9 Aprile 2024
Segnali di Luce

La scienza dimenticata – Rita Remagnino

Dante lega il suo viaggio verso l’unità alle atmosfere acustico-musicali, presenti in tutti e tre i regni. Impaurito e disorientato all’entrata dell’Inferno sente in modo indistinto “diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore”; in Purgatorio si calma grazie ai cori dei penitenti che attorno a lui “cantavan tutti insieme ad una voce”; in Paradiso ritrova la “dolce armonia tra queste note”.
Sebbene sia noto l’interesse del Medioevo verso il Quadrivio (le quattro vie del numero: aritmetica, geometria, astronomia, musica), il poeta nella terza cantica va persino oltre utilizzando la musica per dare sostanza all’indescrivibile luce dell’etere.
Nel Primo Cielo, la Luna, Picarda Donati scompare sulle note dell’Ave Maria ricordando un oggetto che cade nell’acqua profonda (Pd III 121-130). Nel Secondo Cielo, Mercurio, gli Spiriti Operanti per la gloria terrena spiegano che la musica dei Cieli è prodotta dai diversi gradi di beatitudine: “Diverse voci fanno dolci note; / così diversi scanni in nostra vita / rendon dolce armonia tra queste rote” (Pd VI 124-126). Nel Terzo Cielo, Venere, gli Spiriti Amanti vanno incontro alla coppia in arrivo elevando un Osanna di tale potenza “… che unque poi / di riudir non fui sanza disiro” (Pd VIII 29-30), cioè che Dante in seguito desiderò sempre riascoltare.
Nel Quarto Cielo, il Sole, gli Spiriti Sapienti cantano così soavemente danzando in tondo che la parola non riesce a descrivere la magnificenza di quell’armonia (Pd X 70-75, XII 7-9). Assomiglia addirittura a una lira pizzicata dalla mano di dio il Quinto Cielo, Marte, pervaso dall’inno di lode innalzato dagli Spiriti Combattenti e paragonato alla Musica stessa. Nel Sesto Cielo, Giove, si ode uscire dal collo dell’Aquila parlante una vibrazione simile al suono della cetra, o al soffio di una zampogna che espira, finché il cantante pennuto viene paragonato al “… buon cantor buon citarista / [che] fa seguitar lo guizzo de la corda, / in che più di piacer lo canto acquista” (Pd XX 142-144).
Nel Settimo Cielo, Saturno, c’è silenzio solo perché le alte frequenze che gli Spiriti Contemplanti sono in grado di emettere producono suoni che se fossero uditi sfonderebbero i timpani di Dante. Nel cielo delle Stelle Fisse i beati intonano il Gloria alla Trinità con una tale dolcezza che al poeta sembra di veder ridere tutto l’Universo. Nel Primo Mobile i nove cori angelici innalzano Osanna rivolti al punto centrale (dio). Nell’Empireo il silenzio non è reale, semplicemente l’orecchio di un essere vivente non è in grado di recepire l’armonia delle sfere celesti.

 

In breve: nel terzo regno sembra di stare in un’immensa sala da concerto dove risuona a vari livelli d’intensità “la dolce sinfonia di paradiso” (Pd XXI 59) e riecheggia perennemente “la gloria di colui che tutto move /per l’universo penetra, e risplende / in una parte più e meno altrove” (Pd I 1-3). Dante presenta l’argomento sotto forma di letteratura, né potrebbe farlo in modo diverso, ciò nonostante non mancano qua e là i riferimenti alla conoscenza-regina, al più alto dei saperi, cioè a quella scienza sonica frettolosamente archiviata dai moderni e poi volutamente «dimenticata» che nel Medioevo europeo era ancora in parte presente.
Fin dall’inizio le culture eurasiatiche hanno ritenuto sacra la conoscenza dell’«ottava genitrice» che risaliva all’arcana concezione secondo cui le vibrazioni acustiche arrivavano sulla Terra da 8 zone ben precise dello spazio e «influenzavano» pesantemente il nostro pianeta in virtù dell’enorme quantità di acqua che lo ricopriva. Attraverso il linguaggio simbolico gli sciamani siberiani raccontavano che contemporaneamente alla comparsa del primo uomo religioso sulla Terra venne piantato l’albero cosmico con 8 rami, corrispondenti agli 8 grandi dèi, maschi e femmine.
In Eurasia l’8 è sempre stato il simbolo dell’equilibrio cosmico, della mediazione fra il quadrato e il cerchio, cioè il «tramite sonoro» fra la Terra e il Cielo. La stessa cosmogonia nella Tradizione Universale viene spesso equiparata al canto inteso come forma di movimento: all’inizio dei tempi gli dèi erano canti, cioè geometrie simmetriche dotate di armonia, proporzione e rapporti di analogia tra le grandezze che componevano la musica, le figure che costruivano la danza, la volta stellata (M. Schneider, La musica primitiva, 1992).
I soliti perditempo della preistoria? Gli «dèi» erano i pianeti, oppure i Sapiens scesi dall’Artico civilizzarono prima l’Eurasia e poi il Nordamerica «cantando», cioè attraverso il linguaggio? Anche la Genesi ricorda: “In principio era il Verbo, / il Verbo era presso Dio / e il Verbo era Dio” (Gv 1:1-18). Allo stesso modo nella neo-mitologia tolkieniana, all’inizio del Silmarillion, si dice che “Nel principio Eru, l’Uno, che nella lingua elfica è detto Ilùvatar, creò gli Ainur [Spiriti della Natura] dalla propria mente; e gli Ainur intonarono una Grande Musica al suo cospetto…”.
In quest’ultima opera si dice anche un’altra cosa interessante: il mondo scaturì dal suono per poi connettersi con la bellezza del Creato. “In tale Musica, il Mondo ebbe inizio, poiché Ilùvatar rese visibile il canto agli Ainur, e costoro lo videro quale una luce nell’oscurità…”. Solo a questo punto, e non prima, il grande Uno conferì sostanza alla loro visione “… e la collocò in mezzo al Vuoto, e il Fuoco Segreto fu inviato ad ardere nel cuore del Mondo”.
Sebbene negli ultimi tempi la letteratura sia sottovalutata, non trascuriamo il fatto che il «suono creatore» di cui tanto si parla possa essere di origine cosmica, e quindi di gran lunga precedente agli dèi. Tutti i Miti della Creazione narrano infatti che la Terra, alla cui sopravvivenza l’essere umano partecipa attraverso la sua palpitante subcoscienza (sostanzialmente «natura»), è nata con un colossale bang! Non propriamente un suono ma piuttosto un ronzio profondo, una specie d’interferenza.
Le divinità primigenie, o forze ancestrali (i pianeti?), all’inizio dei tempi crearono l’universo emettendo un suono, schiamazzando, strillando, parlando, respirando, cantando. A questo punto la domanda sorge spontanea: come faceva l’uomo preistorico a sapere che la forza creatrice originaria uscì da una fonte acustica? Bè, forse è arrivato il momento di considerare l’ipotesi dell’esistenza in tempi primordiali di un comune centro di cultura appartenuto a una civiltà marittima planetaria a noi sconosciuta e incredibilmente evoluta.

La storiella dell’astronomo cieco che studia le stelle senza poterle vedere ma ascoltando le loro frequenze elettromagnetiche potrebbe non essere tale. Sulla scorta di conoscenze remote Pitagora sosteneva che «la geometria delle forme era musica solidificata». Platone parlava di «armonia delle sfere», una melodia che Dante incontra nel momento stesso in cui varca insieme a Beatrice la barriera di fuoco per entrare nel Primo Cielo, quello della Luna, dove si fa esplicito riferimento all’”armonia che temperi e discerni” (Pd I 78), una chiara espressione tecnica e musicale in quanto temperare indica l’atto dell’accordatura tipico di uno strumento a corde.
Le vibrazioni sonore si ripropongono con forza nel Cielo di Venere, dove il poeta vede le luci degli Spiriti Amanti godere della propria visione interiore e li paragona a faville che si distinguono nella fiamma, o meglio a voci in cui una «voce modulante» si sente su una «voce ferma». “E come in fiamma favilla si vede, / e come in voce voce si discerne, / quand’una è ferma e altra va e riede, / vid’io in essa luce altre lucerne / muoversi in giro più e men correnti, / al modo, credo, di lor viste interne” (Pd VIII 16-21).
Caso vuole che a distanza di circa 380mila anni dal Big Bang gli astrofisici ammettano oggi che l’Universo, effettivamente, emette due «voci»: un suono acuto simile al vagito di un neonato e un altro più pieno e scuro, come emesso da un contrabbasso. Dante sapeva dunque che la materia è fatta di energia vibratoria? L’uomo spirituale del Medioevo percepiva, o aveva memoria, di una cellula che non era soltanto un miscuglio di atomi e molecole?
Imponendo il suo marchio iconico la Chiesa Romana, fra l’undicesimo e il tredicesimo secolo, disse ai fedeli che si poteva giungere a dio solo tramite le sue istituzioni e perciò erano da considerarsi fuorvianti lo studio di sé stessi, della natura, del magnetismo e delle vibrazioni celesti. Coloro che indagavano le proprietà armoniche nell’ambito dei numeri, della geometria e dell’astronomia (come i Catari e i Templari) venivano perseguitati, esiliati o messi a morte.
Il «metodo scientifico» messo a punto dall’Illuminismo fece la sua parte scoraggiando lo studio delle armoniche e della loro corrispondente filosofia naturale, nota come musica universalis o «musica delle sfere», così tutto ciò che riguardava la scienza sonica finì nel dimenticatoio. Complici i circoli iniziatici, diciamola tutta, preoccupati principalmente di blindare ogni ricordo residuo della Tecnica degli Antichi (sonica, astronomica, tellurica) all’interno di cerchie esclusive.

 

La mente di dio”, afferma oggi il fisico Michio Kaku , “è musica cosmica che risuona attraverso 11 iperspazi dimensionali.” Mentre Federico Faggin, l’inventore del microprocessore, dello smartphone e della tecnologia digitale, dopo avere avvertito una fortissima energia irradiarsi dal suo petto in una notte di luna piena è giunto alla conclusione che l’universo ha una natura spirituale.
Un caloroso «benvenuti nel club» agli scienziati del XXI secolo che (ri)scoprono cose che gli Antichi già sapevano migliaia di anni fa. Ad ogni modo fa piacere che la fisica quantistica stia (ri)cominciando a (ri)prendere coscienza di sé, ovvero a studiare «alla vecchia maniera» un cosmo attraversato da coerenti onde armoniche che si cristallizzano nella materia all’interno di un reticolo di spazio cubico polarizzato (come un ologramma fisico).
In più di un’occasione Dante ricorre alla metafora del “buon citarista”, e, in effetti, la fisica di una corda da chitarra non è molto diversa dalla funzione d’onda di Schrödinger con il modello di meccanica quantistica della «particella nella scatola». Cambiano le parole e il modo di presentare la materia, ma sempre di descrizioni della struttura armonica dello spazio si tratta.
Anche la Teoria delle Stringhe afferma oggi che a livello subatomico esistono solo corde vibranti; fili di energia grandi come un capello umano, se si potesse estendere un atomo di idrogeno alle dimensioni della Via Lattea. Le particelle, i protoni, gli elettroni e i quark non sarebbero altro che note musicali su una piccola corda vibrante e tutte le attività dell’universo nascerebbero da un ciclo sub-atomico di energia nel profondo della materia.
Sembra che si manifestino in modo sintonico anche le cose che avvengono insieme in un dato momento, sebbene noi non ne siamo consapevoli perché da Cartesio in avanti ci siamo autoconvinti di avere una missione da compiere: dominare e conquistare la Natura anziché farne parte.
Il risultato è il guasto delle nostre antenne costituite dai cinque sensi. In potenza rimane tuttavia intatta la loro capacità di raccogliere le informazioni sotto forma di lunghezze d’onda di tipo visivo, uditivo, tattile, olfattivo e gustativo prima che il cervello le interpreti e inneschi una reazione, che, all’interno di ampie differenze individuali, è più o meno universale.

 

C’è speranza, insomma. Ultimamente la graduale riscoperta delle «cose immutabili» lascia intendere che la nostra percezione della musica sia qualcosa di organico, potrebbe dunque non trattarsi di un condizionamento culturale. Secondo la «teoria dell’interferenza armonica» elaborata da Richard Merrick, musicologo ed esperto di media digitali, la vita può essere assimilata a una corda che vibra cercando un equilibrio fra risonanza e smorzamento. Ed ecco rientrare prepotentemente in scena il magnifico “citarista” di Dante.
Ne consegue che la modernità non ha fatto passi da gigante, come vorrebbero farci credere. Si danno numeri in continuazione per confondere le idee, ma nella sostanza dei fatti la visione delle cose non è molto lontana dalla «quadratura del cerchio» dell’Uomo Vitruviano, dal modello del Fiore della Vita egizio (VI sec. a.C.), dal Cubo di Metatron, dalla Vesica Piscis, dal sistema induista dei chakra, dall’Albero della Vita ebraico, dalla Croce Gnostica (un cubo dispiegato in 3 x 4 quadrati). E via dicendo.
Queste mappe della Creazione venerate da molte antiche civiltà a partire dall’Eurasia, il continente-madre, simboleggiano l’energia che esplode verso l’esterno (nello spazio) venendone risospinta indietro verso l’interno (sulla Terra e dentro i terrestri) dove risuona nelle proporzioni armoniche del DNA. Soprattutto per questa ragione gli Antichi concepivano il Divino come un corredo genetico, una particella atomica, un processo mnemonico; finché le religioni monoteiste diedero a dio le sembianze di un vegliardo barbuto dall’aria severa e giudicante, e l’orientamento del mondo cambiò direzione.
Il giorno che la massima einsteiniana “tutto è relativo” scenderà a patti con il principio pitagorico “tutto è proporzionale” inizierà, forse, la nostra ascesa verso «il paradiso». Il rinascimento culturale che aspetta l’umanità potrebbe essere addirittura superiore a quello che concepì l’Uomo Vitruviano, visti i mezzi tecnologici a disposizione. L’impresa non è impossibile, basterà ripassare la partitura della struttura archetipa nello spazio che ha dato forma e dignità a fiori, insetti, pesci, uccelli, animali e persone. Solo allora sarà chiaro a tutti che la vita NON E’ un fenomeno accidentale bensì una geometria sacra composta di numeri e di note musicali di cui le stelle e le forme viventi sono una magnifica testimonianza.

Ricercatrice indipendente, scrittrice e saggista, Rita Remagnino proviene da una formazione di indirizzo politico-internazionale e si dedica da tempo agli studi storici e tradizionali. Ha scritto per cataloghi d’arte contemporanea e curato la pubblicazione di varie antologie poetiche tra cui “Velari” (ed. Con-Tatto), “Rane”, “Meridiana”, “L’uomo il pesce e l’elefante” (ed. Quaderni di Correnti). E’ stata fondatrice e redattrice della rivista “Correnti”. Ha pubblicato la raccolta di fiabe e leggende “Avventure impossibili di spiriti e spiritelli della natura” e il testo multimediale “Circolazione” (ed. Quaderni di Correnti), la graphic novel “Visionaria” (eBook version), il saggio “Cronache della Peste Nera” (ed. Caffè Filosofico Crema), lo studio “Un laboratorio per la città” (ed. CremAscolta), la raccolta di haiku “Il taccuino del viandante” (tiratura numerata indipendente), il romanzo “Il viaggio di Emma” (ed. Sefer Books). Ha vinto il Premio Divoc 2023 con il saggio “Il suicidio dell’Europa” (ed. Audax Editrice). Attualmente è impegnata in ricerche di antropogeografia della preistoria e scienza della civiltà.

3 Comments

  • Francesco Maggi 2 Settembre 2023

    Forse perché da sempre affascinato dalla ” vibrazione” della parola, dalla sua ” metasonìa ” ( intendo questo termine come la capacità di attraversare e accedere con la vibrazione alla stratificazione spirituale della materia ) che ho letto questo suo articolo con estremo interesse ed entusiasmo. Ed è rincuorante, in questi tempi oscuri, vedere una luce della magnifica evidenza. Le sue parole hanno risuonato di significato. La ringrazio per questo
    p.s.
    pare che il termine “metasonìa” non sia ancora incluso nei vocabolari. Che abbia creato una parola nuova?

  • Rita Remagnino 3 Settembre 2023

    Grazie, Francesco.
    “Metasonia” è bello, azzeccato, magari lo prendo in prestito … se posso.

    • Francesco Maggi 3 Settembre 2023

      Ma certamente cara Rita!
      Oltre al sentirmi onorato non posso che provare soddisfazione!

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