11 Aprile 2024
Antropologia

L’archetipo della crudeltà: le origini sadiche dell’uomo in un saggio di Robert Eisler – Simöne Gall

Si sente infatti parlare a volte di crudeltà “belluina” dell’uomo, ma è profondamente ingiusto e offensivo per le belve: una belva non potrebbe mai essere crudele quanto un uomo, così artisticamente e raffinatamente crudele. Una tigre morde, sbrana e non sa fare nient’altro. Non le verrebbe mai in mente di inchiodare gli uomini per gli orecchi per tutta una notte, neppure se fosse in grado di farlo”.
(Fedor Dostoevskij – I Fratelli Karamazov)

Si dice che vi fu un tempo in cui i primi esseri umani, nostri antenati primitivi, vivevano in uno stato di vita armoniosa in piccole tribù, nutrendosi esclusivamente dei frutti della terra. Fino a che, in un dato momento preistorico, l’uomo non conobbe la vulnerabilità davanti agli attacchi dei predatori che cominciarono a insediarlo. Fu a quel punto che quello stesso uomo primitivo assunse le sembianze del predatore, emulando il comportamento dei lupi per poi indossare le loro pelli e finire col cibarsi spontaneamente di carne. In breve tempo, l’uomo divenne un carnivoro dedito alla quotidiana pratica uccisoria che lo avrebbe portato, spiega lo storico ed erudito Robert Eisler, ad autoescludersi dal giardino dell’Eden. I miti sulla caduta e il peccato originale, da sempre diffusi in tutte le popolazioni, sarebbero, secondo Eisler, da prendersi alla lettera. Una volta sviluppato il gusto per il sangue, ovvero quando diventammo a tutti gli effetti uomini-lupo, iniziammo ad attaccare altre tribù e a procacciare le loro femmine, dando di fatto concepimento alla volontà bellica superlativamente radicata nell’uomo moderno. Tutti questi temi, viepiù interessanti, sono racchiusi nel suo Man Into Wolf: An Anthropological Interpretation of Sadism, Masochism and Lycantrophy, uscito originariamente nel 1951 e recentemente ripubblicato (da Adelphi) con il titolo di Uomo diventa Lupo – Un’interpretazione antropologica del sadismo, del masochismo e della licantropia.

Durante la sua lungimirante carriera, Eisler si occupò principalmente di storia antica, storia dell’arte e storia delle religioni, ma ebbe vasti interessi culturali e fu anche allievo di Jung. Gli scritti di Eisler abbracciano una grande varietà di temi comprendenti l’astrologia, la magia, il misticismo ed anche, appunto, la licantropia. Descritto come “una figura sorprendente nel campo dell’erudizione”, nel 1938 fu internato a Buchenwald e a Dachau, ma riuscì eccezionalmente a sfuggire alla prigionia e a emigrare nel Regno Unito per lavorare come lettore all’Università di Oxford.  Il terreno su cui si innesta Uomo diventa lupo è in realtà una conferenza tenuta dallo stesso Eisler alla Royal Society of Medicine di Londra, nel 1948, avente come riferimento il tema della mitologia e lo studio della teoria archetipica jungiana. Il testo, copiosamente corredato di note e appendici grandemente dettagliate, è ricco di un’aneddotica che passa dal marchese De Sade a Sacher-Masoch, agli antichi rituali di sangue al feticismo della pelliccia nelle pratiche sadomasochistiche. Eisler fu tra i fautori e sperimentatori dei metodi junghiani di analisi dei sogni e della teoria degli archetipi, teoria secondo cui dagli antenati non riceviamo in eredità soltanto geni, ma anche contenuti psichici. Gli archetipi, integrandosi con la coscienza, subiscono un continuo processo di rielaborazione da parte delle società umane, manifestandosi contemporaneamente anche in veste di fantasie, spesso rivelando la loro presenza per mezzo di immagini simboliche. L’archetipo, conseguentemente, funge da prototipo universale per le idee attraverso il quale l’individuo interpreta ciò che osserva: l’immagine primordiale dell’inconscio collettivo.

L’inconscio collettivo è un complesso di memorie ancestrali a cui ogni essere umano può avere accesso. Questa teoria sarebbe utile a spiegare alcuni dei nostri peculiari modi comportamentali. Ci suggerisce, per esempio, che la paura del buio dell’uomo moderno sia dovuta al ricordo, custodito dalla mente inconscia, degli attacchi di animali selvatici nella tenebra notturna ai danni dei nostri antenati. Girarci di scatto quando percepiamo un fruscio improvviso sarebbe un’altra delle reazioni ancestrali tramandataci dall’uomo della foresta, il quale era solito aggirarsi fra gli alberi con fare furtivo. Eisler risale quindi all’archetipo della crudeltà, ipotizzando un big bang dell’atto violento umano volto a rinnovare ritualmente, angosciosamente, il momento in cui una popolazione vegetariana, nonché sessualmente libera, cominciò ad essere sottomessa da bande di mandriani-cacciatori che imposero il modello comportamentale del predatore. Il cambiamento di dieta e il vestire la pelle del lupo, che recava in sé, inoltre, l’idea di favorire della originale potenza predatrice dell’animale, sarebbero le cause ipotetiche del sopraggiungersi di atti di sadismo, masochismo e licantropia nell’impianto comportamentale dell’individuo. Il sadico e il licantropo non farebbero altro che rispondere ai desideri più reconditi dell’uomo lupo, che permarrebbero all’interno del nostro inconscio collettivo. L’idea di mordere, colpire, frustare e, più in generale, sottomettere il partner sessuale, risponderebbe al desiderio di infliggere sofferenza ai nostri pacifici antenati vegetariani.

Aspetti come il sadismo e il masochismo esisterebbero nell’uomo perchè i soggetti non cercherebbero tanto il piacere, quanto più “sensazioni forti”. Il fatto che si cerchino sensazioni più o meno piacevoli o più o meno dolorose (o anche una combinazione delle stesse), sostiene Eisler, dipenderebbe dal gruppo specifico di scimmie da cui si discende. L’umanità, afferma, si è evoluta attraverso due gruppi di scimpanzé: uno dedito all’amore pacifico e “vegetariano”; l’altro violento e carnivoro:

Vi è una copiosa letteratura sulla sindrome psicologica dei fenomeni che prendono il nome dai due famosi o, se si preferisce, noti romanzieri che li hanno descritti nei loro lavori e che prendono direttamente spunto dalle loro esperienze: il Marchese Donatien Alphonse Frangois de Sade e il Cavalier Leopold de Sacher-Masoch. Il fatto stesso che questi fenomeni [a carattere sessuale] siano generalmente descritti come “innaturali” o “perversi”, è una prova sufficiente del fallimento della psicologia, disciplina delle scienze naturali che in definitiva non avrebbe gli strumenti reali per decifrare e spiegare tali fenomeni legati al piacere delle forti sensazioni. Se, infatti, esistono delle “leggi della natura”, nessuna attività umana ha il diritto di “pervertirle” né, tantomeno, di contrastarle”.

Pertanto, il paradosso dell’anelare a “soffrire di dolore”, per il quale lo studioso aveva introdotto, nel 1904, il termine algobulia al fine di distinguerlo dall’algolagnia di Offner e di von Schrenck-Notzing – ovvero eccitazione o gratificazione sessuale ottenuta dalla sofferenza del dolore -, “esiste solo per l’ingenuo edonista che crede che in tutti gli umani, anzi in tutti gli animali, il comportamento degli stessi sia finalizzato ad ottenere il massimo del piacere e un minimo di dolore, o addirittura che il desiderio del piacere e la paura del dolore siano i motivi principali di tutte le nostre azioni”. Il masochista è una persona di sensibilità emotiva non ordinaria il cui bisogno di stimolazione emozionale, dal carattere doloroso, dev’essere mitigato da una forte dose di dolore direttamente inflitto al proprio organismo. Mentre queste considerazioni producono, senza dubbio, una misura di comprensione generale dei fenomeni algobulici, essi non sono in grado di spiegare il particolare lato erotico della sindrome nota al sessuologo come algolagnia. Non è affatto evidente, chiarisce Eisler, il motivo per cui tale approccio indiretto al sesso, attraverso un’eccitazione generale, dovrebbe essere più efficace della stimolazione diretta delle zone erogene. Non è nemmeno chiaro il perché l’insulto non dovrebbe provocare una reazione ugualmente ostile, piuttosto che una risposta amorevole e sottomessa. Il masochista ospita, a un livello inconscio profondo, i ricordi dei pacifici pigmei che osservavano passivamente i guerrieri selvaggi agghindati in pelli di lupo invadere il loro territorio, esercitando violenza sessuale ai danni delle loro donne. Sebbene essi potessero temere una siffatta brutalità, è altresì verosimile che ne fossero allo stesso modo attratti, consci di poter ottenere l’approvazione degli invasori sottomettendosi ai loro stessi voleri.

Nel contesto erotico, e in particolare nell’ambito sadomasochistico, l’inclusione della pelliccia fu resa illustre dal romanzo Venere In Pelliccia (pubblicato per la prima volta nel 1870), reinterpretato più volte anche cinematograficamente – in anni più recenti da Roman Polanski, nel suo film omonimo del 2013. Leopold von Sacher-Masoch, autore del romanzo citato nell’incipit de La Metamorfosi di Franz Kafka, nonché, ovviamente, nell’intramontabile “Venus In Furs” dei Velvet Underground (inclusa nel loro disco d’esordio del 1967), ben descriveva la parafilia che gli era tipica, la stessa che, successivamente, Richard von Krafft-Ebing avrebbe traslato nel termine che tutti noi conosciamo: masochismo. Per parte del partner attivo, il sadico che non può eccitarsi eroticamente se non infliggendo crudeltà di intensità minore o maggiore sull’oggetto dei suoi desideri spietati, rimane il paradosso dell’associazione stretta, assolutamente necessaria, tra crudeltà – che culmina nell’omicidio e nella mutilazione – e amore, che è, secondo St. Thomas, che cita a sua volta Aristotele, “il desiderio di fare del bene” alla persona che è l’oggetto di questa emozione (ovvero la “benevolenza”). Né la teoria generale, dice Eisler, può mai decifrare la caratteristica specificità della “signora prepotente in pelliccia” già rappresentata da Rubens nel famoso ritratto della sua seconda moglie, Hélène Fourment:

Gli psicopatologi si sono rivolti in ultima istanza a spiegare il sadismo come un atavico ritorno alla ferocia primordiale, teoria estesa da Lombroso atta a spiegare tutti i crimini di violenza. Il difetto di questo argomento è che implica un travisamento totale dello stato dell’evoluzione umana a cui il termine “ferocia” è applicato. La parola “selvaggio”, non significa altro che “abitante della foresta”. E l’uomo primitivo nella foresta vergine primordiale non era accompagnato da intenzioni omicide o crudeli, né era improntato all’uccisione animale o alla guerra; piuttosto il contrario”.

Anche diversi nomi antichi tribali indoeuropei – come i Luviani, i Lucani, i Daci e gli Ircaniani – rintracciati in Italia, in Grecia, nella penisola balcanica, in Asia minore o nella Persia nord-occidentale atterrebbero in un modo o nell’altro al binomio “uomini-lupo” o “popolo-lupo”. Allo stesso modo, i numerosi nomi personali germanici, italici e greci derivanti dalle parole “lupo” e “lupa”, dimostrerebbero chiaramente che il passaggio dal branco di raccoglitori di frutti al branco di cacciatori carnivori altro non fu che un processo consapevole accompagnato da un profondo sconvolgimento emotivo rimasto impresso in quella che Jung definisce la memoria subconscia, superindividuale e ancestrale dell’uomo riflessa nelle “superstizioni”, cioè nelle credenze ataviche tramandatesi nel tempo sulla licantropia. Con quest’ultimo termine, secondo l’etnopsichiatria, si comprendono comportamenti e sindromi interpretati, nel folklore o nella superstizione popolare, come l’identificazione di un soggetto umano con il lupo o con un altro animale da preda. In realtà, si ritiene che gli umani e i lupi possano anche essersi evoluti l’una in funzione dell’altra specie. Pat Shipman, già docente di Antropologia all’Università della Pennsylvania e alla State University, sostiene che l’Homo sapiens potè sopravvivere all’era glaciale solo grazie al fatto di essersi accompagnato ai primi proto-cani. I Neanderthal, diversamente, non instaurarono nessun rapporto con i lupi e per questo sarebbero scomparsi, non avendo sviluppato il modo di appoggiarsi ai servigi di un alleato fondamentale, dotato di velocità e molto più sensibile ai suoni e agli odori. Un errore costato molto caro a una specie umana molto simile alla nostra.

Eisler asserisce, in definitiva, che se gli uomini fossero sempre stati dei criminali uccisori non avrebbero alcuna possibilità di redenzione, ma poiché i nostri antichi antenati erano uomini-scimmia devoti all’esercizio della pace, il cui mutamento aggressivo avvenne solamente a causa di condizioni estreme, sarebbe possibile, attraverso enormi cambiamenti sociali, recuperare il loro primigenio stato di armonia sviluppando nuove psicologie e nuovi modi di costituire la società, così da non distruggerci in una guerra nucleare causata da noi stessi, discendenti degli uomini-lupo. Certo è che rattrista un po’ l’idea che le origini della stoltezza umana, separandoci dall’ambito prettamente analitico di Robert Eisler, siano da ricercarsi nell’essenza e nelle gesta di un essere così puro, bello e perfetto com’è il lupo.

Simöne Gall

2 Comments

  • massimo 20 Settembre 2019

    kafka cita von masoch nella metamorfosi?

  • Gianni 1 Agosto 2021

    L’assunto che l’uomo fosse vegetariano non mi convince.Allora potrebbero essere stati vegetariani anche gli altri animali.Non bisogna legare queste ipotesi a qualcosa di etico.L’armonia è comunque legata ad un sentimento o percezione spaziotemporale.

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