13 Aprile 2024
Storia

L’Italia e gli italiani nella vana ricerca di loro stessi

 

–   Premessa, antefatti, fatti e misfatti  –

 

Prima di introdurci nei meandri politico-militari della II^ G.M. (con relative conseguenze) è bene fare alcuni passi indietro e, con una breve premessa, dare un taglio chiaro al problema Italia.

 

Premessa

Caduto l’impero romano lo status della penisola passò agli Ostrogoti (vedi cartina seguente)

 

Estensione del regno Goto in Italia (476-553)
Estensione del regno Goto in Italia (476-553)

 

Regno effimero quello dei Goti in Italia, appena 77 anni ma carico di speranze per la penisola dato che man mano quel popolo “barbaro” si stava romanizzando. Purtroppo si scontrarono con il papa che, accampando e alternando l’eresia ariana alla fedeltà all’imperatore d’Oriente, mise gran mano alle guerre gotiche; guerre che devastarono l’Italia e ne inibirono, fino al 1870, l’unità.

Ben 1317 anni di stati e staterelli in continua lite fra loro e con soprammercato di un via vai di eserciti franchi, ungari, musulmani, francesi, svizzeri, spagnoli, austriaci ecc… ecc…

Ogni tentativo di creare le basi per un regno italico fu sistematicamente vanificato dalla Santa Sede, ricorrendo persino alla soppressione fisica (vedi Corradino di Svevia) dei suoi avversari. Questi passaggi portano i nomi di Arduino d’Ivrea, Federico I Barbarossa, Federico II, Manfredi di Napoli, Corradino di Svevia e per finire Arrigo VII di Lussemburgo; personaggi che a vario titolo tentarono di creare un regno italico o di mantenere il legame dell’Italia con il Sacro Romano Impero. Con Arrigo VII termina questa possibilità.

L’Italia fino al 1454 si barcamena in una serie infinita di guerre intestine poi, da questa data, promotore Lorenzo Il Magnifico, e per quaranta anni, ci sarà la pace e il massimo splendore: il Rinascimento. L’Italia ha le banche più ricche, la marina più potente, condottieri rinomati e…artisti insuperabili. Sembra che con la pace e la potenza, ci possano essere i numeri per creare, con il tempo, un regno italico partendo da una sorta di convivenza federale; non sarà così. Dal 1494 termina tutto; le pruderie francesi e, soprattutto i maneggi dei papi (Alessandro VI e Giulio II) che chiameranno in loro aiuto ora i francesi ora gli spagnoli, porteranno la nostra penisola sotto il tallone dei regni di mezza Europa. Tre possibilità, tre speranze svanite (un regno, un’unione imperiale, una federazione ante litteram).

 

L’Italia al tempo della pace di Lodi (1454-1494)
L’Italia al tempo della pace di Lodi (1454-1494)

 

Antefatti

Anno 1848, anno cruciale e foriero di future disgrazie, anno in cui termina il periodo della Restaurazione e tutta l’Europa è attraversata da rivolte a sfondo liberista.

Mentre gli imperi di Russia e Austria-Ungheria “sonnecchiano” raccogliendo i frutti della sconfitta napoleonica, l’Inghilterra, che aveva usato la restaurazione come mezzo per ampliare e consolidare i propri domini, inizia un’opera di destabilizzazione partendo proprio dall’Italia. Già perché le rivoluzioni che nel tempo cambieranno l’Europa sono iniziate nel gennaio del 1848 in Sicilia. Rivoluzione che nulla aveva a che vedere con la libertà bensì con il desiderio di rivalsa dell’Inghilterra, che re Ferdinando II aveva estromesso dall’isola perché minava con i suoi monopoli (Zolfo, vigneti di Marsala) e con la sua asfissiante presenza, la sovranità del regno. Approfittando che il regno si basava sull’unione di due corone (Sicilia e Napoli) l’Inghilterra coltivava questa distinzione per satellizzare l’isola se non farne addirittura una colonia ai fini di dominare incontrastata tutto il Mediterraneo (ricorda qualcosa?). Usando blandizie e bastone Ferdinando II prima li estromise dalla Sicilia poi portò il suo regno alla totale autonomia economica, inutile in questa sede elencarne le conquiste sociali e industriali.

Questa situazione non poteva essere tollerata dall’Inghilterra, ergo servendosi di baroni riottosi (che di li a pochi anni vedremo seduti sugli scranni del regno di Sardegna) e di idealizzatori di libertà, scatena la rivolta. Rivolta che pervaderà l’Italia e l’Europa. Erano anche gli anni di Cattaneo e Gioberti e del sogno di una  federazione italiana. Ultima possibilità per il nostro paese, tant’è che all’alba della prima guerra d’indipendenza alle prime vittorie parteciparono anche il Regno delle Due Sicilie, il Granducato di Toscana, lo Stato della Chiesa, il governo autonomo della Repubblica Veneta e il regno di Sardegna.

 

1848   regno delle Due Sicilie     1860(1)

1848   regno delle Due Sicilie     1860(2)

 

 

 

 

 

 

1848   regno delle Due Sicilie     1860

 

1848 Granducato di Toscana

Repubblica Veneta 1848-49

 

 

 

 

 

 

 

1848 Granducato di Toscana                                  Repubblica Veneta 1848-49

 

regno di Sardegna 1848-49

 regno di Sardegna 1848-49

Il sogno si infranse nel momento che Carlo Alberto di Savoia rifiutò l’alleanza de jure oltre che de facto con Ferdinando II. Con la presunzione e l’arroganza tipica del suo casato dichiarò che la guerra il regno di Savoia era in grado di condurla da solo, in conseguenza di ciò il regno borbonico si dissociò dalla guerra seguito dalla Toscana e dagli Stati della Chiesa. La conclusione è nota a tutti. I siciliani solleticati dagli inglesi proposero la corona di Sicilia  a Ferdinando Alberto Amedeo di Savoia, che rifiutò. Ferdinando riconquistò l’isola e gli inglesi dovettero ritirarsi con le pive nel sacco ma pronti per la rivincita.

Anni 1859-1861, seconda guerra d’indipendenza e sbarco dei Mille; definizioni retoriche che mascherano una realtà sottesa quanto inequivocabile. Ritengo essere cosa chiara e conosciuta, almeno spero, che la guerra si fece con le baionette francesi e le sterline inglesi; la partecipazione italiana ai fatti fu marginale anche se con valore. L’impero austro-ungarico, sconfitto a Solferino dai francesi, consegnò alla Francia la Lombardia e non al regno dei Savoia; riconoscendo di fatto di essere stata sconfitta dai francesi e non dagli italiani. Nessun senso di vergogna nel ricevere da un regno straniero le terre per le quali dici di combattere. I brogli conseguenti ai referendum sull’annessione, l’esilio volontario del piccolo esercito del ducato di Modena la dicono lungo sulle reali volontà della cittadinanza.

Lo sbarco dei Mille fu gestito dalla massoneria, sovvenzionato dalle sterline inglesi, protetto dalla marina di Sua Maestà Britannica che fece schermo con le sue navi a quelle borboniche che non si erano fatte corrompere. Un esercito che alza il tricolore e sovvenzionato da un paese straniero, combatte contro un esercito che alza il tricolore e non è sovvenzionato da nessuno.

I sintomi ci sono tutti. Comprati gli ammiragli e i generali borbonici, sbarcate a Marsala le giubbe rosse inglesi frammischiate alle camice rosse così da impedire alle truppe borboniche una pronta reazione. I famosi “picciotti” altri non erano che la manovalanza dei baroni siciliani, inviati da questi ad ingrossare le truppe di Garibaldi.

Anno 1866, terza guerra d’indipendenza. Si ripete l’opera, l’Italia sconfitta in pieno a Custoza e a Lissa, riceve dall’alleato prussiano, vincitore, il Veneto. Cause: liti fra Cialdini e La Marmora, arroganza e supponenza dell’ammiraglio Persano. E’ bene rimarcare che a Lissa la flotta austriaca era per la gran parte composta da veneti ed istriani, che la lingua ufficiale era il veneto e che la battaglia si concluse al grido “San Marco vince”.

Le conseguenze di tutti questi eventi non potevano essere che quelle conosciute.

Riepiloghiamo

1) Il Vaticano procura l’intervento di regni stranieri onde evitare la iattura di un regno italico,

2) La Gran Bretagna briga per la secessione della Sicilia dal Regno Borbonico al fine di una completa satellizzazione dell’isola,

3) La supponenza savoiarda e i maneggi massonici creano i presupposti per far naufragare un’indipendenza italiana su basi federalistiche e, soprattutto, con le sole baionette italiane,

4) Sterline inglesi, baionette francesi e brogli liberisti (massonici) creano sì l’Italia “unita” ma la rendono debitrice in tutto e per tutto,

5) L’unità della penisola viene fatta a scapito dell’indipendenza di altri stati italiani e non con l’unità di tutti, utilizzando la sola corruzione ed il tradimento,

6) I destinatari della corruzione sono gli alti gradi della marina borbonica, quadri cha saranno la base per la creanda marina italiana. In breve: corruzione, tradimento, brogli, pressappochismo militare e politico limitazione della sovranità e maneggi massonici furono le basi su cui fondare l’Italia; ovviamente premi e prebende per chi tradendo l’uno servì l’altro (es. Francesco Crispi, che fomenta la rivolta siciliana contro il suo re, per gli interessi baronali, organizza di poi la spedizione dei Mille, forte dei suoi contatti nell’isola, divenendo poi capo del governo. Vario il numero di deputati che pagati dall’Inghilterra divennero onorevoli del regno d’Italia).

Anno 1870. Con la fine del potere temporale dei papi si realizza l’unità d’Italia, almeno sulla carta, nella realtà le cose non andranno esattamente così. Estromessa dal potere terreno la Santa Sede inizia a scalzare l’unità dall’interno, prima osteggiando il rapporto tra popolo e sovrano usando la sua presa religiosa sugli animi – periodo 1870-1929; quindi sfruttando i Patti Lateranensi per minare dall’interno il governo. La tattica è la stessa, sul piano religioso ma con una marcia in più inserendo l’affarismo politico-bancario. Il Vaticano dismette la corona ed indossa il doppio petto. E il peggio deve ancora venire.

 

Fatti

La seguente “filastrocca” può essere utile per ben comprendere la logica degli eventi che caratterizzarono la storia d’Italia dal 1870 ai giorni nostri.

Chi governa Roma,

       governa l’Italia

Chi governa l’Italia,

       governa il Mediterraneo

Chi governa il Mediterraneo,

       governa il mondo

 

1) A seguito della crisi italo-francese del 1881 per il possesso della Tunisia, l’Italia da un lato firma l’alleanza militare con l’impero germanico e con quello austro-ungarico (Triplice Alleanza), dall’altro indirizza le sue forze nell’area del Corno d’Africa (Eritrea, Etiopia e Somalia). All’Inghilterra non sfugge l’importanza strategica di quelle terre e, timorosa per lo stretto di Bab el Mandeb, occupa quella parte di Somalia conosciuta come Somaliland (la Francia era già entrata i possesso dell’area di Gibuti).

Questa situazione darà inizio alla crisi italo-inglese e avrà ripercussioni fondamentali per gli eventi bellici del 1939-’45.

2) 1914-’18 Maneggi franco-inglesi uguale accordi franco/serbi + alleanza russo/serba + colonnello Api e Mano Nera = Sarajevo e Prima Guerra Mondiale che forse è meglio definirla prima Guerra Civile Europea e che porterà, in 30 anni, il continente alla rovina. I governi italiani dell’epoca pur continuando a confermare l’alleanza con Germania e impero austriaco iniziano, more solito, ad intrattenere rapporti con Francia ed Inghilterra stimolati anche dalle pressioni che la massoneria, sia attraverso suoi alti esponenti (es. Nathan sindaco di Roma) ed il suo giornale L’idea Democratica, esercitano sull’opinione pubblica, sia sui legami di fratellanza che legano casa Savoia all’Inghilterra. L’Italia nel maggio 1915 salta il fosso e dichiara guerra all’Austria-Ungheria. A guerra finita e vittoriosa gli accordi di Londra, accordi con i quali i franco-anglo-russi si impegnavano a riconoscimenti territoriali in Dalmazia (soprattutto) a favore del nostro paese, furono completamente disattesi. L’Italia aveva rinunciato ai suoi interessi prioritari (Tunisia, Nizza, Malta, porzioni della provincia di Trento, territori in Africa) per una vuota enunciazione. Mai e poi mai l’Inghilterra avrebbe concesso che l’Adriatico diventasse un lago italiano. Al fine di non appesantire l’articolo e rendere più comprensibili quegli eventi consiglio l’ottimo testo di Michele Rallo Il coinvolgimento dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale e la “Vittoria Mutilata” ed Settimo Sigillo. Mi limito a riportare due stralci: uno dal testo citato a) e l’altro dal primo volume dell’opera La Grande Guerra 1914-1918 di Riccardo Posani ed. Sadea/Sansoni b).

a) <<…D’altro canto – come abbiamo già avuto modo di rilevare – era preciso intento dell’Inghilterra il tenere l’Italia lontana dal Mediterraneo orientale. Troppo dinamica, troppo ambiziosa, troppo intraprendente, ora più di prima Roma era considerata concorrente pericolosa e spregiudicata in un settore ove Londra voleva imporre le regole della propria assoluta egemonia>>

b) In un taccuino del ministro Daneo – grafia difficile e piena di abbreviazioni – (20 e 22 febbraio 1915) <<…colloquio con Giolitti. Paese preoccupato non vuole guerra; nessuna fiducia generali italiani, non uno che valga un soldo. …>>

I fermenti per quello che di lì a 25 anni sarebbe accaduto ci sono tutti.

Misfatti

In altri articoli (armi e armamenti…) mi sono soffermato su alcuni esempi del come l’equipaggiamento dell’esercito italiano fosse stato volutamente trascurato. Purtroppo era solo un aspetto, volto a farlo sentire “povero” ed abbandonato agli eventi, occorreva anche demotivarlo negandogli quelle azioni belliche che avrebbero potuto gratificarlo. Qui di seguito riporto per punti alcuni eventi che possono rendere più trasparente la superficie opaca che li ricopre.

Anni 1922-1943.

Il fascismo, assunto il potere nel 1922, dimostra fin da subito una vivacità politica a 360 gradi, incidendo velocemente nella vita sociale e politica dell’Italia. Se in venti anni fonda lo stato sociale con una massa di leggi e interventi (42 i più significativi), non è da meno in politica estera. Azioni che nel loro insieme determineranno interventi esterni, attraverso il collaudato metodo della corruzione e del tradimento.

– Delitto Matteotti. Lasciamo da parte le accuse di brogli elettorali che lasciano il tempo che trovano, soffermiamoci su ciò che un poco alla volta sta venendo a galla: il petrolio, i maneggi della Standard Oil americana e la massoneria inglese (Matteotti era massone).

 Nazione terza pagina

Parentesi personale

Diversi anni or sono ero in nord Italia per aggiornamento di lavoro, durante quel periodo fui in contatto con una persona, che identificherò, per ovvie ragioni, come W.S. Costui, nel periodo 1944-’45, svolse mansioni di portaordini per il Comitato di Liberazione per l’Alta Italia e, come spesso accade, dal lavoro si passò a parlare fra le altre cose di quel periodo. Parlando del caso Matteotti, W.S., glissò adducendo che di quei fatti erano in molti a parlarne e non poteva esprimere alcun parere; chiuse però il discorso dicendo che Vittorio Emanuele III era azionista della compagnia del canale. Tempo dopo, leggendo l’articolo su Matteotti apparso sulla Nazione del 1 novembre 1985 e venendomi in mente quel colloquio, non fu certo difficile fare due più due; il testo di F. Scalzo (Il caso Matteotti), i ricchi giacimenti di petrolio in Italia, chiusero il cerchio.

petrolio desio

 

 

 

 

 

 

 

…a scoprire i giacimenti di petrolio,

nei pressi di Tripoli, nel lontano 1938

 

– Accordi per basi navali nelle Canarie. Sotto la dittatura del generale Primo De Rivera, padre del più famoso José Antonio, la Spagna e l’Italia aprono un tavolo di trattative per la concessione, da parte spagnola, di una base navale all’Italia nelle isole Canarie.

La trattativa si interrompe per la caduta del governo spagnolo – 1930 – e l’esilio del generale De Rivera che morirà a Parigi di lì a pochi giorni in maniera mai chiarita.

– 1935-’36. L’Italia, dopo le amare vicissitudini del fine secolo precedente, sottoposta a provocazione (con sotterfugi dall’Inghilterra) vince e occupa l’Etiopia.  I rapporti con l’ex alleata raggiungono il calor rosso. Il 9 maggio del 1936 proclama l’impero.

 

Africa Orientale Italiana 1936-1941
Africa Orientale Italiana 1936-1941

Dalla cartina si può ben vedere la forte ipoteca che l’Italia aveva messo sullo stretto di Bab el Mandeb, sulla sua colonia del Somaliland e, soprattutto, sui collegamenti con le sue colonie orientali con prevedibili conseguenze disastrose (più avanti se ne riparlerà). L’Inghilterra, l’alta finanza e, per altri versi, il Vaticano non possono tollerare oltre.

– Rodi 1939 – Attacco all’Italia. Se gli ambienti “occulti” a mala pena tolleravano l’Italia dinamica e spregiudicata del 1911-’18; quella della marcia su Roma e della conquista dell’Etiopia era un nemico da debellare. Se nel 1935, nel pieno della crisi con l’Italia, la Gran Bretagna aveva studiato un piani per uno sbarco sulle coste italiane e l’annientamento della flotta navale italiana (progetto rimasto alla fase di studio); nell’autunno del 1938 fu ripreso con la variante dell’obiettivo: il Dodecanneso. Il governo di Sua Maestà Britannica riponeva in una sconfitta militare la caduta del fascismo e la colonia del Dodecanneso si prestava bene alla bisogna: attacco breve e devastante accompagnato da una campagna navale  di poche settimane. Il 29 gennaio del 1939. L’operazione sarebbe stata condotta insieme alla Turchia, per quanto concerne le operazioni terrestri, mentre le flotte anglo-francesi si sarebbero accollate l’onere delle operazioni navali. Occorreva però che la Germania rimanesse neutrale e il tutto si potesse risolvere in un breve scontro solo contro l’Italia. Il servizio segreto italiano, molto attivo in medio oriente, venne a conoscenza del tutto, Mussolini anticipò le mosse avversarie stipulando il 7 febbraio un accordo commerciale con l’URSS, la Germania non diede risposta alla richiesta di neutralità e il 22 maggio 1939 veniva firmato il patto d’Acciaio. L’operazione avversaria che doveva prendere il via a partire dal 6 maggio andò in fumo. Era solo questione di mesi e sarebbe scoppiata la Seconda Guerra Civile Europea, detta anche II^ Guerra Mondiale.

– II^ GM – campagna in AOI.

Il Mediterraneo ha due ingressi, uno è lo stretto di Gibilterra, l’altro non è il canale di Suez bensì lo stretto di Ba bel Mandeb, stretto che separa il Corno d’Africa dalla penisola arabica; al centro dello stretto c’è l’isolotto di Perim. Chiudere lo stretto significa bloccare la flotta inglese d’Alessandria e impedirgli qualsiasi via di fuga che non contempli uno scontro aeronavale o nel canale di Sicilia o nello stretto menzionato. Occupare Perim, minare lo stretto (di conseguenza ipotecare la base inglese di Aden), pattugliare in forze il canale di Sicilia; significava eliminare la flotta inglese nel Mediterraneo: significava vincere la guerra in breve tempo e con poca spesa.

Forze nell’area del Corno d’Africa:

Italia

–     Aviazione,         354 velivoli

–     Esercito.            260.000 fra nazionali ed ascari

–     Marina,              8 smg., 8 cacciatorpediniere, 1 inc. aus.

Regno Unito (forze distribuite fra Sudan, Kenia, Aden e Somaliland)

–     Aviazione,         127 velivoli

–     Esercito,            19.475 fra nazionali e coloniali

–     Marina,               non quantizzabile

Con un rapporto di forze di 13 a 1 per l’esercito e di 2,8 a 1 per l’aviazione. Adeguate le forze navali italiane se ben condotte.

Per quanto il rapporto di forze fosse a nostro favore, per quanto già nel periodo 1935-’36 il Quartier Generale delle forze armate avesse previsto l’occupazione di Perim con una forza di circa 800 uomini, seguita da uno sbarco veloce sulla costa araba e minaccia conseguente su Aden: niente fu messo in opera per chiudere rapidamente la partita. Non solo non venne attuato lo sbarco, non solo non fu minato lo stretto ma le nostre forze furono impiegate in maniera errata e clamorosamente sconfitte nella battaglia del Giuba. Battaglia gestita dal generale Pesenti (vedi Capitolo finale) e che capovolse la situazione a favore del nemico. Nonostante la gravità della situazione a Cheren dal 31 gennaio al 27 marzo del 1941 fu condotta una battaglia che corremmo il rischio di vincere. Battaglia misconosciuta, in Italia, ma ben valutata in tutta la sua importanza dal nemico, così la stampa inglese:

La cattura di Cheren è stata certamente l’episodio vitale di tutta la campagna in Africa orientale se non la più importante di tutta la guerra…

Chi combatté su altri fronti sa che nulla, nulla è stato peggio di Cheren: combattimenti sanguinosi, sgomentanti e paurosi”.

Sul ciglione di Cheren caddero alpini, granatieri, camice nere e si concluse l’epopea del IV battaglione ascari eritrei “Toselli”. Tremila inglesi, indiani, francesi e dodicimila italiani e coloniali chiusero 56 giorni di combattimenti. Il generale Carnimeo, nel momento cruciale della battaglia, compresa la crisi del nemico, chiese i rinforzi che sostavano a Gondar: rinforzi che furono rifiutati dal generale Frusci. Uolchefit, Qulquaber, le scorribande della cavalleria del maggiore Guillet e i guerriglieri che combatterono fino al 1943 (per gli ascari fino al 1947) sono solo conseguenze del tradimento e dell’insipienza. Dallo stretto transitarono petrolio, derrate, armi, navi e uomini che gli USA profusero agli inglesi fino all’entrata in guerra dell’impero giapponese.

– II^ GM – campagna di Grecia. Poche righe che definiscono da sole quella campagna. Il 16 agosto 1940 su richiesta dello Stato Maggiore, il generale Guzzoni prepara un piano di attacco alla Grecia con obiettivi Salonicco e Atene. L’attacco prevede l’utilizzo di 18 divisioni rafforzate, suddivise in 6 corpi d’armata. Il sottosegretario alla guerra, generale Pariani, prudenzialmente ne consiglia 20. Alla vigilia dell’attacco lo Stato Maggiore, a capo del quale è bene ricordare c’è il maresciallo Badoglio, approva il piano con una variante: le divisione da 18÷20 passavano a 8. Come è andata lo sanno tutti.

Capitolo finale

Quanto di seguito riportato è tratto, per stralci, dall’opera di Pietro Sella “El Alamein e la guerra sbagliata” – L’Uomo Libero n°55. Tutte le fonti d’origine sono il processo Trizzino, i processi post bellici intentati dalla neonata Repubblica Italiana contro i vertici militari (sic) ed i capitolati di resa del 1945 e seguenti (esempio per tutti il caso Maugeri).

Per l’onore e la grandezza dell’Italia… nella realtà

…Sembrava che, con le incessanti perdite di navi mercantili, la sfortuna si accanisse contro la nostra bandiera; ma non si trattava di sfortuna. La colpa era del tradimento che si annidava nei massimi gradi della marina. Da sempre filo monarchica e filo britannica (casa Savoia è adepta della massoneria dai tempi di Vittorio Emmanule II), questa forza armata aveva nei suoi quadri un gran numero d’ufficiali ostili al regime. A molti di loro, poi, un regolamento cervellotico e una dirigenza politica troppo accomodante avevano consentito di restare in servizio pur avendo sposato donne straniere.

Gli ufficiali in queste condizioni erano, tra esercito e marina, qualche centinaio.

  • Capitano di vascello Alberto Lais, addetto navale italiano a Washington sposato con un’americana, vende agli americani il cifrario della marina.
  • Il generale Carboni, responsabile del servizio spionaggio dell’esercito, figlio di un’americana dell’Alabama, è un esperto nella disinformazione. Oltre a gonfiare sistematicamente le forze del nemico, ha l’opportunità d’inserire elementi a lui graditi nelle varie strutture militari.
  • L’ammiraglio Vittorio Tur, di padre francese e sposato ad una inglese. Presente a Tolone in qualità di membro della delegazione della Commissione Armistiziale con la Francia; attraverso la resistenza francese, passa informazioni a Londra. In questo nido di traditori faceva da cerniera Enrico Paolo Tur, fratello dell’ammiraglio, già compagno d’accademia a Livorno, dell’ammiraglio De Feo che capeggia la Commissione d’Armistizio. Non può essere un caso che, quando viene programmato l’attacco a Malta, il comando dell’operazione sia affidato proprio all’ammiraglio Tur. Alle sue dipendenze, alla guida di una delle divisioni che dovranno sbarcare, la Friuli, c’è il generale Carboni, il quale semina pessimismo e si muove per sabotare l’azione. Dopo il rinvio sine die dello sbarco e l’occupazione della Francia “libera” seguita dall’invasione alleata del Nord Africa, – novembre 1942 – troviamo Tur al comando della piazzaforte di Tolone. In questa stessa città, nel giugno del ’43, il fratello dell’ammiraglio viene finalmente colto con le mani nel sacco dal nostro controspionaggio. Il responsabile dei servizi, generale Amè, si presenta con Senise, capo della polizia, al cospetto di Mussolini e gli mostra i documenti sequestrati al contatto francese di Enrico Paolo Tur. Visto che i traditori sono marinai, il Duce passa i documenti al controspionaggio della marina, senza sapere che lì c’è il capo banda delle spie l’ammiraglio Maugeri. L’ammiraglio Tur, invece di essere prudenzialmente messo in fortezza, viene trasferito al comando marittimo del basso Tirreno, con giurisdizione sulla Sicilia, proprio dove gli alleati sbarcheranno il mese successivo. Hanno saputo, guerda caso, che la flotta italiana, per l’occasione, non si sarebbe mossa per ostacolarli. per le benemerenze che abbiamo ora ricordato, la spia Enrico Paolo Tur fu riammesso in servizio e gli fu concessa, nel dopo guerra, la pensione della marina militare (libretto n. 397016).
  • L’ammiraglio Bruno Brivonesi anche lui con moglie inglese. Il 10 novembre 1941 è di scorta, con la III^ divisione navale (2 incrociatori pesanti, il Trento ed il Trieste e 10 cacciatorpediniere), a 4 piroscafi e tre petroliere che portano in Libia 389 carri armati, 17.281 tonnellate di benzina, 1.579 tonnellate di munizioni oltre a 15.000 di materiali vari. I mercantili che viaggiano ciascuno, in pratica, protetto da due navi da guerra e per i quali Supermarina ha tracciato una rotta molto particolare, sono sorpresi da 2 incrociatori leggeri e 2 cacciatorpediniere. Mentre i trasporti del convoglio italiano sono colpiti e affondano tutti, il Brivonesi, che durante lo scontro si era tenuto a distanza di sicurezza, si rintana con le sue 12 navi a Taranto. la sua condotta gli costa la destituzione dal comando e il deferimento alla corte marziale, ma gli ammiragli che lo giudicano sono evidentemente della stessa pastae lo assolve perché <<il fatto non costituisce reato>>. Nel dopo guerra, il Brivonesi qurelò per diffamazione e vilipendio Antonino Trizzino, il quale nel suo libro Navi e poltrone, l’aveva accusato di codardia di fronte al nemico. Ebbene, nel 1954, la corte d’assise di Milano assolse il Trizzino con formula piena. A volte il risultato desiderato da Supermarina lo si può cogliere con la fuga.
  • Ammiragli Iachino e Parona. Un altro caso emblematico è quello della seconda battaglia della Sirte. Anno 1942; gli inglesi nel Mediterraneo sono privi di portaerei dal maggio 1941 e, dal dicembre dello stesso anno, di corazzate (perdita della Valiant e Queen Elisabeth). Per la scorta di un convoglio diretto a Malta, l’MW10, che esce da Alessandria il 20 marzo 1942, dispongono solo di pochi incrociatori leggeri e qualche cacciatorpediniere. Per intercettare il convoglio esce da Taranto, al comando dell’ammiraglio Iachino, la corazzata Littorio scortata dai cacciatorpediniere Aviere, Ascari, Oriani e Grecale. Da Messina al comando dell’ammiraglio Parona, muovono gli incrociatori pesanti Gorizia e Trento, nonché il leggero Bande Nere con i cacciatorpediniere Alpino, Bersagliere, Fuciliere e Lanciere. Affrontato dai caccia inglesi, il Parona comunica a Iachino di avere assunto rotta nord e di “essere inseguito dal nemico!” Iachino si avvicina e, a questo punto, le due squadre italiane sono affrontate a più riprese, con salve di artiglieria e lancio di siluri, dai quattro caccia inglesi che difendono il convoglio. per dare un’idea della sproporzione di forze, il peso della bordata italiana era di 11.000 kg., quella inglese di 2.500; ma nessuna delle piccole unità inglesi è colpita. Dopo aver incassato sulla lIttorio un colpo sparato da uno dei caccia che si era, con grande coraggio, avvicinato fino a 5.000 metri, Iachino decide di rientrare a Taranto. Il convoglio nemico è salvo. <<Indescrivibile fu il nostro sollievo quando ci confermarono che gli italiani si stavano ritirando>>. Così, ancora incredulo, l’ammiraglio Cunningham ad Alessandria.

Questa del marzo 1942 fu l’ultima ingloriosa uscita della flotta   italiana prima dell’8 settembre.

  • Contrammiraglio Massimo Girosi. Una parte negli eventi, che in questa data vivrà la marina tocca al contrammiraglio Massimo Girosi. Già uomo del SIM di carboni, il Girosi è assegnato all’Ufficio Operazioni di Supermarina; qui lo raggiunge una comunicazione da parte del fratello Mario che, a New York, stava collaborando con il naval Intelligence, lo spionaggio navale americano, al quale aveva fornito documenti definiti dlla marina USA “di valore inestimabile”. Questa attività gli varrà, dal nemico, la Silver Star. Il messaggio del fratello, che Massimo Girosi riporta orgoglioso all’ammiraglio Raffaele De Courten, divenuto ministro della marina con il 25 luglio 1943, contiene la proposta per la flotta italiana di ritirarsi, di fatto, dalla lotta e di prepararsi a passare dalla parte degli alleati. Il De Courten mostra di apprezzare l’invito e ne parla, compiaciuto, a Badoglio. La marina, prima ed unica tra le forze armate, scavalca il proprio governo e si dichiara pronta alla resa (logica conclusione di tre anni di connivenza con il nemico n.d.c.).
  • Ammiraglio Gino Pavesi, comandante dell’isola, nonché piazzaforte, di Pantelleria, presidiata da 12.000 uomini; è l’unica isola in tutta la storia militare che si arrende solo per un’azione aerea. Quando è il momento dello sbarco, 10 luglio 1943, la flotta non modifica la sua strategia; non va incontro al nemico, non si muove dai porti. Era già scritto che le grandi navi da battaglia dovessero restare intatte per il <<dopo>>. Con la sua rete di ammiragli traditori, la Regia marina aveva concluso con il nemico un armistizio privato, sulla falsariga della proposta dei fratelli Girosi. Le regole dell’intesa, dettate a Lisbona dagli anglo-americani agli uomini di Maugeri, i capitani di vascello Cippico e Cugio, quest’ultimo già addetta navale a Washington, erano queste: la marina italiana non doveva intervenire nelle operazioni militari, gli anglo-americani non avrebbero bombardato i suoi porti. Un simile gentlemen’s agreement sarebbe certamente stato un’ottima base per una cordiale collaborazione, da instaurarsi non appena le navi si fossero trasferite a Malta.
  • Ammiraglio Leonardi. Il <<contratto>> concluso da Supermarina era disciplinatamente applicato a livello locale. Come a Pantelleria c’era stato pavesi, così in Sicilia, ad Augusta, al comando di una delle basi navali più munite al mondo, si trovava un altro uomo d’onore, l’ammiraglio Leonardi. La sera del 12 luglio, due cacciatorpediniere nemiche e altri mezzi da sbarco entrano nel porto di Augusta e attraccano alle banchine. Le cisterne di carburante, le prese d’acqua, i magazzini, sono intatti. I cannoni della piazzaforte, tra cui 16 pezzi da 305 e 29 batterie di grosso calibro, oltre ad un treno blindato, non sparano un colpo.uando è il momento dello sbarco, 19 luglio 1943,

Se gli alti gradi della marina hanno dato il meglio di loro per “trascurare” la guerra, i generali del Regio Esercito non sono da meno, significativamente e soprattutto quelli preposti alla difesa del Corno d’Africa (Eritrea, Somalia ed Etiopia).

  • Generali Frusci e Trezzani rispettivamente comandante del settore Nord (regione Eritrea) e capo di Stato Maggiore del duca dì’Aosta. Dopo la resa dell’A.O.I. sono trasferiti negli USA ancora neutrali e sono ricevuti alla Casa Bianca. Frusci è lo stesso che negò al generale Carnimeo i rinforzi, durante la battaglia di Cheren (battaglia che corremmo il rischio di vincere e che vide l’olocausto del IV battaglione ascari Toselli n.d.c). Trezzani, dopo la “liberazione” sarà il primo Capo di Stato Maggiore Generale. Come collega, in qualità di Capo di Stato Maggiore della marina, avrà l’ammiraglio Maugeri, ex capo del SIS, lo spionaggio navale decorato dagli alleati per i servizi loro prestati durante la guerra (1).
  • Il generale Gustavo Pesenti, comandante in capo delle truppe della Somalia, è degno di essere ricordato. Quando gli inglesi, provenienti dal Kenia, attaccano, ai primi di gennaio del ’41, El Uach, nell’Oltregiuba, il presidio si dissolve in un attimo senza combattere, lasciando in mano al nemico armi, munizioni e persino le pentole delle cucine. Informato da radio Londra della vicenda, il Viceré raggiunge per una spiegazione (?) il Pesenti, il quale gli propone di firmare una pace separata con il nemico: <<La guerra è perduta (ad appena sei mesi!) – dice il generale – e noi affetteremo la fine del conflitto, che gli italiani non sentono, salvando l’impero che ci è costato tanti sacrifici (sic). Se, come è prevedibile – continua il Pesenti – Roma sconfesserà Vostra Altezza, noi faremo la guerra al fascismo>>. Sfuggito alla cattura (2) in Africa e riparato in Italia nel ’42, il Pesenti si propone a Badoglio come comandante di un reparto da formarsi in Africa con i prigionieri italiani contrari al regime fascista. L’idea di servirsi dei vertici militari dell’AOI era già balenata al nemico. Il generale Platt, il vincitore di Cheren, alla resa del Viceré così si era espresso: <<Ho sempre avuto la premonizione che verrà il giorno in cui l’Italia cambierà schieramento (more solito). Quel giorno avremo bisogno di un intermediario, e nessuno potrà essere più indicato del duca d’Aosta>>.

L’onore dal punto di vista del maresciallo Badoglio e di casa Savoia

– Roma 3 settembre 1943 (data effettiva della resa). Badoglio riceve l’incaricato d’affari tedesco Rudolf Rahn, che ha sostituito l’ambasciatore Manchensen, e lo rassicura: <<…Sono uno dei tre più vecchi Marescialli d’Europa, Manchensen, Petain ed io; e ci consideriamo rappresentanti e depositari dell’onore militare europeo. E’ inconcepibile che il governo del Reich dubiti della mia parola. L’ho data e la manterremo. Dovete fidarvi di noi.>> Nello stesso giorno a Cassibile veniva firmata la resa (In tale situazione non c’è da meravigliarsi se il Re ed il governo temessero per la propria vita. Avevano dato la parola d’onore sapendo che stavano mentendo – n.d.c.)

… dal punto di vista del generale Eisenhower.

The crooked deal” – un affare disonesto. Così il comandante in capo degli eserciti alleati, rifiutandosi di sottoscriverlo personalmente e delegando il suo capo di Stato Maggiore generale Bedell Smith.

e sarcasmo tedesco

– Novembre 1943 <<1.255.660 fucili, 33.333 mitragliatrice, 9.986 pezzi d’artiglieria, 970 carri armati, e cannoni semoventi, 4.553 aeroplani, 15.000 automezzi, 28.600 tonnellate di munizioni, 123.114 metri cubi di carburante per veicoli… militarmente, il maggior servizio reso dall’Italia al suo alleato>>; così il generale Jodl Capo di Stato Maggiore della Wehrmacht

Questa carrellata di eventi può sembrare un affastellamento di notizie a caso; così non è. Per quanto in maniera sintetica indica da quanto tempo all’Italia e agli italiani è impedito di riconoscersi in una storica comunità nazionale ed europea. Interessi di parte da un lato (Vaticano), timori politici dall’altro (Inghilterra, Stati Uniti) e una incancrenita inaffidabilità tutta italiana, non consentiranno, se non via miracolistica, una vera unità d’Italia.

Gli italiani vivono in modo masochistico la politica e la società e la vivono ciclicamente; con Alleati contro fascisti, con i democristiani e missini contro i comunisti, con i comunisti contro i capitalisti, con i capitalisti contro i nazionalisti e con i nazionalisti contro tutti; mai che l’italiano abbia guardato all’Italia senza mettere in ballo giustificazioni. Giustificazioni che hanno portato allo sfacelo attuale e che entro un pugno di decadi cancelleranno l’Italia e gli italiani.

Oggi viviamo in pieno le conseguenze di quei fatti, oggi chi ha occhi per vedere ed intelletto per ragionare può valutare compiutamente quegli eventi. Una nazione impoverita, allo sbando senza riferimenti, una classe politica corrotta, superficiale, un esercito al servizio dello straniero, una immigrazione mirata a dissociare completamente italiani e Italia. Farne un elenco ulteriore è inutile, questi tempi li stiamo vivendo e soffrendo.

Il periodo 1922-1942 è stato l’unico che dalla caduta di Roma ha dato a questa nostra terra onore, orgoglio, potenza, forza e giustizia sociale.

Chi ha nel cuore tutto ciò deve sentirsi orgoglioso di quel periodo, di quell’Italia ed elevare a leggenda gli eventi e le gesta di chi quegli eventi creò e di chi li difese con la propria vita.

 

Gianfranco Bilancini

 

In onore

IV Btg. ascari “Toselli”

Rgt. cavalleria coloniale “Penne di falco”

136a div. “Giovani Fascisti”

Div. paracadutisti “Folgore”

7.000 guerriglieri in A.O.I.

Inc. di marina Xa MAS

Div. Cor. “Ariete” e “Littorio”

63a Lg. CC.NN. “Tagliamento”

1° Gruppo Caccia

Smg. “Da Vinci” e “Tazzoli”

 

In ricordo di:

– Adamo Profico che con il suo carro, durante la battaglia della piana di Catania distrusse 25 automezzi di una colonna anglo-americana

– Vito Procida e Francesco Cargnel che unici superstiti di un reparto ADRA, penetrati dietro le linee nemiche distrussero al suolo 25 quadrimotori nemici.

e di tutti coloro che dal Corno d’Africa ai cieli d’Inghilterra, dall’Atlantico alle steppe russe hanno versato il loro sangue per un sogno e per una nazione che oramai non esistono più.

 

 

Fonti bibliografiche

a) Cambridge University Press – Storia del mondo antico, vol.        VIII e IX.

b) La Storia Manipolata – Luciano Salera, ed. Controcorrente

c) L’Inghilterra contro il Regno delle Due Sicilie – Erminio De        Biase, ed. Controcorrente

d) L’Era di Re Ferdinando – F. M. Di Giovine, ed. Controcorrente

e) El Alamein e la guerra sbagliata, Piero Sella, ed. L’Uomo        Libero n°55

f) Il delitto Matteotti (che il mandante fosse il re…) – art. su La        Nazione 1 novembre 1985.

Il caso Matteotti – Franco Scalzo, ed. Settimo Sigillo

g) Rodi 1939: Londra voleva la guerra con l’Italia – Storia        Illustrata art. di M. Valle

h) Cheren – Renato Loffredo, ed. Longanesi.

 

 

 

 

4 Comments

  • Gianluca Padovan 15 Gennaio 2015

    A proposito dell’olio di pietra, ecco un articoletto pubblicatomi da Rinascita tempo fa. Buona lettura.
    G. Padovan

    Da Matteotti a Mattei, come in una favola.

    di Gianluca Padovan

    Il titolo completo avrebbe potuto essere «Petrolio: da Matteotti a Mattei passando da Ardito Desio, Vittorio Emanuele III e Aldo Finzi». Ma veniamo non hai fatti, perché non ho alcuna prova in mano, ma alle chiacchiere da salotto. O, se vogliamo, alle leggende con un fondo di verità. Ardito Desio (1897-2001) fu un esploratore che vide ben tre secoli. Professore all’Università degli Studi di Milano, ordinario alla facoltà di Geologia, un giorno fece una scappata a vedere il bel suolo d’Africa e si trovò a passeggiare tra le sassaie e le dune della Libia. Dette distrattamente un calcio ad un ciottolo nerastro e scoprì un buchetto dal quale cominciò a zampillare del liquido nero. «Petrolio!». Ma questo non lo poté esclamare, perché qualcuno lo zittì. Almeno, così narra la leggenda non ufficiale. La storia ufficiale narra invece, a tutt’oggi, che il nostro professore eccelse in ogni suo studio, in ogni sua spedizione, ma non fu in grado di capire, o di vedere, che la conquistata Libia conteneva un grande giacimento di petrolio. Detto per inciso fu anche un grande organizzatore di spedizioni, tra cui quella del 1954 con il Club Alpino Italiano sul Dapsang, meglio noto a noi italiani come K2. Peccato che per mezzo secolo si trascinò la vicendaccia Bonatti – Lacedelli con i poveri Compagnoni e Mahadi messi da parte senza riparo in alta quota per una notte intera e con il cerotto sulla bocca una volta a casa. Ma questa è un’altra storia, seppure indicativa di come la verità sulle azioni degli uomini ci mettano sempre decenni per venire a galla. Per chi non voglia crederci si legga di un’altra spedizione, quella sul Nanga Parbat, cima himalaiana raggiunta dai fratelli Reinhold e Günther Messner e in cui perse la vita il secondo. La storia ufficiale negò l’esatto svolgersi degli eventi di quel giugno 1970, sminuendo l’eccezionalità del valore dimostrato dai due alpinisti (Messner R., La montagna nuda, Corbaccio, Milano 2003). Se scartabellate le enciclopedie sia cartacee sia virtuali queste cose non le troverete. Questa si chiama censura, si chiama distorsione della verità affinché le cose rimangano confuse, nell’ombra, mantengano i contorni sfumati delle storie di paese. Se lo fanno per una scalata in montagna, figuriamoci che cosa sono disposti a fare per il cosiddetto «oro nero» attraverso cui transitano i più grossi affari mondiali.
    Ebbene, sempre la leggenda narra che a mettere il cerotto sulla bocca ad Ardito Desio fu Vittorio Emanuele III, rimasto re grazie alla massoneria inglese e francese, nonché all’appoggio delle banche straniere. Tanto, a lui importava solamente di poter accrescere il proprio titolo (da re a imperatore), visto che la statura era rimasta bassa. Così s’intascò un bel pacchetto di titoli inglesi (o americani) e la faccenda della Libia piena di petrolio fu nuovamente chiusa.
    E si dice «nuovamente» perché prima di Desio altri si erano accorti dell’esistenza dei giacimenti petroliferi, ma dovettero tacere. Il deputato socialista Giacomo Matteotti, fermo antifascista, nel 1924 denuncia l’illegalità delle avvenute elezioni e così il 10 giugno 1924 è assalito da un gruppo di fascisti e poi ucciso. Qualcuno vocifera che proprio in quei giorni Matteotti si apprestava a denunciare in parlamento l’intera vicenda che aveva portato all’insabbiamento della scoperta petrolifera in Libia e ai forti giri di mazzette che ne erano seguiti per cucire le varie bocche.
    In pratica, a taluni individui dei brogli elettorali non gliene importava alcunché, ma si riteneva invece pericolosissima la fuga di notizie sul petrolio libico in quanto l’estrazione da parte dell’Italia avrebbe nuociuto alle imprese petrolifere statunitensi, in accordo con gli inglesi. Quindi decisero di liquidare il povero Matteotti. Sempre secondo la leggenda, l’organizzatore dell’eterno silenzio di Matteotti fu Aldo Finzi, aviatore al seguito di D’Annunzio su Vienna. Finzi s’iscrive al Partito Fascista nel 1920 e fa subito carriera: «L’importanza assunta da Finzi all’interno del fascismo era rispecchiata dalla prima composizione del gabinetto Mussolini, nel quale lo squadrista era sottosegretario agli interni e braccio sinistro di Mussolini, il destro dovendo probabilmente considerarsi il sottosegretario alla Presidenza, Acerbo (tra l’altro suo acerrimo nemico)» (Alegi G., Aldo Finzi, in Storia Militare, marzo n. 30, Parma 1996, p. 12). Alterne vicende lo portano ad occuparsi ancora di aeronautica: «Fu poi Finzi a stendere, se non a ideare, il RD n. 645 del 28 marzo 1923 che creava la Regia Aeronautica Indipendente» (Ibidem, p. 13). A bassa voce si sussurra che brevettò numerosi tedeschi. Poi si allontanò dalla politica e sull’argomento voci e fatti, contenenti accuse di peculato e quant’altro, si sprecano. Così riprende e conclude Gregory Alegi: «In seguito alle leggi razziali, dichiarò di non appartenere alla “razza” ebraica e di professare la religione cattolica. Raggiunse successivamente il grado di tenente colonnello nella riserva. Per alcune affermazioni contro il regime, nel 1941 Finzi fu inviato al confine, dapprima ad Ischia, poi a Ustica, alle Tremiti e infine a Lanciano. Nel novembre 1942 fu espulso dal PNF. Con la caduta del fascismo tornò a Palestrina dove, nonostante ad esporlo a gravi rischi bastasse il nome ebraico e benché la sua casa fosse occupata dai tedeschi, si impegnò in un’attività partigiana. Secondo alcune testimonianze si sarebbe anche avvicinato alla comunità ebraica romana. Il 28 febbraio 1944 fu arrestato a Palestrina dalle SS e tradotto al carcere romano di Regina Coeli. Il 24 marzo successivo fu condotto alle Fosse Ardeatine e ucciso, assieme ad altri 334 sventurati» (Ibidem, pp. 15-16). Ancora più sottovoce si mormora che Aldo Finzi prese parte all’organizzazione della strage di Via Rasella, operata dai partigiani contro soldati altoatesini combattenti nelle file tedesche: motivo per il quale vi fu la rappresaglia tedesca con l’uccisione alle Fosse Ardeatine.
    Ma tutto ciò rientra nelle leggende metropolitane che “ammalorano”, a distanza di decenni, troppe chiacchiere da salotto italiano. A queste vanno a sommarsi altre vicende sempre legate al petrolio, come la scomparsa accidentale di Enrico Mattei (1906-1962). Fondatore dell’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) e promotore delle ricerche di petrolio e gas metano in Italia, in particolare nell’area del Po (guarda caso, proprio del Polesine erano originari sia Matteotti sia Finzi), cercò sempre trattative dirette con i paesi produttori di petrolio, come la Russia e i paesi arabi. Poi, un giorno dimenticò di mettere l’elastico delle mutande al suo aeroplano e disgraziatamente precipitò dabbasso. In Italia si cercò, successivamente, di non prendere iniziative proprie e contattare i lontani paesi stranieri produttori di petrolio tramite comodi, seppur costosi, intermediari. Però, a parte la verità poc’anzi espressa, si può anche leggere così su di una enciclopedia a proposito della scomparsa di Mattei: «Morì in un incidente aereo avvenuto in circostanze ancora poco chiare alle quali, in seguito alla riapertura dell’inchiesta nel 1997, sembra abbiano concorso tanto i servizi segreti francesi e l’OAS, quanto il generale sentimento di ostilità delle grandi compagnie petrolifere internazionali, che vedevano nell’attività di Mattei una minaccia ai propri interessi monopolistici» (Larousse -a cura di-, Enciclopedia Rizzoli Larousse, vol. 13, Milano 2004, p. 407). Però! Non sapevo che un «sentimento di ostilità», quindi una cosa legata all’immaterialità dell’animo umano, potesse causare materialmente danni alla salute. Ma nelle favole tutto è possibile.

  • Gianluca Padovan 15 Gennaio 2015

    A proposito dell’olio di pietra, ecco un articoletto pubblicatomi da Rinascita tempo fa. Buona lettura.
    G. Padovan

    Da Matteotti a Mattei, come in una favola.

    di Gianluca Padovan

    Il titolo completo avrebbe potuto essere «Petrolio: da Matteotti a Mattei passando da Ardito Desio, Vittorio Emanuele III e Aldo Finzi». Ma veniamo non hai fatti, perché non ho alcuna prova in mano, ma alle chiacchiere da salotto. O, se vogliamo, alle leggende con un fondo di verità. Ardito Desio (1897-2001) fu un esploratore che vide ben tre secoli. Professore all’Università degli Studi di Milano, ordinario alla facoltà di Geologia, un giorno fece una scappata a vedere il bel suolo d’Africa e si trovò a passeggiare tra le sassaie e le dune della Libia. Dette distrattamente un calcio ad un ciottolo nerastro e scoprì un buchetto dal quale cominciò a zampillare del liquido nero. «Petrolio!». Ma questo non lo poté esclamare, perché qualcuno lo zittì. Almeno, così narra la leggenda non ufficiale. La storia ufficiale narra invece, a tutt’oggi, che il nostro professore eccelse in ogni suo studio, in ogni sua spedizione, ma non fu in grado di capire, o di vedere, che la conquistata Libia conteneva un grande giacimento di petrolio. Detto per inciso fu anche un grande organizzatore di spedizioni, tra cui quella del 1954 con il Club Alpino Italiano sul Dapsang, meglio noto a noi italiani come K2. Peccato che per mezzo secolo si trascinò la vicendaccia Bonatti – Lacedelli con i poveri Compagnoni e Mahadi messi da parte senza riparo in alta quota per una notte intera e con il cerotto sulla bocca una volta a casa. Ma questa è un’altra storia, seppure indicativa di come la verità sulle azioni degli uomini ci mettano sempre decenni per venire a galla. Per chi non voglia crederci si legga di un’altra spedizione, quella sul Nanga Parbat, cima himalaiana raggiunta dai fratelli Reinhold e Günther Messner e in cui perse la vita il secondo. La storia ufficiale negò l’esatto svolgersi degli eventi di quel giugno 1970, sminuendo l’eccezionalità del valore dimostrato dai due alpinisti (Messner R., La montagna nuda, Corbaccio, Milano 2003). Se scartabellate le enciclopedie sia cartacee sia virtuali queste cose non le troverete. Questa si chiama censura, si chiama distorsione della verità affinché le cose rimangano confuse, nell’ombra, mantengano i contorni sfumati delle storie di paese. Se lo fanno per una scalata in montagna, figuriamoci che cosa sono disposti a fare per il cosiddetto «oro nero» attraverso cui transitano i più grossi affari mondiali.
    Ebbene, sempre la leggenda narra che a mettere il cerotto sulla bocca ad Ardito Desio fu Vittorio Emanuele III, rimasto re grazie alla massoneria inglese e francese, nonché all’appoggio delle banche straniere. Tanto, a lui importava solamente di poter accrescere il proprio titolo (da re a imperatore), visto che la statura era rimasta bassa. Così s’intascò un bel pacchetto di titoli inglesi (o americani) e la faccenda della Libia piena di petrolio fu nuovamente chiusa.
    E si dice «nuovamente» perché prima di Desio altri si erano accorti dell’esistenza dei giacimenti petroliferi, ma dovettero tacere. Il deputato socialista Giacomo Matteotti, fermo antifascista, nel 1924 denuncia l’illegalità delle avvenute elezioni e così il 10 giugno 1924 è assalito da un gruppo di fascisti e poi ucciso. Qualcuno vocifera che proprio in quei giorni Matteotti si apprestava a denunciare in parlamento l’intera vicenda che aveva portato all’insabbiamento della scoperta petrolifera in Libia e ai forti giri di mazzette che ne erano seguiti per cucire le varie bocche.
    In pratica, a taluni individui dei brogli elettorali non gliene importava alcunché, ma si riteneva invece pericolosissima la fuga di notizie sul petrolio libico in quanto l’estrazione da parte dell’Italia avrebbe nuociuto alle imprese petrolifere statunitensi, in accordo con gli inglesi. Quindi decisero di liquidare il povero Matteotti. Sempre secondo la leggenda, l’organizzatore dell’eterno silenzio di Matteotti fu Aldo Finzi, aviatore al seguito di D’Annunzio su Vienna. Finzi s’iscrive al Partito Fascista nel 1920 e fa subito carriera: «L’importanza assunta da Finzi all’interno del fascismo era rispecchiata dalla prima composizione del gabinetto Mussolini, nel quale lo squadrista era sottosegretario agli interni e braccio sinistro di Mussolini, il destro dovendo probabilmente considerarsi il sottosegretario alla Presidenza, Acerbo (tra l’altro suo acerrimo nemico)» (Alegi G., Aldo Finzi, in Storia Militare, marzo n. 30, Parma 1996, p. 12). Alterne vicende lo portano ad occuparsi ancora di aeronautica: «Fu poi Finzi a stendere, se non a ideare, il RD n. 645 del 28 marzo 1923 che creava la Regia Aeronautica Indipendente» (Ibidem, p. 13). A bassa voce si sussurra che brevettò numerosi tedeschi. Poi si allontanò dalla politica e sull’argomento voci e fatti, contenenti accuse di peculato e quant’altro, si sprecano. Così riprende e conclude Gregory Alegi: «In seguito alle leggi razziali, dichiarò di non appartenere alla “razza” ebraica e di professare la religione cattolica. Raggiunse successivamente il grado di tenente colonnello nella riserva. Per alcune affermazioni contro il regime, nel 1941 Finzi fu inviato al confine, dapprima ad Ischia, poi a Ustica, alle Tremiti e infine a Lanciano. Nel novembre 1942 fu espulso dal PNF. Con la caduta del fascismo tornò a Palestrina dove, nonostante ad esporlo a gravi rischi bastasse il nome ebraico e benché la sua casa fosse occupata dai tedeschi, si impegnò in un’attività partigiana. Secondo alcune testimonianze si sarebbe anche avvicinato alla comunità ebraica romana. Il 28 febbraio 1944 fu arrestato a Palestrina dalle SS e tradotto al carcere romano di Regina Coeli. Il 24 marzo successivo fu condotto alle Fosse Ardeatine e ucciso, assieme ad altri 334 sventurati» (Ibidem, pp. 15-16). Ancora più sottovoce si mormora che Aldo Finzi prese parte all’organizzazione della strage di Via Rasella, operata dai partigiani contro soldati altoatesini combattenti nelle file tedesche: motivo per il quale vi fu la rappresaglia tedesca con l’uccisione alle Fosse Ardeatine.
    Ma tutto ciò rientra nelle leggende metropolitane che “ammalorano”, a distanza di decenni, troppe chiacchiere da salotto italiano. A queste vanno a sommarsi altre vicende sempre legate al petrolio, come la scomparsa accidentale di Enrico Mattei (1906-1962). Fondatore dell’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) e promotore delle ricerche di petrolio e gas metano in Italia, in particolare nell’area del Po (guarda caso, proprio del Polesine erano originari sia Matteotti sia Finzi), cercò sempre trattative dirette con i paesi produttori di petrolio, come la Russia e i paesi arabi. Poi, un giorno dimenticò di mettere l’elastico delle mutande al suo aeroplano e disgraziatamente precipitò dabbasso. In Italia si cercò, successivamente, di non prendere iniziative proprie e contattare i lontani paesi stranieri produttori di petrolio tramite comodi, seppur costosi, intermediari. Però, a parte la verità poc’anzi espressa, si può anche leggere così su di una enciclopedia a proposito della scomparsa di Mattei: «Morì in un incidente aereo avvenuto in circostanze ancora poco chiare alle quali, in seguito alla riapertura dell’inchiesta nel 1997, sembra abbiano concorso tanto i servizi segreti francesi e l’OAS, quanto il generale sentimento di ostilità delle grandi compagnie petrolifere internazionali, che vedevano nell’attività di Mattei una minaccia ai propri interessi monopolistici» (Larousse -a cura di-, Enciclopedia Rizzoli Larousse, vol. 13, Milano 2004, p. 407). Però! Non sapevo che un «sentimento di ostilità», quindi una cosa legata all’immaterialità dell’animo umano, potesse causare materialmente danni alla salute. Ma nelle favole tutto è possibile.

  • Accad 16 Gennaio 2015

    Spunti molto interessanti, aggiungono tessere ad un mosaico sempre più ben definito.
    In più, Finzi ricevette post mortem, a guerra finita e persa, la medaglia d’oro.
    Come disse un famosissimo politico italiano “A pensar male è peccato ma ha volte ci si azzecca”.

    cordialità.

  • Accad 16 Gennaio 2015

    Spunti molto interessanti, aggiungono tessere ad un mosaico sempre più ben definito.
    In più, Finzi ricevette post mortem, a guerra finita e persa, la medaglia d’oro.
    Come disse un famosissimo politico italiano “A pensar male è peccato ma ha volte ci si azzecca”.

    cordialità.

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