9 Aprile 2024
Archeostoria

L’eredità degli antenati, centoquarantesima parte – Fabio Calabrese

Novembre. La mia tabella di marcia mi dice che questo articolo dovrebbe comparire sulle pagine elettroniche di “Ereticamente” nel mese di dicembre, il che significa che la “forbice” della distanza temporale fra gli eventi di cui vi parlo e il momento della pubblicazione, che era giunta a livelli spropositati, si è ora ridotta a un solo mese. Ho lavorato tutto il 2023 per ottenere questo risultato. Non è ancora il massimo ma l’anno prossimo vedremo di fare di meglio.

Cominciamo, come al solito, a vedere cosa ha in serbo “Ancient Origins” che è forse, come sapete, il sito più completo in materia.

Noi abbiamo visto più di una volta che quando studiamo da vicino i Romani, ci sorprendono spesso con la loro tecnologia inaspettatamente avanzata, e di certo non è una sorpresa vederla applicata in campo militare. In due articoli dell’1 e 3 novembre (o forse lo stesso articolo diviso in due parti), Robbie Mitchell ci racconta della manuballista, una sorta di balestra impiegata dalle legioni romane, era un’arma che consentiva di scagliare proiettili da 7 pollici con grande rapidità e precisione, ed era molto mobile, con ogni probabilità la più letale fino all’invenzione delle armi da fuoco, sarebbe stata essa ad agevolare la conquista della Britannia. L’articolo del 3 parla del rinvenimento di un deposito di queste armi nei pressi del vallo di Adriano.

Il 1 novembre Marc Hyden ci parla di una figura importante della storia romana, Marco Furio Camillo, “il secondo fondatore di Roma”, a cui si deve la liberazione della città dai Galli di Brenno. Camillo non fu solo un ottimo generale e un abile stratega come dimostrò nella campagna contro Veio, fu soprattutto un esempio di onestà e di virtù civiche, specialmente al confronto dei leader corrotti di tempi successivi.

Sempre il 1 novembre Martini Fisher ci parla di mitologia greca, in particolare di Efesto e di Teti. Secondo il mito, Efesto, scacciato dall’Olimpo poco dopo la nascita a causa della sua bruttezza, sarebbe stato allevato dalle ninfe Teti ed Eurinome. Per riconoscenza verso la madre adottiva, Efesto avrebbe poi forgiato le armi del figlio di Teti, Achille, pur essendo consapevole che quest’ultimo non sarebbe sopravvissuto alla guerra di Troia. È, ci dice la Fisher, una storia di amore e di dolore.

Il 2 novembre Robbie Mitchell ci porta in Cornovaglia. Questa penisola nell’angolo sud-occidentale della Gran Bretagna ha una storia particolare, qui infatti si trovano le rovine del castello di Tintagel dove, secondo la leggenda, sarebbe nato Artù.

Ancora il 2 novembre Sahir ci parla del ritrovamento avvenuto a Vulci, della tomba “dei principi del vino” di cui vi ho già parlato la volta scorsa, perciò ora non mi ci soffermo.

Il 3 novembre andiamo in Scozia con Ashley Cowie. A Stirling, antica capitale scozzese, nel giardino di una locanda, è stato rintracciato un tratto di strada romana. È una prova del fatto che, sebbene si siano poi ritirate al disotto del vallo di Adriano rinunciando a sottomettere le riottose popolazioni scozzesi, inizialmente le legioni romane si erano spinte ben più a nord del vallo.

Il 4 novembre Johanna Gillian ci porta in Germania, precisamente nel Brandenburgo a nord di Berlino, qui gli archeologi dell’Università Georg-August di Gottinga hanno portato alla luce le fondamenta di un edificio lungo 31 metri e largo 10 risalente a 3.000 anni fa. Potrebbe essere la reggia del leggendario re Hinz.

Il 5, invece, sempre la Gillian ci riporta a casa nostra. Nelle acque nord-orientali della Sardegna è stato recuperato un tesoro di almeno 30.000 monete del IV secolo dopo Cristo. Potrebbero i resti di un naufragio. Le monete si sarebbero conservate, lo scafo della nave che le trasportava, invece no.

Lo stesso giorno Robbie Mitchell ci parla di Oetzi, di un’ipotesi che è stata avanzata circa la morte dell’“uomo venuto dal ghiaccio”, che potrebbe essere stato vittima, più che di un omicidio, di un’immolazione sacrificale.

Il giorno 8, Mitchell si occupa di un’altra mummia certamente meno nota. Chiamata il vecchio Croghan, fu recuperata dall’omonima palude ai piedi della Croghan Hill nell’Irlanda centrale. La zona fu un tempo sede di un importante regno irlandese. L’indizio più rivelatore per capire l’identità dell’uomo, sono le mani, senza callosità e con le unghie ben curate che testimoniano la sua appartenenza a un’élite che non svolgeva lavori manuali. Un ulteriore indizio è un bracciale decorato con simboli solari dal chiaro valore religioso, al braccio sinistro, che fa pensare che ci troviamo di fronte al corpo di un druido.

Lo stesso giorno Mitchell ci parla di un uomo di cui non ci è rimasta la mummia ma lo scheletro carbonizzato, i resti di un soldato romano rinvenuti a Ercolano, morto nell’eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo. La sua postura fa pensare che stesse cercando di indirizzare gli altri verso un possibile riparo. Un tragico esempio di eroismo.

Il 9 novembre è Mario Bartolini che, dopo averci raccontato il periodo dell’anarchia militare romana, ci parla di Diocleziano e dell’originale esperimento politico della tetrarchia, che avrebbe dovuto ovviare al fatto che l’impero era troppo esteso per un’unica amministrazione, sia assicurare una successione regolare, esperimento che non diede i risultati sperati, ma finì per generare altro caos.

Lo stesso giorno Robbie Mitchell ci racconta di un esperimento compiuto da due storici greci, Theodore e Kristos, che hanno messo a confronto la ricostruzione di un antico arco greco con un arco moderno, di quelli che si usano nelle gare olimpiche. È risultato che l’arco antico, anche se meno preciso, ha maggior forza di penetrazione.

Il 10 novembre Aleksa Vučković ci parla del cursus publicum, il sistema postale romano. Un efficiente sistema di comunicazione era essenziale per tenere unito un impero di grandi dimensioni. I Romani attuarono un metodo di messaggeri a staffetta che pare sia stato mutuato da quello già in uso nell’antico impero persiano.

Il 14 Sahir ci da la notizia del ritrovamento nella regione oggi turca della Cappadocia dei resti di una villa romana del IV secolo dopo Cristo, che ha messo in luce un enorme pavimento musivo di 600 metri quadrati.

Il 15 novembre Nathan Falde ci porta in Norvegia, precisamente sull’isola di Leka, nella contea di Trøndelag, nella Norvegia centro-settentrionale, qui in un tumulo è stata scoperta una grande nave sepolta risalente al 700, quindi a un’epoca considerata pre o proto-vichinga. Questo ci dice che i vichinghi non inventarono la sepoltura nelle navi, ma continuarono una tradizione precedente.

Nonostante il suo nome che significa “pagine antiche”, “Ancient Pages” in questo periodo si è occupata di astronomia, tecnologia, paleontologia, cambiamenti climatici, tutte cose interessantissime, per carità, ma che escono dal nostro campo. L’unica eccezione è un articolo dell’11 novembre di A. Sutherland sulla leggenda di Dedalo e Icaro. Io ora non vi ripeterò questa storia, forse poco nota al pubblico anglosassone, ma che dovrebbe essere conosciutissima da noi.

Vediamo ora cosa ci presentano in questo periodo i siti generalisti e i quotidiani.

Comincio con il segnalare il 1 novembre sul sito “Amici della scienza” un articolo di Gabriele Ferrari sulle migrazioni umane in America. Secondo la vulgata ufficiale, gli antenati degli amerindi sarebbero giunti nel Nuovo Mondo attraverso il ponte di terra della Beringia tra 13 e 14.000 anni fa, ma nel Nuovo Messico suono state ritrovate impronte umane che è stato possibile datare a fra 21 e 23.000 anni or sono, quindi la storia della presenza umana nelle Americhe è tutta da riscrivere.

Io, a questo riguardo, vorrei ricordare che ho più volte evidenziato, sia su queste pagine, sia sul mio libro Alla ricerca delle origini, che la cronologia ufficiale del popolamento preistorico delle Americhe è davvero troppo corta.

Un comunicato di Adnkronos del 3 novembre ci parla della strada romana scoperta in Scozia di cui vi ho detto sopra.

Lo stesso giorno “Finestre sull’arte” ci racconta che a Casalromano (Mantova) uno scavo della Soprintendenza ha portato alla luce una ricca necropoli dell’Età del Ferro appartenuta al popolo dei Cenomani. Sebbene non fossero fra le popolazioni celtiche più numerose fra quante si insediarono in Italia, i Cenomani sono probabilmente quelli che hanno lasciato le maggiori tracce archeologiche, perché vi si insediarono pacificamente ed ebbero buoni rapporti con Roma.

Il 4 novembre un articolo di Laura Larcan sul “Corriere adriatico” riporta la notizia del ritrovamento del tesoro di monete del IV secolo al largo delle coste della Sardegna, di cui, analogamente, vi ho detto sopra.

Il 6 “Il Gazzettino” ci dà la notizia che un team di ricercatori dell’Università di Venezia ha scoperto nell’isola di Creta la sepoltura di un guerriero verosimilmente miceneo, corredata da una panoplia di armi fra cui un elmo e uno scudo di bronzo.

Sempre il 6 novembre, la notizia della strada romana rinvenuta in Scozia, la troviamo anche sul sito “Zhistorica”.

Lo stesso giorno, un articolo di Sandro Gionti su “Il Messaggero” ci racconta che a Formia (Latina) è tornato alla luce un cippo miliare romano della via Appia. In realtà non si tratta propriamente di una scoperta archeologica, il cippo era semplicemente nascosto sotto uno strato di erbacce e rifiuti.

Un comunicato ANSA dell’8 novembre ci informa che ricerche condotte dall’Università di Verona hanno portato alla scoperta ad Aquileia (Udine) di un nuovo lastricato di età romana. È il caso di ricordare che Aquileia fu in età antica il più importante centro della Venetia romana.

Un altro comunicato ANSA dello stesso giorno ci porta all’estremità opposta dell’Italia. A Castiglione di Sicilia (Catania), scavi condotti di concerto fra la Soprintendenza e l’Università catanese, hanno portato alla scoperta dei resti, risalenti al IV secolo avanti Cristo, di un vasto complesso per la cottura e la produzione delle ceramiche.

Il 9 novembre “Il Resto del Carlino” ci informa dell’apertura al Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma della mostra “Spina etrusca a Villa Giulia. Un grande porto nel Mediterraneo”. Spina, da cui provengono i reperti, in effetti, fu il più importante porto etrusco sull’Adriatico.

Sempre il 9 (e lasciamo stare che si tratta di una pubblicazione con finalità pubblicitarie), un articolo di Alessia Bartiromo su “Voloscontato” ci informa che a Roma, dopo mezzo secolo di chiusura ha riaperto al pubblico il complesso della Domus Tiberiana, ossia di ciò che resta oggi della residenza dell’imperatore Tiberio, non lontano dal Foro Romano.

“Il Resto del Carlino” del 10 novembre ci informa che nel sito archeologico di Claterna nel comune di Ozzano nell’Emilia (Bologna), da tempo oggetto di ricerche, è appena venuto alla luce un tesoro di 3.000 monete romane.

Sempre il 10, un comunicato ANSA ci informa che a Ventimiglia, nel sito dell’antica Albitimilium, sono state ritrovate altre nove tombe risalenti a fra il IV e il VI secolo dopo Cristo, portandole così a un totale di 159.

Lo stesso giorno un altro comunicato ANSA informa che dall’11 riapre al pubblico l’area megalitica di Aosta. Fra le cose in esposizione, calchi di impronte umane risalenti all’Età del Bronzo e 46 stele antropomorfe.

Il 16 novembre “Il Resto del Carlino” ci torna a parlare del progetto dell’Università di Bologna di cui vi ho parlato la volta scorsa che grazie a un finanziamento di 13 milioni di euro erogato dallo European Research Council (ERC), si appresta ad effettuare una ricerca in grande stile con il supporto di esperti internazionali per chiarire le cause dell’estinzione dell’uomo di Neanderthal.

Se posso dire la mia opinione in proposito, anche se nessuno è venuto a regalarmi 13 milioni di euro, al riguardo non vedo alcun mistero. La scomparsa dell’uomo di Neanderthal è strettamente legata all’apparizione dell’Homo sapiens “anatomicamente moderno”.

Anche se scontri diretti potrebbero essere avvenuti, non dobbiamo pensare a guerre di sterminio, queste suono una specialità della nostra epoca. Dobbiamo pensare alla competizione per le stesse risorse, competizione in cui i Neanderthaliani si sarebbero trovati svantaggiati. Ma con ogni probabilità, più che la guerra, all’uomo di Neanderthal è stato fatale l’amore. In pratica, si sarebbero mescolati con i nuovi venuti dando origine a una popolazione ibrida nella quale i caratteri neanderthaliani si sarebbero inevitabilmente diluiti.

Questa popolazione ibrida siamo noi, che, come ha dimostrato la paleogenetica, conserviamo nel nostro DNA una percentuale di geni neanderthaliani oscillante tra il 2 e il 4 per cento.

Si era pensato in un primo momento che una percentuale così bassa dipendesse dal fatto che nella popolazione ibrida risultante, i geni neanderthaliani sarebbero stati gradualmente eliminati dalla selezione naturale, ma si è visto che non è così. Questa percentuale, anche se bassa, è rimasta stabile attraverso le decine di migliaia di anni. Con ogni probabilità dipende dal fatto che fin dall’inizio la popolazione di Neanderthal era molto più rada di quella degli uomini “anatomicamente moderni”.

Ora la domanda è: perché ci si ostina a vedere un mistero, e si è disposti a spendere 13 milioni di euro, dove palesemente non c’è?

La risposta è piuttosto ovvia: se neanderthaliani e uomini “anatomicamente moderni” hanno potuto incrociarsi e originare una discendenza fertile, noi, significa che appartenevano alla stessa specie, ma ammettere questo, significa buttare a gambe all’aria l’Out of Africa, un dogma che non deve essere toccato per motivi ideologici, infatti non ha senso affermare che la nostra specie sarebbe “uscita dall’Africa” tra 100 e 50.000 anni fa, se già popolava l’Eurasia da centinaia di migliaia di anni.

In un precedente articolo ho paragonato questo lavoro alla ricerca dei funghi. A volte si è fortunati, altre volte meno, indipendentemente dall’impegno che ci si mette. Apparentemente, stavolta non c’è moltissimo di rilevante dal nostro punto di vista. Torno una volta di più a rilevare la falsità dell’Out of Africa, dogma puntualmente smentito da ogni seria ricerca, che ci si vuole imporre sulle nostre origini, per negare il concetto di razza e favorire l’accoglioneria verso i cosiddetti migranti.

Inoltre vediamo che la civiltà romana di cui i nostri connazionali sono eredi stranamente poco fieri, è sempre al centro delle ricerche archeologiche, dalla strada rinvenuta in Scozia alla villa i cui resti sono emersi in Cappadocia. Elementi importanti delle nostre origini, sono pure la grecità, di cui abbiamo visto i miti di Efesto e Teti e quello di Dedalo e Icaro, il mondo celtico rappresentato dall’uomo di Croghan, probabile druido, quello germanico testimoniato dal ritrovamento in Brandenburgo di quella che forse era la reggia del re Hinz.

Greche, romane, celtiche, germaniche. Le radici dell’Europa sono queste, e hanno poco a che fare con un culto venuto dal Medio Oriente.

NOTA: Nell’illustrazione, a sinistra, rappresentazione di un druido, probabilmente anche l’uomo di Croghan lo era, al centro, il gruppo marmoreo dei tetrarchi che ci ricorda il tentativo di Diocleziano di riformare l’impero romano, a destra, rappresentazione del mito di Icaro, da “Ancient Pages”.

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