11 Aprile 2024
Società

Lo smartphone è un killer – Gianfranco De Turris

Ci sono certe immagini che si possono ben definire rappresentative del loro tempo. Un paio d’anni fa un grande quotidiano pubblicò in prima pagina una foto in banco e nero che si rivela sempre più emblematica del nostro oggi. Raffigurava un ragazzo seduto su una sedia e una ragazza a sua volta seduta sulle sue gambe. Lui guardava verso sinistra il proprio smartphone, lei guardava verso destra il proprio smartphone. Vicinissimi eppur lontanissimi. Il telefono portatile e le sue evoluzioni collegate alla Rete sono l’invenzione oggettivamente più “pericolosa” della tecnologia non militare del Novecento, soprattutto per il modo in cui ha trasformato la nostra vita nei rapporti interpersonali e con il mondo esterno. Assai più invasiva di telefono fisso, radio, cinema, televisione, automobile, ha reso palpabile la teoria secondo cui la tecnologia ha una proprietà transitiva: modifica chi la usa se non la sa usare nel modo dovuto senza farsene condizionare. Ha prodotto una vera e propria mutazione antropologica globale. Ha reso possibile la comunicazione istantanea in ogni luogo e in ogni condizione e in ogni momento annullando le distanze e consentendo contatti video e vocali in tempo reale. Dal computer di una certa grandezza fisso su un tavolo al pc tascabile che ti porti appresso dappertutto.

In realtà però lo smartphone è un killer, in senso concreto e metaforico. E’ noto che molti incidenti stradali sono provocati dalla disattenzione prodotta dal telefonino col quale si parla e si mandano messaggi mentre si guida, e si sa delle morti assurde, soprattutto di giovani e giovanissimi, causate dagli autoscatti, o selfie, in posizioni e situazioni pericolose di solito volutamente cercate, ma forse pochi sanno che il governo coreano a installato una app agili smatphome degli abitanti di Seul che spegne l’apparecchio dopo cinque passi del suo proprietario se lo tiene acceso mentre cammina. Tanti sono gli incidenti pedonali causati dalla distrazione provocata dal suo uso compulsivo. A parte questo, l’aggeggio è un killer dei sentimenti, dei rapporti individuali e della cultura. Premessa. Il primo Rapporto Auditel-Censis del settembre 2018 ci fa sapere che l’89% degli italiani possiede uno smartphone, percentuale che sale al 98% nella fascia di età 18-34 anni. Gli “utilizzatori notturni” sono quasi metà della popolazione (28 milioni), cioè coloro che se lo tengono accanto nel letto, anche per usarlo, insieme o al posto del partner (!). Invece circa la metà (49,2 %)sono i minori fra 4-10 anni collegati con la Rete. Da questi dati quantitativi derivano conseguenze qualitative, vale a dire che, volenti o nolenti, il gadget sta provocando una mutazione psicofisica tuttora in corso. E non solo dalle generazioni nate dal 2000 col cellulare in mano, ma anche le precedenti sin quasi agli anziani. Stiamo passando dall’Homo Sapiens all’Homo Connexus. Lo smartphone è nelle mani praticamente di tutti e praticamente sempre: anche a pranzo, al cinema, al teatro, in camera da letto, per strada, nei bus e nella metropolitane non c’è chi non traffichi con la tastiera, o ascolti o vi parli dentro. Certi ortopedici sono preoccupati per la posizione ingobbita perenne di molti giovani e la foto dei due ragazzi inizialmente descritta è esemplificativa. La nostra si sta trasformando in una civiltà in continuo contatto sì, ma allo stesso tempo separata e distante perché privilegia il rapporto attraverso la tecnologia digitale che non il rapporto umano, fisico: se a tavola o a una conferenza tutti hanno lo smartphone acceso poggiato accanto, significa qualcosa, no? 

Sul piano culturale, l’assenza di una esplicita loro proibizione a scuola e in classe sta provocando disastri, e non si capisce perché il ministro della Pubblica istruzione non emani una circolare esplicita in tal senso a imitazione del governo francese che li ha vietati alle elementari e alla medie, mentre nei licei si possono usare solo a fini di ausilio didattico. Lo smartphone pare essere diventato la Bocca della Verità: solo da lui si apprendono notizie vere e la cultura in pillole. Attraverso il marchingegno si leggono informazioni a scapito della carta stampata penalizzando libri e giornali, si attingono dati da Wikipedia dove spesso sono errati, sommari o anche falsi, si va alla ricerca di fonti non sempre giuste o oggettive. In pratica, per fare in fretta si sceglie la via più facile e ci si accontenta dei surrogati e delle fonti di terza mano invece degli originali e di quelle di prima mano. Un volta i pedagogisti se la prendevano con i fumetti perché secondo loro facevano diventare elementare il linguaggio e atrofizzavano le menti. Esageravano, ma oggi questo risultato è stato raggiunto non con i comics ma con la cultura sintetica appresa tramite lo smartphone, cioè tramite Internet, in quanto ornai, come si è detto, questi strumento non è altro che un computer tascabile collegato con ogni fonte elettronica.

Si esagera? Si è troppo apocalittici dato che di esso ormai nessuno può a quanto pare fare a meno? Guardando in faccia la rapidissima evoluzione dei cellulari e il loro modo di incidere sulla vita quotidiana, modificandola, non si direbbe. Gli allarmi di qualche anno fa si sono rivelati giusti. Certo, c’è a chi questa mutazione della vita individuale e collettiva potrà anche andar bene (è indispensabile! come facevamo quando non esisteva?), ma a chi non va affatto è legittimato a dire che lo smartphone è un piccolo killer che ci portiano in tasca…

Gianfranco de Turris

1 Comment

  • Louis Vermont 8 Gennaio 2019

    Faccio parte di quel 10% di italiani che non possiede lo smartphone. Evidemente sono rimasto “retrogrado” anche in questo, con sommo dispiacere dei progressisti. E sinceramente non ne sento affatto il bisogno di averne uno!
    Questa ossessione compulsiva ha raggiunto seri livelli di parossismo. Il voler essere sempre connessi e iperconessi, raggiungibili ovunque, voglia di “comunicare” qualcosa – e più delle volte si sparano cazzate – con una costanza che talvolta finisce nella psicopatia. Per non parlare dell’idiozia dei selfie, gli autoscatti per mostrare a volte la propria stupidità perché di questo si tratta, una sorta di vanità sguaiata in un tripudio di narcisismo idiota che sfocia, come giustamente ha osservato, in situazioni folli e tragiche.
    La mia fortuna è di aver vissuto un’adolescenza senza tutto questo, quindi non ho sviluppato l’astinenza da tossico – non è una battuta – delle generazioni più giovani quando non hanno quello che ormai è il loro vero giocattolo. E la loro vera droga. E poi al sottoscritto non piace essere connesso e raggiungibile sempre, anzi tutt’altro…
    E poi aggiungo un’altra immagine altrettanto significativa oltre quella riportata da lei dei ragazzini che neanche si guardano assorti nei loro smartphone. Un’immagine che ho visto coi miei occhi. Un anno fa circa, passava in un parco cittadino mi accorsi che si era radunata una piccola folla di giovani ma anche di adulti. Mi avvicinai per capire cosa fosse successo, pensando anche a qualcosa di serio, visto che molti di loro sbraitavano, si muovevano ossessivamente.
    Scoprì che tutti loro si erano ritrovati lì per caso perchè stavano cercando i Pokemon, quel giochino che dallo smartphone venivano lanciati dei pupazzetti gialli virtuali in vari punti dalla città tramite Google Maps e si doveva raggiungere questi punti per acchiapparli. Perciò quella folla era una massa di zombie volontari che era lì per catturare quei cosi che erano perfino IRREALI.
    Ogni commento è superfluo

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