segue l’antico cammino già mille e mille volte percorso alla ricerca del sommo “ben” o “bene”: la felicità, nella cui sfera ricadono però cose assai differenti tra loro. Per esempio lo stato di appagamento che si raggiunge nella vita terrena mediante l’uso delle virtù morali (Mn III XV 7) e realizzato dal poeta nella dimensione edenica, è completamente diverso da quello del Paradiso derivante dalla contemplazione di dio.
Senza questo Amore il poeta non avrebbe raggiunto la Luce (Pd XXX 15), e ora che ce l’ha fatta desidera lasciare un messaggio “a la futura gente”, o almeno “una favilla” di ciò che ha vissuto, vuole fare qualcosa “in pro del mondo che mal vive”. La generosità è una caratteristica dei grandi uomini/donne che non badano solo alla propria salvezza ben sapendo che si evolve insieme, perciò i risvegliati hanno anch’essi una missione da compiere: aprire gli occhi delle vittime consenzienti della cupidigia dei potenti affinché esse smettano di correre dietro alle banderuole come gli ignavi: siate uomini, non pecore! “Se mala cupidigia altro vi grida, / uomini siate, e non pecore matte, / sì che ‘l Giudeo di voi tra voi non rida!” (Pd V 79-81).
Chiaramente la generosità va di pari passo con il coraggio, e Dante ne ha da vendere; ce ne vuole un bel po’ per denunciare le storture e gli abusi di potere in un’epoca in cui le scomuniche e i roghi erano all’ordine del giorno. Fermamente deciso a tramandare la memoria di quel mondo «antico» di idee e di valori che già nel Medioevo stava vacillando, fa ciò che deve. Punto e basta.
Ora sta a noi mettere a frutto quello che abbiamo imparato lungo questo viaggio, a cominciare dalla consapevolezza che la vita fisica è “corta”, “cieca”, “sconoscente”, mentre la vita spirituale è “intera”, “perfetta” e va perfezionata finché si è ancora vivi, non dopo la morte, come dimostra il «pellegrinaggio etico» del poeta attraverso i tre regni, un viaggio esemplare per l’intera umanità.
A differenza dell’avventuriero Ulisse che accumula esperienza pensando solo a sé, Dante perviene alla Somma Visione sentendo impellente il “disio” che “già volgea” verso il basso (Pd XXXIII 143). E’ ancora sopra le nuvole ma non vede l’ora di tornare giù e iniziare a scrivere quello straordinario diario immaginifico che gigantesco principia: “Nel mezzo del cammin di nostra vita…”.

 

 

Post scriptum : Il viaggio nei tre regni danteschi termina qui, ma un altro sta per cominciare: non disfate i bagagli.

 

Ricercatrice indipendente, scrittrice e saggista, Rita Remagnino proviene da una formazione di indirizzo politico-internazionale e si dedica da tempo agli studi storici e tradizionali. Ha scritto per cataloghi d’arte contemporanea e curato la pubblicazione di varie antologie poetiche tra cui “Velari” (ed. Con-Tatto), “Rane”, “Meridiana”, “L’uomo il pesce e l’elefante” (ed. Quaderni di Correnti). E’ stata fondatrice e redattrice della rivista “Correnti”. Ha pubblicato la raccolta di fiabe e leggende “Avventure impossibili di spiriti e spiritelli della natura” e il testo multimediale “Circolazione” (ed. Quaderni di Correnti), la graphic novel “Visionaria” (eBook version), il saggio “Cronache della Peste Nera” (ed. Caffè Filosofico Crema), lo studio “Un laboratorio per la città” (ed. CremAscolta), la raccolta di haiku “Il taccuino del viandante” (tiratura numerata indipendente), il romanzo “Il viaggio di Emma” (ed. Sefer Books). Ha vinto il Premio Divoc 2023 con il saggio “Il suicidio dell’Europa” (ed. Audax Editrice). Attualmente è impegnata in ricerche di antropogeografia della preistoria e scienza della civiltà.

2 Comments

  • Francesco Maggi 15 Settembre 2023

    Gentilissima Rita
    anche questo suo articolo sul viaggio del Poeta contiene bellissime rivelazioni!
    Personalmente, mano a mano che procedo nella lettura colgo i nessi ” armonici ” di una certa luce che attraversa le sue spiegazioni. Il rimarcare la radice etimologica della parola desiderio ne è un ” lampante ” esempio.
    Come non vedere quindi nel nostro mondo odierno
    l’opera oscura e costante sul sangue e sul sistema nervoso!
    ( da lei menzionati a proposito come mediatori ” naturali ” nella circolazione della luce dell’anima )
    E come non vedere quindi
    gli uomini di oggi
    “…che se potessero sognare
    ci sarebbero le stelle
    ma già di questi corpi
    il confine della pelle è tutto…”
    Fortunatamente l’imperio del Sole pervade l’universo, dalla sua semina nasceranno sempre ” nuove stelle ”

    Come sempre la ringrazio.

  • Rita Remagnino 21 Settembre 2023

    Caro Francesco,
    Dante è una ri-scoperta continua e offre riflessioni di ampio raggio, proprio per questo un po’ mi dispiace essere arrivata alla fine del viaggio. Ma un altro sta per iniziare e non c’è tempo per la nostalgia. Vedremo quali sorprese ci offrirà …

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